capitolo V

La parola agli esperti

Bambini e smartphone: “troppo presto”

Intervista telefonica al dott. Alberto Pellai, psicoterapeuta, autore di molti libri, tra i quali Tutto troppo presto. (20 ottobre 2017)


Buongiorno, dottor Pellai, innanzitutto grazie per avermi dato la possibilità di intervistarla. Da circa due anni sto effettuando uno studio sugli effetti che l’uso/abuso di smartphone e tablet può avere sui più piccoli, parlo di bambini in età prescolare e scolare, considero la fascia 3/13 anni, ma l’età si abbassa sempre di più, ormai non è raro vedere bimbi di età inferiore ai 3 anni catturati da schermi digitali.

Da docente, ma soprattutto da mamma di una bambina di nove anni, mi pongo delle domande e rifletto sulla società che è in continua trasformazione, che ormai va nella direzione dell’informazione multipla, veloce, supportata da una tecnologia sempre più performante e pervasiva.

Cosa pensa lei da medico e da padre di questo rapido trasformarsi e del coinvolgimento così forte di bambini sempre più piccoli?


Credo che, come ho scritto anche nei miei libri, sia un passaggio davvero problematico, perché questo aver precocizzato la presenza delle tecnologie, ma in realtà aver sdoganato anche una vita online per bambini molto piccoli che non hanno le competenze cognitive, emotive per gestirne la complessità, in realtà ha portato a un paradosso di crescita significativo, per cui i bambini si trovano in un mondo che non è a loro misura, dove fanno moltissime cose e dove in qualche modo rischiano un po’ di perdere in parte la loro infanzia e in parte anche proprio dei passaggi di crescita che in infanzia vanno accompagnati, sostenuti, protetti e tutelati.

Lei ha affermato che dare uno smartphone a un bambino è come lasciarlo fuori da solo di notte. Oltre ai pericoli della rete, esistono dei pericoli a livello di sviluppo emotivo, cognitivo e sociale, soprattutto parlando dei più piccoli.

Quali sono gli effetti negativi, soprattutto sul piano emotivo, che un bambino può riportare se esposto precocemente ai mezzi digitali?


Diciamo che effettivamente adesso le neuroscienze cominciano a darci tutta una serie di indicazioni in relazione all’impatto che la vita online e la permanenza davanti ad uno schermo ha sullo sviluppo cognitivo-emotivo e anche sulle competenze di apprendimento dei bambini. Quello che vediamo è che interagire con uno schermo, intanto, è molto diverso rispetto ad interagire in un mondo reale con persone reali. Gli aspetti che ne vengono impattati sono, rispetto alla dimensione cognitiva e di apprendimento, il fatto che i bambini hanno una sovrastimolazione, una information overload, un sovraccarico di informazioni che in molti casi non sono in grado di gestire e conseguentemente non possono processare o elaborare, da cui di conseguenza si sentono probabilmente più travolti che sostenuti e aiutati.


Un secondo aspetto è che la presenza degli schermi in contemporanea ad altre attività che i bambini fanno, o i minori fanno, cioè lo stare connessi mentre si stanno facendo un sacco di altre cose nella vita, se da un lato sollecita la percezione o l’impressione che si possa essere in multitasking, dall’altro, invece, le neuroscienze ci dicono che il nostro cervello in realtà può sopportare anche il multitasking, ma non è fatto per essere multitasking, quindi, ogni volta che ci troviamo in tale modalità, noi in realtà abbassiamo la qualità delle cose che stiamo facendo in contemporanea.


Ora, siccome lo studio, l’attenzione, la concentrazione, i compiti cognitivi sono spesso assolti dai ragazzi che hanno un cellulare in modalità multitasking, questo effettivamente ha ridotto la capacità di attenzione, di concentrazione, anche la messa a punto di reti neuronali che sostengono le funzioni dell’attenzione, della concentrazione e della memorizzazione e quindi una delle cose che probabilmente e che in qualche modo le neuroscienze hanno già misurato e che sarà molto più evidente anche in futuro, è che alcune funzioni cognitive dei minori risulteranno di sicuro non compromesse, ma deficitarie nella popolazione degli utilizzatori di rete.


Molte funzioni che erano collegate all’uso di un pensiero attivo e operativo vengono adesso sostituite da una funzione vicaria dell’online, pensiamo per esempio alle ricerche, a cercare un dato in un’enciclopedia, dover fare una serie di operazioni cognitive complesse che in molti casi vengono sostituite da un semplice taglia e incolla dove non c’è produzione di pensiero, non c’è elaborazione.


A tutti questi aspetti dobbiamo fare davvero molta attenzione, perché se è vero che la scuola digitale può sostenere competenze e progetti di grande qualità, è anche vero che laddove non c’è il supporto dell’adulto, l’utilizzo che fa il bambino di questi strumenti è molto ricreativo e poco cognitivo o poco collegato all’apprendimento. Siccome in gran parte l’utilizzo che ne fanno in realtà è autonomo e in solitudine, il rischio è che questa cosa diventi molto importante.


L’altro elemento legato all’impatto emotivo è che il virtuale, la vita online in realtà fa sperimentare ai bambini una vita molto differente da quella reale, mentre tutta l’intelligenza operativa e senso-motoria del bambino è sviluppata sull’esplorazione del mondo reale che ha una forma, una consistenza, una concretezza, un odore, un sapore, un rumore, un suono. Il virtuale in realtà dà una iperstimolazione che nel reale non è possibile. Quello che riesce a far vedere il virtuale è molto di più, ed è molto amplificato rispetto al reale, ma lontano anni luce dal principio di realtà. Questo provoca in automatico uno sfasamento delle competenze innate e naturali del bambino.

Quali sono, secondo lei, i canali di educazione all’uso consapevole delle tecnologie? Penso alla scuola che negli ultimi anni sta facendo la rincorsa verso la digitalizzazione e informatizzazione, ai genitori che diventano sempre più dipendenti dalla tecnologia e sempre più distratti. Allora dove bisogna andare a toccare per poter promuovere iniziative di formazione e di educazione ad un uso critico e consapevole da parte dei ragazzi?


Direi che la scuola intanto deve veramente un po’ chiarire qual è il modello anche dal punto di vista antropologico e umanistico di bambino e bambina, ragazzo e ragazza che vuole interpretare. Per me i minori sono soggetti in formazione che hanno bisogno della relazione educativa, di avere relazioni nutrienti e strumenti, soprattutto che siano fase-specifici, cioè pensati appositamente per i loro bisogni educativi di crescita in quel momento del loro percorso evolutivo. Allora in questo ci possono stare anche le tecnologie con un progetto molto mirato dove appunto c’è un allenatore competente che le usa, però, ad hoc, non le fa diventare lo strumento per imparare tutto.


Il secondo aspetto è che, di fronte ad una generazione che ha in mano in modo pervasivo le tecnologie e le usa spesso in modo disfunzionale, diseducativo e involutivo, è necessario che la scuola richieda normative per costruire un progetto, un preventivo educativo dove, se la tecnologia è un fattore di rischio, chi si occupa di educazione deve sia individuare fattori di protezione che correggano l’impatto con i fattori di rischio, sia costruire competenze nei ragazzi, nei bambini, e negli educatori in modo particolare affinché nella relazione genitore-figlio questo tema, che è un tema problematico, venga inserito all’interno di un progetto educativo della famiglia e non lasciato all’estemporaneità. Proprio perché la scuola è il luogo della costruzione delle competenze, essa non deve solo andare nella direzione di scuola digitale, ma deve anche fornire informazioni alla famiglia, qualora si accorga che questa non ha le competenze educative per costruire un progetto intorno all’uso delle tecnologie. Così facendo, la scuola aiuta pure i propri studenti a trovarsi all’interno di un progetto scuola-famiglia in cui i loro bisogni di crescita sono considerati.


In questi ultimi dieci anni la scuola non ha dato indicazioni alla famiglia, magari vedendone solo i danni, e la famiglia non si è accorta dei danni che stava facendo la mancanza di un progetto educativo intorno all’uso di tecnologie.

Ha ancora un senso oggi che “lo smartphone ce l’hanno tutti”, educare i bambini ad un uso consapevole e porre limiti di età?

Ammesso che un genitore stabilisca un’età in cui dotare il figlio/a di smartphone, per esempio quattordici/sedici, come si fa se poi ce l’hanno tutti, già alle medie sono gli stessi docenti ad inviare materiale e compiti tramite i media, fornire comunicazioni sui gruppi whatsapp? Non si corre il rischio di emarginare il proprio figlio? Come fare per mantenere un proprio progetto educativo?


La domanda mi interpella anche come genitore nel senso che, avendo quattro figli e avendo stabilito come regola di famiglia che il cellulare sarebbe arrivato nelle loro vite alla fine della terza media, ecco, anche noi siamo stati in quella situazione di avere dei figli che rappresentavano una esigua minoranza rispetto agli altri compagni. Posso dire che non solo siamo sopravvissuti, ma penso che abbiamo vissuto e hanno vissuto bene anche loro.


Credo che le famiglie non debbano essere spaventate dal concetto di esclusione sociale, per cui “ce l’hanno i miei figli, perché ce l’hanno tutti”. Se io come famiglia mi occupo invece di coltivare il più possibile l’inclusione sociale dei miei figli, il loro gruppo di pari, la comunità, facendoli partecipare alla vita delle associazioni sportive, degli scout, dell’oratorio, alle attività extra-scolastiche, invitando i loro amici a casa, facendo in modo che le famiglie siano dei luoghi accoglienti in modo che i miei figli possano andare a casa degli altri, i figli degli altri possano venire a casa mia, ecco questi sono poi i reali bisogni di inclusione dei nostri figli.


È stata relegata la socializzazione dei figli dentro a dei microspazi, dato che le case non accolgono più i figli degli altri, che non ci sono luoghi di aggregazione nella comunità reale dove i ragazzi si possano trovare e incontrare. L’esclusione sociale dei nostri figli non è perché non hanno in mano un cellulare, ma perché gli adulti non costruiscono, non creano, non presidiano spazi di aggregazione sociale reali nel mondo reale per i ragazzi di questa età.

Si legge sempre più frequentemente di fenomeni di cyberbullismo anche alla primaria poiché i bambini usano i gruppi whatsapp. Che ci fanno i bambini con i gruppi whatsapp? È davvero utile a quell’età il gruppo whatsapp?


Secondo me per un bambino il gruppo whatsapp in effetti non è una cosa molto utile, infatti spesso la usa in modo alquanto maldestro. Potrebbe essere utile un gruppo whatsapp per il genitore, se ha una funzione di aggiornamento sui compiti, può funzionare, dopodiché è sempre meglio facilitare la comunicazione in presenza o, in assenza, la comunicazione verbale, fino a usare la voce, lo sguardo, il vecchio telefono.


La comunicazione nella relazione basata sul dialogo è certamente più ricca, completa, rientrano tutte le tonalità emotive che invece mancano ai messaggi, sms, o whatsapp. Io credo che il vantaggio del whatsapp sia semplicemente perché è gratis, non costa niente ed è immediato. Tuttavia esso crea un luogo che invece di essere un luogo di comunicazione è un luogo di non-comunicazione, dove i bambini comunicano il nulla, proprio perché dentro uno strumento così non sanno esattamente cos’è che va comunicato.

Come ultimo, ma non di minore importanza, tocco un po’ il tema delle onde wi-fi e dunque dei possibili rischi dovuti all’esposizione fin dalla tenera età. Ormai il wi-fi è dappertutto, anche e soprattutto a scuola e in casa. In assenza ancora di prove scientifiche della correlazione tra onde e danni cerebrali, soprattutto per i più piccoli, forse in fatto di bambini, dovremmo essere più attenti. In alcuni paesi, come Francia, Inghilterra, ci sono norme legislative circa l’impego del wi-fi nelle scuole o nelle biblioteche, o anche in materia di pubblicità televisiva in fascia protetta. In Italia c’è poco o nulla. Cosa si potrebbe fare a livello legislativo per tutelare mag- giormente l’infanzia?


Questa risposta non gliela so dare, perché tutto l’aspetto di tutela legale, giuridica, spetta a un legislatore e non a uno psicoterapeuta. Io posso dire che la pornografia fa male ai bambini, ma in questo momento non posso dire che le radiazioni del wi-fi fanno male ai bambini, perché come prove cliniche, evidenze cliniche, linee guida internazionali, ancora nulla è stato prodotto. Nel momento in cui qualcuno mi dirà in modo chiaro che l’effetto delle radiazioni, delle onde è pericoloso per i bambini, è chiaro che come medico non farò altro che sostenere che esiste un limite di età, che esistono delle limitazioni di contaminazione ambientale e che si facciano leggi in questa direzione, che è un po’ quello che è successo per il tabacco, quando finalmente si è potuto dire… e speriamo che non ci siano interessi di mercato come c’erano stati ai tempi… pensando a quello che facevano le multinazionali per nascondere i dati di evidenza scientifica. Le prove provate, se ci sono pericoli, speriamo di averle al più presto possibile; se non ci sono, speriamo di essere tranquillizzati in modo obiettivo e oggettivo, che il pericolo non esiste. Quando avremo queste prove, poi anch’io potrò dire qualcosa; in questo momento io non saprei dire come si fa a produrre una legislazione con fattore di rischio che non è dimostrato.


La ringrazio sinceramente per l’attenzione e la disponibilità.

Bisogni educativi speciali e tecnologie

Intervista a Giuseppina Piras, psicologa clinica e docente di sostegno nella scuola secondaria superiore, effettuata in data 8 gennaio 2018.


Quando si parla di tecnologie e di rischi, soprattutto per l’infanzia e l’età evolutiva in generale, come in questo studio, ci si riferisce a smartphone e tablet usati in modo pervasivo, come strumenti di intrattenimento, surrogati genitoriali e baby-sitter digitali. Le tecnologie, invece, sono anche strumenti positivi di supporto e apprendimento, se inseriti in un progetto didattico guidato da un adulto competente. In alcune situazioni, come per esempio le disabilità o i disturbi/difficoltà d’apprendimento, le tecnologie possono migliorare le condizioni. Quali sono gli ambiti principali in cui vengono usate?


Attualmente risulta in forte aumento il numero di alunni con bisogni educativi speciali, ovvero con disturbi specifici di apprendimento, disturbi emozionali e comportamentali, svantaggio sociale o linguistico, malattie fisiche e altre situazioni di difficoltà. Sebbene siano situazioni molto diverse tra loro, hanno in comune necessità che richiedono interventi mirati a bypassare le loro specifiche difficoltà. Occorre una didattica inclusiva, da Ianes definita “della speciale normalità”, finalizzata a realizzare una reale inclusione di tutti gli alunni, non solo degli studenti disabili o con bisogni educativi speciali ma anche degli studenti cosiddetti “normali”, ognuno dei quali ha proprie peculiarità e un proprio stile di apprendimento.

A proposito di disabilità, in quali ambiti vengono usate le nuove tecnologie per migliorare le loro condizioni?


Le tecnologie vengono usate soprattutto nella prevenzione di malformazioni genetiche, nella riabilitazione e nel perseguimento della piena inclusione sociale. In ambito scolastico le tecnologie cosiddette “assistive”, o ausili, sono hardware o software realizzati appositamente per i soggetti disabili e, nel caso di gravi disabilità, esse rappresentano uno strumento indispensabile per favorire l’indipendenza. I software utilizzati possono essere a carattere didattico oppure essere software speciali e software dedicati . I software didattici sono programmi per l’apprendimento che, in particolari casi, possono essere adoperati anche da alunni disabili. Il software speciale è predisposto per alunni con bisogni educativi speciali, mentre il software dedicato serve al recupero di alcune disabilità, ad esempio lo screen reader, ovvero lettore di schermo per comunicare alla persona non vedente cosa compare sullo schermo del Pc. Non dimentichiamo gli ausili informatici per il raggiungimento di una maggiore autonomia e integrazione scolastica degli alunni con ritardo mentale.


Le tecnologie didattiche possono assumere diversi ruoli: quello compensativo, che abilita a fare delle cose che altrimenti sarebbero precluse. Esistono ad esempio degli apparecchi Braille portatili che consentono di realizzare le principali funzioni del PC ovvero scrivere, rileggere, salvare, inviare mail senza alcuna periferica aggiuntiva. Non meno importante è il ruolo di favorire l’accesso ai contenuti disciplinari, basti pensare all’uso del sintetizzatore vocale per i dislessici molto gravi. Infine, in alcuni contesti di apprendimento tali tecnologie permettono di sviluppare capacità e competenze, ad esempio i software per eseguire disegni tecnici per gli alunni disgrafici con grossi problemi di coordinazione e orientamento spaziale. Naturalmente, l’efficacia di un prodotto informatico è resa possibile a condizione che venga adattato alle specifiche esigenze degli alunni che lo adopereranno. Nel caso di ritardo cognitivo, per esempio, come sostiene Fogarolo, si devono regolare le difficoltà delle consegne, scegliere i feedback più appropriati in base al livello di attenzione dell’alunno, stabilire la velocità degli esercizi ecc.

A proposito di alunni con ritardo mentale, quali sono le caratteristiche specifiche del computer che spiegano la grande abilità di questi soggetti nel farne uso?


L’applicazione del computer alla didattica degli alunni disabili, ma non solo, è particolarmente indicata per vari motivi. In primo luogo, crea una grossa motivazione in quanto strumento usato dagli adulti e dalle persone cosiddette “intelligenti”. Ciò oltretutto aumenta l’autostima e il senso di competenza; in secondo luogo esso rende chi lo usa più attivo, direi “interattivo”. In quanto strumento manipolativo delle varie informazioni, seppure digitali, permette di attivare delle proprie potenzialità creative, soprattutto per i primi apprendimenti della scuola primaria. Sono infatti strategie didattiche di esplorazione e scoperta attraverso le quali l’apprendimento avviene in maniera più “costruttiva”. Questi stessi programmi esercitativi possono giocare un ruolo chiave nei processi educativi di soggetti con difficoltà cognitive (o di apprendimento), in quanto la loro meccanicità e ripetitività viene spesso sentita come gratificante e consente di ottenere una maggiore applicazione e, in sintesi, risultati migliori.


Un terzo motivo è rappresentato dal fatto che l’associazione del computer ad altri computer o software, persino il collegamento web, favorisce modelli di apprendimento collaborativo. Infine, le tecnologie, se usate bene, aumentano la metacognizione, ovvero la riflessione sui propri processi cognitivi. Basti pensare ad alcuni giochi didattici in cui il feedback positivo o negativo immediato richiede aggiustamenti della risposta.


Ma ci sono tanti altri motivi che rendono molto accattivante questo strumento: l’aspetto multisensoriale, rende più concreti concetti troppo astratti, i legami tra i diversi dati hanno un carattere “ipertestuale” e soprattutto “multimediale”. Il suono e l’immagine facilitano l’accesso ai testi scritti e questo spiegherebbe la facilità d’uso per i soggetti con ritardo cognitivo. Infine, non dimentichiamo l’aspetto ludico con cui vengono impostati certi software didattici. Sull’argomento, gli studi dello psicologo e linguista del CNR Francesco Antinucci possono aiutarci a comprendere meglio i meccanismi di apprendimento implicati in queste attività ludiche.

Quando parli di attività ludiche, riferendoti ad Antinucci, parli di videogiochi? Possono dunque trovare applicazione in ambito didattico? In che modo?


Antinucci fa riferimento ai videogiochi, ma il discorso lo allarga successivamente anche all’uso del computer. Secondo lo studioso i videogiochi si adattano perfettamente ai meccanismi della mente, in quanto costituiscono una sorta di riproduzione delle funzioni fondamentali del pensiero. In un articolo del 1992 su “Psicologia contemporanea”, seguendo lo sviluppo cognitivo descritto da Piaget, effettua una classificazione dei videogiochi secondo tre livelli di funzionamento cognitivo. La prima tipologia si riferisce ai giochi di abilità, come “devi colpire un bersaglio o scansare un avversario”, in cui sono sollecitate destrezza e prontezza di riflessi che stimolano l’esercizio delle coordinazioni senso-motorie alla base dell’apprendimento infantile. La seconda tipologia si riferisce agli adventure games, o giochi d’avventura abbinati allo sviluppo del pensiero rappresentativo simbolico; in questi giochi, dove si affrontano viaggi in luoghi fantastici, vengono stimolati immaginazione, intuito, inventiva, altra tappa importante nella crescita dei bambini. La terza categoria riguarda i giochi di simulazione e strategie associati allo stadio cognitivo definito da Piaget operatorio logicorelazionale. In questi giochi, in cui è richiesto per esempio di governare una città e le sue risorse, vengono sollecitate le capacità di ragionamento logico e coerente. In pratica, le tre tipologie ripropongono gli stadi fondamentali dello sviluppo mentale descritti da Jean Piaget.


Soprattutto nella scuola primaria, dove i bambini sarebbero oltretutto più motivati ad apprendere per l’impostazione ludica del processo. Non farebbero grandi sforzi in quanto biologicamente predisposti… Sarebbe, come dire, un apprendimento naturale. Sarebbe anche un apprendimento basato sul learning by doing, ovvero imparare facendo attivamente le cose. Il soggetto è emotivamente più coinvolto e dunque più stimolato ad apprendere.

Questa enfasi data ai videogiochi come strumenti di apprendimento mi lascia un po’ perplessa. I videogame di un certo tipo e utilizzati in fasi evolutive non adatte, senza un filtro, un controllo e un contesto potrebbero creare problemi evolutivi superiori ai benefici. Questa posizione sembra non tenerne conto…


Antonucci sostiene che il videogioco come simulatore della realtà sia lo strumento tecnologico più intelligente che esista. Naturalmente, mette l’accento sui simulatori di una realtà banale e “stupida”, come tirare freccette su un bersaglio, e simulatori di una realtà più complessa con giochi del tipo SimCity. Tutto sta nell’esercitare la mente con l’uso di videogiochi stimolanti e creativi. E qui subentra il ruolo dell’adulto competente. Questo non significa trasformare l’aula scolastica in una sala giochi, ma semplicemente integrare le formule tradizionali d’insegnamento e apprendimento con i nuovi linguaggi.

Nel caso dei “normodotati” invece, l’uso delle tecnologie spesso diventa centralizzato ed esclusivo. In altri termini, internet in particolare diventa l’unico canale di informazione e acquisizione di conoscenze. Io credo, invece, nel libro, meglio se cartaceo, per sviluppare un certo tipo di conoscenze, di pensiero, di capacità di rielaborazione e sintesi. Dobbiamo pensare che il libro sia obsoleto in una società veloce e informatizzata?


Il computer non deve sostituire il libro, ma affiancarlo, supportarlo. Quando una persona a causa di un deficit motorio ha bisogno di usare una carrozzina perché non può camminare, ha bisogno anche di una educazione all’uso della stessa. Deve imparare ad usarla adeguatamente e in autonomia all’interno degli spazi di movimento. La stessa cosa avviene con le nuove tecnologie. Con Internet siamo sottoposti ad un’overdose di informazioni che crea confusione e disorienta. Occorre svolgere un lavoro educativo anche a livello sociale per utilizzarlo in modo appropriato e intelligente, così come in precedenza si è fatto e tuttora si fa circa la fruizione televisiva.

Come si pone l’uso massiccio dei dispositivi digitali, e dunque di internet, in riferimento ai processi di attenzione e concentrazione, fondamentali per apprendere e portare a termine un compito?


Attraverso il suo modo di funzionare e le sue richieste, internet favorisce un tipo di atteggiamento distratto e poco concentrato. Gli stimoli si succedono velocemente, suoni e immagini in movimento catturano l’attenzione.


La lettura di libri favorisce l’attenzione focalizzata su un unico compito con la necessaria continuità; internet col suo carattere multisensoriale e ipermediale favorisce un’attenzione alternata, ovvero la capacità di eseguire più compiti digitali, spostando le risorse attentive da uno all’altro per poter svolgere più compiti in parallelo. Il multitasking incoraggia, attraverso le continue interruzioni e le varie interferenze di immagini, suoni, animazioni, messaggi, attività simultanee e concorrenziali che sovraccaricano la memoria di lavoro precludendo riflessioni ed elaborazioni successive. Un primo aspetto di questo fenomeno è che internet, ma anche smartphone e tablet, non sembra favorire il pensiero lineare, logico-razionale, in cui i ragionamenti si susseguono secondo una logica coerente e sequenziale partendo da un punto “A” per arrivare a un punto “Z”. I pensieri si disperdono, i concetti non vengono approfonditi e pertanto possiamo aggiungere che la tecnologia informatica da una parte facilita l’apprendimento ma, laddove manchino degli opportuni filtri, lo stesso apprendimento diventa superficiale. Ecco perché, e lo stesso Antinucci non lo esclude, occorre utilizzare anche i libri.

Un’altra domanda riguarda i possibili effetti negativi dell’uso indiscriminato delle tecnologie informatiche nei processi di apprendimento. Pensavo agli alunni DSA… se per un determinato bisogno dell’alunno trovo uno strumento dispensativo o compensativo, non finisco per penalizzare lo sviluppo di competenze specifiche di una determinata disciplina? Ad esempio, per un alunno disortografico, l’uso del correttore automatico non lo aiuta ad evitare gli errori ortografici… un po’ come il navigatore Gps che non fa memorizzare le strade all’automobilista come sostiene Spitzer….


La tua domanda è legittima. Le tecnologie didattiche usate in modo adeguato devono servire principalmente a favorire il raggiungimento dell’autonomia nell’organizzazione dello studio e un’indipendenza nella produzione. Su questo non c’è niente da eccepire. Le misure dispensative e compensative da un lato agevolano l’alunno, attenuando richieste per lui invalicabili, dall’altro gli impediscono di lavorare in autonomia, che è un obiettivo fondamentale. Tali “aiuti” devono essere orientati a far raggiungere obiettivi che altrimenti da solo l’alunno non potrebbe raggiungere, ma non devono essere eccessivi e deresponsabilizzanti, altrimenti si rischia realmente di creare nuovi “handicap”, non dando la possibilità di esprimere il proprio potenziale cognitivo e creativo in generale.


Grazie per la disponibilità.

Tecnologia e bambini: emergenza educativa e sociale

Intervista a Victoria Prooday, terapeuta pediatrica occupazionale, autrice dell’articolo La tragedia silenziosa che sta colpendo i bambini di oggi (Canada). Videochiamata skype effettuata il 23 gennaio 2018.


Buon pomeriggio, dottoressa Prooday e grazie per avermi dato questa grande opportunità!

Vorrei rivolgerle alcune domande a proposito dell’uso precoce della tecnologia e dei suoi effetti sui bambini.

Come madre e insegnante, sono davvero preoccupata a riguardo dell’uso pervasivo e precoce della tecnologia e dei suoi effetti a livello sociale ed emotivo. Prendo in considerazione una sorta di alessitimia, intesa come disregolazione affettiva, una difficoltà nel riconoscere le emozioni, che trova la sua origine nell’uso precoce di modelli comunicativi attraverso gli schermi.

Cosa succederà se queste condizioni continueranno? In altri termini, quali saranno gli effetti in un futuro più o meno vicino, se i bambini iniziano e continuano ad adottare tali modalità di comunicazione e interazione interpersonale basata sugli schermi?


In effetti c’è un forte legame tra un uso precoce delle tecnologie e i suoi effetti sullo sviluppo socio-emotivo. Negli ultimi dieci anni ho espresso la mia preoccupazione nel vedere una drastica diminuzione delle abilità socio-emotive nei bambini. Credo si tratti di una vera tragedia per l’umanità. È stato scientificamente provato che il cervello è plastico. L’ambiente può riprogrammare il cervello in meglio o in peggio. Come ho scritto nel mio articolo La tragedia silenziosa che sta colpendo i bambini di oggi, gli stili di vita che offriamo ai nostri bambini oggi riprogrammano in peggio il loro cervello. Pertanto, il drastico aumento di ansia, depressione, disagio emotivo e difficoltà d’apprendimento nei bambini non dovrebbe sorprenderci più di tanto. In molti casi è il riflesso dell’infanzia disabilitante che stiamo offrendo loro. Ovviamente ci sono e ci sono sempre stati bambini nati con condizioni preesistenti e la tecnologia non è la causa della loro disabilità, tuttavia, l’abuso di tecnologia può peggiorare condizioni pregresse. Se continuiamo in questa direzione, l’ansia, la depressione e l’incidenza di suicidio nei minori continueranno ad innalzarsi vertiginosamente e ci ritroveremo di fronte ad una generazione di adulti infelici e disconnessi.


La situazione è ancora reversibile. Una volta che i genitori modificano lo stile di vita dei propri figli e compiono uno sforzo consapevole nel controllarne l’uso dei dispositivi, vediamo drastici cambiamenti nei sintomi.

Dunque è possibile cambiare direzione, ecco perché l’informazione è importante specialmente per i genitori, i quali non sempre sono consapevoli di ciò che la tecnologia può provocare.

Quello che lei ha detto, si collega alla prossima domanda.

Da insegnante, vedo un aumento cruciale di problemi e difficoltà d’apprendimento. Qualcosa sta succedendo, qualcosa stiamo sbagliando come genitori ed educatori. Dunque, cosa possiamo fare per fermare tutto ciò? Per cambiare direzione?


L’abuso di tecnologia innesca una sovraeccitazione del sistema nervoso che incide negativamente sulla capacità di autocontrollo del bambino e sull’attenzione. I bambini di oggi si aspettano una gratificazione istantanea e non sono capaci di controllarsi in un lavoro monotono che è essenziale per l’apprendimento. Il loro cervello è programmato per aspettarsi costantemente un alto livello di stimolazioni e nel momento in cui tutto diventa più tranquillo o “noioso”, sono incapaci di funzionare. Credo che la chiave sia la formazione dei genitori. Innanzitutto, gli insegnanti devono parlarne. Essi sanno bene che ci sono ostacoli maggiori nell’insegnare ai bambini di oggi. Sanno che i problemi non sono “solo i problemi normali”. I docenti osservano i disagi dei bambini a proposito di attenzione, apprendimento, abilità socio-emotive. Purtroppo i genitori non sono consapevoli del fatto che le difficoltà dei figli sono reali e molto diverse da quelle “normali”.


In secondo luogo, so che i genitori vogliono il meglio per i propri figli, ma hanno bisogno di essere informati su cosa sia “il meglio”. Hanno bisogno di linee guida sull’uso delle tecnologie da parte dei bambini e su attività che sostituiscano la tecnologia.


Questo tipo di formazione deve essere fornito a tutti i livelli, partendo dalle sale parto, dagli studi pediatrici, da seminari sulla genitorialità, seminari a scuola sui metodi educativi, dai media. Rimettere i nostri figli sul giusto percorso di crescita è nell’interesse dell’intera società.

E si annoiano facilmente, sono incapaci di tollerare la frustrazione, un fallimento, un brutto voto, per esempio.


Purtroppo stiamo allevando una generazione di bambini impreparati per la vita reale! Abbiamo creato nel loro cervello l’illusione che la vita sia solo divertimento, sia fare tutto ciò che si vuole e ottenere tutto in qualsiasi momento. Sfortunatamente la vita reale non è cambiata. È ancora dura e piena di ostacoli. Le richieste per il successo sono ancora le stesse, ma i nostri bambini non sono preparati a far fronte a queste richieste. Quando si trovano di fronte alla vita vera, crollano; non ce la fanno ad affrontarla. Che tipo di futuro li attende se i nostri bambini non sono capaci di affrontare un brutto voto, se non riescono a gestire la minima noia? Come affronteranno l’età adulta?

Focalizzo l’attenzione sul declino dell’empatia collegato soprattutto ai videogiochi violenti, specie se giocati in età precoce e a lungo, all’uso di smartphone come strumento di comunicazione interpersonale, soprattutto in tenera età. Possiamo affermare ciò? E se sì, quali sono le aspettative per la società futura?


Come te, anch’io vedo un preoccupante declino dell’empatia. Credo che l’esposizione precoce ai giochi violenti sia uno dei fattori che contribuiscono al declino.


Ci sono un paio di problematiche associate ai giochi violenti in età precoce. Prima di tutto, il cervello di un bambino non è in grado di differenziare tra esperienze reali e virtuali. Durante un gioco violento, il cervello rilascia ormoni dello stress come se si trattasse di un fatto reale.


Dall’altro lato, credo che un’esposizione precoce a uccidere sugli schermi renda normale la violenza e diminuisca l’empatia. Inoltre, ore davanti allo schermo sottraggono tempo per l’interazione faccia a faccia, che è essenziale per lo sviluppo delle abilità socio-emotive, inclusa l’empatia.


L’empatia è essenziale per creare connessioni, costruire e mantenere relazioni. Il declino dell’empatia sfocerà in solitudine e disconnessione nell’età adulta che, purtroppo, contribuirà all’ulteriore aumento di dipendenze da droghe, depressione, ansia e suicidio.

Si può parlare già di dipendenza durante l’infanzia?


Sì, certo! Sappiamo che la tecnologia innesca il rilascio di dopamina allo stesso modo delle droghe. Nella mia esperienza, vedo centinaia di bambini dipendenti dalla tecnologia. Tutto ciò di cui si interessano sono i giochi al computer. Tutto ciò di cui parlano è giocare ai giochi al computer. Quando l’accesso ai giochi è limitato, manifestano sintomi di isolamento.

La mia ultima domanda nasce da un dubbio che talvolta potrebbe farsi strada in noi genitori. Tenere un bambino lontano da smartphone, tablet, usare altre strategie di comunicazione, parlare, giocare in modo tradizionale, insomma, non rischiano tutte queste cose di tenere un bambino “indietro” in questa società?


La mia domanda è: “Tenere i bambini indietro in cosa?” È stato scientificamente dimostrato che la chiave per la felicità e il successo nella vita è l’intelligenza emotiva, non le abilità informatiche.


Più i bambini hanno opportunità di essere coinvolti in interazioni interpersonali, più sviluppano l’intelligenza emotiva. Più tempo trascorrono davanti agli schermi, meno opportunità hanno di sviluppare le loro abilità di intelligenza emotiva. Le abilità informatiche si possono acquisire ad ogni età, ma se un bambino non ha fatto abbastanza pratica per sviluppare le abilità sociali ed emotive, incontrerà maggiori ostacoli nella vita futura.


Ovviamente dipende tutto dall’equilibrio e molto dipende dall’età del bambino. Formare bambini consapevoli della tecnologia, come assumere qualsiasi altro stile di vita, richiede tanta formazione ed esempio da parte dei genitori. I miei figli apprezzano i vantaggi della tecnologia, ma comprendono anche l’impatto che l’abuso ha sul cervello. Come famiglia, discutiamo spesso sulla necessità di operare uno sforzo consapevole nel controllare l’uso che facciamo della tecnologia. Abbiamo certe regole di famiglia che noi tutti rispettiamo. Per esempio, non sono ammessi telefoni a tavola, al ristorante o durante le uscite familiari.


I telefoni vanno spenti un’ora prima di andare a letto e tenuti fuori dalla camera in cui si dorme. Non ci sono computer o televisioni nelle camere da letto. Mio figlio di otto anni non dispone di alcuna tecnologia durante i giorni della settimana (neanche della Tv). Ha accesso alla televisione nei fine settimana e al tablet a casa dei nonni. Mia figlia ha 15 anni; le ho dato il telefono quando ne aveva 12, ma è arrivato con un contratto che stabiliva delle regole per tenerlo.


Non ho alcuna preoccupazione che i miei figli siano indietro. In realtà penso che stiano piuttosto avanti, perché hanno forti abilità di intelligenza emotiva e questo sarà il valore più grande in futuro, poiché queste abilità verranno a mancare sempre di più.

Dunque, non è mai troppo tardi per imparare ad usare le tecnologie…


Assolutamente no! Ma per imparare a comunicare, a sentire le emozioni delle persone, ad essere emotivamente flessibili, a mostrare interesse verso ciò che gli altri dicono, si può essere in ritardo se non si è aperta la finestra ottimale durante l’infanzia.

Come possiamo contrastare la dipendenza dallo smartphone o dalle tecnologie in generale, se poi dall’alto ci arrivano disposizioni che vanno nella direzione opposta? È recente qui in Italia la proposta di legge di introduzione dello smartphone come strumento d’apprendimento fin dalle prime classi della scuola primaria.


È necessaria la formazione a tutti i livelli, inclusi i Ministeri dell’Istruzione, i docenti, e i genitori. Sempre più prove scientifiche suggeriscono che non si ricavano benefici dall’introduzione delle tecnologie in classe. In realtà, ci sono degli studi che dimostrano che la tecnologia distrae i bambini e influisce negativamente sulle loro abilità d’apprendimento. Ci sono esperti, me inclusa, che credono che i bambini non dovrebbero avere accesso ai dispositivi digitali fino all’età di dodici anni, soprattutto non a scuola. Cris Rowan, una terapista occupazionale, ha scritto tanto su questo tema. A proposito, i figli di Bill Gates e Steve Jobs hanno frequentato scuole senza tecnologia.


Non possiamo cambiare la natura umana. Gli umani hanno bisogno di interazioni umane e sociali. I dispositivi sono grandi strumenti, ma come per tutti gli altri strumenti, dobbiamo necessariamente porre attenzione all’età in cui permettere ai nostri bambini l’accesso ad essi.

Bene, la ringrazio moltissimo.


I miei saluti all’Italia, un Paese straordinario. Mi rattrista il fatto che anche un Paese socialmente connesso come l’Italia diventi dipendente dalle tecnologie. È triste, se non apportiamo cambiamenti drastici nella nostra società, probabilmente diventeremo robot tecnologici.

È veramente triste. Mi chiedo se esista un posto al mondo dove non ci sia tanta tecnologia, né dipendenza da smartphone, dove la gente sia ancora capace di guardarsi negli occhi.


Ce n’è uno. Pocahontas County in Virginia occidentale, negli USA.

Interessante! Magari si potrebbe fare una ricerca lì che riguardi i benefici che si traggono da poca tecnologia.


La tecnologia è parte delle nostre vite e dobbiamo imparare a insegnare ai nostri bambini come raggiungere un equilibrio.


Perfetto! Grazie mille per il tempo che mi ha concesso.

Bambini digitali
Bambini digitali
Mena Senatore
L’alterazione del pensiero creativo e il declino dell’empatia.Un’analisi degli effetti negativi dell’abuso degli schermi digitali in età evolutiva sul piano dello sviluppo cognitivo, emotivo e sociale. Negli ultimi anni sempre più bambini si trovano a interagire con gli schermi digitali di tablet, smartphone e PC. Ma quali sono le conseguenze?Mena Senatore, nel suo libro Bambini digitali, prende in esame gli effetti negativi dell’uso e abuso di queste tecnologie in età evolutiva, con particolare attenzione alla prima e seconda infanzia, sottolineandone le conseguenze a livello di sviluppo cognitivo, emotivo e sociale.Un’urgente lettura per genitori, educatori e insegnanti. Conosci l’autore Mena Senatore, laureata in Lingue e Letterature straniere, è docente di Lingua e Civiltà Inglese nella scuola secondaria superiore.Durante gli studi universitari ha scoperto un forte interesse per la psicologia, che l’ha portata ad approfondire tematiche inerenti lo sviluppo della personalità nelle varie fasi dello sviluppo.Negli ultimi anni ha studiato in particolare la ricerca socio-scientifica dedicata agli effetti delle tecnologie sul cervello, soprattutto in età evolutiva.