capitolo 3

Narrare la trasformazione

Quello che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo lo chiama farfalla. 


Lao Tzu

Dalle scienze alla filosofia, all’arte, sono molte e più le vie attraverso le quali uomini e donne da sempre raccontano ai propri simili che tutto è Uno. Per la fisica quantistica questo significa che ogni singola particella di energia è coinvolta in una connessione indissolubile con qualsiasi altra particella esistente; per la Bibbia tutto proviene da Dio; per il taosimo il bianco e il nero non sono opposti, ma sono facce complementari della stessa realtà; per la biologia e la genetica la vita si è differenziata nelle diverse specie a partire da un antenato comune, e così avanti. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Tutto scorre e cambia perennemente, senza soluzione di continuità. Capire questa elementare verità fin da bambini è la base più stabile sulla quale poggiare ogni successiva consapevolezza a proposito della vita, delle relazioni tra umani, della connessione tra gli umani con l’ambiente, con il pianeta, con l’Universo intero.

LA VITA GIOCA A LEGO

Ricordate la vostra prima confezione di Lego? L’emozione di rovesciare a terra i mattoncini colorati, quel senso di sospensione prima dell’atto, prima che l’immaginazione creativa producesse un’immagine guida per le nostre mani, e poi l’eccitazione della ricerca della giusta combinazione, quel fare e disfare fino a trovare la soluzione, l’orgoglio della forma conquistata e l’estasi della contemplazione? 


E poi ricordate l’attimo in cui si rendeva necessario distruggere questa forma, ridurla nuovamente ai suoi elementi minimi per consentirci di giocare ancora, di dare ancora corpo al nostro pensiero creativo? 


E quel misto di attaccamento alla forma esistente e piacere della distruzione che apriva la porta al nuovo? Il senso di mistero con cui guardavamo, dopo la distruzione, quegli stessi mattoncini chiedendoci se fossero ancora o non fossero più la cosa che avevamo appena costruito e distrutto, se fossero già o non fossero ancora la cosa che stavamo per costruire? Inconsciamente eravamo in contatto profondo con la Vita e con la necessità della Morte, piccoli dèi della creazione e della distruzione, Eros e Thanatos. 


La Vita gioca: a partire da pochi elementi minimi crea l’infinità delle forme in un processo di continua creazione, dis-creazione, ri-creazione. E la Morte è parte essenziale del gioco. La Morte dis-crea le forme affinché la Vita possa ricrearne ancora e ancora in un processo infinito di trasformazione. La Morte è necessaria alla Vita, ad essa riconsegna gli elementi minimi affinché possa manifestare la sua infinita ed eterna creatività. 


Forse la Morte non è un’entità, ma un’azione, un’azione della Vita. Forse la Morte non esiste, esiste solo la Vita. La Vita che gioca: a Lego.

Scrive il filosofo Emanuele Coccia nel suo libro Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, mettendo in luce tutti i livelli, da quello biologico a quello spirituale, entro i quali possiamo dirci Uno: 


In principio eravamo tutte e tutti lo stesso essere vivente. Abbiamo condiviso lo stesso corpo e la stessa esperienza. Da allora le cose non sono molto cambiate. Abbiamo moltiplicato le forme e i modi di essere, ma ancora oggi siamo tutte e tutti la stessa vita. Da milioni di anni questa vita si trasmette da corpo a corpo, da individuo a individuo, da specie a specie e da regno a regno. Ovviamente si muove, si sposta, si trasforma; ma la vita di ogni essere vivente non inizia con la sua nascita: è sempre molto più antica.29 


Ogni cosa muta e si trasforma, sia fisicamente che in senso figurato e simbolico. Tutte le storie, qualsiasi cosa raccontino, raccontano metamorfosi. Ogni narrazione inizia necessariamente in un punto specifico sulla linea del tempo e volge necessariamente verso una conclusione, raccontando nel suo svolgimento ciò che in quel lasso di tempo accade, ovvero una serie di cambiamenti


Come nella realtà, anche nelle storie non esistono però un inizio e una fine “assoluti”: incipit ed explicit indicano i contorni di una finestra sul mondo, segnano i confini di una porzione limitata di attimi – fossero anche secoli –, una selezione di possibilità entro cui la storia muoverà le proprie metamorfosi. Le fiabe classiche della tradizione popolare iniziano e finiscono con formule tipiche, che sono da considerarsi frasi in codice con specifiche funzioni: «C’era una volta, in un luogo lontano lontano…» indica «che ci siamo distaccati dall’ambito del presente reale per entrare nel regno del simbolico»30. La formula finale, «…e vissero per sempre felici e contenti», a sua volta non va interpretata in modo letterale, non indica il raggiungimento di un equilibrio definitivo di stabilità eterna: segnala soltanto al lettore, per rassicurarlo, che si è risolta questa crisi, come poi si supereranno eventualmente anche quelle a venire. 


Inizio e conclusione sono porte attraverso le quali si entra e si esce dal mondo narrato. Una volta entrati, dopo aver seguito peripezie, cambiamenti, squilibri, tensioni e scioglimenti, ci si avvia verso la conclusione. È il momento in cui l’autore si allontana da noi e la parola fine ci fa tornare al presente, alla realtà; attraversiamo un’altra soglia.31 


Noi “usciamo” dal libro, ma la storia continua: una volta entrata nella mente del lettore continua a ri-vivere in lui. E i personaggi stessi, che “salutiamo” nella dimensione di carta, continuano la loro storia in quell’e poi che, se non stampato e fermato, non sapremo mai.

Le narrazioni della natura 


La natura è il primo libro in cui è possibile leggere l’arte del cambiamento e della trasformazione cui siamo chiamati a partecipare. In molti racconti dedicati all’infanzia vengono narrati i passaggi che regolano le metamorfosi del reale, cosicché il lettore possa seguire con occhi e orecchie i processi di trasformazione, ad esempio, di un seme in fiore, del bruco in farfalla, del ciclo dell’acqua, dello scorrere delle stagioni, dei passaggi di vita. Ad esempio, nell’albo illustrato Infinito: i magici cicli dell’universo32, le autrici Romero Mariño Soledad e Cabassa Mariona, in una sintesi perfetta di scienza e poesia, raccontano ai bambini undici cicli naturali che regolano la vita di ogni giorno: il ciclo dell’acqua – «Il fatto che smettiamo di vedere la goccia d’acqua non significa che sia scomparsa, semplicemente si trasforma in qualcosa di nuovo che i nostri occhi non riescono a percepire e la nostra mente a capire» –; le fasi lunari e il ruotare delle stagioni – «La terra intorno al sole fa il suo girotondo, cambiano le stagioni in tutto il mondo. Inverno: porta l’inverno il freddo e il vento. Che guai se in casa il fuoco è spento! Primavera: i giorni colorano i prati, gli animali dal sole sono svegliati! Estate: tempo di ciliegie, di anguria e meloni, vacanze, famiglia e canzoni. Autunno: dell’estate i colori sgargianti lasciano il posto ai marroni brillanti» –; il ciclo vitale di farfalle, cicogne, pesci, galline e degli esseri umani; le migrazioni degli uccelli, la catena alimentare e il ciclo tra il giorno e la notte. (Fig. 1


Una sorta di ruota delle meraviglie, che porta in conclusione tutti noi a riconoscersi come parte di una storia molto più antica – «La creazione di qualcosa di nuovo impone la distruzione del vecchio. Tutto è parte di una magica ruota nella quale, in realtà, nulla finisce») –, che nel suo susseguirsi di generazione in generazione ci ha donato «la magica opportunità di godere di questo unico e irripetibile momento»33.

Natura e letteratura si intrecciano da sempre, esaltate insieme dalla bellezza della narrazione. […] Le storie ispirate alla terra ci hanno aiutato nel tempo a sopravvivere, a trasmettere informazioni, a educare, a formare le coscienze. La dimensione narrativa legata alla Natura racchiude in sé il significato dell’essere al mondo, che a propria volta è profondamente legato alla sfera sensoriale, al percepire attraverso i sensi. Camminare, guardare il cielo stellato, ascoltare il rumore del mare, osservare piante, paesaggi, animali e fenomeni naturali sono azioni di cui i narratori fanno esperienza e che poi ritroviamo nelle loro storie come espressione del senso del sacro. C’è qualcosa di sacro in una pietra tanto quanto nel poterla raccontare.34 


Gli elementi naturali rappresentano da sempre perfetti simboli di narrazione del quotidiano. È anche grazie all’interazione e al dialogo tra l’esperienza diretta con la realtà e quella letteraria, dunque, che i bambini, fin da piccolissimi, hanno la possibilità di entrare in contatto con l’idea di metamorfosi, ciclicità e continuità propria del reale. Il bambino fa esperienza meravigliata di questo continuo mutare delle cose e poi scopre che queste leggi naturali si applicano anche alla sua sfera personale, al suo stesso processo di crescita, alla sua vita e a quelle degli altri e di tutti. In un’intervista alla testata «The Guardian» il grande Eric Carle parla così del suo capolavoro Il piccolo Bruco Maisazio35


[...] per molto tempo non ho capito perché fosse così popolare. Ma nel tempo sono arrivato a credere che molti bambini possano identificarsi con il bruco indifeso, piccolo e insignificante, e si rallegrano quando si trasforma in una bellissima farfalla. Penso che sia un messaggio di speranza. Dice: anch’io posso crescere. Anch’io posso spiegare le mie ali (il mio talento) e volare nel mondo. Questa è una preoccupazione universale che hanno i bambini: crescerò? Sarò in grado di funzionare da adulto?36 


Il bambino che incontrerà il piccolo Bruco Maisazio conoscerà gli stadi di sviluppo e crescita del bruco in natura, e in queste trasformazioni sentirà se stesso. Il bambino che legge è quel bruco.

Amore e trasformazione: quale nesso? 


Cos’hanno a che fare metamorfosi e amore? Se guardiamo ciò di cui hanno davvero bisogno i bambini e gli esseri in generale, possiamo vedere che amare è permettere la trasformazione. Amare è aprirsi al cambiamento proprio e altrui. Ostacolare la metamorfosi è contrario all’amore, perché è contrario alla vita. 


L’amore si prende cura della metamorfosi, come possiamo leggere tra le righe del libro Il germoglio che non voleva crescere37, scritto e illustrato dell’artista tedesca Britta Teckentrup. Nel fitto del bosco, un semino più piccolo degli altri fatica a spuntare, poiché le piante più alte e rigogliose gli oscurano la luce. Il piccolo germoglio inizia da qui il suo viaggio nel sottobosco, alla ricerca del sole. Coccinella, Formica e gli altri animali se ne accorgono e decidono di concedergli un po’ di tempo in più, stanno sempre al suo fianco e lo aiutano come possono, indicandogli la via migliore, senza mai sostituirsi a lui nell’arduo cammino di crescita. È proprio grazie alla sua tenacia e alle cure del bosco che il piccolo germoglio troverà il luogo perfetto dove mettere radici e diventare una splendida, rigogliosa pianta piena di vita. L’autrice ci conduce ancora oltre, lungo lo scorrere delle stagioni, verso quell’autunno che sembra portare via la vita insieme alle foglie appassite. L’inverno è il momento dell’addio tra gli animali e la pianta ormai avvizzita dal gelo. «Vorrei poterti rivedere», sussurra con una lacrima Piccolo Topo in un desiderio sospeso nel vento. Come accade nella natura, anche la nostra vita è fatta di stagioni, di inverni che sembrano non finire più, e di primavere che invece sono sempre pronte a tornare, per far sbocciare nuovi semi. 


Anche nell’albo illustrato Avrò cura di te38, di Maria Loretta Giraldo e Nicoletta Bertelle, possiamo leggere una semplice ma potente parabola sull’amore e la trasformazione: 


C’era una volta un minuscolo seme. Era così piccolo, nel vasto mondo, che si sentiva sperduto. Il Cielo, l’Acqua e la Terra lo videro e provarono tenerezza per lui. La Terra disse al seme: «Non temere. Io avrò cura di te». E lo raccolse tra le sue zolle morbide. 


È la Natura-madre che si prende cura del piccolo seme, lo rassicura e lo ama, fornendogli così un terreno fertile nel quale affondare le radici, germogliare e diventare un arbusto solido e rigoglioso – ovvero trasformarsi, crescere, vivere – . In questa nuova forma il seme, divenuto albero, a sua volta saprà e vorrà prendersi cura di una capinera e del suo nido, cura che lei stessa ricambierà, in una rete imperitura di amorevoli scambi di tutti con tutti – «La capinera fece il nido tra i rami dell’albero e là si sentì protetta e sicura. Un giorno depose un uovo. Lo covò con pazienza finché il guscio si ruppe e uscì un minuscolo uccellino. «Io avrò cura di te» gli disse la capinera. Lo tenne al caldo. Gli insegnò a volare e a cantare» –. (Fig. 2) A ben guardare sono proprio questi i passaggi che regolano l’ecosistema sul quale poggiano perfettamente i meccanismi del mondo. E l’amore tiene insieme tutte le cose.

IL SOLE SOLEGGIA
riflessioni sull’amore

Non sei una persona che vive stati d’amore,
sei l'Amore stesso
che gioca a vivere attraverso una persona.
 


Pierre Lerè Guillemet

Parlare d’amore è quasi imbarazzante: c’è ancora qualcosa che può essere detto sull’amore? Forse possiamo tentare una sintesi, tentare di dipingere un’immagine semplice, una metafora che ci aiuti a intuire la natura dell’amore e a distinguere tra amare e… tutto il resto. 


Amare è l’azione dell’Essere. Ciò che È ama, perché Amare è l’espressione della natura dell’Essere che non conosce limite nel dono di se stesso a se stesso. L’Amore è l’esistenza prima di qualsiasi definizione, al netto della definizione. 


Come il sole brucia la materia di cui è composto, e in questo processo produce quella luce e quel calore che permettono la vita sulla terra, così l’Essere brucia tutte le definizioni e in questo processo produce quell’energia necessaria alla vita che chiamiamo Amore. L’Amore è l’energia che tiene insieme le cose, che le lega nell’unicità dell’esistere. 


Il sole non ha intenzione nel suo bruciare, non chiede conto dell’uso che facciamo dell’energia prodotta dalla sua combustione, non pretende risarcimento della materia che trasforma in questo processo, non si preoccupa del risultato e non se ne attribuisce i meriti né i demeriti, non si risparmia, non si lamenta, non si sente sacrificato, non chiede nulla in cambio. Realizza la sua natura attraverso questo processo.

Il sole soleggia.
Così l’Amore irradia dall’Essere senza intenzione, senza calcolo, senza richiesta e senza forma. Essere realizza la sua natura attraverso il processo dell’Amare. 


L’Essere ama.
Come l’energia prodotta dal sole nel suo incontro con la varietà della materia dà origine all’infinita varietà dei colori, così l’Amore attraversando tutti i filtri creati da ciò che ci definisce, nel suo incontrare l’altro dà origine alle infinite manifestazioni dell’amore: l’amore erotico, l’amore materno, l’amore philia, l’amore agàpe... Tuttavia, in questo declinarsi, non cambia la sua natura essenziale: nessuna intenzione, nessuna richiesta, nessun libro mastro, nessuna rivendicazione del risultato. Ciò che cambia sono le azioni concrete attraverso cui si esprime; ma in tutte le sue manifestazioni l’Amore agisce sempre a favore della Vita, di più Vita. 


Tutto il resto?
È scambio. 


Queste parole riportano l’attenzione al capolavoro di Shel Silverstein, L’albero39, datato 1964. «C’era una volta un albero… che amava un bambino». Ogni giorno quel bambino si reca dall’albero e ogni giorno torna per “prendersi” qualcosa: raccoglie le sue foglie per intrecciarle in corone, si arrampica sul tronco per mangiare le mele, dorme all’ombra della sua chioma. Anche il bambino ama l’albero, e l’albero è felice. Ma il bambino cresce, diventa un ragazzo, e torna da lui sempre più di rado. E ora non ha più bisogno di dondolarsi sui rami e di giocare, ma gli servono soldi per comprarsi un sacco di cose e divertirsi. L’albero si rammarica di non potergliene dare: «Ho solo foglie e mele. Prendi le mie mele, ragazzo, e vendile in città. Così avrai dei soldi e sarai felice». Quando torna, il ragazzo è ormai diventato un uomo, e ora ha bisogno di una casa per metter su famiglia. Ancora, l’albero, gli propone di tagliare i suoi rami per costruirsene una. Così accade, e l’albero è felice. Il ragazzo diventa un signore, che desidera una barca per andarsene lontano. Purché sia felice, l’albero gli offre il proprio tronco. Ora di lui non resta che un misero ceppo. Che altro avrà da offrire l’albero al ragazzo ormai anziano, quando tornerà? Il titolo originale di quest’opera, (The Giving Tree, L’albero che dà) definisce con più chiarezza chi è il vero soggetto del libro: un’azione. Quella dell’amore incondizionato.

Un altro libro che conduce a profonde riflessioni sull’amore è Polline40, di Davide Calì e Monica Barengo, capace di fomentare importanti domande a proposito di egoismo e libertà, dare e avere, rispetto della natura in generale e della natura di ciascuno, aspettative future e amore presente. «Un mattino una ragazza che mai aveva coltivato fiori si accorse che nel suo giardino, da una pianta che nemmeno sapeva di avere, ne era spuntato uno bianco, bellissimo». La ragazza inizia a prendersene cura, così come può, ottenendo in cambio ogni giorno nuovi splendidi boccioli. «Poi un giorno al risveglio andò, come ogni mattina, a cercare il nuovo fiore. E non lo trovò». Anzi, anche i fiori che già c’erano iniziano a seccare, e la pianta sfiorisce del tutto. La ragazza si preoccupa, ponendosi ora mille quesiti su ciò che di giusto o sbagliato abbia portato a questo tragico risultato. (Fig. 3)

Una cornacchia nel giardino le domanda: «Non hai pensato che forse i fiori spuntavano semplicemente, anche senza le tue attenzioni?». Ma lei non è pronta a capire queste parole: «Dunque ho amato e curato questo fiore inutilmente?». Lei si è dedicata anima e corpo al fiore, lui dunque ora le deve qualcosa? Le appartiene? È davvero amore quello che si aspetta di ottenere il risultato da una transazione? O quello che spera di trattenere per sé la presenza e l’essenza dell’oggetto amato? Può e deve l’amore fermare la natura delle cose, impedire l’autunno o la primavera di ciascuno? 


Una mattina di primavera il fiore torna, e molti altri con lui. Ma nel giardino del vicino. «Si può amare senza essere ricambiati? Si può amare l’assenza?». Il profumo dolce del polline nell’aria sembra portare alla ragazza una possibile risposta: il fiore è ancora con lei, anche se diversamente da come si sarebbe aspettata. E ama essendo essenzialmente ciò che è, donando semplicemente ciò che sta nella sua natura, a chiunque sappia riceverlo.

Potentissime metafore sull’amore, la trasformazione, la vocazione e il rispetto dei tempi di ciascuno sono contenute nell’albo Questo posso farlo41, di Satoe Tone. Protagonista è un piccolo uccellino che non riesce a stare al passo con gli altri: «Tutti riuscivano a rompere il guscio. Lui no. Tutti riuscivano a prendere le bacche. Lui no. Tutti riuscivano a nuotare. Lui no». In un crescendo di frustrazione e avvilimento l’uccellino nel confronto con gli altri si sente incapace, inadatto, inutile. (Fig. 4


Gli osservatori attenti si accorgeranno che in ogni tavola, sulla coda del piccolo, è sempre presente un piccolo fiore, un particolare apparentemente insignificante che invece significa tutto: forse il segno rivelatore di quello che sarà il suo futuro, o la manifestazione del suo talento, della sua vocazione, del suo essere. Quando l’uccellino, all’apice della frustrazione, incontra alcuni fiori che stanno cercando il luogo adatto dove far nascere i propri piccoli, ecco il destino che si compie: «Questo posso farlo», si dice l’uccellino, concentrando in tre semplici parole il compimento di un’intera identità. E così lui resta lì, nonostante il vento, la calura cocente, la pioggia che sferza e nonostante il gelo, e cambia gradualmente e radicalmente la sua forma, realizzando la propria vocazione. (Fig. 5


Al posto dell’uccellino vi è ora un meraviglioso albero fiorito, luogo felice al quale tutti desiderano recarsi. Non è dato di sapere se il piccolo sia morto, o se abbia semplicemente compiuto la sua metamorfosi diventando ciò che doveva essere. Quale che sia l’interpretazione personale, resta sempre vero che in qualsiasi processo di trasformazione di sé, in ogni evoluzione da uno stadio evolutivo all’altro, siamo necessariamente costretti a lasciar morire qualcosa per lasciare spazio alla forma successiva, al nuovo Io.

Leggere l’inatteso
Leggere l’inatteso
Irene Greco
Cambiamento, distacco, morte e lutto narrati negli albi illustrati. Un’accurata selezione di albi illustrati per affrontare temi come il distacco, la morte e il lutto grazie al potere della finzione narrativa e dell’immaginazione. Con interventi di counseling per instaurare una comunicazione efficace e rassicurante.