capitolo IV

La necessità del contatto

Perché la relazione è importante

Nessun investimento è sicuro. Amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura con passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno (al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto) esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile.

C.S. Lewis1

Penelope è una bambina di tre anni che ho incontrato un giorno al parco mentre giocava con le mie figlie. Dopo aver giocato insieme con le biglie, era chiaro che ci avrebbe seguite ovunque. Quando le chiesi con chi stava, mi indicò dall’altra parte del parco una donna impegnata in una conversazione con un altro adulto. Poco più tardi, dissi a Penelope che doveva tornare dalla persona che l’accompagnava; mi guardò con aria ribelle, ma dopo qualche insistenza da parte mia riuscii a farla dirigere verso quella persona. Tornai a concentrarmi sulle mie figlie, quando all’improvviso sentii una manina che afferrava la mia. Sorpresa, guardai in basso e mi accorsi che la piccola era tornata. Mi disse che voleva venire con me e io le ripetei che doveva trovare l’adulto che era con lei, agitai la mano per attirarne l’attenzione. Dieci minuti dopo, Penelope mi aveva ritrovata ma stavolta era in lacrime: “Altalena, altalena, altalena!”. Presi Penelope e mi avvicinai alla donna, interruppi la conversazione e le dissi che la sua Penelope piangeva perché voleva andare sull’altalena. Lei mi guardò con fare indifferente e disse che, sì, Penelope piangeva perché voleva che io la spingessi sull’altalena. Sbalordita, arrabbiata e confusa, non riuscivo a credere che mi avesse risposto in questo modo. Ero un’estranea per la bambina, e non c’era nulla di sano nel suo venirmi a cercare. Dissi a Penelope che la donna l’avrebbe spinta sull’altalena e che io dovevo tornare a guardare le mie figlie. Mi allontanai sconvolta mentre Penelope piangeva, furiosa perché l’adulto che era con lei non aveva alcun desiderio di assumersene la responsabilità.

Il comportamento di Penelope era alimentato da un acuto desiderio di contatto e vicinanza; moriva dal bisogno di stabilire una relazione e dalla voglia di aggrapparsi a qualsiasi estraneo che le avesse offerto l’occasione di un briciolo di calore e contatto. Sebbene una parte di me desiderasse moltissimo prendersi cura di lei, sapevo di non poter assecondare la sua ricerca nei confronti di un estraneo; non le sarebbe comunque servito. Penelope non sbagliava, cercava solo di essere fedele ai propri istinti e trovare qualcuno con cui sentirsi “a casa”. L’ironia era che a Penelope non mancava il conforto di una casa; era ben vestita, aveva un grazioso carrettino, un bel parco e un quartiere tranquillo in cui giocare. La maggior parte delle persone l’avrebbe guardata credendo che stesse bene e avesse tutto il necessario per crescere. La realtà era che Penelope non stava bene e aveva una fame disperata.

Questa storia dimostra quali siano le sfide dell’attaccamento: la sua natura altrimenti invisibile si rivela solo quando si hanno occhi per guardarla o gli istinti di cura ci muovono a risponderle. La storia di Penelope evidenzia anche in che modo i bambini si industrino per soddisfare i propri bisogni di attaccamento quando l’adulto di riferimento non se ne assume la responsabilità. Ma non dovrebbero essere i bambini a lavorare per l’affetto. A loro spetterebbe riposare tranquilli e sicuri nelle cure di un adulto, così da potersi dedicare al gioco e alla crescita, ecco perché la relazione è importante.

La fame di contatto e l’invito alla pace

T.S. Eliot ha scritto: “la casa è il punto da cui si parte”2, ma cos’è che soprattutto fa sentire un bambino “a casa”? Per lui non significa semplicemente il luogo in cui è stato piantato, bensì quello in cui ha messo radici grazie all’attaccamento. La sensazione di sentirsi a casa va ben oltre l’idea di una semplice locazione geografica o la presenza di una struttura fisica; è un luogo affettivo dove si acquieta la brama di contatto. Il bisogno di casa è un bisogno di relazioni, ma queste non si stabiliscono a comando; è necessario invitare il bambino a partecipare alla relazione e a trovare in essa la sua quiete. Non si possono dare indicazioni esplicite su come amare e aver cura di un’altra persona, semmai si può avvalorare l’idea che l’attaccamento è la risposta alla nostra brama più grande come esseri umani.

Più di sessant’anni di studi sull’attaccamento hanno dimostrato che ciò di cui ogni bambino ha bisogno è almeno un adulto solido e amorevole a cui legarsi. L’attaccamento è definito come la spinta o la relazione caratterizzata dalla ricerca e dalla salvaguardia della prossimità3. Cerchiamo di restare vicini alle cose o alle persone a cui siamo legati. Perché lo sviluppo sia sano, i bambini piccoli devono legarsi a chi si prende cura di loro, ma è possibile attaccarsi anche a oggetti o altre persone, dall’orsacchiotto ai nonni. Non esiste il rischio di avere troppi attaccamenti, solo quello che l’attaccamento non sia profondo abbastanza. L’istinto di attaccamento è alimentato dal sistema limbico, anche detto centro emozionale del cervello4. Tracce chimiche lasciate dall’attaccamento includono l’ossitocina e la vasopressina, che si crede abbiano il potere di un supercollante nel tenerci legati agli altri5.
L’attaccamento è il bisogno preminente dei bambini piccoli. Il loro innato istinto di ricerca li guida verso le persone che hanno la risposta alla loro domanda: Chi si prenderà cura di me?6 L’istinto di ricerca li spinge a formare forti legami affettivi che nutriranno la loro fame e garantiranno una base sicura nella quale sentirsi a casa7. Non è l’amore del genitore per il figlio che stabilisce l’efficacia del ruolo genitoriale, bensì l’attaccamento del figlio al genitore. Simone, cinque anni, lo ha descritto benissimo durate un picnic con la madre:

Simone: “mamma, sono tanto felice di essere vivo!”

Mamma: “Anch’io! E perché ti senti così felice?”

Simone: “Perché ho te!”

Mamma: “So bene cosa vuoi dire!”
Un genitore deve lavorare sull’attaccamento, così che il figlio possa dare per scontato l’invito alla pace.

Ogni volta che il bambino è ferito o spaventato, è proprio la casa relazionale che bisogna cercare, come spiega bene la mamma di Chloe, una bimba di quattro anni: “ogni volta che Chloe è davvero sconvolta, grida: ‘voglio andare a casa… voglio andare a casa…’ All’inizio ero assai confusa e le facevo notare che eravamo già a casa, ma lei non faceva che strillare ancora più forte e dire: ‘Voglio andare a casa da mamma!’. In queste occasioni sembra davvero persa e vuole solo il conforto delle mie braccia!”

Non è casuale il fatto che i bambini siano dotati di “dispositivi di tracciamento” che lanciano segnali d’allarme ogni volta che hanno bisogno di attenzione o quando le figure di attaccamento si allontanano. Una mamma di due bambini piccoli mi ha detto: “Ogni volta che sto al telefono, iniziano a girarmi intorno come squali. Spintonano, tirano, fanno la lotta e strillano finché non attacco e presto loro attenzione. Non ho un minuto per me!” I bambini piccoli sono creature di attaccamento, e il non sapere questo eclisserebbe la comprensione di gran parte dei loro comportamenti.
La ricerca bramosa, divorante, incessante di una figura di attaccamento nel bambino piccolo non è certo una novità. Nel 1958, John Bowlby, lo psichiatra inglese che ha coniato l’uso in questi termini della parola attaccamento, disse ai genitori: “la fame del bambino piccolo per l’amore e la presenza della madre è grande tanto quanto la sua fame di cibo.”8 Disse di aspettarsi che un bambino piccolo chiedesse senza requie del genitore, soprattutto se spaventato o sconvolto. Bowlby ne dedusse che si trattava di un processo naturale, e che per quanto i genitori si sentissero talvolta sopraffatti e stanchi, le richieste del bambino sarebbero diminuite nel corso di un sano sviluppo e all’emergere di un bambino più sicuro. Quando si comprende la vastità dei bisogni di attaccamento, si capisce anche quanta generosità è richiesta a un genitore.

Dorothy Briggs ha scritto nel suo libro, Your Child’s self-Esteem: “Si nutre inondando, non svuotando”9. È l’inondare che conta più di ogni altra cosa quando si tratta di soddisfare la sete di attaccamento. È grazie a una generosa scorta di cure che invitiamo i nostri figli a entrare nella relazione e ci occupiamo di loro. È proprio in virtù dell’abbondanza che un bambino è libero di trovare la propria pace nelle cure prodigategli e di darci per scontati. La nostra generosità è la controparte perfetta alla loro sete di contatto e intimità, spingendoli a orbitare attorno a noi. Sofia, di cinque anni, esprime così alla mamma il modo in cui vive la generosità di chi si prende cura di lei e l’impatto che questo ha su di lei:
Qualche volta faccio questo sogno quando mi sto svegliando, dove io ho una scala dell’amore e anche tu. Ma la tua è sempre più lunga della mia, e perciò cerco con tutte le forze di spingerla più in alto per raggiungerti. Proprio quando sto per raggiungerti, la tua schizza più in alto; io cerco di spingere la mia scala dell’amore sempre più in alto per raggiungerti, ma ogni volta la tua diventa più grande. Non riesco proprio a stare dietro al tuo amore, mamma.
Mentre la madre ascolta, si rende conto che il suo invito a partecipare alla relazione ha surclassato la ricerca di un contatto da parte della figlia. La forma e l’espressione di un generoso invito all’attaccamento saranno di volta in volta diversi per ciascuna situazione. Se, per esempio, un bambino chiede un abbracciato, il genitore potrà elargirne cinque, ma quando è disperato per un no detto dal genitore, allora essere generosi potrebbe significare fare spazio alle lacrime che hanno bisogno di essere versate. Qualunque sia lo scenario, è necessario invitare i nostri figli alla relazione, andandoli a cercare e tenendoli stretti a noi, sia nei momenti difficili, sia in quelli buoni. Soddisfare l’intensa fame di attaccamento del bambino piccolo è un compito arduo per qualunque genitore, tuttavia nutrirli è ciò che dobbiamo fare.
I primi anni sono segnati da questa brama; i piccoli non hanno pace e cercano finché non si saziano, il che avviene solo se riescono a banchettare al tavolo dei legami affettivi. L’attaccamento rappresenta la ricerca primaria e un adulto forte, amorevole e generoso è la risposta ultima e l’esito felice di una simile caccia. Nonostante la maggior parte dei genitori, degli insegnanti, dei nonni e dei puericultori concordi in via intuitiva con l’importanza della relazione adulto-bambino, mi vengono ripetutamente poste le seguenti domande:
  • Come si costruisce un attaccamento forte con un bambino?
  • Si può essere troppo legati?
  • Se si sono avuti problemi di attaccamento da bambini, si riesce a creare un legame con il proprio figlio?
  • Se non ho sviluppato per mio figlio un attaccamento subito dopo la nascita è un problema?
  • È possibile lavorare, lasciare i bambini al nido e avere comunque un forte attaccamento?
  • E se sono un genitore single e i bambini non hanno altri che me?
  • Come posso aiutarli a sviluppare un attaccamento per la maestra, per i nonni, per i fratelli?
Sono tutte domande rincuoranti, perché indicano uno spostamento dell’attenzione verso la relazione fra bambini e adulti. Quello che deve essere chiarito meglio è chi debba nutrire i bambini dal punto di vista relazionale, come vadano nutriti e come questo serva al loro sviluppo. Ciò che è già chiaro è che la responsabilità di soddisfare la brama relazionale del bambino è degli adulti. È la risposta di un genitore ai bisogni di contatto e intimità del figlio che influenza la traiettoria di crescita e la realizzazione del potenziale umano di quest’ultimo.

Che aspetto ha un buon attaccamento?

Una delle cose di cui mio nonno andava più fiero a proposito del suo orto era il suolo. Faceva tesoro della sua terra scura e ricca, un miscuglio di materiali compostati in continua sperimentazione, e che contenevano il “segreto della crescita”. Da bambina mi importava davvero poco di quella terra e prestavo molta più attenzione a quando i frutti e gli ortaggi sarebbero stati pronti. Percependo la mia impazienza, mio nonno mi ricordava di non sottovalutare l’importanza di gettare delle buone fondamenta, anche se i benefici non erano subito visibili. Ciò che lui sapeva d’intuito era che più profonde sono le radici, migliore è il raccolto. Con il senno di poi, capisco ora quanto comprendesse a fondo l’attaccamento. Lavorava per coltivare radici forti che alimentassero e sostenessero la crescita. Non era bravo con le scorciatoie e i mezzi artificiosi per raggiungere lo scopo, era biologico fino al midollo.
Le sei fasi sequenziali dell’attaccamento, definite da Neufeld, mostrano in dettaglio come l’attaccamento si sviluppi nei primi sei anni di vita, secondo uno schema ideale. Ogni fase in sequenza dovrebbe aggiungere maggiore complessità e profondità alla capacità del bambino di legarsi agli altri. Ogni fase dovrebbe arricchirsi di una nuova forma della capacità di cercare l’altro e tenerlo stretto. Più sono i modi in cui un bambino riesce a legarsi strettamente a un adulto, maggiore è il carburante che riceve per arrivare a crescere in un essere sociale, dall’individualità ben definita e capace di adattarsi. Sebbene i bambini nascano con la capacità di stabilire relazioni, i loro istinti di attaccamento hanno bisogno di essere attivati da cure costanti e prevedibili. Non è mai troppo tardi perché il potenziale di attaccamento si realizzi, anche se non ha avuto modo di esplicarsi nei primi sei anni di vita.
1) Attaccamento attraverso i sensi - alla nascita
Nel primo anno di vita, i bambini sono creature sensoriali, che si risvegliano al mondo esterno e si legano attraverso il tatto, l’olfatto, l’udito e la vista. Cercano di raggiungere i capelli e i volti con le manine e danno baci di umide gengive, come se cercassero di divorare le persone. Molti neonati vogliono essere tenuti vicini vicini, i loro occhi cercano chi li accudisca e lanciano grida d’allarme se l’adulto non rientra più nel loro campo visuale.

Il potere calmante di una ninnananna deriva dal fatto che il piccolo percepisce il contatto ascoltando una voce familiare. I neonati emettono anche suoni rivolti all’adulto, inclusi il tubare, i balbettii e il chiamare mamma e papà. Sono sintonizzati sugli odori familiari associati alle persone amate, come il profumo della mamma. Anche se i loro affetti non si vedono e non si sentono, possono ancora essere a portata di olfatto. Nel complesso, la sensibilità e la ricettività sensoriale del bambino daranno forma al tipo di interazioni che avranno su di lui un effetto calmante.

Un contatto fisico affidabile e regolare con l’adulto è necessario per costruire l’attaccamento a livello sensoriale. Sebbene il neonato sia pronto, alla nascita, per riconoscere i suoni e gli odori della madre biologica, ci vogliono in media dai 6 agli 8 mesi perché il cervello si sviluppi abbastanza da fissarsi su una persona come figura primaria di attaccamento10.
Il che può avvenire anche in seguito, oltre il periodo di 6-8 mesi, se la separazione è il risultato di fattori ambientali. Il meraviglioso disegno dell’attaccamento è tale che un legame affettivo primario non si sviluppa di necessità con la madre da cui si è nati, quanto con persone che si occupano dell’accudimento in modo consistente. I bambini sono inclini a legarsi a persone che offrono loro il miglior incitamento affettivo e le cure più consistenti. L’attaccamento primario sarà il segreto per plasmare una prima identità del bambino e sviluppare pian piano la sua capacità relazionale. Questa stessa persona potrà avvicinare il piccolo ad altre figure d’attaccamento, costruendo quel villaggio che lo aiuterà a crescere.
2) Attaccamento attraverso la somiglianza - A partire da 1 anno
Se tutto procede bene, il bambino di un anno inizierà a sentirsi vicino alle figure di attaccamento attraverso l’imitazione e l’emulazione. Imita per natura, assumendo i suoni, le preferenze e i modi di fare di coloro a cui è affezionato. In breve, essere lo stesso di qualcun altro significa tenerselo sempre accanto. La mamma del piccolo Jamie, di due anni, mi ha riportato la seguente conversazione, un giorno a pranzo, fra suo figlio e la nonna:

Jamie: “Nonna, prendi i miei!”

Nonna: “Va bene così, Jamie, io ho i miei panini, tu mangia i tuoi!”

Jamie: “No, nonna, per favore!”

Nonna: “Davvero Jamie, nonna sta bene così, non mi piace la pancetta; nonna mangia solo le verdure!”

Jamie (con aria triste): “Nonna, per favore, mangi la pancetta?”

Nonna: “mi dispiace, tesoro, ma alla nonna non piace!”

Jamie (iniziando a piangere): “Oh, nonna, ti prego, fa che ti piace la pancetta, a me piace!”

Ribadiamo spesso che i bambini “imparano” le cose dai genitori, come si trattasse di un compito puramente cognitivo. Quello che non si comprende è come l’attaccamento alimenti un bisogno emotivo di essere lo stesso delle persone a cui si è più affezionati. I bambini sono mossi dal desiderio di assumere la stessa forma e aspetto dei propri affetti. L’attaccamento alimenta la ricerca verso l’emulazione, la scelta dello stesso cibo, l’acquisizione del linguaggio - da cui l’espressione “apprendere la propria lingua madre”. I valori che un bambino adotta hanno più a che fare con le persone a cui sono legati che non con l’esito di un apprendimento. Se i coetanei sono diventati i loro affetti più cari, emuleranno e copieranno loro, dando vita a un modo di relazionarsi immaturo. Per quanto si sappia intuitivamente che un bambino di un anno è un imitatore, sorvoliamo sull’importanza di chi sia colui a cui egli cerca di stare accanto attraverso l’emulazione. Se si vuole capire a chi è affezionato un bambino di un anno, è necessario considerare a chi somiglia il suo modo di parlare e comportarsi. La conversazione che segue, con i genitori di un bambino di due anni, ha rivelato una sorprendente figura di attaccamento nella vita del piccolo.

Deborah: “Chi imita vostro figlio nei modi e nelle parole?”

Padre.”A parte me e mia moglie, non saprei. Brayden fa molti suoni come trapani e martelli e usa molti attrezzi immaginari in giro per casa!”

Deborah: “Chi usa questi attrezzi a casa vostra?”

Padre: “Io no, e mia moglie neppure!”

Deborah: “Forse i nonni? O guarda la Tv e c’è qualche personaggio che usa degli attrezzi?”

Padre: “No, nessuna delle due. La sola cosa che mi viene in mente è che nell’ultimo anno è venuto a lavorare a casa nostra un operaio che usa gli attrezzi!”

Deborah: “Credo che Brayden si sia affezionato a lui!”

Entrambi i genitori risero alla nuova scoperta e dissero che l’operaio aveva detto che Brayden gli ricordava il figlio. Gli adulti spesso considerano l’attaccamento in termini di ruoli e responsabilità, ma i bambini lo guardano attraverso le lenti del piacere, del divertimento e del calore che qualcuno ha rappresentato per loro.

L’attaccamento attraverso l’imitazione serve agli scopi evolutivi per dar forma a un’identità rudimentale che possa funzionare. Il bambino di un anno diventa una collezione di caratteristiche e pose delle persone con cui entra in relazione. La forma che prende è la somma totale dell’identificazione con quegli affetti. Vista la sua immaturità, si aggrappa all’idea degli altri finché non ne forma una propria. Le diverse affiliazioni sono i semi della personalità in boccio, soggetta a mutare con il raffinarsi e svilupparsi dell’individualità. I maschietti, per esempio, vogliono mettersi lo smalto come le sorelle maggiori, o le bambine vorrebbero radersi come i papà. La mamma di due bambini piccoli mi ha raccontato: “I miei figli mi chiedono sempre se da grandi potranno avere i miei vestiti e i miei gioielli. Mi dicono anche che vorrebbero indossare ciabattine con il tacco come le mie, e avere i buchi alle orecchie per mettersi i miei orecchini!”. L’emulo di un anno, con il suo modo imitativo di stabilire un attaccamento, si aiuta nella costruzione di una prima identità per rispondere così alla domanda: “chi sono?”. Le persone a cui cerca di somigliare rivelano coloro a cui vuole restare accanto, e l’emulazione è un modo per mitigare la separazione da essi.
3) Attaccamento per mezzo dell’appartenenza e della lealtà - dai 2 anni
I bambini di due anni inizieranno a stabilire un attaccamento a persone o cose grazie al senso di appartenenza e di lealtà. Manifesteranno comportamenti possessivi e territoriali su cose e persone, reclamandole come proprie. Il loro desiderio di possesso serve allo scopo di tenere vicino qualcuno o qualcosa per evitare di esserne separati. L’attaccamento attraverso il possesso offre un più profondo senso di appartenere a un luogo e di avere un legame con la propria casa. I bambini possono anche esprimere gioia se i genitori ne reclamano il possesso in modo esclusivo, con affermazioni del tipo: “Ecco la mia bimba!” o “Ecco il mio bimbo!”
Sentimenti di possessività sorgono in modo naturale quando ci si affeziona per mezzo dell’appartenenza. Sono in realtà segnali di crescita nel bambino in quanto creatura relazionale. Il bisogno di possesso e la conseguente gelosia nel condividere qualcuno sono “una cosa sana e normale nei bambini piccoli, qualcosa che dimostra che amano, che hanno già fatto considerevoli progressi nel viaggio di distacco dalla completa immaturità che è stato il loro punto di partenza”11. Una madre ricorda quanto la possessività e la gelosia della figlia si scatenassero contro il fratello al compimento dei tre anni.
Quando Ben, il fratello di Brittany, uscì di casa con il padre, mi rivolsi a lei e le dissi che non vedevo l’ora di passare del tempo da sole. Brittany mi guardò e disse: “Mamma, dobbiamo trovare una nuova mamma!” Restai sbalordita ma riuscii a chiederle perché sentisse che era necessario trovare un’altra mamma; mi rispose: “Voglio prendere una nuova mamma e darla a Ben, così tu sei tutta per me!”
Per quanto la possessività dei bambini fra i due e i tre anni possa portare a conflitti di territorio, i loro desideri dovrebbero anche essere considerati un complimento alla relazione, essi vogliono infatti reclamare solo persone e cose cui sono affezionati. Dal loro punto di vista la condivisione è sopravvalutata e sono contrari a separarsi dai propri giochi e affetti.

Dopo la comparsa della possessività, un bambino di due o tre anni il cui sviluppo proceda bene, dovrebbe anche iniziare a mostrare segni di lealtà. La lealtà implica il mantenere la vicinanza obbedendo alle regole, seguendo la persona o prendendo le sue parti. Dare sostegno o essere devoti a qualcuno è una manifestazione di lealtà. Un papà ha descritto cosa voleva dire per un visitatore entrare a casa sua quando Isabella, la figlia di tre anni, faceva gli onori di casa.
Quando le persone entrano a casa mia, sento Isabella che dice: “Toglietevi le scarpe, qui non è permesso tenerle!”, oppure: “Appendete le giacche!”. La sento dir loro di non correre per casa e di essere gentili con il fratellino anche quando grida o piange. Li porta persino a fare un giro del giardino e dice loro tutti i nomi dei fiori. Le persone pensano che sia intelligente, ma non fa che ripetere quello che facciamo noi e le cose che ci sente dire.
La lealtà si esprime di solito nei bambini di due-tre anni quando iniziano a prendere posizione in caso di disaccordo. Una mamma mi ha raccontato la storia che segue, avvenuta in automobile mentre tutta la famiglia si recava a cena fuori:
Mio marito guidava e stavamo andando a cena fuori. Decisi di dargli qualche amichevole consiglio di guida, incoraggiandolo a prendere una scorciatoia per il ristorante. Non apprezzava la mia “guida dal sedile posteriore” e mi disse.”Credo di poter capire da solo dove parcheggiare e come guidare dopo 20 anni che ho la patente!” Gli dissi che volevo solo aiutarlo perché la strada che stava imboccando era davvero trafficata. Tutto a un tratto, Nathan ha urlato al padre: “Papà, perché non stai a sentire la mamma? Lei sa dove andare!”
Le lealtà di un bambino di due anni è molto personale ed è uno dei segnali migliori di un buon attaccamento. La possessività dei piccoli non è una disgrazia, bensì una condizione necessaria che permette loro di avventurarsi in avanti con la sicurezza di portarsi dietro i propri affetti. L’attaccamento attraverso l’appartenenza e la lealtà controbilancia la separazione che bisogna affrontare per iniziare ad avere una propria individualità.
4) L’attaccamento attraverso il senso del proprio valore - dai 3 anni
Più o meno verso i 3 anni, idealmente un bambino dovrebbe iniziare a vivere l’attaccamento attraverso il senso del proprio valore. È un momento in cui egli cerca di essere speciale e caro agli occhi di chi lo osserva. In cui desidera ardentemente l’approvazione, ha bisogno di essere visto e ascoltato, e vuole essere importante per le persone a cui è legato. L’invito al contatto e a stare vicini da parte di una figura di attaccamento è come ossigeno per il bambino piccolo, e il risultato è che già solo per questo egli si sentirà più fiero e importante. Ricordo ancora il desiderio di avere valore agli occhi di mia madre - il suo sorriso e il suo calore mi facevano sentire appagata per ore. La mamma di una bambina di tre anni e mezzo mi ha raccontato la storia che segue, dove si rivela tutto il bisogno di apprezzamento della figlia.
Sono andata a prendere Genevieve all’asilo e, mentre camminavamo verso casa, le ho detto che avevo visto questa bimba nella sua classe, adorabile e tutta sorridente, che si stava divertendo molto. Mentre parlavo di quanto questa bimba fosse speciale, Genevieve si mostrava turbata. Le ho chiesto se conoscesse il nome della bambina e, quando mi ha risposto di no, le ho detto che era lei quella bimba e che l’avevo guardata dalla finestra. Il sorriso sul volto di Genevieve è stato enorme quando ha capito che per tutto il tempo non avevo fatto che parlare di lei.
I genitori possono attribuire valore a un figlio prestandogli tutta la propria attenzione, ricordandogli quanto è importante per loro o trasmettendogli tutto il piacere che hanno di stare con lui.

Quando l’attaccamento si sviluppa grazie al fatto di avere valore, il bambino diventa sensibile ai segnali che gli rivelano quanto sia caro e stimato, quanto conti e rappresenti una gioia per le figure affettive a cui è legato. Osserverà ciò che ha valore per i genitori e magari lavorerà per ottenere la loro approvazione e soddisfare, così, i propri bisogni di attaccamento. Per esempio, potrebbe iniziare a cercare attenzione e lodi esclamando: “Guardami!”, “Guarda cosa ho fatto!”, per guadagnare valore e avere la sua dose di attaccamento. Il problema, tuttavia, è che non c’è mai pace se il bambino deve di continuo lavorare per soddisfare i propri bisogni di attaccamento. Se è costretto a un lavoro per avere il senso del proprio valore, non trova quella pace e quella tranquillità che dovrebbe essere offerta dalle figure di attaccamento. Se deve lavorare per essere amato, non può dedicarsi al gioco e alla crescita e rischia di temere di dover dar prova della propria “bontà” anziché sentire di essere già perfetto così com’è. Ecco perché le lodi possono rappresentare un problema con i bambini, in quanto rischiano di indurli a un lavoro per compiacere gli adulti e ricevere da loro il senso del proprio valore. Una sana percezione della propria individualità si costruisce sentendo di essere degni d’amore per come si è, da qui il senso del proprio valore si svilupperà in modo naturale.

Un bambino che voglia essere caro a qualcuno sarà più vulnerabile che nelle precedenti fasi del processo di attaccamento. Quando i bambini cercano di avere significato per l’altro, un rifiuto o la mancanza di invito da parte di questi può ferirlo e metterlo in ansia. L’esperienza di un bambino di tre anni che non si senta benvoluto e amato può portare alla vergogna, alla sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in lui, e questo a sua volta può indurlo a cercare di rendersi più accettabile agli occhi dell’osservatore o a diminuirsi per rientrare nei parametri di attaccamento ritenuti accettabili. Perché l’autostima si fondi su un terreno solido, il senso del proprio valore deve essere disgiunto dalla performance.

I bambini fra i tre e i quattro anni utilizzano le figure di attaccamento come specchi psicologici che riflettono la propria identità emergente. Quello che vedono influenzerà il modo in cui finiranno per vedere se stessi, soprattutto in presenza di segnali intensi e ripetuti. Se, per esempio, un bimbo vede che ai genitori piace stare insieme a lui, penserà meglio di se stesso che non se sente ripetere di continuo che gestirlo è troppo faticoso e problematico. Il bisogno di essere importanti per qualcuno è una sete che li porterà a cercare il proprio valore ovunque potranno, se il fronte casalingo non glielo fornisce - proprio come Penelope aveva fatto con me. I bambini devono avere tregua dal lavoro che serve a creare attaccamento e a decifrare se esista o meno qualcuno che li inviti al contatto e all’intimità.
5) Attaccamento attraverso l’amore - dai 4 anni
Se lo sviluppo procede bene, il bambino dai quattro ai cinque anni darà il suo cuore agli affetti più cari. È l’età dell’intimità emotiva, quando le proteste “Ti voglio più bene io!” o i proclami “Sposerò ogni membro della famiglia!” abbondano.

I cuori come simbolo d’affetto possono diventare il loro nuovo tema, comparendo su disegni e lavoretti. Emergono una tenerezza, una dolcezza e un profondo affetto che rendono meraviglioso fare i genitori di un bambino piccolo in questo periodo!

L’amore è l’emozione dell’attaccamento; non può essere dato a comando ma solo per virtù spontanea. Quando un bambino crede di essere amato perché è buono, bello, servizievole o acuto, viene reso schiavo e costretto a ripetere la prestazione per sforzarsi di venire incontro ai propri bisogni di attaccamento. Quando attribuisce la causa dell’amore a ciò che fa, anziché a ciò che è, non trova mai pace. L’essenza di un attaccamento incondizionato è che trasmette al bambino la sensazione di essere amato per come è.

Ci sono state volte in cui da piccole dicevo alle mie figlie di amarle e loro alzavano gli occhi al cielo e rispondevano che già lo sapevano. Quando chiedevo loro come facessero a saperlo, mi guardavano con espressione vuota e ribadivano: “non lo so, è così e basta!” Spero che non debbano mai provare il bisogno di dover lavorare per essere amate.

L’attaccamento attraverso l’amore implica una maggiore vulnerabilità, soprattutto quando affiorano le tenere emozioni dell’affetto appassionato, del calore e dell’attenzione. Ogni persona a cui il bambino darà il proprio cuore avrà il potere di ferirlo. Se crederà di non essere più adorato, apprezzato e tenuto caro, o se chi si occupa di lui mostrerà una mancanza di calore e affetto, la frustrazione e lo spavento potrebbero deflagrare. È una delle ragioni per cui l’attaccamento si sviluppa in modo sequenziale: affinché il bambino di quattro o cinque anni sia selettivo nel dare il proprio cuore. Si legherà d’amore solo a coloro con cui si identifica, a cui sente di appartenere e per i quali ha valore, è la strategia della natura per garantire un attaccamento sicuro.

L’amore è una forma più profonda di attaccamento che permette a un bambino di cinque anni di allontanarsi ancora di più dalla sua casa, la sua base sicura, e sperimentare cose nuove. La connessione che si stabilisce attraverso l’intimità emotiva esemplifica la sottile danza fra attaccamento e separazione; mentre il bambino si avventura verso l’esterno, si tiene tuttavia ben stretto al sentimento di casa che ha nel cuore.
6) L’attaccamento attraverso il palesarsi - dai 5 anni
Nello sviluppo ideale, il bambino di cinque anni si avvia verso la fase finale dell’attaccamento, quella del farsi conoscere. Segna il passaggio all’intimità psicologica ed è una delle forme più appaganti della relazione con gli altri. Il bambino ormai capisce che può tenere celati i propri sentimenti e pensieri, scegliendo se svelare o meno la propria coscienza agli altri. In breve, riesce a mantenere un segreto se lo vuole. Quando i bambini creano un legame palesandosi agli altri, si dischiude un’inclinazione a rivelare parti nascoste di se stessi a coloro con cui si condivide un’intimità emotiva. L’essenza dell’intimità psicologica è il sentirsi vicini per mezzo della trasparenza.

I segreti allontanano un bambino da chi si occupa di lui e sono d’ostacolo all’approfondirsi dell’intimità. Non essere in grado di esprimere i propri pensieri e sentimenti può portare a una mancanza di vitalità. Gli esseri umani sono programmati per condividere la propria vulnerabilità con gli altri. Il che non va confuso con il raccontare se stessi a chicchessia, come nei tentativi spersonalizzati di garantirsi “dosi di attaccamento”, tanto prevalenti nell’uso che oggi si fa dei social media. Il bisogno di palesarsi è esclusivo dei legami affettivi più intimi. Ciò che lo alimenta è la bramosia di annullare quel divario che si crea con lo sviluppo di una propria coscienza separata. L’intimità psicologica è una sete di unione del tipo più profondo.

L’inclinazione dei bambini a rivelare se stessi è necessaria se i genitori devono prendersi cura di loro e proteggerli. È lei che assicura che le cose importanti non vengano celate, aspetto cruciale fino a tutta l’adolescenza. Un padre, confuso dalla confessione che una sera gli aveva fatto la figlia, ha cercato di spiegarsela proprio con il desiderio della bambina di palesarsi a lui:
Era davvero strano vedere Elle con la mano sulla bocca come se stesse per sbottare su qualcosa. Stava chiaramente cercando di trattenersi, ma era come se la pressione in lei fosse eccessiva e non potesse liberarsi. Le chiesi infine quale fosse il problema e lei mi confessò: “Oh, papà, non te lo voglio dire, ma devo! Ho nascosto i trenini di Oscar di proposito perché non voleva farmici giocare!”
La predilezione di Elle alla confidenza con il padre era più grande della sua paura di confessare quello che aveva fatto di sbagliato. I segreti hanno il potere di separarci da coloro a cui vogliamo palesarci, così come di avvicinarci ad essi.

I genitori restano spesso sbalorditi quando i figli iniziano a mentire. La buona notizia è che mentire è una dimostrazione di integrazione cerebrale e della capacità del bambino di gestire pensieri e sentimenti contrastanti. Segnala la fine della personalità prescolare, ma il riconoscimento di questa maggiore raffinatezza si perde spesso nel trambusto che scatenano le bugie. Una sera, durante una cena, qualcuno mi fece una domanda a proposito di un bambino di sei anni che aveva da poco detto la sua prima bugia:

Megan: “Toby mi ha guardata dritto negli occhi e mi ha detto che non aveva preso le caramelle dalla mia borsa, poi ho trovato le carte nascoste in camera sua. Ero talmente furiosa! Gli ho tolto tutti i dolci per una settimana e gli ho detto di non mentirmi mai più. Cosa dovrei fare?

Deborah: “Oh, Megan! Toby ora è capace di dire bugie, è una notizia meravigliosa! Ascoltare il modo in cui riesce a tenere insieme nella sua testa due cose allo stesso tempo - la verità e la bugia - è un vero traguardo! Capisco che tu ti senta turbata, ma riesci a capire cosa significa?”

Megan: (guardando un’altra amica a bocca aperta e gli occhi di fuori) “Ma fa sul serio?”

Deborah: “Sì sono seria, Megan, vuol dire che il suo cervello è cresciuto e ha abbandonato un modo infantile di osservare il mondo. Tu hai aperto la porta a tanto di quel potenziale e lui è maturato: è abbastanza sofisticato da riuscire a celarsi a te. Sa che non sta bene dire bugie, ma non è questo il punto. È che non voleva svelarsi a te, questo è il vero punto. Uno degli antidoti alle bugie e ai sotterfugi è il desiderio di palesarsi agli affetti più cari. Non ti racconta mai i suoi segreti?”

Megan: “Sì, la maggior parte delle volte - credo!”

Deborah: “Allora fai in modo che si senta sempre al sicuro nel farlo, anche quando sciupa l’occasione. Ora è in grado di decidere con chi vuole condividere il proprio cuore - devi rendere ancora più salda la relazione con lui così da assicurarti di essere tu la prescelta!”

Megan: “E allora come dovrei comportarmi a proposito del fatto che mi ha mentito?”

Deborah: “hai parlato con lui chiedendogli perché aveva preso le caramelle? Immagino che le desiderasse, sapeva che avresti detto di no, non voleva sentire un rifiuto e non ha resistito alla tentazione di prenderle di nascosto. La vita è tutta qui - ha bisogno di avere una relazione con quei sentimenti e impulsi che lo tentano, lo spingono a prendere scorciatoie e a non accettare un ‘no’ per le cose che vuole ma non può avere.”

Megan: “ma questo come gli impedirà di mentirmi ancora?”

Deborah: “Si è dispiaciuto di quello che ha fatto? E non perché tu gli abbia detto di chiedere scusa. Devi solo far affiorare questo, così che lui possa riflettere su quello che ha fatto e su come si senta combattuto. Il messaggio che va interiorizzato è questo: gli istinti e gli impulsi fanno parte di tutti noi, la cosa importante è il modo in cui rispondiamo a essi!”

Megan: “Mmm...ora non ne vorrebbe neppure parlare con me di questa faccenda, e poi gli ho già tolto tutti i dolci!”

Deborah: “Sono certa che avrai un’altra occasione, la tentazione di mentire non muore mai!”
Non solo la condivisione dei segreti porta ad appagare i bisogni di attaccamento, ma promuove anche la crescita di una propria individualità. Quando i bambini si palesano ai propri affetti più cari, capiscono meglio se stessi. Raccontare la verità apre la strada all’autenticità e all’integrità nelle relazioni, fornendo il giusto equipaggiamento per sani rapporti di amicizia e di coppia più tardi nella vita. La strada verso l’autenticità è preparata dagli adulti che offrono sostegno ai bambini mentre rivelano la parte vulnerabile di sé. L’integrità personale è promossa se i bambini hanno la libertà di palesarsi senza timori di rappresaglie e separazioni. Le condizioni che seguono aiutano la condivisione di pensieri e sentimenti vulnerabili:
  • Un bambino deve legarsi al genitore per prima cosa attraverso un’intimità emotiva, così che si manifesti la propensione a volersi palesare.
  • Il bambino si sente al sicuro nel manifestare i propri sentimenti vulnerabili perché sa che questo non determinerà un rischio di separazione dai suoi affetti.
  • Il bambino è invitato con calore dal genitore a rivelarsi; per esempio: “vedo che stai pensando a qualcosa!”, “Sembri imbronciato, mi vuoi dire cosa c’è?”, o “Il tuo cuoricino sembra triste, ti andrebbe di parlarne?”
  • L’espressione di sentimenti e pensieri da parte del bambino è facilitata dall’atteggiamento del genitore che gli rimanda ciò che ha sentito, è empatico e ne avvalora i sentimenti.
L’obiettivo ultimo è quello di sbloccare tutte e sei le forme di attaccamento nell’ambito di una relazione profonda e sensibile fra il bambino e il genitore. È un obiettivo che si raggiunge solo se il legame è stabile, affidabile e solido rispetto al rischio di rotture, e se il bambino sperimenta la vulnerabilità delle proprie emozioni. Se tutte queste condizioni vengono soddisfatte e il bambino si sviluppa in una creatura relazionale, la sua crescita ne avrà una notevole spinta.

L’attaccamento alimenta la crescita verso il funzionamento come individualità separata - è un disegno bello e paradossale. Come una coppia di ballerini avvinti in passi intrecciati, l’attaccamento e la separazione lavorano in tandem. La capacità dei bambini di allungarsi fino a raggiungere il proprio potenziale umano dipende dalla profondità delle radici dell’attaccamento che li nutrono. All’approfondirsi dell’attaccamento, nella direzione opposta il bambino riceve una spinta verso il funzionamento in qualità di individuo indipendente. I bambini possono avventurarsi nel gioco solo quando gli viene assicurata una base sicura alla quale fare ritorno. L’attaccamento è una delle forze più potenti della natura umana, ci tira gli uni verso gli altri. Al contempo, è controbilanciata da forze che spingono i nostri figli verso la realizzazione di una individualità separata. È l’unione perfetta di forze opposte: se ci teniamo stretti ai nostri figli, loro sono liberi di giocare e crescere, diventando, infine, creature indipendenti.

Come favorire un forte attaccamento attraverso il rituale del richiamo

Per quanto i bambini siano nati con istinti all’attaccamento, gli adulti devono esercitare un ruolo attivo nel coinvolgimento di questi istinti. Uno dei modi base per suscitare il desiderio di vicinanza è quello che si serve del rituale del richiamo. È necessario richiamare gli istinti di attaccamento per invitare il bambino a prendere parte alla relazione - dobbiamo attirare le sua attenzione. Coinvolgendolo in una danza del richiamo, entriamo nel suo spazio in modo amichevole e ci sforziamo di ottenere un sorriso, un contatto visivo, o un cenno di assenso. Si può esordire, per esempio, dicendo: “Vedo che stai costruendo una torre molto alta con i mattoncini - è davvero altissima! Anche a me piacciono tanto i mattoncini!” Quando sembra ricettivo nei confronti della nostra attenzione, allora possiamo coinvolgerlo ancora di più, con un pizzico di contatto e vicinanza. Se il bambino si mostra ricettivo, possiamo scegliere di continuare la conversazione o invitarlo a condividere le sue idee: “Quanto pensi di riuscire a farla grande? Ti posso aiutare?”

Sebbene questo rituale sembri innocuo, è un modo naturale ma di grande potenza per comunicare il desiderio di essere vicini a qualcuno. La nostra espressione di piacere, gioia e affetto ci pone al centro dell’attenzione del bambino e nelle condizioni di occuparci di lui. Il rituale del richiamo è una costante rappresentazione dell’adulto come risposta alla sete di contatto e vicinanza del bambino, forgiando e rafforzando il vincolo relazionale che li unisce. Come ha ben riassunto Benjamin Spock, se ci fosse una ricetta per prendersi cura dei bambini, questa sarebbe di star bene insieme a loro12.

Non esiste un modo giusto di esercitare il nostro richiamo; l’ispirazione dipenderà dalle prassi culturali e dalla disposizione individuale. Alcuni bambini saranno richiamati dalla voce, altri da un tocco o dalla ricerca di un contatto visivo. Gli esempi possono variare a seconda del contesto e dell’adulto, ma le idee non possono mancare quando si tratta semplicemente di porsi di fronte al bambino in modo amichevole. L’importante è ricordare che offrire un richiamo a un bambino ha meno a che fare con strategie e procedure e molto di più con un desiderio genuino di intimità.


Offrire un pizzico di contatto e vicinanza a cui il bambino possa aggrapparsi

  • Un segno di appartenenza o qualcosa di speciale che ci appartiene
  • Una somiglianza o qualcosa che si ha in comune
  • Un tocco di lealtà e un segno che stiamo dalla loro parte
  • Dargli importanza, qualcosa che vada oltre le aspettative legate al ruolo
  • Un po’ di calore o un atteggiamento deliziato, qualcosa che suggerisca quanto vi piace
  • Un segno che davvero “lo capite” in modi in cui gli altri non potrebbero
  • Qualche segno che sono i benvenuti accanto a voi 



Figura IV.2 Adattata dal corso di Neufeld Attachment Puzzle
Ricordo ancora il modo meraviglioso in cui mio nonno esercitava il suo richiamo quando andavamo a trovarlo. Ci aspettava sulla strada e sfoderava un enorme sorriso quando ci accostavamo alla casa. Ricordo che i suoi occhi azzurri sembravano luccicare quando mi guardava - mi sentivo amata fin nel profondo. Ci accoglieva con cibi, bevande e risate. Ci richiamava a sé perché ci amava, non perché dovesse o stesse seguendo le istruzioni di un libro. Era l’incarnazione della delizia, del calore, del piacere, e io mi sentivo trasportata dal desiderio di stargli accanto.

Uno degli errori più comuni che si fanno con i bambini piccoli è aspettarsi che seguano gli ordini senza aver prima esercitato un richiamo su di loro. Esercitare un richiamo significa che il bambino concentrerà la sua attenzione su di voi a causa degli istinti di attaccamento. Con i bambini piccoli, se li si vuole guidare è necessario prima richiamare gli istinti di attaccamento. Premesso che riescono a occuparsi solo di una cosa alla volta, tirarli via dal gioco, farli rientrare in casa e altre transizioni del genere sono facilitate se prima li si richiama a noi. Se non siete al centro della loro attenzione, non siete nel loro campo di influenza.

Una mamma venne da me dopo una presentazione sui bambini piccoli e mi disse: “Ma ci vuole tempo ed energia per richiamarli a noi, e la mattina io non ne ho!” Le chiesi come funzionavano le sue mattine e lei mi rispose: “Malissimo - tutti i giorni è una battaglia per uscire di casa. Devo portare il grande a scuola e il piccolo all’asilo, sono sempre in ritardo e stanchissima dopo averli lasciati a scuola. La sola cosa che funzioni e li faccia sbrigare è farli giocare con gli strumenti elettronici se fanno tutto quello che devono, ma poi non riesco a staccarli per uscire. Le mattine sono sempre una battaglia.” Le chiesi se i bambini la seguissero in altri momenti della giornata e mi rispose di sì, ma rimarcò il fatto che la pressione del mattino fosse l’aspetto più problematico. Le suggerii di provare comunque a esercitare un richiamo su di loro stabilendo un rituale quotidiano che li coinvolgesse, per esempio, leggere una storia, raccontare i programmi della giornata, portar loro da mangiare - entrare in relazione faccia a faccia con loro e in tono affettuoso. Le feci intendere che è difficile competere con la tecnologia per catturare l’attenzione di un bambino, quindi forse i vari dispositivi elettronici sarebbe stato meglio riservarli ad altri momenti della giornata.

La cosa più importante nel dare una svolta alla situazione sarebbe stata la capacità di trasmettere calore, piacere e divertimento ai bambini al mattino. Mi rispose: “Ho paura che non siano pronti in tempo e mi facciano fare tardi, inoltre dovrò faticare per creare questo rituale di richiamo!”; replicai: “Mi pare di capire che siete già in ritardo e faticate molto. La mia idea è che le cose non cambieranno a meno di non provare ad attraversare nuove strade. Non dico di lavorare di più, solo in modo diverso. Non c’è la possibilità di provare a sperimentare qualche forma di richiamo al mattino e fare le cose in modo diverso?” Mi disse che avrebbe provato e mi avrebbe fatto sapere. Il giorno seguente mi disse: “Ci ho provato stamattina e non riuscivo a crederci, ha funzionato davvero! È stata una mattina meravigliosa!” Con gli occhi pieni di lacrime mi disse: “Non posso crederci, ho lottato con loro per così tanto tempo e sarebbe bastato questo! Devo ammetterlo, dubitavo che avrebbe funzionato, ma ora sento invece di aver ritrovato i miei bambini!”

L’aspetto notevole della cosa è stata la capacità della mamma di usare il richiamo per capovolgere la situazione in così breve tempo. La mia idea è che avesse più forza come genitore di quanta non immaginasse. Aveva forse fatto già un grande lavoro per coltivare la relazione con i figli ma non sapeva come sfruttarne i benefici. La storia di questa madre mi ha ricordato di non sottovalutare mai la forza dell’attaccamento per riportare un figlio nell’orbita del genitore. Sottolinea chi abbia il compito naturale di nutrire i bambini dal punto di vista relazionale, come debbano essere nutriti e perché sia tanto importante farlo. Il rituale di richiamo fornisce tutti gli ingredienti necessari per rispondere alla sete di contatto dei nostri figli.

I coetanei come attaccamenti competitivi

Uno dei problemi di attaccamento più ricorrenti oggi nella prima infanzia è il fenomeno dell’orientamento ai coetanei. Attaccamento ai coetanei è il termine attribuito al trasferimento dei bisogni di attaccamento del bambino dagli adulti ai coetanei. È la tesi del libro di Gordon Neufeld e Gabor Maté Hold on to Your Kids: Why Parents Need to Matter More than Peers (I vostri figli hanno bisogno di voi. Perché i genitori oggi contano più che mai, Il leone verde, 2009). Se i bambini sono orientati ai coetanei, cercheranno e preferiranno gli amici quando si tratta di soddisfare i propri bisogni relazionali. Questo crea attaccamenti competitivi fra adulti e coetanei in cui la contesa stabilisce chi tiene più stretto il cuore del bambino e, di conseguenza, può guidarlo. Neufeld e Maté affermano: “I bambini orientati ai coetanei agiscono spesso come se non avessero affatto dei genitori, specialmente quando sono insieme; i genitori non sono né riconosciuti, né messi in discussione…i bambini non sono sleali di proposito, seguono semplicemente i propri istinti - istinti che sono stati sviati per ragioni che vanno ben al di là della loro capacità di controllo.”13
I bambini piccoli sono soprattutto inclini all’orientamento ai coetanei perché la loro immaturità e mancanza di funzionamento come individui indipendenti significa che sono alla costante ricerca di contatto e vicinanza con qualcuno o qualcosa. L’affinità con i coetanei e il fatto di averli disponibili all’asilo e al nido li rende sostituti naturali quando un bambino cerca di appagare i propri bisogni insoddisfatti di attaccamento. Se gli adulti che si occupano dei bambini piccoli non coltivano in modo attivo una relazione con loro, non riescono a saziarne la fame di contatto, lasciandoli così alla ricerca di fonti alternative.

Il problema dell’orientamento ai coetanei è che gli amici sono un misero sostituto del legame affettivo con gli adulti. L’immaturità dei coetanei li rende inclini a scoppi emotivi, umori mutevoli e capricciosi, sono inoltre inaffidabili quando si tratta di stabilire un contatto e un’intimità. L’orientamento ai coetanei può scatenare una serie di problemi comportamentali e di apprendimento, come la mancanza di rispetto e deferenza verso gli adulti che si occupano del bambino; una chiara preferenza per la compagnia dei coetanei e frustrazione quando i tentativi di stabilire un contatto vanno a monte; il non seguire, condividere o partecipare agli stessi valori degli adulti e non cercare gli adulti quando si sente il bisogno di aiuto. I bambini orientati ai coetanei potrebbero adottare gli stessi modi e vezzi dei loro coetanei nel tentativo di creare una vicinanza, soffocando così la propria individualità. Rischiano di soffrire d’ansia e nel complesso sembrano meno sicuri di sé. Esiste una differenza fra avere degli amici e affidarsi a loro per soddisfare la propria fame di contatto e vicinanza.

I problemi di comportamento e apprendimento che derivano dall’essere orientati ai coetanei sono evidenti in una lettera mostratami dal papà di un bambino di 4 anni, Peter. L’assistente dell’asilo è frustrato dalla mancanza di ascolto e dal comportamento del piccolo in classe:
Peter dimostra una mancanza di rispetto per gli altri bambini e gli adulti che lo accudiscono. Oggi, per esempio, mentre la signorina Mavis cantava una canzone durante il cerchio, Peter ha detto con tono di scherno a chi gli sedeva accanto: “Ma perché canta sempre con quella voce? Canta sempre così male, vero?” e poi si è messo a ridere. Ha detto anche a un amico seduto accanto a lui, a proposito di un altro bambino che poteva sentirlo: “Noah è terribile, vero?” Nei suoi commenti Peter usa di continuo toni insultanti e di scherno, cercando di far fare lo stesso ai compagni. Il suo comportamento disturba il clima dell’asilo. Gli abbiamo detto che queste azioni sono inappropriate, ma sembra che non ci ascolti e non si lasci neppure avvicinare.
Dopo aver discusso del comportamento di Peter a casa e all’asilo, è chiaro che il bambino si è orientato ai coetanei. Di conseguenza, sia i genitori sia gli assistenti dell’asilo iniziano un intenso lavoro per coltivare una relazione più profonda con lui. Riducono il contatto con i coetanei, esercitano su di lui un richiamo con costanza, si fanno guidare molto dai suoi bisogni, e si occupano di lui generosamente, incluse uscite con mamma o papà. Quando gli adulti nella vita di Peter hanno iniziato a ricondurlo nella relazione con loro, lui ha ripreso ad ascoltare e tutto lo scherno “irrispettoso” è sparito.
I semi dell’orientamento ai coetanei vengono piantati nei primi anni, quando gli adulti non esercitano un richiamo attivo sul bambino piccolo e non coltivano una relazione profonda con lui. Penelope, la bimba che mi cercava al parco giochi, era ad alto rischio di orientamento ai coetanei. Cercava un contatto ovunque potesse trovarlo, e se i coetanei fossero diventati la risposta ai suoi bisogni, gli adulti avrebbero vissuto un’estrema perdita di influenza e capacità direttiva nei suoi confronti. La loro capacità di occuparsi di lei, dal punto di vista fisico ed emotivo, sarebbe diminuita. L’impatto a lungo termine dell’orientamento ai coetanei sullo sviluppo può implicare una schiera di problemi di comportamento a casa e a scuola, così come il rischio di conseguenze tragiche quando i bambini si affacciano all’adolescenza. L’orientamento ai coetanei contribuisce ai disturbi della salute mentale ed emotiva, comprese le dipendenze nel periodo adolescenziale14.
I bambini piccoli hanno bisogno di legarsi agli adulti che sono responsabili del loro sviluppo. È la ricerca che il bambino fa del genitore, del maestro o del puericultore che dà la possibilità a quell’adulto di occuparsi di lui e accudirlo. Come scrivono Gordon Neufeld e Gabor Maté: “Chi deve crescere i nostri figli? La risposta che rieccheggia, l’unica compatibile con la natura, è che noi - genitori e altri adulti coinvolti nella cura dei piccoli - dobbiamo essere i loro mèntori, le loro guide, i loro modelli, e coloro che li cresceranno e sosterranno. Dobbiamo tenerceli stretti finché il lavoro non sia compiuto.”15

Capire i piccoli
Capire i piccoli
Deborah MacNamara
Come aiutare a crescere creature imprevedibili e meravigliose da 0 a 6 anni.Un manuale di facile lettura, ricco di consigli pratici e testimonianza dirette, per aiutare i genitori a comprendere la natura dei bambini piccoli. I bambini piccoli sono fra le persone più amate, ma anche fra le più incomprese.Le loro straordinarie personalità possono rivelarsi una sfida per gli adulti, in quanto sfuggono alla logica e alla comprensione: passano dall’essere sfrontati, recalcitranti e ribelli all’illuminare la stanza con la loro gioia di vivere e le risate contagiose.Le reazioni estreme, la rabbia apocalittica, i pianti inconsolabili e le impuntature senza cedimenti sono la cifra dell’immaturità, e per quanto dovrebbe sembrare evidente che essa sia un tratto costitutivo dei piccoli e li renda persone molto diverse dagli adulti, si rivela invece fra quanto di più misconosciuto e negletto. Deborah MacNamara, allieva e collega di Gordon Neufeld, uno dei più importanti esperti dell’età evolutiva, esplora l’intenso bisogno di attaccamento del bambino, l’importanza vitale del gioco, la natura della giusta disciplina e del tipo di relazione che è in grado di proteggere la crescita delicata dell’infanzia. In Capire i piccoli si trova ciò che serve ai bambini per crescere e prosperare, ma non prima di aver capito che i loro comportamenti, talvolta sconcertanti, non sono affatto la manifestazione di un disturbo o di un deficit e neppure di una “cattiva educazione”.Non guarderete più ai vostri figli e a voi stessi nello stesso modo, e pur scoprendo quanto sia critico il ruolo di genitore e adulto, vedrete anche come, dalla giusta prospettiva, sia più facile e naturale di quanto si creda. Conosci l’autore Deborah MacNamara è counsellor clinico ed educatrice con un’esperienza ultraventennale.Membro del Neufeld Institute, affianca alla pratica di consulente una regolare attività formativa rivolta a genitori, educatori, professionisti della salute mentale e chiunque si prenda cura dei bambini.Vive a Vancouver con il marito e due figlie.