Bambini e smartphone: ne hanno davvero bisogno?
Le risposte che si sentono nei dibattiti a proposito di tecnologie e bambini sono più o meno sempre le stesse: “Non possiamo lasciarli indietro”, “Ormai funziona così”, “Non si può demonizzare o si corre il rischio di farli sentire emarginati”. Chi tenta di portare avanti un progetto educativo che privilegi forme di comunicazione alternative allo schermo digitale, si ritrova spesso assalito da dubbi e dal timore di lasciare i propri figli indietro rispetto a una società che evolve troppo in fretta.
Ma cosa ci fanno i bambini con lo smartphone? A cosa gli serve? E soprattutto, serve? Cosa fanno i bambini su internet, specie da soli, come quasi sempre avviene, senza la presenza di un adulto? È davvero così utile per loro? E in che misura internet influenza il loro pensiero?
Ormai lo smartphone trionfa nelle mani dei bambini; è raro trovare situazioni in cui non si veda un piccolo dotato di cellulare o tablet che gioca, scorre video, riprende, scatta foto, si isola dal contesto, assiste a spettacoli ed eventi, girando il video, piuttosto che vivendo il momento.
I bambini ci imitano, stanno facendo proprie le modalità di interazione tipiche degli adulti, sempre più distratti e frammentari, divisi tra mille attività e amicizie superficiali.
Essi stanno introiettando modelli di comunicazione tutt’altro che improntati sulla condivisione – quella vera, reale, non quella sui social – e sull’ascolto del sé e del prossimo. Fa un certo effetto guardare piccoli che camminano col cellulare, stanno al mare col cellulare, mangiano il gelato col cellulare, che non guardano negli occhi, non ascoltano, non sentono. Stanno venendo su bambini sempre più distratti, sempre più assenti dal contesto fisico in cui si trovano e sempre più proiettati in un altrove virtuale. In altri termini stiamo preparando individui sempre meno attenti, meno capaci di ricordare, di relazionarsi. In una parola: alienati! Internet è un mezzo potentissimo e utilissimo ed è giusto, pertanto, far capire ai bambini che ormai il nostro mondo non può più farne a meno e che poggia sulla connessione globale. Nulla prescinde da internet e in ogni settore se ne trae vantaggio; la rete rappresenta la nuova frontiera occupazionale e di ricerca.
Sarebbe sciocco ignorarlo, e ancor più demonizzare il mezzo, ma in fatto di bambini bisognerebbe essere molto più attenti e rigorosi.
Il paragone che Manfred Spitzer propone è particolarmente efficace: anche guidare l’automobile è fondamentale per la sopravvivenza e per il lavoro, eppure nessuno si sogna di mettere un bambino al volante perché “prima impara meglio è”, né tantomeno a qualcuno viene in mente di installare un sistema di pedali e motori sotto ciascun banco di scuola per allenarli sin dalla tenera età. Per ovvie e comprensibili motivazioni legate all’incolumità fisica, ai riflessi, alla maturazione globale, si concorda sul fatto che sia necessario il raggiungimento di un’età e di una maturazione adeguate.
Qualcuno sorride a questo paragone ritenendolo sproporzionato poiché guidare un veicolo prima dell’età metterebbe a rischio la vita di un bambino o di un ragazzo.
Ma mettere i mezzi digitali, e dunque internet, nelle mani di un bambino senza che questi abbia gli strumenti cognitivi per interpretarne i messaggi in modo critico, equivale a mettere a rischio la sua formazione, il suo sviluppo socio-emotivo, la sua capacità di relazionarsi con gli altri.
Come può essere utile internet per un bambino di scuola dell’infanzia o primaria?
Le attività che un bimbo medio svolge in rete sono rappresentate soprattutto dal giocare, ascoltare musica, guardare video. Il punto è analizzare i contenuti e fare in modo che i bambini non siano lasciati da soli in situazioni poco o per nulla educative.
La moda dei video, per fare un esempio, è veramente molto popolare tra i piccoli. Una nuova figura spopola tra le giovani generazioni: lo youtuber. Si tratta di qualcuno che ha fatto dell’hobby di creare video la sua professione.
Chiunque abbia una telecamera, uno smartphone o un pc e qualcosa da dire (non importa quanto, e se, sensato o intelligente), gira un video, lo pubblica in rete e in brevissimo tempo diventa popolare, con milioni di visualizzazioni e like che gli permettono anche di ottenere introiti economici.
Chiunque può accedere al video di uno youtuber a qualsiasi età. E questo è un problema.
Gli argomenti trattati sono di vario genere, spaziano dai videogame alle barzellette, dalla sessualità all’horror. Una sorta di enciclopedia popolare visiva e parlante a suon di click, accessibile a tutte le età.
Una bambina di nove anni afferma che da grande vuole fare la youtuber perché “…si guadagnano tanti soldi. Ogni visualizzazione ti fa guadagnare, e io voglio essere ricca e famosa”.
La bambina parla di Favij, lo youtuber più popolare nella rete.
Emerge una nuova figura professionale che diventa modello di identificazione per le nuove generazioni. L’obiettivo del futuro per una bambina, la sua ambizione, è quella di essere ricca e famosa in modo facile, mettendosi in mostra in rete. È quello il messaggio che passa, se non opportunamente decodificato.
Chi è lo youtuber e cosa propone ai nostri bambini? Favij, di diciannove anni, come già detto è lo youtuber più quotato in Italia (Essere quotati e famosi dipende dal numero di visualizzazioni, non dal talento). La sua età stride con l’età della bambina che si ispira a lui. Cosa avrà da dire un diciannovenne a una piccola di nove anni?
Al mare, due ragazzi di circa undici anni parlano degli horror di Favij (ancora lui!) e fanno a gara a chi ne ha visti di più.
Descrivendo uno degli ultimi horror visti, uno di loro sintetizza così il contenuto “In pratica il succo è che quando l’anima muore in preda alla rabbia, riceve una maledizione!”
Tanti bambini si nutrono, magari in tarda serata e da soli nella loro stanza, di contenuti inquietanti, non adatti alla loro età. Sangue, mostri, morti, tenebre. Perché riempire la testa dei nostri figli con queste immagini?
Anche in passato noi bambini amavamo ascoltare le storie “horror”, ma a raccontarle era la nonna di qualcuno di noi, che diventava un po’ la nonna di tutti. Erano storie di fantasmi e spiriti, leggende popolari, tramandate oralmente da nonna a nipote e che costituivano parte della cultura di tanti paesini. Ascoltavamo rapiti, con gli occhi lucidi, immaginando luoghi e situazioni.
La nonna ci faceva dono di un’eredità del passato, ci sorrideva, rappresentava situazioni con la mimica facciale, modulando la voce, ci accarezzava e sdrammatizzava quando s’accorgeva che noi piccoli eravamo spaventati. Dopo ogni racconto avevamo paura di andare da una stanza all’altra e insieme ridevamo, urlavamo, cantavamo per esorcizzare i fantasmi e neutralizzare la paura. E poi c’era la nonna che rassicurava tutti noi dicendo che i fantasmi non esistevano.
Quante emozioni in quell’esperienza di condivisione!
Chissà se un bambino di fronte ad un video horror di Favj conserverà tutto questo nel cuore e nella memoria.
Girovagando tra il popolo degli youtuber, si incontra una dodicenne inglese molto popolare che risponde al nome di Ask Izzy e che elargisce consigli a schiere di bambini e/o coetanei su come vivere la propria sessualità, su come sopravvivere alle regole dei genitori, e altro ancora.
Ascoltarla e osservare la sua mimica facciale rende difficile credere che abbia solo dodici anni.
Milioni di bambini cibernauti si identificano in questi nuovi idoli, perché sono ragazzi come tanti che affrontano argomenti di cui non si parlerebbe in famiglia. Inoltre questi ragazzi che dicono tutto senza limiti risultano quotati e popolari, e incarnano l’ideale di onnipotenza e successo facile a cui tutti aspirano.
Questa cosa lascia un po’ perplessi perché certi argomenti, a una certa età, vanno affrontati nella maniera giusta, magari con un adulto responsabile, con un amico reale, nel privato e con le giuste parole.
Questa è la cultura/scuola di cui internet nutre i nostri bambini se lasciati soli con lo schermo; e noi permettiamo che lo faccia.
Quante energie resteranno per lo studio, la lettura, la scuola, se investite quasi totalmente in questa nuova scadente cultura di massa? Di quali strumenti stiamo attrezzando gli individui di domani? Tutto è effimero, universale, omologato e omologante.
La cultura fatta dal pensiero dei grandi del passato, che ha rappresentato e rappresenta tesoro ed eredità lasciata ai posteri, pare sconosciuta alle nuove generazioni, che sembrano identificarsi troppo spesso solo in personaggi la cui popolarità dura lo spazio di un quarto d’ora.
Fra un po’ nessuno si ricorderà di Favj o di Izzy e si passerà ad osannare qualcun altro che dirà qualcosa di più interessante o di più stupido!
Che ne è del piacere della poesia che ti tocca il cuore e ti rimane dentro per sempre stabilendo un contatto con chi l’ha scritta che va oltre i confini del tempo e dello spazio? Oppure della lettura di un buon libro che con i suoi personaggi fa vivere storie che incontrano la propria e offrono insegnamenti a cui attingere tutta la vita?
Perché non abituare i bambini a queste cose? Perché non parlare e ascoltarli piuttosto che lasciarli in balìa di sconosciuti che il più delle volte propinano sciocchezze per il solo gusto della notorietà e del guadagno? Non c’è modo di controllare il fenomeno, non c’è limite d’età per accedere a internet, tutto è accessibile a tutti.
Solo il controllo e la supervisione dell’adulto attento e il buonsenso dei genitori possono evitare che i bambini crescano con idee fuorvianti e legate ad una cultura del nulla, dell’apparire, della popolarità.
Bambini e smartphone, un dibattito acceso che crea sempre due fazioni, come si legge in molti dei libri scritti sull’argomento: da un lato gli “apocalittici tecnofobi” e dall’altro i fautori della tecnologia che vedono in essa una sorta di divinità.
Chi pensa che forse sarebbe il caso di fare qualcosa viene guardato con uno sguardo a metà tra la commiserazione e la derisione, e considerato come un preistorico, nostalgico del passato, incapace di comprendere i vantaggi della tecnologia e destinato a rimanere fuori dai circuiti.
La verità è che lo smartphone non va condannato né demonizzato per timore del nuovo, o per nostalgia del passato, ma è certamente necessario riflettere sull’uso pervasivo e totalizzante che ormai se ne fa e sul fatto che i bambini piccoli non ne abbiano granché bisogno, specie se esso diventa, come di fatto accade, sostituto genitoriale, giocattolo, passatempo.