Prima parte - I

Crescere Musicali

Musica e musicalità

Il cantare insieme costituisce un valido incentivo alla formazione della vocalità eall’esternazione espressiva e creativa del proprio mondo interiore.

Ester Seritti

Il bambino è un essere musicale e per questo il canale privilegiato per “parlare” con lui sono i suoni. Quanto si diverte a giocare con la sua voce, prima di addormentarsi, quando lo cambiate o mentre si tocca i piedi, e quanto è attirato dai suoni che lo circondano? Il bambino sembra essere un esploratore sonoro: potete incoraggiarlo in questo suo gioco, imitando i suoi suoni e proponendogliene di nuovi. Capirà che state dialogando con lui e che i suoni che emette sono importanti per voi. Non abbiate fretta di indirizzare i suoi suoni verso il linguaggio: questo passaggio avverrà in modo naturale, ed è bello ascoltare la varietà dei suoni che lui sa produrre prima che diventino parole. In un “ma” che potrà diventare “mamma” ci sono tutte le note dell’affetto: una “m” sulle labbra, rotonda come un bacio e una “a” a bocca aperta, per sentire la pelle del seno con tutta la bocca. Provate ad ascoltare il suo “ma” e ripetetelo con tutta la ricchezza con cui lui ve l’ha regalato: scoprirete tanti significati, suoni sfumati, a volte indicibili a parole.


Tutti i suoni che il bambino produce, con la voce o con gli oggetti che lo circondano, il suo modo di muoversi, il suo tempo interiore e unico, i suoi gesti, le sue preferenze musicali, ciò che del mondo sonoro lo attrae, fanno parte della sua musicalità, del suo modo, fatto di voci, parole e ritmi, di stare al mondo. Qual è la musicalità del vostro bambino? Alcuni hanno un modo di stare al mondo leggero e sfumato, producono suoni sottili, cercano i dettagli, amano stare in equilibrio sul filo. Quali sono i loro canti antichi preferiti? Forse la melodia francese “C’est pour les enfants”, meraviglioso canto popolare del ’500, che Ludovico Einaudi ha scelto per aprire il suo disco “Le onde” o forse la danza “Teniamoci per mano” di Marin Marais?


Altri bambini hanno un tempo impetuoso e vitale, pieno di slanci, in cui le pause sono una semplice preparazione all’atto successivo. Questa è la loro musicalità e quale sarà il loro canto antico preferito? Forse “Imparare a volare”, in cui il gioco consiste nel prendere in braccio il proprio bambino, facendolo volare prima e girare poi; o forse “Gira, gira Gurdulù”, che sulle note di un turbinoso “Tourdion” invita i bambini a girare su loro stessi per poi, con la testa che gira, tentare l’impresa assurda di camminare su di un filo immaginario. Anche noi adulti abbiamo una musicalità nostra, che a volte facciamo fatica a esprimere, solo perché pensiamo che la musica sia per chi la fa di professione. Alcuni di noi la fanno per diletto, altri la ascoltano e basta. Alcuni cantano, ma solo in solitudine, altri provano un sentimento di nudità e forse di vergogna nel cantare.


Una cosa è certa: se noi genitori scopriamo su noi stessi il piacere di cantare, la bellezza di usare il nostro corpo come primo strumento musicale che da sempre ci appartiene; se arriviamo a godere dell’incanto di produrre, insieme ad altri, suoni che si incrociano, che con delicatezza si posano una sull’altro, che si confondono e che, a vicenda, si rivitalizzano, allora non riusciremo a trattenerci dal cantare per e con i nostri bambini.


E quali sono i canti antichi che preferiamo? Come risuonano in noi questi canti, che sembrano portarci in un altro tempo, in altri luoghi, per alcuni dimenticati? Saranno gli stessi che ama il nostro bambino?


Forse fra i 12 canti antichi troviamo un canto, un gioco che piace tantissimo a tutti e due: un indimenticabile “nostro gioco”, che custodirà le nostre complicità, per sempre.

Il bambino inventa canti nuovi

Può accadere che il bambino un giorno ci sorprenda e inizi a cantare qualcosa che non abbiamo mai sentito. Un canto nuovo, fatto di note, di parole messe in fila, una dopo l’altra senza senso compiuto o di parole inventate. Ha scelto di inventare qualcosa di nuovo, di creare un canto tutto suo: è arrivato il momento in cui mette insieme il vocabolario di suoni e parole che ha ascoltato fino a quel momento, per creare un canto nuovo. Lasciamoci sorprendere dai suoi canti inventati: sono il modo che il bambino usa per combinare suoni fino ad ora incontrati. Ma non solo: li trasforma e li fa propri, insomma ricrea e reinventa suoni e melodie. Sembra che voglia aggiungere anche le sue emozioni, il suo vissuto: per esprimere l’immagine di un animale grande e spaventoso inarca le sopracciglia, fa sporgere avanti le labbra e fa la voce più grossa che può. La canzone dell’Orso sarà un po’ diversa da quella che conosciamo e il bambino l’avrà fatta sua.


Il bambino sembra creare, inventare canti nuovi solo per il piacere di farlo: a volte non ce li fa neppure sentire, se li canta per sé nei momenti in cui ne ha più bisogno. Capita che lo faccia la sera, nel suo letto, quando fa troppa paura addormentarsi da solo; capita che li inventi mentre sta giocando con oggetti: le mani impegnate a costruire una torre, inventa un nuovo canto, solo per il piacere di farlo. Un canto che domani non sarà certamente più lo stesso. Provate a registrarlo e a riascoltarlo con lui: sarà molto interessato ad ascoltarsi, mentre compone e crea qualcosa che avrebbe altrimenti perduto.

Il mio bambino non canta più con me

Talora accade che i canti e i giochi musicali che al bambino piacevano tanto da piccolo, crescendo non gli piacciano più. Da quando è entrato alla scuola dell’infanzia, altri canti, che lui ha condiviso con i nuovi insegnanti e i compagni, sembrano aver sostituito i vostri giochi musicali.


Non ci scoraggiamo: è arrivato probabilmente il momento per lui di cantare in un altro modo, di farlo per comunicare con i nuovi compagni e con le figure di riferimento della sua vita nella comunità allargata. Facciamoci insegnare dal bambino – e dalle maestre – questi nuovi canti, potrebbero diventare un modo per unire simbolicamente due mondi spesso dolorosamente lontani: la casa e la scuola. E, magari, chiediamo al bambino se vuole portare a scuola le tracce audio delle musiche che cantavate insieme a lui, a casa. Potrebbe essere per il bambino un’occasione per portare con sé mamma o papà, per insegnare ai compagni e alle maestre nuovi giochi musicali e per superare il dolore del distacco.


I canti antichi possono contagiare: se gli insegnanti dei vostri bambini iniziano ad ascoltare queste melodie antiche e si faranno emozionare dalla loro bellezza, chissà, potranno usarle come musiche e canti per l’accoglienza e per giocare con un gruppo di bambini. I più curiosi, una volta cantata “Folle faccia”, andranno ad ascoltare le varie forme di Follia che nel tempo sono state composte, variate e suonate. Scopriranno allora che la chitarra rinascimentale che viene utilizzata nella Bergamasca piace moltissimo ai bambini della loro classe, che li invita subito al movimento, forse anche di più delle colonne sonore “del momento”, che arrivano, tormentano le nostre estati e qualche mese dopo sono sostituite da un nuovo prodotto del mercato discografico.

Non ha voglia di cantare? Il mondo della musica è lungo e largo

Non tutti i bambini hanno voglia di cantare: è normale. È anche normale che non tutti imparino un canto con la stessa prontezza o che non provino lo stesso piacere a inventare nuove canzoni. Ci sono bambini, zitti zitti, che stanno ad ascoltare per molto tempo prima di far sentire la propria voce.


La voce è intima, esce dal corpo, risuona dentro e dice tanto di noi: si rompe se siamo arrabbiati, si strozza in gola se ci viene da piangere e scoppia se ridiamo con la pancia. Non ci stupiamo, allora, se il nostro bambino rifiuta subito di esprimersi con il canto, e magari preferisce scoprire i suoni degli oggetti che lo circondano o danzare e muoversi con la musica. Non cadiamo nell’errore di pensare che “non sia portato”: l’idea del dono musicale è un mito da sfatare, che purtroppo ha messo a tacere tantissimi bambini perché sentivano di non saper cantare o di non sapersi muovere a tempo. Lo specchio della loro musicalità siamo noi, prima di tutto: se diamo loro un giudizio negativo non crederanno che sono cose che si possono imparare, ma piuttosto doni che hai o non hai. Osserviamo con attenzione la musicalità, i comportamenti musicali del bambino, le sue preferenze sonore, prima di giudicarlo poco dotato sotto questo profilo: ci sono bambini molto attenti ai suoni dell’ambiente, che durante una passeggiata nel bosco, restano incantati di fronte ai suoni del vento o al rumore dei propri piedi fra le foglie e che riescono a riprodurli con la voce in un modo straordinariamente espressivo. Hanno una notevole capacità di ascoltare i suoni, di distinguerli fra loro e di riprodurli! Altri, invece, anche se non cantano, chiedono mille volte di ripetere una filastrocca, un gioco musicale o un girotondo: per loro fare musica significa muoversi. Ogni volta che voi cantate lui si muove e improvvisa una danza con gesti morbidi e continui, che esprimono grazia, gioia o nostalgia. Che cosa sono queste cose se non aspetti della sua musicalità?


Scopriamo i comportamenti musicali dei nostri bambini e facciamo capire loro che sono importanti, non per diventare dei musicisti, ma per custodire e far crescere il loro rapporto privilegiato con i suoni e con la musica; con quell’arte che gioca con il tempo, che evoca ricordi, che dà forma alle emozioni, che crea complicità e che può diventare per nostro figlio l’occasione per farci capire cose di sé che a parole non riesce a dire.

Nutrire con i suoni e con la musica: canti e giochi musicali per prevenire e superare i momenti di crisi

La risorsa che hanno i bambini di fronte alla paura,per cui quando si trovano al buio si mettono a cantare e tutto passa.

Angelo Branduardi

Abbiamo tutti bisogno di nutrirci di musica, grandi e piccoli. Abbiamo bisogno del nostro rituale della buona notte – canto, racconto o filastrocca che sia – o di metterci in ascolto delle nostre emozioni, amplificate o addolcite da una musica che ci parla al cuore. Quante volte la musica ci è stata di consolazione, ci ha fatto sentire parte di un tutto più grande e ha fatto sollevare lo sguardo dalle piccole preoccupazioni quotidiane per andare oltre?


Accade anche ai bambini: basta cogliere la profondità del loro silenzio quando sono invasi dalla bellezza di una voce che canta o del suono di uno strumento musicale. Sono silenzi che forse durano solo qualche secondo, ma che impediscono al bambino di muoversi. Se un canto ha questa forza, questo potere, possiamo provare ad usarlo quando si presentano momenti difficili: durante il pasto, prima della nanna, per consolare e ritrovare la calma insieme al bambino.

Canto, anche se sono stonato? La musica è di tutti, anche mia!

Si incontrano spesso genitori ed educatori che, nel momento in cui si sono liberati del giudizio altrui sulla propria voce, o sull’essere più o meno intonati, sono diventati più armoniosi, più coraggiosi. Hanno scoperto che dentro di loro c’era la voglia di cantare e a volte di farlo a “gola spiegata”, proprio come il vento, che passa in una fessura e diventa suono. È stato come scoprire qualcosa di sé, d’inatteso, profondamente creativo e rivitalizzante; è come se avessero condiviso con i propri bambini, per la prima volta, il senso di sorpresa e di gioia di un’esperienza musicale. Da quel momento hanno ascoltato in un modo diverso.


Esistono genitori e insegnanti che purtroppo restano vittime di un’idea diffusa della “dote musicale”, che hai o non hai. E se sei fra quelli che non l’hanno… potresti dedicarti a un’altra forma artistica! Costoro provano una profonda vergogna a tirare fuori la voce, e cantare resta o una questione intima (da vivere in solitudine, in auto o sotto la doccia) o scompare. Eppure… la società consiglierebbe mai a bambini o adulti di non parlare – o di farlo sottovoce – perché non pronunciano bene le parole? Siamo tutti consapevoli che è possibile imparare ad articolare i suoni del linguaggio: se alcuni suoni sono più complessi e non sono subito ben articolati, si ricorre a esercizi specifici guidati da un esperto o, in semplicità, il bambino si esercita per arrivare a pronunciare bene la parola. Lo stesso accade per il canto: esistono periodi della vita in cui l’orecchio e la voce sono più facilmente “educabili” e impariamo i nuovi suoni con grande facilità. L’orecchio è attento ai cambiamenti, il bambino è motivato a riprodurre i suoni che sente e a giocare con la propria voce. Questi sono periodi particolarmente sensibili, ma a tutte le età possiamo imparare a cantare, anche da grandi.

Da sempre e ovunque si canta

Genitori e bambini di tutto il mondo, in tutte le epoche, hanno cantato senza dover seguire un percorso di formazione al “canto per bambini”… Il canto, accompagnato dal contatto fisico, dal dondolamento, è stato, fin dai tempi antichi, uno strumento con cui madri e padri si sono presi cura dei figli. Anche altri mammiferi utilizzano voci e canti nella cura dei propri cuccioli e, per educarli, usano suoni specifici che non utilizzano in altri contesti.


Il bambino si accorge subito della differenza fra un canto distratto, non diretto a lui, e uno a lui rivolto: non sono il canto e la parola o la musica, a essere in sé comunicativi, ma lo diventano se rivolti al bambino. Se diretti a lui, diventano più musicali, con un tempo rallentato, con una maggiore variabilità e la voce presenta slittamenti, tentennamenti, stonature. Anche l’equilibrio fra suono e silenzio diventa importante in questo gioco, perché ci si ascolta reciprocamente: provate a cantare una delle melodie proposte in questo libro, anche solo un pezzetto, e poi state in silenzio e osservate le risposte che vi dà il vostro bambino. Magari vi risponderà con il corpo, agitando braccia e gambe, nei momenti di silenzio e, intuitivamente, gli risponderete a vostra volta con una carezza e con un altro pezzetto di canto: si tratta di un gioco sottile di scambio, di intese, di armonizzazione reciproca della voce e dei gesti, come avviene fra musicisti che suonano insieme. Non ne siamo interamente consapevoli, ma sono questi i momenti importanti in cui viviamo insieme a nostro figlio l’esperienza di un ascolto profondo. E usciamo da questi momenti d’intimo incontro come se fossimo stati in un mondo diverso, senza tempo, in quello che Daniel Stern chiama il momento presente, o in quella città che Calvino ha descritto come “tutta in un punto”.


In questa prospettiva le parole della ricercatrice canadese Sandra Trehub sono particolarmente significative, allorché ci ricorda che cantare fa bene a chi ascolta e a chi canta. L’intimità del canto consente anche a mamme e papà di esprimere emozioni e pensieri altrimenti difficili da dire. In molti canti tradizionali e ninna nanne troviamo storie di abbandoni, di paure, di sofferenze: è come se cantando ci si consolasse, e nel canto si trovassero l’energia, la forza necessaria per continuare a prendersi cura del proprio bambino, anche se da soli o in condizioni di difficoltà.


Come non comprendere, allora, che musica e melodie hanno un significato profondo per i nostri bambini, quando sono cantati, giocati, scherzati e vissuti insieme? È molto diverso dal proporre loro musica registrata e altro ancora è l’ascolto distratto di musica scelta e proposta dai media. L’invito per tutti è dunque di utilizzare il materiale qui proposto per riappropriarsi di uno strumento inestimabile, che all’occorrenza può consolare e far addormentare, che può divertire e dare vita a corse, girotondi e fughe; che può essere un pretesto per una coccola sul tappeto o per far finta di essere un aereo e volare.

Una casa ecologica, fra giochi tradizionali e canti antichi

Quanti suoni e per quanto tempo sono presenti nella nostra casa? Che effetto hanno i rumori improvvisi sul nostro bambino? Sappiamo che, se possiamo difenderci con le palpebre dalle luci troppo forti, la stessa cosa non possiamo fare con l’udito, almeno finché non impariamo a tapparci le orecchie e ancora non basta.


Allora proviamo ad ascoltare quel che accade in casa in un giorno qualsiasi: c’è sempre la televisione accesa, come sottofondo? La radio trasmette di continuo e talvolta si aggiungono le musiche dei videogiochi dei fratelli grandi? I nostri piccoli sono oggi esposti a una notevole quantità di stimoli sonori e musicali che fanno fatica a gestire: da adulti siamo in grado di separare le informazioni uditive, di ignorare quelle meno importanti e concentrarci sulle altre, ma sappiamo poco di quel che accade durante lo sviluppo del bambino. D’altra parte, anche da adulti, crediamo che i rumori continui non abbiano effetto su di noi, sul nostro corpo, quando in realtà ci plasmano: basti pensare al piacere che proviamo, al collo e alle spalle, quando spegniamo la ventola della cucina. E, prima di spegnerla, neppure ci accorgevamo della tensione che stava provocando nel nostro corpo. Ci rendiamo conto allora che il sottofondo non sta sullo sfondo e basta, ma che è parte del paesaggio di suoni della nostra casa e che condiziona noi stessi e i bambini.


Se viviamo con la musica sempre accesa, come fa il bambino ad ascoltare la sua voce? Come fa a portare avanti questo gioco di scoperta che lo condurrà al linguaggio? Se la televisione, la radio trasmettono continuamente musica e parole, quando verrà voglia di cantare alla mamma, al papà o ai nonni? È molto diffuso il pregiudizio secondo cui se espongo il bambino a tanta musica, lui non solo svilupperà abilità musicali ma diventerà più intelligente. Comunemente conosciuto come l’effetto Mozart, oggi sappiamo che non ha quel significato che il sapere comune gli aveva attribuito: la musica non si somministra e non funziona “a quantità”, più ce n’è e meglio è. Anzi.


C’è un aspetto meraviglioso del mondo musicale, sostrato vivo di ogni esperienza sonora, che troppo spesso passa inascoltato: il silenzio. Educhiamo i bambini a godere del silenzio, così come dello spazio vuoto in casa: anche il bambino ne godrà e lo riempirà con giochi di voci e di oggetti.

I giochi della tradizione “a due”: fra adulto e bambino, o fra due bambini

Oggi il bambino vive fra molteplici e invadenti sollecitazioni anche nel mondosonoro, ma l’adulto gli offre poche occasioni di dialogo diretto.

Ester Seritti

Perché giocare è una cosa seria. Ogni genitore lo sa, ogni pedagogista lo dice. E quando ci troviamo sul tappeto con il nostro bambino, o seduti sulla sedia con lui sulle ginocchia, cerchiamo nella nostra memoria alcuni giochi o filastrocche che qualcuno, quando eravamo piccoli, ci aveva insegnato. Scava e ripensa, ecco che affiorano i “passatempi”. Passatempi è una parola davvero dei tempi passati: chi oggi ha bisogno di far passare il tempo? Nessuno – con tutto quello che ha da fare – si sognerebbe mai di entrare in libreria e chiedere un libro sui passatempi. Cercherà piuttosto un libro che lo aiuti a ottimizzarlo il tempo, a non perderlo, o che renda efficace ed efficiente il suo essere “genitore in poche ore”.


Purtroppo desideriamo altro – la lentezza, il tempo dilatato per stare con i nostri bambini – e siamo presi nei vortici senza tempo dell’urgenza. E in tutto questo, perché è importante giocare con passatempi, indovinelli e filastrocche? Oltre che essere divertente far saltare sulle ginocchia il proprio bimbo al ritmo di “Trotta trotta cavallino” o farlo scivolare lentamente verso il pavimento per poi tirarlo su, è anche importante per la sua crescita, e per molte ragioni.


Ester Seritti ci ricorda che

I giochi musicali ‘a due’ tratti dalla tradizione popolare offrono gratificazioni affettive e tattili molto formative. Questi hanno anche valenze cognitive per quanto riguarda la conoscenza corporea (es. “Questo è l’occhio bello”), l’orientamento nello spazio e nel tempo attraverso proposte di coordinazione motoria.

Ci dicono qualcosa, per esempio, delle nostre grandi paure: del timore d’essere abbandonati, di perdere il controllo del nostro corpo, della paura di perdere l’equilibro e di cadere, del nostro desiderio di scappare a patto che ci sia qualcuno che poi ci viene a prendere.


Canti, conte e filastrocche sono stati tramandati a noi dai nostri nonni, che a loro volta li hanno ricevuti in dono. Ma, dato che giocare è una cosa seria, questi giochi musicali sono stati tramandati con estrema cura, sono portatori di semi di relazioni passate e sono talmente importanti che hanno resistito al tempo, ai grandi cambiamenti, alle guerre, ai dolori. Forse perché sono essenziali per l’essere umano all’inizio della vita, forse perché ci insegnano più di quel che pensiamo.


Prendiamo, per esempio, le decine di giochi e conte tradizionali in cui l’adulto prende il bambino sulle ginocchia e lo butta giù, giù, giù, giù, per poi tirarlo su, su, su, su. Nelle varie parti d’Italia questo bambino viene buttato nel mare, nel torrente a cui si abbeverano le mucche, giù da un burrone e poi, alla fine, viene tirato, fortunatamente, su.


Probabilmente, quando un nonno prende un bambino sulle proprie ginocchia, poi lo butta a terra, lo lascia un po’ a penzoloni e lo ritira su non lo fa “solo” per giocare. Il nonno lo lascia un po’ a penzoloni, con la voce che descrive la discesa e l’equilibrio precario e poi il piccolo ritorna su, fra le braccia di quel nonno che prima l’aveva gettato.


Che cos’è se non giocare e rigiocare l’esperienza di separazione che il bambino vive quasi quotidianamente? È quel sottile gioco di equilibrio fra la paura d’essere davvero abbandonato nel torrente e la gioia d’essere ripreso; il piacere di stare a testa in giù, tenuto solo dalle mani della mamma, spinto indietro in bilico nel vuoto e poi ripescato con presa sicura. Che cos’è se non l’ambivalenza di essere spinto e salvato dalla stessa persona? Abbandonato e ripreso da te, con cui vorrei stare sempre. Quanti significati inspiegabili a parole si sono detti nonno e bambino: perché fare giochi musicali è una cosa davvero seria.


Provate a farlo sulle note di “Greensleeves”, nel canto “Fogliapesce”: proviamo a giocare con l’attesa del bambino, quando lo lasciamo a penzoloni – con le mani e con la voce – guardiamo che fa, cerchiamo di cogliere il sentimento misto di paura e di contentezza che il bambino vive con noi.


E il gioco di girare, girare, girare su se stessi fino a perdere l’equilibrio? Un altro gioco con il corpo che, prima dell’avvento delle attività a tavolino, faceva passare il tempo ai bambini. Che cos’è se non il riprovare a stare in bilico fra il saldo equilibrio del camminare e la bellezza di perderlo e di cadere per terra? Quanti giochi e danze si concludono con il cadere a terra? Un gioco di finzione, in cui, con l’aiuto di canti e filastrocche, il bambino si mette, ancora una volta, nella condizione di giocare a non stare più in piedi, a cadere come quando stava imparando a bilanciare pesi e corpo. Per questo abbiamo voluto inserire nel libro “Gira, gira Gurdulù”: Gurdulù, il personaggio che Calvino ci descrive ne Il cavaliere inesistente, girovaga perdendosi nelle mille forme che incontra per la sua strada. Ci è sembrato il personaggio ideale per ispirarci nel gioco di girare su noi stessi, velocissimi, nel turbine di un antico “Tourdion”; ma che cosa accade, nella seconda parte, quando chiediamo al nostro corpo di camminare sul filo? Facciamolo con il nostro bambino e ripercorriamo insieme a lui i momenti indimenticabili di conquista dell’equilibrio, in piedi, saldo sulle gambe.


E poi c’è il gioco del cucù: forse uno dei giochi più diffusi tra genitori e bambini, in tutto il mondo. Il gioco consiste nel nascondersi e poi riapparire. Ci si può nascondere dietro uno straccio, dietro alle mani o in movimento dietro un muro o un albero. Questo gioco è talmente diffuso da essere stato studiato nel dettaglio per spiegare quanto, in maniera assolutamente spontanea, un genitore, o adulto che sia, si sappia regolare sul comportamento del proprio bambino, tanto da farlo ridere senza tregua. A ben pensarci, è un gioco che assomiglia molto a quello del “adesso… ti prendo”: entrambi sono giochi senza oggetti, in entrambi ci si diverte a sorprendere, spaventare e rassicurare il bambino, entrambi sono semplici, universali e occasioni di apprendimento importanti.


Anche in questo caso, non c’è solo la risata: l’ambivalenza fra la paura creata dalla sorpresa di un viso che appare all’improvviso, la tensione della mamma nascosta, che apparirà, certamente, ma che ancora resta lì, dietro alle mani. Anche in questi giochi possiamo osservare il bambino che, in bilico fra l’attesa e la sorpresa, si diverte ad anticipare il momento in cui ritroverà l’adulto.


Non dimentichiamo i giochi di enumerazione: a decine li troviamo nelle raccolte di conte e filastrocche; si enumerano le dita della mano, le parti del corpo o le azioni. Molto spesso questi giochi di enumerazione, come nella famosa “Alla fiera dell’est” di Branduardi o nel gioco “Nella valigia metto…”, personaggi, parti del corpo o situazioni si accumulano uno sull’altro, consentendo al bambino di esercitare la memoria.


In questo libro, con il canto “Folle Faccia”, abbiamo enumerato le parti del viso: prendendo spunto dalla Follia, forse uno dei temi più variati e suonati nella storia della musica, abbiamo inventato un semplice canto di enumerazione che passa in rassegna le parti del corpo del bambino. Provate a cantare e a giocare “Folle Faccia”, e vedrete come il tema della Follia si possa allungare all’infinito per aggiungere, su consiglio del bambino, altre nuove parti del corpo.


Un ultimo gioco descriviamo in questa parte, un gioco giocato da sempre, da tanti, se non da tutti: lo si trova nel canto “Imparare a volare”. Probabilmente non ricordiamo se qualcuno ci ha preso e ci ha lanciato in alto per poi riprenderci… Ma senz’altro ricordiamo di averlo visto fare, da altri genitori, da amici, o lo abbiamo fatto noi stessi. Spesso i papà in questi giochi sono i più coraggiosi: amano sfidare la forza di gravità lanciando in alto il bambino, spaventando a morte chi li guarda, per poi riprenderlo un secondo prima che sfiori terra. I genitori più audaci fanno volare in alto il bambino togliendo addirittura il contatto con le mani. Se avete provato a farlo una volta, di certo non l’avrete fatto una volta sola: di sicuro il vostro bambino vi avrà chiesto di ripeterlo più e più volte. Un gioco che diverte molto, certo ambivalente, anch’esso a mezzo tra la paura essere lasciato, lanciato, e la gioia di essere ripreso. Se nella prima parte di questo gioco musicale il bambino vola, nella seconda parte sarete chiamati a farlo girare sempre tenendolo stretto. Non tutti i genitori amano fare questo tipo di gioco: alcuni amano giochi più tranquilli, e per loro, i preferiti, saranno i canti di coccole. Altri invece adorano stare in bilico E, per loro, i giochi sul corpo.


Che cosa succede allora se, guardando al passato, recuperiamo i giochi più belli che adulti e bambini fanno insieme e li cantiamo con melodie cantate da centinaia d’anni, che la nostra memoria non fa fatica a ricordare, e anzi, che ricordando ravviva note e melodie familiari? Per questo, in fondo a ogni scheda-gioco, ci sono le note, intese come annotazioni, come spazi bianchi, utili a segnare i momenti importanti, vissuti con i giochi musicali. Questi giochi cresceranno con il bambino: provate a tenere un diario sonoro, a rileggerlo insieme a lui, magari nei momenti in cui vi sentite lontani. L’augurio è che le memorie, giocate e vissute in musica, possano essere ricordate e rievocate anche nei momenti più difficili e ad anni di distanza.

I canti antichi

Perché proporre ai bambini i canti antichi? Perché andare a cercare così lontano nel tempo le melodie da cantare e da vivere nei giochi musicali?


E ancora, perché alle nostre orecchie queste antiche melodie, così come certe raccolte di Branduardi o canzoni di De André, ci riportano a mondi che sembrano oggi perduti? E perché ci emozionano così tanto? Che cosa evocano in noi mentre le ascoltiamo o le cantiamo e che cosa risvegliano nei nostri bambini?


Risponde Manuel Staropoli, musicista.

Si tratta di melodie semplici, molto orecchiabili e di facile memorizzazione e anche se molto antiche si presentano fresche e moderne. La peculiarità di alcune è di essere basate su “bassi ostinati” cioè su linee melodiche di sostegno con melodie ripetitive. Questo rende ancora più facile la loro assimilazione, avvicinando l’esecuzione ad un vero e proprio gioco (to play/Spiel/jouer… suonare e giocare nello stesso termine!).

La prima risposta che possiamo dare, dunque, è che quando cantiamo per i nostri bambini cerchiamo musiche fresche, semplicemente gioiose, cantabili, che arrivano al cuore. Nei tempi antichi, prima dell’avvento della tonalità, le melodie erano diverse da quelle che noi oggi conosciamo. Nascevano, prima di tutto, non per essere scritte, ma per essere tramandate da bocca a bocca, da bocca a orecchio. E per questo dovevano avere appigli per la memoria, si dovevano incollare, perché altrimenti andavano perse. Non erano cantate e pensate per essere scritte: avevano i caratteri dei poemi epici, delle poesie recitate, che qualcuno, troubadours, griots o menestrelli che fossero, doveva custodire e tramandare.


E la bellezza stava proprio lì: nel poterli cantare ad occhi chiusi, senza dover conoscere e leggere la partitura. E quando si canta qualcosa ad occhi chiusi, quando ce l’abbiamo nella memoria e nel corpo, possiamo permetterci di andare oltre. Possiamo per esempio improvvisare: proviamo ad iniziare un canto, un gioco, e decidere, improvvisamente o meglio improvvisando, di cambiare rotta. Forse perché il bambino ci ha dato un’idea nuova e noi ci lasciamo contagiare, lasciamo che ci sia un’idea sua nel gioco musicale. Ci viene persino la voglia di cambiare le parole del testo mettendo le parole da lui reinventate, o di aggiungere qua e là qualche nota che non c’era, perché non ce la ricordiamo bene o perché così ci piace di più. È il cuore della trasmissione orale di un canto o di un racconto, perché, a pensarci bene, le storie dei nonni avevano sempre qualcosa di diverso, da una volta all’altra. Un po’ perché la nonna si assopiva, perdeva il filo e un po’ perché le piaceva inventare. Accade quindi che la memoria faccia bellissimi scherzi e che, alla fine, il gioco musicale “Folle Faccia”, dal tema della Follia, sia molto diverso da com’era partito: con parti del corpo in più, con frasi allungate o ripetute perché il nostro bambino ci chiede di aggiungere parti del corpo decisamente offese per non essere state neppure nominate.


Un’improvvisazione di cui siamo capaci per natura, non perché l’abbiamo imparato da qualche parte: troppo complesso da imparare, troppo importante perché sia dimenticato o frainteso. E poi sono musiche che invitano a giocare, ci dice Manuel: l’esecuzione diventa un vero e proprio gioco.


Immaginiamo di avere un binario su cui far scorrere il nostro treno: ci divertiamo molto a seguire le rotaie, a volte a fare piccoli cambiamenti di rotta, per poi tornare sulla strada suggerita. Il gioco della Musica Antica somiglia un po’ a questo: ha spesso binari molto chiari che indicano le direzioni da seguire, quelli che Manuel ha chiamato i “bassi ostinati”. Sono gli elementi, i mattoni che si ripetono sempre uguali e che danno le direzioni al canto: ci aiutano e sostengono la melodia e saranno molto utili per costruire l’alfabeto musicale del bambino, che avrà ben chiara la strada da seguire.


Il musicista, poi, gioca con questa struttura, con le rotaie: si diverte a fare un gioco antichissimo, quello delle ripetizioni e delle variazioni. Lo abbiamo visto nel gioco del cucù, lo facciamo molte volte con i nostri bambini: ripetiamo a più riprese una storia allo stesso modo, finché, un giorno, non decidiamo di inventare qualcosa di nuovo. Certo non di totalmente nuovo: giochiamo, e lo fa anche il musicista, ad inventare qualcosa di nuovo in una storia, in una musica, ben conosciuta. Il musicologo Michel Imberty ci ricorda che ripetere e variare sono alla base della composizione musicale, così come dei primi dialoghi fra il genitore e il bambino.

Non è un bellissimo gioco?

Dare ai bambini un alfabeto musicale

Quali suoni, quali musiche nutrono le orecchie dei nostri bambini?

Sono tante le proposte musicali che arrivano ai piccoli e la maggior parte proviene da strumentazioni artificiali che non siamo noi a scegliere. Quante volte le orecchie del nostro bambino si possono nutrire di un canto diretto a lui? E di uno strumento suonato dal vivo? Quali alternative abbiamo per non subire le proposte musicali commerciali di televisione, radio, videogiochi? La strada migliore è… fare musica e cantare insieme!


Proviamo a cercare un alfabeto musicale che non sia solo quello trasmesso dalla televisione, attraverso i cartoni animati, o nei negozi. Proviamo a prenderci cura di quello che ascoltiamo, così come facciamo con ciò che leggiamo, con i nostri bambini.


Per dare un aiuto a chi vuole fare giochi musicali e cantare insieme al proprio bambino, siamo andati alla ricerca di melodie antiche, cantate da centinaia d’anni, suonate e cantate da musicisti professionisti così come da chi fa musica per diletto, variate, ricomposte, adattate ai contesti e agli strumenti disponibili. Abbiamo chiesto a Manuel, il musicista, di raccontarci qualcosa della musica antica.


Risponde Manuel.

Quella che noi definiamo musica antica, non è altro che il seme da cui si è generata la musica di grandi autori come Bach, Mozart, Beethoven… seme che però contiene l’energia di autori certamente non inferiori, come Vivaldi, Haendel… E per quanto possa essere grande un albero, esso stesso viene da un piccolissimo seme che contiene in sé tutta la sostanza vitale. La musica antica è questa, una essenza di semplici melodie, di armonie naturali di assoluta profondità.

Sta forse dunque nel potere vitale, generatore di queste melodie il motivo per cui ci sembra di conoscere questi brani da sempre e riusciamo a cantarli come se, in qualche modo, fossero parte di noi. Probabilmente abbiamo l’impressione di recuperare le radici di una musica profondamente nostra, di cui troviamo traccia in molte canzoni che oggi cantiamo e in molta musica che ascoltiamo. Questi canti contengono dunque semi germinativi, echi di mondi lontani che vorremmo ritrovare, mondi puliti, concreti e fatti di cose, vivi e vicini all’essenziale. Anche gli strumenti hanno un sapore diverso da quelli con cui quotidianamente si confrontano i bambini: provate ad ascoltare il violoncello, la viola da gamba o il flauto basso nelle tracce audio del libro. Possiamo anche provare a disegnare i suoni di questi “bassi ostinati”: attenzione, però, non disegniamo gli strumenti, ma proviamo a disegnare i suoni!


Quelli che Manuel chiama piccolissimi semi che contengono la sostanza vitale hanno il potere della contaminazione, sono riusciti cioè a gettare la propria influenza sui generi musicali più disparati. Alla fine di ogni gioco musicale, infatti, vi sono alcuni suggerimenti d’ascolto, per recuperare e ascoltare insieme queste contaminazioni, da Branduardi ai Jethro Tull.

Cantami ancora!
Cantami ancora!
Manuela Filippa, Elena Malaguti, Costantino Panza, Manuel Staropoli
Antiche melodie e giochi per crescere con la musica.Una raccolta di melodie antiche e giochi musicali per piccoli ascoltatori, per condividere con loro la magia della musica e del canto. Una raccolta di melodie antiche, cantate e suonate da secoli, che risuonano in noi e nei nostri bambini come il profumo dei fiori di campagna, dei sentieri conosciuti, già percorsi.Una raccolta di giochi, da fare con i propri figli, in coppia o insieme a più persone, che i nonni ci hanno tramandato.Canti e giochi con storie lontane, che il tempo ha custodito, commentati da genitori ed esperti di musica, pedagogia e pediatria, che possono aiutare i bambini e i genitori di oggi a trovare e mettere radici in questo nuovo mondo, radici vitali, gioiose, musicali.Questo e molto altro è Cantami ancora!, libro con CD allegato. Conosci l’autore Manuela Filippa, ricercatrice in psicologia e pedagogia musicale, si occupa di studi e progetti sperimentali sull’origine dell’esperienza musicale. Tiene regolarmente corsi di formazione musicale per insegnanti, educatori, operatori sanitari, genitori e bambini. È autrice di contributi, articoli, testi sulla musica e la prima infanzia. Elena Malaguti è pedagogista, psicologa e psicoterapeuta, esperta in sostegno e cura di eventi di natura traumatica, processi di resilienza e inclusione scolastica e sociale. Insegna Didattica e Pedagogia Speciale presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell'Università di Bologna e svolge attività di consulenza e supervisione a genitori, educatori, psicologi. Costantino Panza, specialista in pediatria e neonatologia, è pediatra di famiglia, marito e padre di tre figli. Collabora con l’Associazione culturale pediatri, Nati per la Musica e UPPA. È inoltre autore di diversi articoli scientifici e di divulgazione. Manuel Staropoli si occupa principalmente di Musica Antica eseguita su originali o copie di strumenti risalenti a Rinascimento e Barocco. Ha al suo attivo una notevole attività concertistica e tiene numerosi seminari e masterclass. Attualmente è docente di Flauto Dolce presso il Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, e di Flauto Traversiere presso il Conservatorio “A. Pedrollo” di Vicenza.