I giochi della tradizione “a due”: fra adulto e bambino, o fra due bambini
Oggi il bambino vive fra molteplici e invadenti sollecitazioni anche nel mondosonoro, ma l’adulto gli offre poche occasioni di dialogo diretto.
Ester Seritti
Perché giocare è una cosa seria. Ogni genitore lo sa, ogni pedagogista lo dice. E quando ci troviamo sul tappeto con il nostro bambino, o seduti sulla sedia con lui sulle ginocchia, cerchiamo nella nostra memoria alcuni giochi o filastrocche che qualcuno, quando eravamo piccoli, ci aveva insegnato. Scava e ripensa, ecco che affiorano i “passatempi”. Passatempi è una parola davvero dei tempi passati: chi oggi ha bisogno di far passare il tempo? Nessuno – con tutto quello che ha da fare – si sognerebbe mai di entrare in libreria e chiedere un libro sui passatempi. Cercherà piuttosto un libro che lo aiuti a ottimizzarlo il tempo, a non perderlo, o che renda efficace ed efficiente il suo essere “genitore in poche ore”.
Purtroppo desideriamo altro – la lentezza, il tempo dilatato per stare con i nostri bambini – e siamo presi nei vortici senza tempo dell’urgenza. E in tutto questo, perché è importante giocare con passatempi, indovinelli e filastrocche? Oltre che essere divertente far saltare sulle ginocchia il proprio bimbo al ritmo di “Trotta trotta cavallino” o farlo scivolare lentamente verso il pavimento per poi tirarlo su, è anche importante per la sua crescita, e per molte ragioni.
Ester Seritti ci ricorda che
I giochi musicali ‘a due’ tratti dalla tradizione popolare offrono gratificazioni affettive e tattili molto formative. Questi hanno anche valenze cognitive per quanto riguarda la conoscenza corporea (es. “Questo è l’occhio bello”), l’orientamento nello spazio e nel tempo attraverso proposte di coordinazione motoria.
Ci dicono qualcosa, per esempio, delle nostre grandi paure: del timore d’essere abbandonati, di perdere il controllo del nostro corpo, della paura di perdere l’equilibro e di cadere, del nostro desiderio di scappare a patto che ci sia qualcuno che poi ci viene a prendere.
Canti, conte e filastrocche sono stati tramandati a noi dai nostri nonni, che a loro volta li hanno ricevuti in dono. Ma, dato che giocare è una cosa seria, questi giochi musicali sono stati tramandati con estrema cura, sono portatori di semi di relazioni passate e sono talmente importanti che hanno resistito al tempo, ai grandi cambiamenti, alle guerre, ai dolori. Forse perché sono essenziali per l’essere umano all’inizio della vita, forse perché ci insegnano più di quel che pensiamo.
Prendiamo, per esempio, le decine di giochi e conte tradizionali in cui l’adulto prende il bambino sulle ginocchia e lo butta giù, giù, giù, giù, per poi tirarlo su, su, su, su. Nelle varie parti d’Italia questo bambino viene buttato nel mare, nel torrente a cui si abbeverano le mucche, giù da un burrone e poi, alla fine, viene tirato, fortunatamente, su.
Probabilmente, quando un nonno prende un bambino sulle proprie ginocchia, poi lo butta a terra, lo lascia un po’ a penzoloni e lo ritira su non lo fa “solo” per giocare. Il nonno lo lascia un po’ a penzoloni, con la voce che descrive la discesa e l’equilibrio precario e poi il piccolo ritorna su, fra le braccia di quel nonno che prima l’aveva gettato.
Che cos’è se non giocare e rigiocare l’esperienza di separazione che il bambino vive quasi quotidianamente? È quel sottile gioco di equilibrio fra la paura d’essere davvero abbandonato nel torrente e la gioia d’essere ripreso; il piacere di stare a testa in giù, tenuto solo dalle mani della mamma, spinto indietro in bilico nel vuoto e poi ripescato con presa sicura. Che cos’è se non l’ambivalenza di essere spinto e salvato dalla stessa persona? Abbandonato e ripreso da te, con cui vorrei stare sempre. Quanti significati inspiegabili a parole si sono detti nonno e bambino: perché fare giochi musicali è una cosa davvero seria.
Provate a farlo sulle note di “Greensleeves”, nel canto “Fogliapesce”: proviamo a giocare con l’attesa del bambino, quando lo lasciamo a penzoloni – con le mani e con la voce – guardiamo che fa, cerchiamo di cogliere il sentimento misto di paura e di contentezza che il bambino vive con noi.
E il gioco di girare, girare, girare su se stessi fino a perdere l’equilibrio? Un altro gioco con il corpo che, prima dell’avvento delle attività a tavolino, faceva passare il tempo ai bambini. Che cos’è se non il riprovare a stare in bilico fra il saldo equilibrio del camminare e la bellezza di perderlo e di cadere per terra? Quanti giochi e danze si concludono con il cadere a terra? Un gioco di finzione, in cui, con l’aiuto di canti e filastrocche, il bambino si mette, ancora una volta, nella condizione di giocare a non stare più in piedi, a cadere come quando stava imparando a bilanciare pesi e corpo. Per questo abbiamo voluto inserire nel libro “Gira, gira Gurdulù”: Gurdulù, il personaggio che Calvino ci descrive ne Il cavaliere inesistente, girovaga perdendosi nelle mille forme che incontra per la sua strada. Ci è sembrato il personaggio ideale per ispirarci nel gioco di girare su noi stessi, velocissimi, nel turbine di un antico “Tourdion”; ma che cosa accade, nella seconda parte, quando chiediamo al nostro corpo di camminare sul filo? Facciamolo con il nostro bambino e ripercorriamo insieme a lui i momenti indimenticabili di conquista dell’equilibrio, in piedi, saldo sulle gambe.
E poi c’è il gioco del cucù: forse uno dei giochi più diffusi tra genitori e bambini, in tutto il mondo. Il gioco consiste nel nascondersi e poi riapparire. Ci si può nascondere dietro uno straccio, dietro alle mani o in movimento dietro un muro o un albero. Questo gioco è talmente diffuso da essere stato studiato nel dettaglio per spiegare quanto, in maniera assolutamente spontanea, un genitore, o adulto che sia, si sappia regolare sul comportamento del proprio bambino, tanto da farlo ridere senza tregua. A ben pensarci, è un gioco che assomiglia molto a quello del “adesso… ti prendo”: entrambi sono giochi senza oggetti, in entrambi ci si diverte a sorprendere, spaventare e rassicurare il bambino, entrambi sono semplici, universali e occasioni di apprendimento importanti.
Anche in questo caso, non c’è solo la risata: l’ambivalenza fra la paura creata dalla sorpresa di un viso che appare all’improvviso, la tensione della mamma nascosta, che apparirà, certamente, ma che ancora resta lì, dietro alle mani. Anche in questi giochi possiamo osservare il bambino che, in bilico fra l’attesa e la sorpresa, si diverte ad anticipare il momento in cui ritroverà l’adulto.
Non dimentichiamo i giochi di enumerazione: a decine li troviamo nelle raccolte di conte e filastrocche; si enumerano le dita della mano, le parti del corpo o le azioni. Molto spesso questi giochi di enumerazione, come nella famosa “Alla fiera dell’est” di Branduardi o nel gioco “Nella valigia metto…”, personaggi, parti del corpo o situazioni si accumulano uno sull’altro, consentendo al bambino di esercitare la memoria.
In questo libro, con il canto “Folle Faccia”, abbiamo enumerato le parti del viso: prendendo spunto dalla Follia, forse uno dei temi più variati e suonati nella storia della musica, abbiamo inventato un semplice canto di enumerazione che passa in rassegna le parti del corpo del bambino. Provate a cantare e a giocare “Folle Faccia”, e vedrete come il tema della Follia si possa allungare all’infinito per aggiungere, su consiglio del bambino, altre nuove parti del corpo.
Un ultimo gioco descriviamo in questa parte, un gioco giocato da sempre, da tanti, se non da tutti: lo si trova nel canto “Imparare a volare”. Probabilmente non ricordiamo se qualcuno ci ha preso e ci ha lanciato in alto per poi riprenderci… Ma senz’altro ricordiamo di averlo visto fare, da altri genitori, da amici, o lo abbiamo fatto noi stessi. Spesso i papà in questi giochi sono i più coraggiosi: amano sfidare la forza di gravità lanciando in alto il bambino, spaventando a morte chi li guarda, per poi riprenderlo un secondo prima che sfiori terra. I genitori più audaci fanno volare in alto il bambino togliendo addirittura il contatto con le mani. Se avete provato a farlo una volta, di certo non l’avrete fatto una volta sola: di sicuro il vostro bambino vi avrà chiesto di ripeterlo più e più volte. Un gioco che diverte molto, certo ambivalente, anch’esso a mezzo tra la paura essere lasciato, lanciato, e la gioia di essere ripreso. Se nella prima parte di questo gioco musicale il bambino vola, nella seconda parte sarete chiamati a farlo girare sempre tenendolo stretto. Non tutti i genitori amano fare questo tipo di gioco: alcuni amano giochi più tranquilli, e per loro, i preferiti, saranno i canti di coccole. Altri invece adorano stare in bilico E, per loro, i giochi sul corpo.
Che cosa succede allora se, guardando al passato, recuperiamo i giochi più belli che adulti e bambini fanno insieme e li cantiamo con melodie cantate da centinaia d’anni, che la nostra memoria non fa fatica a ricordare, e anzi, che ricordando ravviva note e melodie familiari? Per questo, in fondo a ogni scheda-gioco, ci sono le note, intese come annotazioni, come spazi bianchi, utili a segnare i momenti importanti, vissuti con i giochi musicali. Questi giochi cresceranno con il bambino: provate a tenere un diario sonoro, a rileggerlo insieme a lui, magari nei momenti in cui vi sentite lontani. L’augurio è che le memorie, giocate e vissute in musica, possano essere ricordate e rievocate anche nei momenti più difficili e ad anni di distanza.