Lei ha affermato che dare uno smartphone a un bambino è come lasciarlo fuori da solo di notte. Oltre ai pericoli della rete, esistono dei pericoli a livello di sviluppo emotivo, cognitivo e sociale, soprattutto parlando dei più piccoli.
Quali sono gli effetti negativi, soprattutto sul piano emotivo, che un bambino può riportare se esposto precocemente ai mezzi digitali?
Diciamo che effettivamente adesso le neuroscienze cominciano a darci tutta una serie di indicazioni in relazione all’impatto che la vita online e la permanenza davanti ad uno schermo ha sullo sviluppo cognitivo-emotivo e anche sulle competenze di apprendimento dei bambini. Quello che vediamo è che interagire con uno schermo, intanto, è molto diverso rispetto ad interagire in un mondo reale con persone reali. Gli aspetti che ne vengono impattati sono, rispetto alla dimensione cognitiva e di apprendimento, il fatto che i bambini hanno una sovrastimolazione, una information overload, un sovraccarico di informazioni che in molti casi non sono in grado di gestire e conseguentemente non possono processare o elaborare, da cui di conseguenza si sentono probabilmente più travolti che sostenuti e aiutati.
Un secondo aspetto è che la presenza degli schermi in contemporanea ad altre attività che i bambini fanno, o i minori fanno, cioè lo stare connessi mentre si stanno facendo un sacco di altre cose nella vita, se da un lato sollecita la percezione o l’impressione che si possa essere in multitasking, dall’altro, invece, le neuroscienze ci dicono che il nostro cervello in realtà può sopportare anche il multitasking, ma non è fatto per essere multitasking, quindi, ogni volta che ci troviamo in tale modalità, noi in realtà abbassiamo la qualità delle cose che stiamo facendo in contemporanea.
Ora, siccome lo studio, l’attenzione, la concentrazione, i compiti cognitivi sono spesso assolti dai ragazzi che hanno un cellulare in modalità multitasking, questo effettivamente ha ridotto la capacità di attenzione, di concentrazione, anche la messa a punto di reti neuronali che sostengono le funzioni dell’attenzione, della concentrazione e della memorizzazione e quindi una delle cose che probabilmente e che in qualche modo le neuroscienze hanno già misurato e che sarà molto più evidente anche in futuro, è che alcune funzioni cognitive dei minori risulteranno di sicuro non compromesse, ma deficitarie nella popolazione degli utilizzatori di rete.
Molte funzioni che erano collegate all’uso di un pensiero attivo e operativo vengono adesso sostituite da una funzione vicaria dell’online, pensiamo per esempio alle ricerche, a cercare un dato in un’enciclopedia, dover fare una serie di operazioni cognitive complesse che in molti casi vengono sostituite da un semplice taglia e incolla dove non c’è produzione di pensiero, non c’è elaborazione.
A tutti questi aspetti dobbiamo fare davvero molta attenzione, perché se è vero che la scuola digitale può sostenere competenze e progetti di grande qualità, è anche vero che laddove non c’è il supporto dell’adulto, l’utilizzo che fa il bambino di questi strumenti è molto ricreativo e poco cognitivo o poco collegato all’apprendimento. Siccome in gran parte l’utilizzo che ne fanno in realtà è autonomo e in solitudine, il rischio è che questa cosa diventi molto importante.
L’altro elemento legato all’impatto emotivo è che il virtuale, la vita online in realtà fa sperimentare ai bambini una vita molto differente da quella reale, mentre tutta l’intelligenza operativa e senso-motoria del bambino è sviluppata sull’esplorazione del mondo reale che ha una forma, una consistenza, una concretezza, un odore, un sapore, un rumore, un suono. Il virtuale in realtà dà una iperstimolazione che nel reale non è possibile. Quello che riesce a far vedere il virtuale è molto di più, ed è molto amplificato rispetto al reale, ma lontano anni luce dal principio di realtà. Questo provoca in automatico uno sfasamento delle competenze innate e naturali del bambino.