capitolo iii

Preservare il gioco

Difendere l’infanzia dal mondo digitale

È la nostra interiorità a renderci quali siamo, a permetterci di sognare, fantasticare e avere sentimenti di solidarietà per il prossimo.
È questo l’essenziale.
È questo che farà sempre la differenza più grande nel nostro mondo.

Fred Rogers1

Da bambina, Gail sognava di avere “forbici magiche” che potessero trasformare i suoi disegni in oggetti reali. Il padre rammentava che la sua stanza “era sempre stracolma di ritagli”. Moltissimi dei ritagli vennero fuori dopo il film Oklahoma!, che Gail e la sorella avevano visto insieme. Le forbici diedero vita a cowboy, cowgirl e a un ranch completo di cavalli e recinti per il bestiame; lei e la sorella sparirono nel mondo di fantasia che si erano create. La sostanza delle loro avventure è difficile da ricordare, ma per Gail il significato di quel gioco è chiaro. Più di sessant’anni dopo, la creazione di quei disegni racconta parte della storia su chi è diventata Gail e sul lavoro che ha scelto di fare nella vita.

Le immagini hanno giocato un ruolo speciale nella vita di Gail e nella sua vocazione d’artista; sono state vitali per il suo benessere e lei si è espressa attraverso di esse in modo intuitivo. Ha sempre prediletto il canale visivo per l’apprendimento e a scuola le storie e i libri di testo l’annoiavano. Sentiva che le immagini nei disegni e nei dipinti erano prigioniere e desideravano ardentemente essere liberate e capite. Gail vedeva il suo mondo come una matrice di immagini, che separava le une dalle altre per portarle alla vita. Il suo disegnare, ritagliare, cucire, incollare, scolpire o elaborare permeava ogni immagine di un significato più profondo.
Da adulta, Gail ha seguito la sua passione studiando arte ceramica all’università. Ha poi dedicato gran parte della sua vita a quest’arte, lavorando all’Emily Carr Institute of Art and Design (ora Emily Carr University) finché non è andata in pensione. Ha ricevuto riconoscimenti pubblici per “il contributo di tutta una vita all’arte ceramica e soprattutto al suo insegnamento”2. Sebbene le “forbici magiche” di Gail non si siano mai materializzate, hanno contribuito a sviluppare una passione per le immagini che è durata tutta una vita. È bastato un semplice strumento, insieme a spazio e tempo sufficienti per giocare, a permettere che Gail scoprisse l’artista che era in lei.

Ci si potrebbe chiedere cosa sarebbe diventata Gail se fosse cresciuta al giorno d’oggi - in un tempo in cui all’istruzione ricevuta da altri, alle attività strutturate, ai dispositivi tecnologici e all’interazione fra coetanei viene attribuito un significato sempre maggiore rispetto alle “ore vuote” di gioco indisturbato. Come sostiene David Elkind, psicologo e difensore del gioco: “Il declino del gioco libero lasciato all’iniziativa dei bambini è il risultato di una tempesta perfetta, frutto dell’innovazione tecnologica, di un rapido mutamento sociale e della globalizzazione economica”3. Il tipo di gioco di cui i bambini hanno bisogno è a rischio estinzione nel mondo digitale, e questo dovrebbe rappresentare uno dei nostri maggiori timori, eclissare di gran lunga ogni altra preoccupazione legata al comportamento o alla disciplina dei bambini piccoli. Nessun bambino può crescere sano e fiorire se non gioca; l’essenza stessa di ciò che diventerà da grande è definita dal gioco4.

Rischiano di perdere la dimensione del gioco proprio coloro che ne avrebbero più bisogno

Il gioco dovrebbe essere aggiunto alla lista delle cose a rischio estinzione, malgrado le evidenze messe a disposizione dalla scienza evolutiva negli ultimi 75 anni, che dimostrano la sua importanza cruciale per una crescita sana5. Gli esperti in ambito evolutivo non cessano di lanciare l’allarme a proposito della perdita del gioco, ma le loro voci faticano a vincere la pressione di genitori, educatori, cultura e governi che spingono nella direzione opposta6. Il gioco è relegato sempre più nei ritagli di tempo, anziché essere il fulcro dell’infanzia. Malgrado il tacito accordo sull’importanza del gioco, molti genitori non vogliono “rischiare” di mettere in pratica la lezione con i propri figli, nel timore che questi restino indietro7. Ma la crescita che avviene grazie al gioco non è immediata o passibile di insegnamenti o valutazioni. I progressi sono in gran parte invisibili per il dispiegarsi silenzioso dello sviluppo e dell’individualità.

Il tipo di gioco che serve ai piccoli è stato eroso, distrutto e ridefinito dal feroce attacco dei dispositivi digitali e della didattica precoce8. Gli assistenti all’infanzia nei nidi e nella scuola materna devono affrontare una pressione costante da parte dei genitori perché introducano insegnamenti di matematica, lettura e utilizzo della tecnologia. Uno di loro ha affermato:
“Vedo famiglie che riempiono le giornate dei figli con molte attività nel corso della settimana; la motivazione è che così forniscono al bambino quelle capacità che gli daranno un vantaggio quando andrà a scuola, grazie a una partenza anticipata. Io credo in realtà che i bambini tanto impegnati nei primi anni di vita non comprendano le pause e sentano la necessità di riempire ogni spazio vuoto con un costante rumore di fondo, non potendo quindi mai avere autentiche occasioni di riposo.”
Il ruolo del gioco nella vita dei più piccoli è sottovalutato, non viene apprezzato né protetto quando genitori ed educatori spingono per avere risultati. È soffocato dalla spinta adultocentrica verso uno sviluppo più rapido, nonostante le ricerche dimostrino che il cervello dei bambini raggiunge oggi gli stessi standard di cento anni fa9.

Un’ulteriore minaccia è rappresentata dai dispositivi digitali. Con l’aumentata disponibilità di schermi e programmi educativi, i bambini piccoli possono intrattenersi da soli come mai prima. Il bisogno del bambino di scoprire le cose da solo è soppiantato dal rapido accesso all’informazione, così come dalla precoce introduzione degli insegnamenti accademici che surclassano la scoperta autonoma. I bambini oggi vengono salvati dal doversi confrontare con l’infruttuosità e la perdita perché nel mondo dei videogiochi ci sono comandi per resettare, trucchi e vite infinite. C’è minor spazio per la noia e le avventure inaspettate che ne scaturiscono, qualcosa che le generazioni precedenti ricordano bene e, col senno di poi, apprezzano.
Oggi non v’è compito più importante, se si crescono dei figli, che creare le condizioni per proteggere il tempo e lo spazio del gioco. Significa resistere alla marea culturale che vede il gioco come frivolo e improduttivo anziché la pietra fondante sulla quale i nostri figli realizzeranno il loro pieno potenziale umano. Senza la comprensione di come il gioco serva allo sviluppo, sarà difficile per gli adulti resistere alle pressioni che inducono a spingere in avanti i bambini, ossia a minare i loro autentici bisogni di crescita.

Cos’è il gioco?

Il gioco è la culla della personalità - è il modo in cui nasce la psicologia dell’individuo10. Giocare non significa immettere informazioni nel bambino, bensì tirar fuori le sue idee, intenzioni, aspirazioni, preferenze, volontà e desideri. Il gioco permette al bambino di esprimere se stesso, a dispetto della mancanza di parole e discernimento. È nel gioco che il bambino piccolo ascolta i suoi echi interiori risuonare nel mondo che lo circonda. I piccoli imparano con naturalezza, spinti a dare un significato al proprio ambiente e a chi sono loro in esso. Hanno bisogno di emergere dalla prima infanzia con un senso della propria individualità che sia stato forgiato da ore dimentiche trascorse giocando. Il gioco favorisce lo sviluppo di una propria personalità indipendente e vitale in quanto disseppellisce gli interessi, i desideri e gli obiettivi del bambino. Lo smuove dalla condizione di dipendenza dal mondo adulto, disserrando il suo desiderio di farsi avanti e avventurarsi, fare scoperte o dare senso alle proprie esperienze. Il gioco è il luogo in cui lo spirito che sostiene la crescita viene rivelato e la vitalità espressa. In breve, il gioco è l’atto della creazione di sé.
Il tipo di gioco di cui un bambino piccolo ha bisogno è caratterizzato dalla libertà, dal divertimento, e dall’esplorazione entusiasta di contesti diversi. Ai piccoli servono spazi delimitati nei quali muoversi liberamente, il cui perimetro sia formato dagli adulti che si prendono cura di loro. Il gioco è un’atto spontaneo che si genera da un particolare stato mentale - non si può insegnare o ingiungere a un bambino di giocare. Le caratteristiche essenziali del gioco sono tre: 1) non è un lavoro, 2) non è per davvero, e 3) è espressivo ed esplorativo. Questa definizione può essere usata per valutare quali attività favoriscano davvero le condizioni ideali di gioco.
1) Il gioco non è un lavoro
I bambini piccoli sono fatti per giocare e invece mal si adattano al lavoro. Obiettivi, prestazioni, fogli di appunti e aspettative rappresentano la lingua del lavoro, mentre libertà, immaginazione, divertimento e scoperta sono associati al gioco. Quando un bambino gioca, dovrebbe focalizzarsi sull’attività piuttosto che su un qualsiasi risultato, stabilito da un adulto o un altro bambino. Gli adulti sono capaci di prendere un’attività qualsiasi e trasformarla in lavoro cambiando il fuoco dell’attenzione del bambino. Ad esempio, suonare uno strumento musicale per diletto è diverso dal doversi esercitare per un saggio. Se un bambino disegna e l’adulto suggerisce che il disegno debba essere fatto in un certo modo o essere utilizzato come dono, l’attenzione del bambino si sposterà verso un certo tipo di riuscita. Lo stesso accade di frequente a tavola quando un genitore si focalizza sul dover introdurre del cibo nel bambino piccolo, anziché sul proteggere la natura accattivante e piacevole dei pasti.

Dove c’è gioco c’è divertimento. Di contro, quando si lavora su qualcosa, il “frutto della fatica” si assapora portando a termine il proprio compito. I miei nipoti, ad esempio, adoravano giocare con il nastro adesivo, la madre dava loro delle forbici insieme a una varietà di colori e disegni fra cui scegliere. Stabiliva anche delle regole, per creare uno spazio circoscritto, come quella di non usare lo scotch su persone, animali e oggetti di casa. Giocavano felici per ore, creando portamonete, portafogli, segnalibri, e idearono persino una vetrina soprannominata “Le delizie dello scotch”.

Quando amici e parenti andavano a trovarli, fioccavano gli ordini per portafogli mimetici, borsellini con motivo bacon e cetriolini e segnalibri a pois. I “clienti” dicevano che avrebbero dovuto vendere le loro creazioni e guadagnare soldi veri, ma non appena Taylor e Jamie sentivano la pressione ad adempiere agli ordini e a concentrarsi su una qualche riuscita, la gioia e il divertimento scemavano.

Quando i bambini giocano sono concentrati, coinvolti, si divertono mentre sperimentano; se li spingiamo a ottenere dei risultati, o ad avere obiettivi preordinati e aspettative, trasformiamo il gioco in un lavoro. Come disse Mark Twain: “Il lavoro consiste in qualsiasi cosa un corpo sia obbligato a fare. Il gioco, in tutto quello che un corpo non è costretto a fare”11.
2) Il gioco non è per davvero
Si presume che il gioco avvenga al di fuori della realtà di tutti i giorni, che sia privo di rischi e conseguenze, così che il bambino possa giocare senza doversi concentrare sul qualche risultato preciso. Mentre gioca, usa il proprio mondo interiore per creare un nuovo contesto, grazie all’immaginazione e alla fantasia. Come mi ha scritto una mamma: “Guardo mia figlia diventare cuoca, designer, insegnante, ballerina, mutare forma sotto i miei occhi.” il gioco è il luogo in cui avviene la prova costume della vita - non dovrebbe mai essere giudicato come giusto o sbagliato. È dove un bambino può sposarsi e separarsi tutte le volte che vuole senza dover affrontare rovine finanziarie e cuori spezzati. È dove le emozioni trovano sfogo pur con pochissime ripercussioni. Una madre, per esempio, mi ha raccontato: “I miei figli urlavano e sbraitavano fra loro, così gli ho gridato di smetterla e di dirmi cosa stava succedendo. Mi hanno guardata sorpresi dicendo:’ Ma mamma, stiamo solo giocando a fare la lotta!’” Al gioco dei bambini non dovrebbe mai essere assegnato un valore diverso da quello che significa per loro.
3) Il gioco è espressivo ed esplorativo
Il gioco non è un’esperienza passiva nella quale il bambino è spettatore. Si tratta per lui di mettere le mani sul volante della vita e diventare agente attivo di esplorazioni e scoperte. Con il gioco i bambini dovrebbero poter esprimere se stessi usando oggetti, persone o spazi, anziché essere guidati da algoritmi e margini da colorare stabiliti da altri. Il gioco implica un passaggio di energia che proviene dal bambino - l’antitesi della noia in cui nulla si muove dall’interno. Giocare con numeri, linee, suoni, parole o idee dovrebbe avvenire con naturalezza; se si ricevono istruzioni, si partecipa ad attività strutturate o si è coinvolti nell’uso di strumenti elettronici, la libertà di far uscire la propria capacità espressiva e di esplorare liberamente è ben poca. Come mi ha spiegato una mamma:
Adoro guardare i miei figli quando sono assorti nel gioco, vestiti con travestimenti espressivi di incredibile creatività. La situazione migliore è quando usano semplici oggetti: sciarpe, pezzi di stoffa, accessori. Poco tempo fa mio figlio giocava ai pirati sul nostro patio di legno/nave. Era solo, e riproduceva tutti i suoni e le azioni di una “vera” battaglia di pirati. I tonfi dei piedi, gli oh issa! e le grida di battaglia erano tutti talmente “reali” che mi sembrava di sentire il patio/nave rollare sulle onde!
I bambini devono trovare nel gioco le proprie storie, piuttosto che essere sopraffatti da una miriade di storie altrui.
Spesso diciamo che i nostri figli stanno giocando, anche quando vengono imposti obiettivi esterni al tempo del gioco e quando c’è di mezzo una prestazione con relative conseguenze; il risultato è che l’esplorazione e l’espressione si indeboliscono. Per creare autentiche opportunità di gioco, dobbiamo assicurarci che il loro coinvolgimento in un’attività non preveda di focalizzarsi su una riuscita, non sia inibito dal timore delle conseguenze tipiche della vita reale, e non li renda recipienti passivi di informazioni o istruzioni.

Qual è l’obiettivo del gioco?

G. Stanley Hall, uno dei primi a scrivere sull’adolescenza, affermò: “Gli uomini diventano vecchi perché smettono di giocare, non il contrario”69. Il gioco è essenziale per un sano funzionamento dell’individuo nel corso di tutta la vita, ma è cruciale per lo sviluppo nei primi anni perché 1) è dove l’individualità può esprimersi sul serio, 2) è il luogo in cui la crescita e lo sviluppo hanno luogo, e 3) in cui la salute psichica e il benessere vengono salvaguardati.
1) Nel gioco l’individualità si esprime in modo autentico
A 4 anni, Nolan disse alla mamma che da grande voleva diventare un autista di taxi. Adorava cantare e guidare le sue macchinine su e giù per le scale, dentro e fuori la vasca da bagno o in giardino. La mamma di Nolan era inorridita e gli disse: “Non vorrai sul serio diventare un tassista! Non è un buon lavoro e non si guadagnano molti soldi!”


Perché i bambini devono giocare

  • Per favorire lo sviluppo e realizzare il proprio potenziale
  • Per trovare ed esprimere se stessi
  • Per programmare le reti nervose cerebrali che presiedono alla risoluzione di problemi
  • Per salvaguardare la salute psichica e il benessere
  • Per scoprire il proprio lato creativo e responsabile
  • Per esercitarsi alla vita in uno spazio scuro privo di conseguenze



Figura III.2 Adattata dal corso di Neufeld Making Sense of PLay
Nolan continuò a guidare le sue macchinine e qualche settimana dopo disse alla mamma: “Voglio diventare un cantante!” Di nuovo, la mamma inorridì e gli disse che era un’altra pessima scelta in fatto di carriera, e che sarebbe dovuto andare all’università. Quello che alla madre sfuggiva era quanto la sua individualità stesse emergendo prefigurandosi il proprio futuro. Aveva iniziato a sperimentare, afferrando il volante della propria vita e dirigendosi dove sceglieva lui. La risposta che ne riceveva gli diceva che la sua immagine era deludente e inaccettabile; ciò di cui Nolan avrebbe avuto bisogno sarebbe stato invece un ambiente privo di giudizi svilenti, nel quale imparare, esprimersi, creare. Gli sarebbe stato necessario un apprezzamento dello spirito che lo animava e lo spingeva a diventare un’individualità unica, qualunque fosse stata la forma in cui si manifestava.

A 4 anni, avrebbe avuto bisogno che gli adulti capissero in primo luogo l’importanza di questa individualità emergente, piuttosto che soffermarsi sul suo sperimentare con la forma.

La storia di Nolan sottolinea un tema ricorrente e doloroso che riguarda i bambini di oggi: ci preoccupiamo della forma che assumono - nell’apprendimento, nell’amicizia, nel comportamento e nella condotta, oltreché nel realizzare le aspettative degli adulti. Lo sforzo evolutivo rappresentato dalla personalità è perduto del tutto, rimpiazzato dalle ossessioni relative alla riuscita e al dimostrarsi all’altezza. Il gioco è il luogo in cui il bambino esprime se stesso con autenticità e si forma come individuo separato; ecco perché l’enfasi, nel gioco, deve essere messa sui suoi desideri, spinte volitive, curiosità, intenzioni, iniziative, aspirazioni, espressioni e significati personali. Se gli adulti avanzano richieste sul tempo dedicato al gioco, danno istruzioni o si focalizzano sul comportamento, non fanno che distruggere l’individualità emergente. Se dobbiamo salvaguardare lo spirito dell’infanzia attraverso il gioco, non possiamo costringere i nostri figli a esibirsi per noi in base ai nostri bisogni e desideri.

La spinta a diventare se stessi è ben descritta nell’affermazione di Aiden (3 anni) a sua madre; lei lo aveva interrotto mentre giocava dicendo: “Coraggio tesoro, dobbiamo andare al supermercato!” Aiden si era girato con la mano sul fianco e le aveva dichiarato con fierezza: “Non chiamarmi ‘tesoro’, non sono il tuo tesoro - sono Aiden!”

Penso spesso che, se volessimo salvaguardare lo spirito dell’infanzia, dovremmo offrire a ogni bambino di 2 o 3 anni che dica: “Io faccio!” o “faccio da solo!” un festeggiamento particolare in onore della sua entrata psicologica nell’individualità. Ci aiuterebbe fare una pausa abbastanza lunga per capire che le parole “Io sono” sono niente di meno che un miracolo evolutivo.
2) È nel gioco che avvengono la crescita cerebrale e lo sviluppo
Jean Piaget, lo psicologo svizzero dell’età evolutiva, una volta chiese: “Stiamo formando bambini capaci solo di apprendere il già noto? O non dovremmo cercare di sviluppare menti creative e innovative, capaci di fare scoperte, dall’asilo in poi, e per tutta la vita?”13 Se un apprendimento che duri tutta la vita, creatività e innovazione sono desiderabili in un’economia globale fondata sulla conoscenza, allora il gioco è di certo la risposta giusta. I bambini sani sono creativi, pieni di domande e risolvono i problemi giocando. Come disse una nonna: “Mio nipote ha due anni e mi chiede sempre ‘perché?’; se io rispondo non fa che aggiungere altri ‘perché’.

Quando i bambini giocano, i loro cervelli vengono forgiati dalle interazioni con l’ambiente14. Stuart Brown, psichiatra e fondatore del National Institute for Play, afferma che la complessità del cervello è potenziata soprattutto da ore trascorse giocando - il gioco è la risposta della natura alla crescita. L’attivazione contemporanea di diversi neuroni dà vita a percorsi più solidi, in quanto il cervello lavora su un sistema del tipo usare o lasciare15.

Quando un bambino gioca, le aree motorie, percettive, cognitive, sociali ed emotive del cervello vengono integrate o cablate; si costruiscono sistemi complessi di reti neuronali che diventano la base per le abilità di risoluzione dei problemi, le stesse che useranno poi a scuola e nell’età adulta16. Quando i bambini piccoli giocano, sono coinvolti in prove ed errori, formano nuove relazioni fra gli oggetti17. Il pensiero critico, la comunicazione, il linguaggio, l’espressione di sé e le capacità cognitive si sviluppano tutti attraverso il gioco. Mentre i bambini toccano ed esplorano gli oggetti con le mani, sono in grado di ancorare le idee astratte al mondo concreto18. Problemi allo sviluppo cognitivo, emotivo, fisico e del linguaggio sono stati tutti collegati a deficit nel gioco19.
È nel gioco che la creatività ha più occasione di esprimersi. Per esempio, un padre mi ha detto: “Mio figlio voleva giocare con delle macchinine molto grandi e dei trenini piccoli ma la sproporzione fra i due lo preoccupava. Alla fine decise che le automobiline erano state create dai giganti, mentre la gente piccola viaggiava in treno.” Un altro genitore mi ha confidato: “Entrai in camera di mia figlia e mi accorsi che aveva preso i gommini adesivi dall’armadio e aveva attaccato al muro delle caramelle. Mi disse che era la sua parete di caramelle, a portata di mano ogni volta che le avessi dato il permesso di mangiarne una!”. Un altro bambino è andato dal padre: “Ho masticato un pretzel e ci ho fatto la P di papà e l’ho messa sotto il tuo cuscino!” Un altro di cinque anni, che pianificava la festa di compleanno del suo criceto, esordì: “Voglio che la festa abbia un’atmosfera da gabbia, perciò dobbiamo farla sotto al tavolo e metterci sopra delle coperte!”

I bambini sono fra le persone più creative e curiose al mondo; una volta che abbiano sviluppato domande e idee proprie, saremo in grado di insegnare loro molte cose, tuttavia non possiamo insegnare a un bambino a essere curioso e creativo. È qualcosa che si coltiva attraverso il gioco, dove si forgia un senso dell’agire e della responsabilità in un ambiente privo di conseguenze.
3) Il gioco salvaguarda il benessere e la salute psichica
Il gioco è terapeutico per i piccoli perché consente loro di esprimere emozioni profonde in modo sicuro. Nei luoghi fittizi e nei mondi della fantasia dovrebbero esserci ben poche conseguenze per aver espresso frustrazione, paura, tristezza, disappunto o gelosia. Nel gioco, il cervello del bambino piccolo lavora per dare libero sfogo e attribuire un senso ai contenuti emotivi. Il gioco è utile all’equilibrio del sistema emotivo, messo alla prova più volte ogni giorno.

Serve anche allo sviluppo emotivo, aiutando il bambino a comprendere il proprio mondo interiore rendendoglielo visibile. Secondo Joe Frost, professore e difensore del gioco da oltre 50 anni, il gioco consente al bambino di trasformare l’incompreso in qualcosa di gestibile. Mentre i bambini mettono in scena le proprie emozioni, immagini e impulsi emergono in distanza, nonostante la mancanza di parole o di consapevolezza cosciente20.

Il neuroscienziato Jaak Panksepp afferma che dovremmo promuovere dei santuari del gioco per i bambini piccoli, come mezzo per favorire la salute emotiva e mentale21. Sostiene che la spinta fortissima al gioco dei bambini piccoli abbia origine nei centri emozionali del cervello e possa essere la risorsa più sottovalutata per affrontare la gestione delle emozioni nei più piccini. È proprio il gioco che ha la funzione di salvaguardia dei meccanismi emotivi in tutte le specie di mammiferi e aiuta a ridurre lo stress e la noia, così come a coltivare la resilienza22. Gli esperti dell’età evolutiva hanno trovato un nesso fra ansia, problemi di attenzione e depressione nei bambini piccoli e carenza di gioco23; inoltre, una carenza di gioco negli anni della scuola materna è stata collegata a problemi emotivi e sociali nell’età adulta24.
I genitori spesso osservano le storie che emergono dal gioco, e che spaziano da esperienze di vita quotidiana alla rivelazione di conflitti interiori. Una madre mi ha raccontato: “Io e mio marito scherzavamo su chi di noi avrebbe indovinato la piega che il gioco avrebbe preso in base alle attività familiari. Al ritorno dallo zoo, il seminterrato si era trasformato in uno zoo e dopo aver fatto la spesa era stato convertito in un negozio.” Un altro genitore mi disse che all’inizio dell’ultimo anno di asilo la figlia aveva preso a giocare alla maestra, allineava tutte le bambole e qualcuna veniva rimproverata mentre le altre ascoltavano pazienti le storie che lei inventava per loro.

Se un bambino è scosso, il gioco potrebbe riflettere le tematiche che lo angosciano. I genitori di bambini alfa (si veda il capitolo 5) notano spesso che il gioco contiene un sottofondo di dominanza e dipendenza, come nel caso lampante di un bambino di cinque anni il cui gioco ossessivo lo isolava ripetutamente dal resto della famiglia. La madre, confusa, ha raccontato: “Max crea un’isola in mezzo al soggiorno e si costruisce una specie di tenda; porta tutto quello che gli serve per vivere lì da solo, cibo preso dalla cucina, le sue coperte e il cuscino, libri e giocattoli. Non fa entrare nessuno nella sua isola, è come se corresse lì a nascondersi!” Quando la madre capisce che l’isolamento di Max è una mossa dettata dalla disperazione, può iniziare a rispondere ai suoi bisogni emotivi irrisolti. Per quanto il gioco appaia spensierato, i temi emotivi sottostanti sono un affare serio.

Nel gioco si tracciano disegni, si creano strutture e ci si coinvolge in esperienze ludiche che permettono alle emozioni di emergere alla luce aggirando le difese, senza richiamare troppo la vulnerabilità. Clayton, cinque anni, soffriva per la separazione dalla madre dovuta alle terapie per il cancro a cui lei doveva sottoporsi. Il padre si era accorto che voleva sempre fare con lui un gioco di lotta fra cani, giocava con lui tutte le sere e si sorprese nel constatare che questo era d’aiuto con la frustrazione, l’ansia e le difficoltà del sonno.
Ogni sera facciamo questo gioco in cui io sono il grande papà cane e lui è il cucciolo iroso; lui ringhia e attacca per quasi 45 minuti - fa l’insolente, ringhia e cerca di mordermi ma senza fare male. Io lo inchiodo a terra e lui lotta per liberarsi, ripetiamo la scena all’infinito fin quando non è esausto. Mi accorgo che è stanco perché mi si accoccola in grembo e guaisce come un cucciolo ferito; allora lo tengo abbracciato finché non smette e gli dico che papà cane avrà cura di lui.
Il padre sembrava imbarazzato dalla capacità di questo semplice gioco di rappresentare una soluzione al subbuglio emotivo del figlio, ma aveva intuito quanto il gioco sia una perfetta valvola di sfogo e una salvezza per i tormenti di un bambino.

Favorire le libertà necessarie al gioco

Il gioco è qualcosa che i bambini piccoli dovrebbero saper fare assai bene, tuttavia va garantita la libertà necessaria a far sì che si manifesti. Stime attuali sul tempo dedicato al gioco dimostrano che questo è in declino, soffocato da una schiera di attività concorrenti che si aggiungono al tempo della scuola. I sociologi Sandra Hofferth e John Sandberg hanno scoperto che fra il 1981 e il 1997 c’è stata una riduzione del 25% del tempo trascorso giocando25. Hanno anche misurato una riduzione del 55% del tempo impiegato nella conversazione a casa, una diminuzione del 19% del tempo passato a guardare la televisione, un incremento del 18% del tempo trascorso a scuola, un aumento del 145% del tempo dedicato ai compiti a casa, e un aumento del 168% di quello trascorso con i genitori a fare compere. Il gioco deve competere con l’aumento delle ore dedicate alle attività didattiche e scolastiche, alle attività strutturate e a quelle incentrate sui consumi.
Perché i bambini possano giocare sul serio, devono godere di alcune libertà. Questo implica che i loro bisogni primari siano stati soddisfatti e dunque non abbiano limitazioni legate, per esempio, al dolore fisico, alla fame, alla stanchezza. Hanno anche bisogno di essere liberi dalle incombenze dell’istruzione e della scuola. Molti genitori non vorrebbero fare pressioni dal punto di vista accademico, ma temono che così facendo il figlio non sia poi al passo con i coetanei. Una madre mi ha confidato: “Quando mia figlia era all’ultimo anno di asilo, ho capito che era una delle ultime in fatto di lettura. Ho iniziato a preoccuparmi perché non avevo mai insistito sulla lettura quanto invece sull’amore per i libri. Temetti che potesse restare indietro ma non riuscivo comunque a costringerla a leggere. Ora sono felicissima di non averlo fatto perché in quarta elementare mi disse che era una dei pochi bambini della sua classe che ancora amavano leggere.” Non sono solo i genitori a sentire la pressione a dover insistere sulla riuscita precoce dell’apprendimento scolastico, ma anche gli stessi educatori. Una maestra mi ha detto: 
I bambini hanno bisogno di tempo per essere bambini, ma c’è un’enfasi eccessiva in molte scuole materne e nei kindergarten per far sì che gli studenti imparino a leggere e far di conto il prima possibile. Il dirigente della mia scuola si aspetta che i bambini dell’ultimo anno di asilo studino le materie scolastiche, nonostante per loro sia già molto dura anche solo restare a scuola tutto il giorno. È stressante anche perché gli stessi genitori se lo aspettano.
Dal punto di vista evolutivo, il fatto di essere o meno pronti per il lavoro scolastico è qualcosa che va preso in seria considerazione prima di esporre un bambino all’insegnamento delle diverse materie.
I bambini piccoli hanno bisogno di libertà dalle attività strutturate, quelle in cui forze esterne dettano le loro azioni e incidono sulla loro espressione. Il pediatra Kenneth Ginsburg sostiene che le attività di arricchimento siano investimenti che alimentano ben poco la relazione adulto-bambino26.

Troppi impegni conducono a stress, ansia e a una diminuzione della creatività. Uno stile di vita tutto di corsa non favorisce le condizioni che portano al manifestarsi del gioco, e questo richiede che i genitori considerino il problema degli equilibri quando si tratta di attività strutturate.

Secondo un rapporto stilato dalla Campaign for a Commercial Free Childhood (Campagna per liberare l’infanzia dalla pubblicità) e dall’Alliance for Childhood, i bambini oggi entrano in contatto con gli schermi sin dall’infanzia27. Quasi il 30% dei bambini al di sotto di un anno guardano la televisione o i video per circa 90 minuti al giorno. Più del 60% dei bambini fra uno e due anni guardano la televisione o i video per più di due ore al giorno. Stime prudenti del tempo trascorso davanti agli schermi, per bambini fra i due e i cinque anni, considerano più di due ore al giorno, mentre alcune ricerche parlano di 4,5 ore al giorno. La cosa persiste nonostante le linee guida dell’American Academy of Pediatrics scoraggino l’esposizione agli schermi per bambini con meno di due anni e ne limitino il tempo per chi ne ha più di due28. I timori degli effetti che il tempo trascorso davanti agli schermi possa avere sulla crescita cerebrale nei primi anni e sullo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo, sono alla base delle raccomandazioni per la limitazione e la riduzione di quel tempo.

Essere esposti per più tempo di quello raccomandato interferisce con i bisogni essenziali, come il sonno, ed è legato all’obesità e a problemi di attenzione, di apprendimento, e sociali. Il tempo trascorso davanti alla televisione non è diminuito fra i bambini piccoli, nonostante l’incremento nell’uso di altri tipi di schermi e dispositivi29.


La libertà di giocare

  • Sufficiente libertà da dolore, fame e stanchezza
  • Sufficiente libertà da scuola e istruzione
  • Sufficiente libertà da attività programmate
  • Sufficiente libertà da schermi e intrattenimento
  • Sufficiente libertà da frequentazione di coetanei e fratelli
  • Sufficiente libertà dalla necessità di dover ristabilire un contatto relazionale e affettivo con l’adulto 



Figura III.3 Adattata dal corso di Neufeld Making Sense of PLay
Inoltre, quando un bambino è davanti a uno schermo, non è coinvolto nella relazione con i genitori o altre persone. Il deficit di natura, di cui parla Richard Louv nel suo libro L’ultimo bambino nei boschi, mette in relazione soprattutto la mancanza di gioco all’aperto con un aumento nell’uso dei dispositivi digitali30. In un periodo di sei anni, dal 1997 al 2003, la quantità di tempo che un bambino trascorreva giocando all’aperto è diminuita del 50%31. È in atto uno sforzo di recupero che incoraggia i genitori nordamericani a portare i bambini fuori a giocare e a sperimentare la natura32.

Ricerche su genitori cresciuti a contatto con la tecnologia digitale mostrano una maggiore propensione a lasciare che i figli piccoli giochino con dispositivi mobili mentre loro sbrigano faccende di casa e commissioni, oppure per tenerli tranquilli in pubblico e farli addormentare33. Un educatore della prima infanzia ha affermato: “Nel gruppo che conduco con bambini in età prescolare vedo che quando si sentono frustrati, cosa che a questa età accade spesso, i genitori sono pronti a tirare fuori lo smartphone e a darlo ai piccoli. Mi chiedo quanto tempo in più davanti a uno schermo questo possa significare e cosa succede se un genitore non è in grado di gestire le crisi dei figli in nessun altro modo!” L’uso sempre più frequente dei dispositivi elettronici usati per intrattenere i bambini rende questi ultimi dei riceventi passivi, in quanto manca loro sempre più spesso l’occasione di un’esplorazione senza limiti prestabiliti34. In breve, il tempo da trascorrere davanti a uno schermo dovrebbe essere considerato da una prospettiva evolutiva: i bambini piccoli hanno bisogno di esperienze di vita reale con persone vere, cosa che rende i genitori i migliori dispositivi esistenti.
Il tipo di gioco di cui i piccoli hanno bisogno è spesso quello fatto da soli senza genitori o coetanei come compagni di gioco. Quando i bambini giocano insieme, di solito è uno di loro a cui viene lasciata la conduzione del gioco, mentre gli altri diventano riceventi passivi di direttive e idee. Un bambino piccolo ha bisogno di tempo per immergersi nel proprio mondo, al fine di esprimersi o esplorare. I genitori spesso pensano di dover giocare con i figli, e sebbene questo non sia un pensiero dannoso, fa di solito gli interessi dei bisogni relazionali dei bambini. È importante ricordare che sotto i tre anni d’età si ha una minima capacità di giocare da soli, per via degli intensi bisogni relazionali. Come una fascia elastica che può allungarsi solo fino a un certo punto, i più piccoli hanno la necessità di tornare alla fonte del proprio attaccamento, alla base sicura, per fare il pieno di contatto e vicinanza prima di avventurarsi di nuovo nel gioco. Quanto più il bambino sviluppa e approfondisce il proprio attaccamento e diventa un’individualità separata, tanto maggiore sarà la capacità di giocare da solo per periodi di tempo via via più lunghi.

La maggior fonte di libertà di cui un bambino ha bisogno è il dono di una relazione profonda con i genitori o con chi lo accudisce. Nella gerarchia delle necessità di un bambino, l’attaccamento è la più grande e più necessaria fonte di libertà affinché il gioco autentico possa dispiegarsi. Il bambino ha l’urgenza di sentirsi tranquillo nelle proprie relazioni, così che la fame di contatto e intimità venga saziata. Ha bisogno di amore a sufficienza per sentirsi appagato e di sufficiente valore per sentirsi importante. Coltivare il tipo di relazione che porta alla tranquillità sarà oggetto di maggiore approfondimento nei capitoli 4 e 5, ma è un tema che attraversa tutto il libro.

Strategie per promuovere le condizioni che innescano il gioco

Se “il gioco spontaneo è la delicata danza dell’infanzia per rafforzare la mente e il corpo”35, allora come si incoraggia un bambino a giocare? Quelle che seguono sono quattro strategie che aiutano a stabilire le condizioni affinché il vero gioco venga messo in atto.
1) Rispondere alla fame di contatto e intimità
Il tempo del gioco deve essere preceduto dal contatto e dalla vicinanza con una figura di attaccamento, così che i bisogni relazionali del bambino siano appagati. È utile pensare al bambino piccolo come a un serbatoio di quel carburante che è l’attaccamento, da riempire finché non trabocchi, altrimenti il gioco non può iniziare. È un serbatoio che subito si svuota, soprattuto fra i 2 e i 3 anni e nei bambini più sensibili. Appena il genitore provvede ai bisogni di attaccamento, può attendere che il piccolo quasi lo spinga via, mostrando che il serbatoio è pieno. Una madre lo ha spiegato in questo modo:
Dopo vari giorni di tentativi, avevo imparato ad aiutare Oliver, il mio bambino di due anni e mezzo, a sperimentare il gioco autentico. Quando era tranquillo, sazio, e aveva ricevuto tante attenzioni da parte mia, restavamo accoccolati fin quando non sembrava che volesse allontanarmi. Allora gli chiedevo se voleva giocare e lo mettevo a terra. Mi accorsi che dovevo restare nella stessa stanza con lui - controllava un paio di volte che ci fossi - e non potevo fare nulla di interessante, né osservarlo in modo diretto, perché questo avrebbe distolto la sua attenzione. Quando ne aveva abbastanza, gattonava di nuovo verso di me per altre coccole e attenzioni. Leggevo un libro o facevamo altre cose insieme e poi ancora sembrava volersi allontanare. Ero sorpresa da come riuscisse a giocare bene da solo semplicemente dandogli ciò di cui aveva bisogno e aspettando che tornasse ad allontanarsi.
2) Creare vuoti da riempire
Uno dei prerequisiti per il manifestarsi del gioco è avere tempi e spazi in cui non esistano attività competitive e il contatto con i coetanei o i fratelli sia limitato. Il gioco esplorativo ed espressivo è spesso fatto dal bambino quando è da solo e i suoi programmi personali possono uscire allo scoperto e imporsi. I bambini devono poter accedere a materiali di gioco e spazi per esplorare ed esprimersi, il che può anche significare solo avere carta, blocchetti di costruzioni, automobiline o un giardino con legnetti e fango. È l’adulto a dover far spazio all’iniziativa del bambino, alla sua creatività e originalità, mettendolo alla guida di un gioco ogni volta che sia possibile. Un papà mi ha detto: “Leggevo il giornale mentre i bambini giocavano in giardino. Mia moglie aveva dato loro un angolino di terra dicendo che potevano farci quello che volevano. Sembravano abbastanza soddisfatti, perciò continuavo a leggere. Quando alzai di nuovo lo sguardo, mi accorsi che avevano raccolto tantissimi fiori dal resto del giardino e li avevano infilati nel loro pezzetto di terra!” Confidò anche che per un certo tempo aveva meditato su come avrebbe spiegato alla moglie quanto l’indifferenza benevola sia un’ottima cosa per la crescita dei bambini.

Oltre a ciò, gli interessi del bambino dovrebbero avere la precedenza nel gioco rispetto ai programmi degli adulti. Così mi ha raccontato una mamma:
Mio marito è un appassionato di mountain bike ed era ansioso di insegnare anche a nostra figlia ad andarci. Quando lei ha avuto la sua bici nuova, lui ha cercato di farcela andare, ma lei voleva solo giocare con le strisce e lavarla. Alla fine ha detto al padre che avrebbe fatto un giro per l’isolato, ma una volta partiti si fermava ogni dieci passi per bere un sorso dalla borraccia e riporla per bene nel suo contenitore. Le piaceva moltissimo giocare con la sua nuova bici, ma mio marito era assai sgomento perché non mostrava alcuna intenzione di volerci fare una corsa.
Quando il padre è stato aiutato a capire che il programma di gioco di sua figlia era ben più importante del suo, ha potuto rinunciare alle proprie aspettative e apprezzare il divertimento della bambina.
3) Creare strutture, rituali e abitudini a protezione del gioco
Il gioco non è un’attività urgente, perciò si perde con facilità fra le attività della vita quotidiana. Per proteggere e salvaguardare lo spazio e il tempo del gioco si possono creare abitudini o rituali. Un genitore, per esempio, può decidere se e quanti appuntamenti o incontri con altri bambini devono esserci nel corso di una certa settimana. Si può creare un’abitudine quotidiana al gioco che faccia da contrappeso alle attività strutturate, assicurandosi che il gioco non venga relegato in un angolo. Quando si tratta di usare i dispositivi digitali, semplici regole sul quando, dove, come e perché utilizzarli può aiutare nel limitarne l’esposizione e prevenire problemi. È meglio che gli apparecchi elettronici siano sistemati fuori dalla stanza dei bambini piccoli e non vengano mai usati come ricompensa o sottratti come forma di punizione. Se restano fuori dalla vista, saranno anche fuori dalla mente dei più piccini.
4) Non ostacolare il gioco con lodi e ricompense
Più gli adulti tentano di rinforzare il gioco attraverso lodi e ricompense, più rischiano di osteggiare il suo manifestarsi. Quando un genitore dice a un bambino che è fiero del suo gioco o degli esiti di questo, il gioco rischia di trasformarsi in uno strumento per inseguire i bisogni di attaccamento. Si può rimediare facilmente osservando e riconoscendo quanto il bambino stesso sia fiero di ciò che ha fatto o quanto gli abbia fatto piacere fare qualcosa per se stesso. Il segreto è nel non usare la lode per manipolare il comportamento, ed essere consapevoli che il gioco autentico ha bisogno di spazio per manifestarsi. Se un bambino è davvero immerso nel gioco, un’indifferenza benevola è l’approccio migliore, come si evince anche dal seguente racconto di un genitore:
Mio figlio di solito sedeva al piano con la sorella e le chiedeva quale canzone avrebbe voluto ascoltare. Un giorno le diede due scelte - “Puff il drago magico” oppure la canzone che parla della terra di nome Agatera. Skylar gli disse che voleva sentire quella di Agatera. Lui esaudì la richiesta e, nonostante non prenda lezioni di pianoforte, compose una canzone su una terra di nome Agatera sulle note di “Puff il drago magico”. Ero sul punto di scoppiare a ridere, e anche di lodarlo per la sua creatività, ma non feci nulla per timore di interrompere il loro gioco.
Il gioco può essere favorito solo se gli adulti ne conoscono il valore e lo considerano una necessità primaria dei bambini. Giocare non è mai urgente, e la sua importanza è ormai camuffata da preoccupazioni legate alla prestazione, ai risultati immediati e all’essere in testa. Gli adulti devono fare da scudo contro l’innovazione tecnologica, il rapido mutamento sociale, la globalizzazione economica - e la loro stessa ansia circa il successo dei propri figli, tutte cose che rischiano di soffocare il gioco.

Quali sono le implicazioni del lavoro e dell’educazione nei primi anni?

Visto il bisogno di giocare dei primi anni di vita, la domanda che spesso ci si pone è quando il bambino sia pronto per lavorare e iniziare un’educazione formale. La risposta è. Quando il cervello si è sviluppato a sufficienza - di solito fra i 5 e i 7 anni, se lo sviluppo è ideale. Se un bambino è in grado di nutrire sentimenti e pensieri contrastanti, avrà il necessario controllo degli impulsi per partecipare con successo in contesti che richiedono pazienza, considerazione per gli altri e concentrazione (si veda il capitolo 2). La capacità di lavorare richiede che un bambino sappia posticipare la gratificazione, fare dei sacrifici, e rinunciare al divertimento per concentrarsi sulla riuscita. Un bambino di sei anni, per esempio, ha detto alla madre che non gli piaceva la prima elementare “perché hanno i banchi e io devo stare seduto e lavorare. Io voglio giocare e andare in giro, ma devo stare seduto sennò la maestra si arrabbia!”; è evidente che fosse pronto per la scuola, perché riusciva a percepire ed esprimere i suoi diversi sentimenti.
La ricerca ha esaminato l’efficacia dell’inizio scolastico a sette anni. Ritardare il kindergarten (ultimo anno di asilo in cui si introducono i primi rudimenti di lettura, scrittura e calcolo. N.d.T.) a sette anni, negli Stati Uniti e in Danimarca, ha dimostrato di ridurre drasticamente il numero di studenti che hanno probabilità di manifestare problemi di attenzione e iperattività, migliorando pertanto la loro resa36. Ritardare l’inizio dell’educazione formale permette al cervello del bambino di integrare le aree prefrontali, dando vita al controllo degli impulsi e alla capacità di concentrazione. In altre parole, la maturità, e non una precoce scolarità, è la risposta al successo scolastico.
Fin quando un bambino non sia entrato “nell’età della ragione”, faremmo meglio a introdurre sempre aspetti ludici e divertenti in qualsiasi attività che potrebbe essere interpretata come lavoro, tipo raccogliere i giocattoli, pulire, togliere il pannolino, curare la propria igiene o imparare lettere e numeri. Una mamma, per esempio, mi ha detto: “Usavo coloranti alimentari per rendere più piacevole l’abbandono del pannolino. Mio figlio sceglieva il colore, poi ne metteva qualche goccia nel vasino e ci faceva la pipì sopra per far diventare l’acqua di un altro colore. Si divertiva un sacco e avevamo risolto del tutto qualsiasi resistenza all’uso del vasino!”

Una delle difficoltà maggiori nell’educazione odierna è proprio la salvaguardia del gioco alla suola materna e nel kindergarten. Un’educazione fondata sul gioco, anziché l’istruzione di tipo accademico, dovrebbe essere il principale obiettivo a quest’età, mentre invece è un obiettivo sempre più sotto minaccia. Il bisogno di difendere i primi anni di vita dall’istruzione e dall’apprendimento di tipo scolastico è diventato ormai un tema globale, che interessa gli stati dagli USA alla Nuova Zelanda. Una scolarità precoce si sta rapidamente affermando in alcuni paesi, dove bambini di tre o quattro anni imparano matematica e inglese attraverso un’istruzione di tipo formale. Peter Gray, psicologo e autore di Free to Learn (Lasciateli giocare), afferma che scuole materne e kindergarten sono diventati il campo di battaglia per la salvaguardia della prima infanzia.

L’Associazione nazionale per l’educazione dei bambini piccoli afferma che la U.S Common Core Standards ha spinto per una scolarità precoce nella convinzione che questa favorisse la preparazione in vista del College o dell’entrata nel mondo del lavoro37. Nel Regno Unito, la Professional Association for Childcare and Early Years afferma che la scolarità precoce non dovrebbe essere lo scopo principale nella scuola materna; al contrario, durante la prima infanzia dovrebbe essere favorita la creatività, incoraggiato il desiderio di apprendimento e dato un aiuto alla crescita verso l’indipendenza38. In Nuova Zelanda, il programma per la prima infanzia, chiamato Te Whariki, è stato ideato partendo dall’idea centrale del popolo Maori per cui l’infanzia è un momento della vita anziché una preparazione alla vita39. Persino paesi come l’Islanda e la Svezia, noti per il valore fondante che attribuiscono al gioco nei primi anni, devono far fronte a una certa pressione per introdurre materie scolastiche sin dall’asilo40. Per fortuna, paesi come la Danimarca e la Finlandia hanno ricevuto grande attenzione perché rientrano fra i primi nella classifica delle migliori prestazioni, secondo le valutazioni dei sistemi scolastici mondiali effettuate dal Programme for International Student Assessment (PISA) dell’OCSE41. I bambini finlandesi ricevono un’educazione fortemente incentrata sul gioco, e le materie scolastiche di norma vengono introdotte dopo i sei anni42.
Anche il Canada si piazzava in alto, secondo le valutazioni internazionali PISA, prima che venisse attuato il tempo pieno nell’ultimo anno di asilo, mentre prima l’educazione basata sul gioco era la norma43. Il passaggio al tempo pieno è stato promosso come strumento per dare ai bambini un vantaggio nell’alfabetizzazione, ma non ha affatto prodotto risultati in tal senso. Secondo le valutazioni relative all’attuazione del Programma per la scolarità precoce a tempo pieno in Ontario, i progressi nell’alfabetizzazione sono stati esigui, irrilevanti, e persino a favore del tempo ridotto44. Questi risultati sostengono le scoperte dei ricercatori della Duke University, che in una meta-analisi dei programmi nei kindergarten a tempo pieno hanno mostrato come non ci siano benefici a lungo termine sui livelli di istruzione, dovuti al tempo pieno, quando si arriva in terza elementare. La conclusione è che il tempo pieno dovrebbe poter essere fra le scelte, ma non un requisito obbligatorio45. Secondo questa ricerca una scolarità precoce e un kindergarten a tempo pieno fanno soprattutto gli interessi di quei bambini i cui genitori non possono assicurare le condizioni per il gioco autentico46.
Ricerche sull’efficacia di una precoce alfabetizzazione hanno ormai regolarmente deluso le aspettative. A dispetto dei programmi di apprendimento precoce della lettura negli asili del Regno Unito, le abilità di lettura sono fra le più basse in Europa, più basse di quelle dei paesi dove si inizia a leggere più tardi47. Nel complesso, non vi è alcuna evidenza che suggerisca che iniziare a leggere a cinque anni porti a un miglior successo scolastico48. Oltre a ciò, spingere verso una precoce alfabetizzazione può avere un impatto negativo sulla disposizione del bambino e la motivazione all’apprendimento49. Far leggere un bambino a cinque anni può creare stress ed essere vissuto come un’esperienza coercitiva. Il desiderio naturale del bambino di capire il proprio mondo viene soffocato da schede di esercizi, valutazioni e classi, con poco spazio per l’esplorazione e l’espressione. La spinta precoce all’apprendimento delle materie scolastiche è stata collegata a una diminuzione della curiosità e della creatività - vittime della corsa alla conoscenza e all’apprendimento50. I bambini sottoposti a precoce alfabetizzazione durante la scuola materna mostrano maggiore ansia da prestazione, minor creatività, e vedono la scuola in maniera più negativa di quanto non facciano bambini che hanno frequentato scuole materne incentrate sul gioco51.

Esiste una preoccupante tendenza, forte e uniforme, a spingere i bambini verso un inizio precoce dell’apprendimento formale scolastico, ignorando le asserzioni della scienza dell’età evolutiva, secondo cui l’alfabetizzazione a quest’età è troppo precoce, eccessiva, e pregiudica il sano sviluppo e la crescita. Possiamo aiutare i bambini piccoli a raggiungere il loro pieno potenziale umano in qualità di studenti, ma sarà solo attraverso il gioco e non a spese di questo. Come afferma l’esperta dell’età evolutiva, Nancy Carlsson-Paige, “Mai, neppure nei miei sogni peggiori, avrei immaginato che avremmo dovuto difendere il diritto dei bambini al gioco!”52.

Capire i piccoli
Capire i piccoli
Deborah MacNamara
Come aiutare a crescere creature imprevedibili e meravigliose da 0 a 6 anni.Un manuale di facile lettura, ricco di consigli pratici e testimonianza dirette, per aiutare i genitori a comprendere la natura dei bambini piccoli. I bambini piccoli sono fra le persone più amate, ma anche fra le più incomprese.Le loro straordinarie personalità possono rivelarsi una sfida per gli adulti, in quanto sfuggono alla logica e alla comprensione: passano dall’essere sfrontati, recalcitranti e ribelli all’illuminare la stanza con la loro gioia di vivere e le risate contagiose.Le reazioni estreme, la rabbia apocalittica, i pianti inconsolabili e le impuntature senza cedimenti sono la cifra dell’immaturità, e per quanto dovrebbe sembrare evidente che essa sia un tratto costitutivo dei piccoli e li renda persone molto diverse dagli adulti, si rivela invece fra quanto di più misconosciuto e negletto. Deborah MacNamara, allieva e collega di Gordon Neufeld, uno dei più importanti esperti dell’età evolutiva, esplora l’intenso bisogno di attaccamento del bambino, l’importanza vitale del gioco, la natura della giusta disciplina e del tipo di relazione che è in grado di proteggere la crescita delicata dell’infanzia. In Capire i piccoli si trova ciò che serve ai bambini per crescere e prosperare, ma non prima di aver capito che i loro comportamenti, talvolta sconcertanti, non sono affatto la manifestazione di un disturbo o di un deficit e neppure di una “cattiva educazione”.Non guarderete più ai vostri figli e a voi stessi nello stesso modo, e pur scoprendo quanto sia critico il ruolo di genitore e adulto, vedrete anche come, dalla giusta prospettiva, sia più facile e naturale di quanto si creda. Conosci l’autore Deborah MacNamara è counsellor clinico ed educatrice con un’esperienza ultraventennale.Membro del Neufeld Institute, affianca alla pratica di consulente una regolare attività formativa rivolta a genitori, educatori, professionisti della salute mentale e chiunque si prenda cura dei bambini.Vive a Vancouver con il marito e due figlie.