La realizzazione di questo libro ha visto l’alternarsi di momenti di grande entusiasmo e altri di scoraggiamento. La sensazione che spesso ha prevalso è stata quella di trovarsi di fronte a un’onda inarrestabile che si propaga sempre di più in ogni angolo, toccando irreversibilmente tutti, bambini compresi. Bambini piccoli!
La lettura di libri che definiscono i videogiochi come “amplificatori cognitivi”, responsabili di un’evoluzione cognitiva delle ultime generazioni nonché di un innalzamento intellettivo e logico-deduttivo, ha spesso alimentato la tentazione di smettere, di lasciar perdere.
Ma poi, guardandomi intorno e osservando bambini e ragazzi sempre più disinibiti, iperattivi, insoddisfatti, aggressivi, poco empatici e sempre più in difficoltà nello studio, nella rielaborazione, nella riflessione, ricomincio a pensare che forse i media tanta responsabilità ce l’abbiano in tutto questo, soprattutto quando a usarli in modo acritico sono bambini sempre più piccoli, sempre più soli davanti agli schermi e sempre di più di fronte a contenuti non adatti alla loro età.
Le idee e le riflessioni contenute in questo libro provocano sempre espressioni di disapprovazione anche in chi si occupa di educazione e il suggerimento il più delle volte è quello di “ammorbidire”, “attenuare”, perché “la tecnologia non la puoi fermare”.
Trovare una mediazione tra vecchio e nuovo, non demonizzare. E con questo non posso che essere d’accordo. E lo sono ancor di più se si tratta di bambini, dunque di soggetti in evoluzione.
Bambini in età prescolare che ancora non dominano le competenze linguistiche e abilità sociali dovrebbero impiegare il loro tempo in esperienze diverse da quella di far scivolare il dito su uno schermo o, peggio ancora, sparare per ore in una realtà virtuale tanto realistica da sembrare vera, perché in 3D, ma sempre e comunque virtuale.
Se è vero che certi videogiochi moderni sempre più complessi richiedono e sviluppano capacità di progettazione, decisione, ragionamento, è ancor più vero che i bambini hanno bisogno di fantasia, di esperienze concrete, manipolative, sociali per poter sviluppare al meglio tali capacità.
Soprattutto i bambini hanno bisogno di calore umano, di occhi e sguardi empatici e accoglienti. Hanno bisogno di giocare, di muoversi, di sporcarsi, di essere liberi di sperimentare.
Se si afferma che i videogiochi permettono al bambino di esercitare la sua fantasia poiché può esplorare una realtà parallela, “altra”, e assumere diversi ruoli in modo realistico, io rispondo che tutto ciò mi sembra un preparazione per futuri soggetti alienati, insoddisfatti e convinti della loro onnipotenza, convinti di poter trasportare nella vita reale quanto vissuto nel videogioco, senza freni, senza regole.
Forse esagero, forse sono nata nel secolo sbagliato, forse sono catastrofica o idealista. O forse no!
Per saperlo, per conoscere gli effetti di questa eccessiva digitalizzazione, dovremo aspettare qualche anno.
Nel frattempo, noi adulti abbiamo il dovere di proteggere i nostri figli e dare loro il meglio, non unicamente in termini materiali.
Dobbiamo restituire all’infanzia la sua spontaneità, la sua lentezza, la sua complessa semplicità.
Tutto ciò andrebbe inevitabilmente associato a una revisione di alcuni aspetti della nostra società, realizzabile attraverso politiche attente al benessere psicofisico dei bambini e non alle logiche di mercato. Politiche attente alla famiglia e alla scuola.
Chi fa politica della scuola dovrebbe porsi come obiettivo primario la crescita e il benessere del bambino attraverso tempi più distesi, programmi ministeriali che sviluppino competenze, classi meno numerose che consentano di restituire a ciascuno i suoi tempi. Bisognerebbe cessare di anteporre a tale obiettivo le logiche aziendali o, peggio ancora, proporre strumenti d’apprendimento che servono più a favorire società di mercato che a sviluppare le menti dei bambini.
Sarebbe necessario attuare politiche per la famiglia, trovare soluzioni flessibili di occupazione (orari, modalità) per chi deve prendersi cura dei minori.
Occorrerebbe una concreta sinergia tra le diverse parti: scuola, istituzioni, centri di ricerca, produttori di videogiochi e dispositivi elettronici, neuroscienziati, pediatri e, ovviamente, famiglie. Una vera e propria squadra come quella che auspica Cris Rowan, la Technology Balance Management Team, affinché si faccia informazione seria e trasparente sui reali effetti che la tecnologia può avere sui bambini.