Capitolo 4

Metamorfosi al di là della natura: creatività e utopia

Da sempre la nostra specie trae ispirazione dagli elementi della natura e dai meccanismi del reale per condurli nella dimensione dell’immaginifico, sfruttando quella capacità tutta umana di creare mondi finzionali, inventare e fantasticare. La grandissima Iela Mari in molti suoi libri42 propone con rigore scientifico il mutare delle cose in natura, esplicitando e rendendo visibili la ciclicità e la circolarità delle leggi naturali. Ma il pensiero è portato a sondare anche dimensioni che si situano fuori dal controllo esercitato dalla ragione. Consideriamo le trasformazioni con le quali gioca nel grande classico Il palloncino rosso43: un bambino gonfia un palloncino, che si stacca dalle sue labbra assumendo vita propria per diventare, non si sa come, una mela, una farfalla, un fiore, un ombrello. Come fa? Che senso ha? Non è affatto importante che gli episodi narrati siano irreali, impossibili, assurdi. È invece fondamentale riconoscere l’importanza di concedere e concedersi esperienze come questa, nelle quali fare amicizia con il surreale, l’inverosimile, l’impossibile, il fantastico.

Si tende a pensare che l’esercizio della fantasia sia una via del pensiero di nessuna concreta utilità per l’individuo, se non per un secondario e tutto sommato ininfluente effetto catartico e liberatorio. Ci si scandalizza volentieri se i bambini non sanno far di conto, ma difficilmente ci si preoccupa se non sanno inventare. “Ragiona, non fantasticare!”, si dice, relegando l’immaginazione a un vezzo inutile, se non addirittura pericoloso. Ma fantasticare è davvero un vizio secondario? Cosa si rischia a inibire questa via del pensiero? 


Quando alle domande dei bambini si offrono esclusivamente risposte “attinenti al vero”, favorendo la sola razionalizzazione del reale, si rischia di occludere l’accesso verso quella facoltà della mente che invece avrebbe più bisogno di essere favorita e alimentata: la creatività. La creatività, intesa non già come la mera espressione artistica di un talento o di una capacità, ma come l’attitudine a trovare una risposta non convenzionale agli stimoli della vita, è la competenza più importante che il cervello umano possa sviluppare. La creatività è un approccio alla vita. Si tratta di saper alimentare e sfruttare un bagaglio di conoscenze e capacità dalle quali attingere per intravedere sempre nuove strade alternative da percorrere, per fronteggiare in modo costruttivo l’imprevedibilità della vita. La creatività è, in definitiva, sinonimo di libertà.


Spesso i ragazzi temono i cambiamenti perché non riescono a intravedere con immaginazione e ottimismo ciò che può derivarne. Dobbiamo stare molto attenti a non soffocare nei più piccoli la fantasia, con cui si proiettano in mille fantastiche avventure. Il bambino che sa esercitare positivamente la sua immaginazione non avrà la paura dei cambiamenti che, invece, proverà il ragazzo in cui tale capacità è stata repressa. Quando accumula immagini, il bambino non fa alcuna distinzione fra la riproduzione di un oggetto e l’oggetto reale. Quindi, in seguito, la sua mente non sarà in grado di separare la realtà dalla fantasia. Allora, più immagini positive acquisisce, maggiori chances avrà nella vita di riuscire ad affrontare praticamente qualsiasi situazione.44

Un lampante esempio letterario di questa impostazione del pensiero è rappresentato dal capolavoro di Crockett Johnson, datato 1955, Harold e la matita viola45. Il piccolo Harold è contemporaneamente protagonista e fautore della storia narrata: “Una sera, dopo averci pensato su per un bel po’, Harold decise di andare a fare una passeggiata al chiaro di luna. Ma la luna non c’era e ad Harold serviva una luna per fare una passeggiata al chiaro di luna”. E così, armato solo di un pastello viola e tanta immaginazione, il bambino si avvia lungo la pagina bianca del libro e vi tratteggia sopra esattamente ciò che gli occorre per la sua avventura. Si crea una foresta, ma con un albero solo per non perdersi, a guardia del quale il piccolo disegna un drago spaventoso. Talmente spaventoso, in effetti, da cogliere in contropiede Harold, senza dargli il tempo di capire cosa stia succedendo. Eccolo, l’imprevisto. La storia inizia a prendere una piega diversa, mettendo in luce quanto sia utile – fondamentale, a dirla tutta – essere capaci di disegnarsi e creare la propria via come la vogliamo, ma restando sempre pronti ad accogliere l’imprevisto e a inventare una via alternativa. 


Entrando in contatto con narrazioni come queste i bambini possono fin da piccolissimi avere indirettamente e inconsciamente accesso ad alcune fondamentali esperienze: riconoscere che la vita è un processo in costante trasformazione e che ogni passaggio è preludio di una trasformazione successiva, senza soluzione di continuità; rendersi conto di quali passaggi sono fuori dal nostro controllo e accoglierne l’imprevedibilità e l’ingovernabilità; prendersi al contempo la responsabilità di che “uso” sia possibile farne, nell’ottica dell’espansione del proprio sé. Non è questo, in definitiva, il saper padroneggiare la vita? 


Creatività significa unicità. Significa affrontare qualunque problema o conflitto della vita da una propria, particolare prospettiva. Significa decidere la propria linea di condotta nel modo in cui tu individuo decidi di farlo. Il significato letterale della parola creatività è «dare vita a qualcosa di nuovo». [...] L’opposto di creativo non è «meccanico» o «monotono» ma è «conformista». I bambini vengono scoraggiati dall’essere creativi quando si pretende che facciano le cose solo nel modo in cui è stato loro insegnato [...] senza applicare la propria unicità alle attività della vita.46

Ma è assurdo! 


Quella tracciata da Harold sulla pagina bianca è una traiettoria che, per quanto fantastica, presenta una sua logica chiara e impeccabile. Cosa accade quando questa logica è meno evidente, se non addirittura sospesa, come avviene nei nonsense? Il nonsense, alla cui base c’è la scelta di favorire ciò che, apparentemente, non ha senso, è una strategia narrativa a cavallo tra il sofisticato e l’infantile che, creando una sospensione consapevole della ragione, disattende le aspettative e dunque sorprende, spiazza, diverte. 


L’ascoltatore […] va a cercare dietro l’assurdo il senso nascosto. Ma non lo trova: sono vere assurdità. Profittando di quella vana illusione è stato possibile per un attimo liberare il piacere cagionato dall’assurdo.47 


Un libro uscito recentemente, che conduce perfettamente al gioco di smarrimento della fantastica, è il silent book Metamorfosi48, dell’autore ligure Sergio Olivotti. La narrazione inizia e finisce con un quadratino bianco che si trasforma di volta in volta in personaggi improbabili e surreali, in un continuum bizzarro eppure perfettamente calzante e incalzante. (Fig. 6


In questo contesto domande come “Ma cosa significa?”, “Che senso ha?”, “A cosa serve?” devono essere lasciate fuori dall’uscio della mente. È richiesto soltanto di stare al gioco. L’assurdo è una dimensione che se non spaventa allora cattura e affascina, perché apre le porte a ciò che sta un passo oltre la zona di comfort: sfonda il muro del vero; obbliga ad accettare che sia ciò che non può essere e che non sia ciò che invece dovrebbe; allena a non capire, a lasciarsi andare con fiducia al di sopra del senso. Queste storie sono sì inverosimili, ma rigorosamente plausibili. Plausibile significa “accettabile sul piano logico”, ma è necessario accordarsi rispetto a quale logica si stia facendo riferimento.

Se la logica è quella che si riferisce ai marchi di realtà e necessità propri del pensiero razionale, lo scarto con la realtà è ciò che permette e avvia l’esercizio mentale – nel mondo adulto è il caso di dire lo sforzo – di accettare che il senso non ci sia, di assegnarne uno proprio personale, di capirci poco e niente e saper comunque stare con curiosità e godimento anche in questa dimensione. Se la logica è quella del “senso comune”, invece, per cui ha valore solo ciò che veicola il buonsenso condiviso dalla maggioranza, si rischia un’impostazione del pensiero particolarmente pericolosa nell’ottica dell’evoluzione della nostra stessa specie: 


I cambiamenti che hanno migliorato il mondo non sono mai nati da individui acquiescenti. Le innovazioni sono promosse da gente che sfida le consuetudini radicate, se non le ritiene più adatte.49 


Infine, è utile valutare anche cosa significhi “plausibile” in ambito letterario. Nella relazione tra l’autore e il lettore si viene a instaurare un patto narrativo, in virtù del quale chi riceve la storia si rende disponibile a “sospendere l’incredulità”, per farsi coinvolgere da fatti, ambientazioni e personaggi narrati, per quanto irreali possano essere. Il lettore deve poter dire: so che quanto mi stai dicendo è finzione, ma mi piace, mi fido di te, dunque continua pure a raccontarmi. In tutte queste ottiche, la serie di metamorfosi proposta da Sergio Olivotti nel suo libro, come quella di qualsiasi narrazione assurda o nonsense purché rispetti il patto di fiducia con il lettore, è inoppugnabilmente plausibile, sensata, perfetta.

Uno sguardo al futuro: l’utopia 


«Questa è un’utopia! È impossibile!», si dice. Ma occorre stare attenti, quando si chiudono le porte a una possibilità mettendoci sopra un perentorio “NO”, come fosse l’inamovibile coperchio di una lapide sotto la quale giace quella che era, forse, una nuova, diversa, originale, bella idea. Siamo sicuri che sia questa la direzione più utile verso la quale possiamo indirizzare i bambini? In questo senso im-possibile è sinonimo di im-pensabile, e il pensiero è qualcosa che non dovrebbe avere limiti, anche e soprattutto nell’ottica della nostra stessa evoluzione. 


Cos’hanno a che fare la fantasia e l’utopia con il futuro del mondo? Sognare e immaginare oltre i limiti del possibile sono davvero attività futili e prive di concretezza per la storia dell’umanità? Il grande maestro di fantasia Gianni Rodari ha dedicato gran parte della propria vita a rimettere ordine su alcune di queste mistificazioni. Come sottolinea Alice Bigli nel suo saggio La scintilla dell’utopia


Il grande nucleo tematico attraverso cui rileggere Rodari da adulti per poi riportarlo con pienezza e senza banalizzarlo ai bambini, è quello dell’utopia. [...] Rodari vuole raccontare storie in cui realtà e fantasia siano sempre fuse in modo virtuoso [...] Anche nei racconti più stravaganti e buffi, l’autore trasfigura spesso temi della realtà o stimola riflessioni su di essa. Contemporaneamente, come si vedrà ben esplicitato nella Grammatica della fantasia, nella ricerca di qualcosa che stimoli la fantasia e l’invenzione si parte sempre da oggetti, fatti, elementi comuni e del quotidiano. Fantasia e osservazione del reale, critica al presente e sogno sul futuro si mescolano sempre. Rodari propone ai bambini una spinta continua all’utopia intesa come passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo alla capacità di criticarlo, all’impegno per trasformarlo.50

L’utopia è dunque un senso da sviluppare con un suo fondante valore educativo, perché i bambini possano diventare consapevolmente rivoluzionari, ovvero capaci di guardare alla realtà con senso critico e in modo costruttivo, per realizzarne una migliore. Il futuro guarda avanti, mentre spesso gli adulti guardano alle generazioni presenti rimpiangendo un’epoca passata. Anche qui ha senso chiedersi se questa è un’impostazione mentale utile ai fini del cambiamento e, perché no, del miglioramento. 


Una cifra distintiva dell’opera per bambini di Gianni Rodari e del concetto stesso di utopia è saper affiancare alla critica del presente l’ottimismo e la fiducia nel futuro. Futuro che i bambini incarnano. L’elogio di un’arcadia perduta, di un non ben definito passato dorato rispetto a un presente decadente e a un futuro peggiore è l’atteggiamento più lontano da Rodari che si possa immaginare.51 


Schiarirsi le idee anche a proposito di tale dinamica, rinunciare ai rimpianti di un’epoca “mitica” passata per guardare con apertura al futuro, ci può aiutare a capire meglio i nostri bambini, a stare dalla loro parte, a valorizzare quella «testardaggine che è propria solo dei sognatori»52, ovvero di coloro che rompono con le rigidità della tradizione per portare innovazione, evoluzione e crescita.

«Il futuro è di chi sa sognarlo, ma come si distingue la fantasticheria vana dal sogno visionario? Tutto passa da un altro concetto chiave, per Rodari, ovvero l’impegno»53. Impegno significa responsabilità personale, creatività e capacità di scelta, coraggio, disobbedienza consapevole. Tutte qualità che se vogliamo promuovere nei bambini dobbiamo essere capaci di incarnare in primis noi adulti. 


La letteratura ha i suoi modi di raccontare il passato, il presente e il futuro del mondo ai bambini. Uno di questi è renderli compartecipi di alcuni cambiamenti avvenuti o in corso, per offrire loro uno spaccato di realtà e smuovere gli animi. Cose accadute che non dovrebbero accadere mai più, o situazioni attuali che potrebbero versare in futuri che non vorremmo immaginare, entrano a far parte di alcune narrazioni che qualcuno definirebbe – e definisce – tristi. Ma la letteratura non deve necessariamente essere allegra o innocua, anzi: 


che si tratti di bambini, ragazzi o adulti, deve anche saper scuotere le ossa di chi legge, risvegliare chi dorme, smuovere dalla passività, rompere il silenzio, scombussolare i pensieri, affinché la mente possa riassemblarsi in un nuovo e più evoluto sistema di idee.54 


Uno dei grandi doni che la letteratura offre, attraverso gli svariati usi della parola che le sono propri, è quello di accendere una luce nella cecità, sollecitare l’ego a uscire da se stesso per guardare fuori, oltre, altrove. E liberarsi. 


Due esempi per sperimentare le proprie emozioni e credenze a proposito di cambiamento, futuro, utopia e responsabilità personale. Nel silent book Là dove c’era un prato55, gioiello uscito per la prima volta in Svizzera nel 1973 e portato in Italia prima da Rosellina Archinto per la Emme nel 1974 e ora nel 2021 dalla casa editrice Lazy Dog, l’artista e illustratore svizzero Jörg Müller mette al centro di un’immaginaria camera fissa un paesaggio di campagna, ritraendolo nello scorrere del tempo tra il 1953 e il 1972. Sette tavole senza testo nelle quali di anno in anno vediamo il risultato del “martello pneumatico” che si abbatte sul paesaggio, sostituendo il ruscello, la casa, gli alberi e la natura con ciminiere, industrie, autostrade e cemento: «un racconto per immagini che non vuole essere un cliché nostalgico dell’ambiente rurale, ma una cronistoria di viva immediatezza del cambiamento portato dalla gloriosa era del progresso».56 (Fig. 7)

Il libro non ha un finale definitivo, l’ultima tavola è ambientata nel 1973, ma i decenni continueranno “fuori dalle pagine” con ulteriori, chissà quali cambiamenti da prospettarsi. 


Quale sia la prosecuzione di dove c’era un prato è da pensare. [...] Il libro di Müller parrebbe indicare ai bambini lettori una strada che sociologi, antropologi, ma anche contadini, urbanisti, decisori politici, scrittori e illustratori, hanno in comune: quella dell’immaginario, che capiamo essere orientato in modo da distruggere o costruire, disfare o creare.57 


Riaffiorano con prepotenza il tema dell’utopia e dell’impegno: «La fantasia è una componente essenziale della soluzione di certi problemi»58. Come specifica Mirandola, le immagini di Müller inducono a chiedersi: 


Che differenza c’è tra fare un paesaggio e fare parte di un paesaggio? Cosa rende un paesaggio vivibile, cosa invivibile? Cosa lo fa apparire ed essere umano, cosa disumanizzante, disumano? Quali sogni racconta un prato, quali un’area commerciale?59 


Sviluppare idee per un futuro sostenibile passa anche e soprattutto attraverso il rendere consapevoli le conseguenze derivanti dalle scelte e dai comportamenti attuali, immaginandone altri, oggi magari utopistici ma, perché no, un giorno effettivamente realizzabili.

Un’altra proposta che vale davvero la pena considerare: nel libro Dal 188060, vincitore del XIII Premio Compostela per gli albi illustrati, l’autore Pietro Gottuso ci accompagna di decennio in decennio in un viaggio attraverso i cambiamenti storici, sociali, artistici, tecnologici e culturali degli ultimi centoquarant’anni, raccontandoli attraverso le splendide immagini di un silent book decisamente eloquente. (Fig. 8)


Tavola dopo tavola, anche qui attraverso un’inquadratura fissa, il lettore assiste alla stoica persistenza di una libreria a conduzione familiare nello scorrere del tempo, capace di resistere superbamente alle mode, alle innovazioni, persino ai conflitti mondiali ma non, a quanto pare, all’avvento di Internet. Il futuro ci riserva davvero questo? Chiuderemo le librerie fisiche e quelle indipendenti per favorire il commercio online? Se così fosse, quale altra innovazione l’invenzione umana renderà possibile? Spariranno i libri e leggeremo solo sui dispositivi elettronici? E se la lettura digitale fosse più ecologica di quella tradizionale? Lo è davvero? Le domande da porsi sono molte e tutte degne di nota. Ma anche qui, quel che conta è evitare di arroccarsi in malinconie e deliri di impotenza fini a se stessi, guidati dalla sensazione per cui “ormai non c’è nulla che si possa fare”. I tempi cambiano, certo. Ma cosa sono questi “tempi”, nello specifico? Sono qualcosa che non ci riguarda direttamente? I “tempi” sono fatti da tutto l’insieme delle cose che accadono fuori dal nostro controllo e da quelle sulle quali invece abbiamo qualche forma di potere. Il futuro è fatto anche dalla volontà di non accettare passivamente lo scorrere degli eventi, scegliendo di mettere in atto piccole azioni quotidiane che fluiscano nella direzione dei propri valori. Così si cambia il mondo? Forse sì, forse no. Ma certamente cambia la qualità della propria vita. 


Sognare, immaginare, inventare; sfidare i cliché; rifiutare l’accettazione passiva delle cose solo perché sono sempre andate così; favorire il cambiamento e la trasformazione; curiosare oltre il noto, l’ovvio e il sicuro: sono tutti atteggiamenti da prendere in considerazione se si desidera offrire non solo a se stessi, ma al mondo intero, il proprio apporto positivo al presente e al futuro.

Nell’albo illustrato Ti voglio bene Prunello61, di Anna Lavatelli e Marco Somà, leggiamo la storia di amicizia che si instaura tra la piccola Agata e un pruno che cresce proprio sul marciapiede fuori casa. La bambina cerca tutti i modi per fargli sentire il proprio affetto carezzandolo, abbracciandolo, baciandolo, dedicandogli disegni e attenzioni; l’albero dal canto suo “ricambia” con la sua bellezza e vitalità. (Fig. 9


L’idillio si spezza con l’arrivo di macchinari e seghe elettriche: gli alberi del viale vanno abbattuti, per ordinanza del sindaco, al fine di allargare la strada. Agata si dispera, si indigna davanti a questa che, secondo il suo sentire, è una scelta del tutto inaccettabile: «Sotto la luce dei lampioni vedevo i suoi rami immobili, le foglie ben distese, il tronco bello dritto. – Fai qualcosa... – volevo dirgli. – Ribellati! Poi ho capito che non toccava a lui». È ora di sognare, crederci, agire. La piccola, con coraggio e testardaggine, mette in campo tutto il suo rifiuto, scendendo in strada e restando caparbiamente aggrappata all’albero. I genitori cercano di dissuaderla da quella che loro considerano una sciocchezza, o comunque un tentativo vano, ma i fatti li contraddicono: altre persone accorrono in aiuto di Agata, imitando il suo gesto e creando una sorta di catena umana attraverso la quale nessun macchinario potrà passare. (Fig. 10)

Questo è ciò che accade quando, aldilà della paura dell’ignoto, del timore di fallire, della tentazione a rifuggire il giudizio altrui, ci si lascia guidare dalla fiducia e dal coraggio, come hanno fatto davvero alcuni personaggi di cui, a proposito di alberi, si racconta nel meraviglioso libro di Cécile Benoist e Charlotte Gastaut, Gli alberi e le loro storie62: Wangari Maathai e la “cintura verde” in Kenya, Julia Butterfly Hill e la sua permanenza di 738 giorni in cima a una sequoia per impedirne l’abbattimento e molte altre. Storie così belle da sembrare finte, così reali da non poter non essere narrate. 


La letteratura è anche questo. È realtà, ma è finzione. È finzione, ma è realtà. Per quanto fantasiosa e assurda possa essere, la fictio letteraria non è sinonimo di menzogna. Forse una delle più efficaci strategie per saper distinguere una buona letteratura da una di scarsa qualità è riconoscere dove la finzione diventa bugia. E la bugia non sta nel dire a un bambino che un palloncino può diventare un fiore o un ombrello, ma nell’imporgli la credenza che per essere buoni e bravi è necessario obbedire agli standard, che esistono cattive emozioni dalle quali guarire, che ci sono luoghi della mente e della realtà in cui è vietato guardare, che l’utopia è un luogo stupido in cui stare.

Leggere l’inatteso
Leggere l’inatteso
Irene Greco
Cambiamento, distacco, morte e lutto narrati negli albi illustrati. Un’accurata selezione di albi illustrati per affrontare temi come il distacco, la morte e il lutto grazie al potere della finzione narrativa e dell’immaginazione. Con interventi di counseling per instaurare una comunicazione efficace e rassicurante.