Prima parte - II

Proviamoci anche noi!
Scoprire, Giocare e Musicare
le relazioni umane

di Elena Malaguti

Troviamo la quiete in un lavoro tellettuale, scelto beramente,che dia forza al nostro spirito

Maria Montessori

Introduzione

Canti antichi, giochi sonori e interazioni precoci rappresentano il cuore del volume, che intende offrire qualche suggerimento concreto e pratico a tutti coloro che utilizzano, vivono, sperimentano la musica nella loro vita ma anche a quelli che, inibiti fin da piccoli, non educati all’ascolto e alla pratica musicale, vorrebbero, ma non osano, o solo timidamente e in luoghi segreti e circoscritti, farsi accompagnare dalla musica per lasciare vibrare emozioni, sentimenti e pensieri.


Mi dài lo smartphone, mamma?”. La solita richiesta, pensa Gaia. Leo lo prende e si chiude in bagno sotto la doccia ascoltando la musica. Ha un impianto stereo tale per cui anche sotto l’acqua può connettersi con il suo mondo: quello dei giovani che come lui trascorrono molto tempo online per ascoltare i cantanti preferiti, guardare video, giocare.


Aumenta la schiera di genitori che, trovandosi a vivere la relazione con i figli pre e adolescenti, lottano alle prese con il telefono e con i silenzi e i muri che i ragazzi, forse anche a causa di fardelli pesanti, erigono nell’incapacità di trovare altre forme per costruire dialoghi. Sono molti gli adulti che, affaticati dalla quotidianità e nella morsa dei ritmi frenetici, non riescono a trovare modi alternativi per trasformare il silenzio in una melodia che possa alleggerire la giornata e creare un clima positivo all’interno della loro famiglia. Si erigono muri e barriere: i giovani si chiudono nelle loro stanze o in bagno e lasciano i genitori attoniti e inermi, o anche liberi di occupare il loro tempo, estraniandosi dal presente e dalla fatica che a volte le relazioni impongono e alla quale non pare vi siano possibili rimedi se non quelli di andare da un esperto o di mandargli il proprio figlio. Come è trascorsa la vita di quella famiglia nei precedenti dieci anni? Quali sono stati gli investimenti emotivi, affettivi e pratici per nutrire e curare le relazioni? Quali sono le relazioni di vicinanza su cui si può contare? Quali le influenze ambientali e relazionali (scolastiche, lavorative, sportive, culturali) che contribuiscono allo sviluppo delle nostre e altrui identità? Quali i discorsi sociali relativi all’educazione e al sostegno alla famiglia? Sono domande queste che richiedono tempi lunghi di maturazione ma che prima o poi occorre farsi e trovare, se non le risposte, almeno strade e sentieri percorribili per invertire delle rotte o per migliorare la qualità delle nostre vite. Le piante hanno bisogno di terreni fertili, di essere innaffiate e delle posizioni giuste per poter crescere rigogliose! Non è mai troppo tardi per modificare i propri stili di vita anche nelle relazioni ed aprire spazi possibili per riconnettere fili, storie e situazioni.


Cantami ancora è un progetto ambizioso: intende fornire suggerimenti pratici per rallegrare le serate in famiglia, nutrire le relazioni intime e creare dialoghi sonori con i propri figli; mira ad innalzare il livello culturale facendo scoprire a un pubblico non esperto melodie antiche per affinare l’ascolto e percepire terreni ancora da esplorare; propone una modalità per migliorare le relazioni di attaccamento, scoprendo il meraviglioso mondo dei bambini, imparando a sintonizzarsi e a scoprire i nostri linguaggi segreti.

Educare ed educarsi alla musicalità per essere e divenire consapevoli

Sdraiato sul divano, ascoltando Montserrat Figueras1 in sottofondo, ti osservo dormire. Guardo i lineamenti del tuo corpo, noto le tue trasformazioni e il ventre che cresce. “Siete meravigliosi!” penso. Mi accosto dolcemente, ti bacio e tocco le tue forme, mi guardi, sorridi, contatto il bambino che porti in grembo, gli parlo e canto per lui una lieve melodia. Ti prendo le mani, cominciamo la danza, i nostri corpi si incontrano ed insieme intoniamo la nostra canzone assaporando dolcemente il momento presente.


Scena di vita quotidiana, alla quale se ne potrebbero accostare molte altre dove la musica, in modo più o meno inconsapevole, accompagna i momenti della vita, anche solo per prendere le distanze dai tempi e dai ritmi frenetici che caratterizzano molte vite contemporanee. La musica è un mediatore facilmente fruibile che permette di sintonizzarsi, ascoltare, osservare, di comprendere i punti di vista e di comunicare il proprio: fin dalla notte dei tempi è un potente mediatore di relazioni umane; è una forma di comunicazione che interagisce con il contesto sociale e culturale di appartenenza capace di liberare energie, aggregare gruppi, rompere muri e barriere, attivare intime relazioni d’amore, conflitti e anche molto altro.


Trevarthen2 ricorda che esiste un lessico universale di interazioni vocali e fisiche precoci che l’umanità condivide, senza le quali la musica non può parlare. L’autore accosta al termine “musicalità” non tanto l’idea di una musica dei compositori e degli esecutori, ma un’esperienza condivisa del tempo, delle forme e dei modi del sentire. La musica, dal suo punto di vista, racconta le interazioni vocali, fisiche, anche precoci, tramite le quali si condividono le prime originarie forme del sentire. Malloch e Trevarthen3 sono molto chiari nello specificare che cosa intendono per comunicazione musicale, portando l’esempio delle prime interazioni fra madre e bambino. Trehub4 sostiene che si possa definire musicalità l’insieme di quei tratti, di quelle competenze musicali che si sviluppano in maniera naturale e spontanea, radicate e definite dal nostro sistema cognitivo e biologico. I recenti studi e ricerche hanno permesso di scoprire che siamo tutti dotati di competenze musicali, che queste si sviluppano nella nostra vita di tutti i giorni e che sono fondamentali per la nostra crescita. In termini pedagogici si potrebbe aggiungere che la musica diviene un ottimo medium per esprimere pensieri, emozioni e sentimenti e contattare parti del sé che a volte sono nascoste e che imbarazzano. Ciascun essere umano è dotato di competenze musicali, che si possono sviluppare nella vita di tutti i giorni e sono fondamentali per la crescita e lo sviluppo. La musica dunque può essere e divenire un ottimo intermediario per creare relazioni significative e spezzare routine e dinamiche relazionali a volte molto faticose. Ci sono momenti in cui la vita è difficile, spiacevole, emotivamente pesante. In qualsiasi famiglia accadono eventi che colgono di sorpresa e che non sempre si pensa di poter padroneggiare. Non si tratta tanto di focalizzarsi su quello che capita ma di sintonizzarsi con quello che si decide di fare di fronte a situazioni complesse e che possono disorientare, cercando di osservare, osservarsi e divenire consapevoli.

Consapevoli di cosa? Del proprio corpo, dei propri sentimenti, pensieri ed emozioni, delle scelte che si compiono, della possibilità di percepirsi e percepire l’ambiente dentro e fuori di noi e le relazioni con le quali si prova sintonia e quelle dalle quali abbiamo bisogno di prendere le distanze. Si tratta di incamminarsi nel sentiero della vita operando per acquisire coscienza corporea, fisica, emotiva, spirituale, relazionale e sociale; intrecciando la dimensione razionale con quella emotiva.


Amare è una decisione; decidere di investire tempo ed energie vitali nelle relazioni a cui teniamo è una scelta che ha anche bisogno di colori, suoni, sfumature e aperture per imparare a sorridere, ad alleggerire e a decostruire ruoli rigidi, precostituiti, stereotipi e archetipi che affaticano le nostre menti e giornate quotidiane. “Anche io canto la mia canzone per te!”, afferma Fabio, papà di Arianna, “anche se non sono intonato perché la mia voce ti calma e il contatto caldo e premuroso del mio abbraccio cura le tue ferite e le mie coccole sonore rasserenano il momento della tua nanna, io mi diverto e rallegro la mia giornata”.


Fabio è un papà consapevole, anche se forse non sa di esserlo, non è esperto in scienze umane e in musicologia, non è un musicista ma si riconosce ugualmente il piacere di creare relazioni di amore con la sua bambina e di lasciarsi nutrire dalla relazione. Non si pone molte domande: canta, danza, ride, scherza e gioca, vive, assaporando ogni momento con curiosità e coraggio. Molti altri esempi si potrebbero riportare per condividere desideri ed esperienze di molti che, incamminandosi sul sentiero arduo, sconvolgente e meraviglioso di accogliere e accompagnare la crescita di una nuova vita, hanno scoperto l’accessibilità della musica in qualità di primi musicisti!

Gioco libero, interazioni precoci musicali e legami d’amore

È autunno inoltrato. Un raggio di luce illumina una pozzanghera e Caterina, di soli 14 mesi, non resiste… deve assolutamente entrarvi dentro, ascoltare il rumore dell’acqua prodotto dai suoi piedi. Salta dentro con tutta la sua forza; ride, raccoglie alcune foglie, le guarda e, con uno sguardo felice, comincia a battere le mani nell’acqua per udire il suono, toccare la terra e percepire con tutto il corpo le sensazioni che si provano… la mamma a pochi metri di distanza l’osserva… prova un sentimento di preoccupazione e di ansia … vuole evitare che si bagni e possa prendere freddo. Con un gesto repentino l’afferra, la solleva e, alzando il tono della voce, la rimprovera comunicandole che non si fa perché potrebbe ammalarsi. Caterina inizia a piangere e la mamma comincia a riflettere accorgendosi di aver interrotto il suo gioco e il tentativo di esplorazione della piccola, di percepire i suoni, i colori, i rumori e il suo corpo a contatto con l’ambiente naturale. Il giorno seguente, in previsione della consueta passeggiata, decide di metterle un paio di stivali e una mantella. Al parco la bambina incontra nuovamente la pozzanghera, corre e le salta dentro. Il sentimento di preoccupazione della mamma ritorna, vorrebbe afferrarla, portarla via ma decide di fermarsi ad osservare, sicura che gli stivali proteggeranno dal freddo il suo cucciolo. Caterina salta, fa la giravolta, tocca l’acqua, la terra e la mamma decide di entrare nella pozzanghera vicina, le due ridono, battono forte i piedi e le mani, cominciano il gioco, si guardano, si prendono per mano e saltando allegramente prendono dei sassi, li lanciano nelle pozzanghere ascoltando i suoni prodotti, sono entrambe felici, la mamma intona la canzone della pioggia e del sole: la stessa che le cantava da piccola la sua nonna.

Ripercorrendo le tappe e pensando ad esempio al neonato che ci troviamo ad accudire, esso non sa manipolare gli oggetti, non cammina e ancora non comprende le parole che gli vengono dette; la relazione si limita ai suoni che vengono prodotti da lui, dalla mamma o dal papà o dalle figure primarie di riferimento, dallo scambio di espressioni del viso, dal guardare e dal distogliere l’attenzione, dai suoni e dai rumori che si producono, dai gesti e movimenti, dalla condivisione dell’eccitamento fisico. Gli elementi essenziali dell’interazione umana, pura e semplice attività spontanea ed improvvisata collegata ai pensieri, ai sentimenti, alle emozioni e ai rituali culturalmente determinati che si attivano, costituiscono il gioco libero. La mamma e il bambino5 che giocano insieme mostrano un esempio di legame differente da quello dell’accudimento – ad esempio durante l’allattamento o il momento del cambio – poiché questi ultimi hanno uno scopo pratico. Al contrario l’unico obiettivo del gioco libero è il piacere e il divertimento reciproco. Certo, è anche il modo per insegnare una funzione al bambino, ma l’apprendimento non è lo scopo del gioco libero, è solo un meraviglioso effetto secondario. Proprio per l’assenza di un obiettivo concreto, il gioco può risultare un’attività insolita alla quale non dedicare particolare attenzione; senonché è certamente un’azione molto semplice ma, allo stesso tempo, anche una delle più difficili. Si tratta, come sostiene anche Stern, di un’improvvisazione di un’interazione sociale del tipo più elementare.


Per poter improvvisare occorre però essere sicuri di se stessi, di ciò che può accadere, del proprio desiderio e capacità di vivere la relazione senza sostegni esterni. Ecco perché il gioco libero può risultare un’attività non semplice per i neogenitori che sovente si pongono molte domande: “So trovare un punto di equilibrio fra prendere l’iniziativa e seguire i ritmi e le azioni del mio bambino? Riesco a percepire il livello di eccitazione comprendendo se è in crescendo (gioia, serenità, allegria) o in calando (frustrazione, noia)? Accetto di dimenticarmi di me stessa per un momento, per conoscere meglio la mia bambina? Riesco a riconoscere i miei bisogni? Sono in grado di contattare i mei sentimenti profondi e di risvegliare il mio essere bambino desideroso di amore, contatto caldo e sicuro? Sarò capace di stabilire insieme al mio coniuge e a mio figlio il rapporto umano più basilare e semplice? Non vi sono ricette e risposte sicure, di certo è che fin dalla notte dei tempi, in differenti modi e con rituali culturali specifici, le relazione di cura si instaurano, procedono e si snodano intessendo fili e narrando delle storie. Parafrasando Stern si può affermare che il bambino ancora molto piccolo non comprende le parole che gli vengono dette, che per lui sono come brevi frasi musicali: la musica viene prima della parola. Modificando le frasi sonore l’adulto impegna, seppur inconsapevolmente, il bambino in un’attività sociale e ne regola il livello di animazione e di gioia. Riesce a farlo creando un tema rudimentale attraverso la variazione del suono ad esempio della parola “amore”. Una modalità, quest’ultima, perfetta, che riesce ad affascinare il bambino e a modularne lo stato emotivo senza troppe riflessioni. Questo è un gioco che diverte anche l’adulto perché, al contrario, non riuscirebbe a giocare con tanto piacere. Siamo essere musicali, dunque, anche se nessuno si sognerebbe mai di introdurre un neonato all’apprendimento della musica e siamo esseri capaci di giocare liberamente divertendoci con i nostri bambini, anche se non insegneremmo mai in modo specifico la funzione del gioco. Come ci ricorda Ellen Dissanayake6, le prime esperienze di interazione fra adulto e bambino, sono profondamente musicali e non lo sono solamente per metafora: madre e bambino, padre e bambina, in queste prime interazioni diadiche, si muovono come in una danza. I loro scambi, fin dalle prime settimane di vita, mostrano precise sequenze spazio-temporali, in giochi ritmici condivisi e interdipendenti che possono essere analizzati come vere e proprie partiture musicali7. Le mamme e i papà sono in grado di capire se riescono bene oppure no, e se viene spontaneo. Sono consapevoli che tali interazioni e giochi liberi e musicali si attivano se si ama il bambino al punto da perdersi in lui per un poco di tempo. Quando sono presenti molte preoccupazioni, quando il tempo viene utilizzato solo per svolgere compiti precisi, o se si è o si è stati molto inibiti, se si è stanchi, depressi, frustrati e annoiati per stare al gioco, l’attività spontanea non si attiva e nascono problemi rispetto all’intima responsabilità di essere con lui.

Rotture, fatiche e mediatori possibili

Quando si diventa madre, è sempre per la prima volta; per la donna che vive questa esperienza ciò che è davanti a lei e che deve avvenire è terra sconosciuta e lo resterà a dispetto di ogni tecnologia e sapere scientifico8.


Francesca riceve una telefonata. È Roberto. “Ho bisogno di parlare con te, anche Maria, sei disponibile?” Francesca decide di raggiungerli a casa, si siede nella poltrona della sala. La luce illumina la stanza. Maria e Roberto comunicano che Elisa dopo solo 17 ore dalla nascita è morta. Il silenzio irrompe nella stanza, le lacrime scendono, Francesca ascolta, si alza e li abbraccia forte, ed ancora di più. Un caldo abbraccio che esprime tutta la vicinanza e il sostegno che potrà essere dato. Maria e Roberto soffrono e non lo dicono, sono attoniti, avvolti da una nube che li stordisce. Non era previsto. Tutto così all’improvviso, senza un apparente motivo.

Ogni epoca e ogni cultura ha costruito il suo silenzio e il suo modo per affrontare ed elaborare il lutto. La perdita prematura di un figlio scatena nell’intimo di ogni madre sentimenti, emozioni, pensieri differenti e crea un vuoto emotivo e affettivo che non potrà mai essere completamente colmato. L’attesa è stata lunga, il corpo ha subìto delle trasformazioni: per alcuni mesi il ventre prominente ha comunicato il cambiamento, la nascita, la vita, e in sole poche ore Maria e Roberto si sono ritrovati a vivere un’esperienza che non pensavano potesse far parte della loro vita. Il dolore è personale ma la vicinanza e il sostegno può essere di aiuto. Hanno avuto bisogno di tempo, di ripercorrere, anche grazie all’aiuto di una naturopata, di una ginecologa, di un sostegno psicologico, le tappe della loro vita, i legami costruiti e interrotti, di narrare le storie passate e presenti per poter accettare, realizzare, scoprire che l’attesa di un figlio può comportare anche la sua perdita. Le lunghe passeggiate in montagna, le serate trascorse in silenzio ascoltando musiche di sottofondo, le stesse che avevano accompagnato l’attesa della loro bimba, l’aprire uno spazio nella mente e nel cuore per lei che fisicamente non era presente, hanno permesso di creare un varco, uno spazio di possibilità e di ritorno alla vita. Maria e Roberto ora hanno altri due figli, sono sereni e attenti alla crescita della loro famiglia. Nulla è più scontato, le priorità sono cambiate e alta è l’attenzione alla scelta dei giochi, del cibo, dei libri, delle musiche e di tutti quei mediatori che possono contribuire ad uno sviluppo armonico, sereno e libero di loro stessi e dei loro figli.


Proliferano le esperienze e le ricerche che volgono la loro attenzione alla crescita naturale dei bambini, alla ricerca di un cammino di liberazione da consumi, stili, metodologie e strumenti educativi che rinchiudono le persone in scatole rigide, precostituite che possono solo alimentare stereotipi e pregiudizi. Non sempre tali studi ed esperienze contemplano però la differenza: in termini di disabilità, malattia, solitudine, marginalità, minoranza. Si rivolgono, di frequente, a persone, genitori, famiglie con evoluzioni naturali solitamente positive che rappresentano la maggioranza ma rischiano, se non si pongono le dovute attenzioni, di far sentire estranei e lontani coloro che vivono evoluzioni e sviluppi alternativi. Cosa accade se una mamma non può allattare il suo bambino? Come comportarsi di fronte ad una bambina che nasce prematura o con una disabilità congenita? Il legame di attaccamento subirà delle rotture? Il bambino vivrà un’esperienza traumatica che perdurerà nel tempo? La sua vita avrà esiti negativi? Come crescerà mio figlio essendo io un padre single? Molte altre potrebbero essere le domande rivolte da coloro che desiderano entrare nel cerchio della vita, far parte della schiera di esseri umani che intendono migliorare il loro percorso e che spesso non trovano una voce, uno spazio possibile in cui sentirsi e vedersi riconosciuti se non attraverso percorsi specifici non lasciando spazio alle differenze, alla libertà di potersi tutti e ciascuno riconoscere unici, originali, irripetibili. Nell’irripetibilità dell’essere umano si innesca la possibilità di costruire identità plurime e multiple in cui il diritto alla creatività, al gioco, alla creazione di relazioni di fiducia, di stima, di amore possa essere esercitato anche al di fuori di un luogo ufficialmente riconosciuto come terapeutico. Non si possono negare i progressi della scienza e i percorsi specifici per migliorare le competenze e le autonomie individuali in presenza ad esempio di una disabilità anche attraverso interventi abilitativi, rieducativi precoci mirati, si tratta però di comprendere all’interno di quali contesti, secondo quali approcci essi si radicano e di comprendere se sia possibile introdurre mediatori generativi e utilizzati in modo attento anche in circostanze apparentemente insolite.


Bea era una bambina di soli 5 anni che desiderava solo morire. Era ricoverata in un reparto di un noto ospedale italiano, poiché presentava un serio disturbo del comportamento alimentare. L’équipe multidisciplinare non riusciva a trovare forme e modi possibili per poter aprire un varco. L’unica cosa che faceva era rimanere ore e ore nella stanza di ospedale con le cuffie e il piccolo stereo in mano ascoltando la musica. Si rifiutava di parlare con qualsiasi persona. Chiusa nel suo silenzio continuava a comunicare il suo desiderio di morte. Non pareva vi fossero strade possibili. Un giorno un’educatrice dell’ospedale le ha preso la mano, e l’ha condotta nella stanza dell’ospedale adibita a biblioteca, ha chiuso la porta e le ha chiesto il permesso di poter accendere il suo stereo. Le due sono rimaste 45 minuti nella stanza ascoltando musica. Sono trascorsi i giorni e questo rituale è divenuto per Bea un momento molto importante per uscire (emotivamente e fisicamente) dalla sua condizione e trovare uno spazio in cui, con molta calma, attraverso la sua musica potesse creare un dialogo e un nuovo legame di fiducia. Con il passare del tempo anche i genitori hanno iniziato a giocare e a comunicare attraverso la musica. È stato un percorso non facile, anche sostenuto da un équipe di professionisti che ha permesso alla bambina di utilizzare il suo primo mediatore, non inserito in un percorso precostituito terapeutico, per ri-attivare sensazioni, emozioni, pensieri che parevano scomparsi. Bea attualmente ha 18 anni, ha terminato gli studi e si è iscritta all’università di scienze naturali. Non è diventata una musicista ma continua a utilizzare la musica come compagna di avventure.


I bambini non sono soli ma abitano e crescono in un contesto familiare, culturale e sociale che influenza la loro crescita e quando questa incontra ostacoli più o meno naturali, con gradienti differenti a seconda della natura degli eventi, può essere accompagnata anche da mediatori (come ad esempio la musica) che rompendo con dinamiche e stili rigidi possono contribuire a rigenerare relazioni, favorendo nuovi sviluppi liberi e creativi. Si tratta dunque di acquisire la consapevolezza che l’accoglienza di un bambino comprende e comporta l’accoglienza dei genitori e delle differenze (culturali, sociali, di sesso, di abilità…) che essi esprimono. Si tratta di pensarsi genitori o caregiver di riferimento come possibili alleati, parte di un gruppo anche là dove le circostanze non fanno emergere o riconoscere immediate risorse o aperture. Volendo parafrasare le parole di Tracy Hogg e Melinda Blau (2015) 11 si tratta di sintonizzarsi con il sistema all’interno del quale abitiamo spostando la prospettiva dal “parent think” (il pensiero dei genitori) ovvero il pensare sempre come genitori con i bambini al centro di tutto al “family think” (pensiero della famiglia) dove la famiglia e le relazioni che all’interno di essa si instaurano sono in primo piano. Può essere utile, a tal fine, cercare di migliorare le capacità di essere e fare famiglia in modo che si possa collaborare con il partner, i figli per creare un luogo sicuro dove bambini e adulti si sentano importanti e valorizzati. I genitori svolgono sempre il ruolo di guida ma tutti sono tenuti in considerazione e ciascuno a seconda della sua età e della sua capacità svolge la sua parte per far funzionare la famiglia. La condivisione e la co-creazione di relazioni significative capaci di decostruire rituali rigidi e precostituiti, nel rispetto delle differenti competenze e ruoli e la ricerca di compartecipazione nel processo educativo ed evolutivo, permette anche di promuovere la resilienza del bambino, della famiglia e della comunità che si abita12. Vi sono alcuni eventi fondamentali nella vita di un uomo e di una donna, uno di questi è il divenire genitore che significa anche:

  • assumersi la responsabilità di accogliere, sostenere, guidare e crescere un bambino o una bambina impegnandosi a farlo divenire una persona libera, curiosa, attenta, autonoma e felice;

  • assumere le fatiche, le rotture, le sofferenze, gli imprevisti, la morte, la malattia come parti costitutive dell’essere umano necessarie per crescere ed attraversare il sentiero della vita. Imparando a contemplare fin da bambini, con i modi ed i tempi adatti alle differenti fasi della vita, anche gli ostacoli, le delusioni, come parte di un tutto, sarà più semplice – non certo meno doloroso e faticoso – affrontare e superare con coraggio e fiducia eventuali prove molto dure e dolorose, trovare i molteplici ed infiniti mediatori che permettono di sorridere, di gioire, di creare basi e luoghi sicuri, di intessere relazioni significative e di nutrire l’anima, la mente e il corpo con prodotti e percorsi esteticamente e culturalmente significativi e belli; creare legami di prossimità, di amicizia, di condivisione con altre famiglie e frequentare contesti educativi e culturali che permettano di nutrire lo spirito, la mente e il cuore.

Molti sono i modi possibili e la musica può divenire un mediatore di ben-essere anche quando ci si trova di fronte a momenti delicati. I canti antichi ad esempio permettono di sintonizzarsi con le storie, con tracce di memoria, con narrazioni e fili che possono essere ricuciti giocando con la musica e risvegliando la musicalità innata. Essi possono contribuire a farci sentire parte di un tutto, eterogeno, sfaccettato, multicolore.


Le proposte introdotte nel presente volume sono anche pensate per voi! Mamme e papà con figli con e senza disabilità, in affido, adottati; per le famiglie tradizionali, arcobaleno, e ricostituite, per i genitori single o con disabilità; anche per coloro che vorrebbero ma non riescono ad avere figli ma esercitano la loro genitorialità con nipoti o figli di amici; per nonni, educatrici ed educatori affinché ciascuno a suo modo ed insieme agli altri possa utilizzare mediatori creativi e sentirsi capace di creare relazioni di attaccamento sicure o ricostruirle ed attivarne altre la dove sono presenti momenti di rottura. L’invito che si rivolge è quello di utilizzarle sperimentandone anche altre – altrettanto divertenti ed originali – con la speranza che ciascuno, nei differenti ambienti, anche culturalmente determinati, possa costruire nidi di coccole amorose, uscire dall’incubo della diversità o farne un elemento unico e originale. Vi auguro che anche gli altri, attraverso il vostro esempio, possano scoprirsi unici ed irripetibili ed anche i vostri figli -anche quelli non generati da voi, o che si trovano a vivere momenti di difficoltà e di estraneità – possano trovare un spazio di piacere in cui sentirsi amati e voi possiate con loro creare un legame di attaccamento sicuro.

Cantami ancora!
Cantami ancora!
Manuela Filippa, Elena Malaguti, Costantino Panza, Manuel Staropoli
Antiche melodie e giochi per crescere con la musica.Una raccolta di melodie antiche e giochi musicali per piccoli ascoltatori, per condividere con loro la magia della musica e del canto. Una raccolta di melodie antiche, cantate e suonate da secoli, che risuonano in noi e nei nostri bambini come il profumo dei fiori di campagna, dei sentieri conosciuti, già percorsi.Una raccolta di giochi, da fare con i propri figli, in coppia o insieme a più persone, che i nonni ci hanno tramandato.Canti e giochi con storie lontane, che il tempo ha custodito, commentati da genitori ed esperti di musica, pedagogia e pediatria, che possono aiutare i bambini e i genitori di oggi a trovare e mettere radici in questo nuovo mondo, radici vitali, gioiose, musicali.Questo e molto altro è Cantami ancora!, libro con CD allegato. Conosci l’autore Manuela Filippa, ricercatrice in psicologia e pedagogia musicale, si occupa di studi e progetti sperimentali sull’origine dell’esperienza musicale. Tiene regolarmente corsi di formazione musicale per insegnanti, educatori, operatori sanitari, genitori e bambini. È autrice di contributi, articoli, testi sulla musica e la prima infanzia. Elena Malaguti è pedagogista, psicologa e psicoterapeuta, esperta in sostegno e cura di eventi di natura traumatica, processi di resilienza e inclusione scolastica e sociale. Insegna Didattica e Pedagogia Speciale presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell'Università di Bologna e svolge attività di consulenza e supervisione a genitori, educatori, psicologi. Costantino Panza, specialista in pediatria e neonatologia, è pediatra di famiglia, marito e padre di tre figli. Collabora con l’Associazione culturale pediatri, Nati per la Musica e UPPA. È inoltre autore di diversi articoli scientifici e di divulgazione. Manuel Staropoli si occupa principalmente di Musica Antica eseguita su originali o copie di strumenti risalenti a Rinascimento e Barocco. Ha al suo attivo una notevole attività concertistica e tiene numerosi seminari e masterclass. Attualmente è docente di Flauto Dolce presso il Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, e di Flauto Traversiere presso il Conservatorio “A. Pedrollo” di Vicenza.