capitolo 2

Le componenti dell’apprendimento natatorio

Ambientamento, galleggiamento, scivolamento

Da un punto di vista funzionale, il nuoto può essere scomposto in respirazione, galleggiamento, scivolamento e propulsione. Potremmo in pratica considerarli gli elementi di base.

Da un punto di vista didattico, ci sono diverse linee di pensiero circa la cronologia di apprendimento dei vari aspetti. Alcuni orientamenti sostengono uno sviluppo e una sperimentazione olistica, in cui la didattica è composta di esercizi che stimolano contestualmente galleggiamento, scivolamento e immersione. Altri approcci, invece, caldeggiano una sequenza nella quale è consigliabile esplorare ogni fase separatamente, e considerare ad esempio il galleggiamento imprescindibilmente propedeutico per il successivo scivolamento, che a sua volta anticiperà l’introduzione della tecnica natatoria.

Ciò che invece non è in discussione, e che è considerato primario all’unanimità, è la preparazione del bimbo mediante un approfondito e ampio ambientamento. Vediamo di che cosa si tratta.

L’ambientamento

Con il termine ambientamento intendiamo una parte della didattica che ha lo scopo di consolidare nell’allievo un buon rapporto con l’acqua.

Detta così può apparire irrilevante rispetto all’apprendimento della tecnica, eppure un corretto ambientamento consente di raggiungere un livello ottimale di rilassamento, condizione necessaria per l’acquisizione delle altre competenze natatorie. Le ragioni sono abbastanza intuibili.

Chi di noi infatti non ha mai sentito parlare della spinta (o principio) di Archimede? “Ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del liquido spostato”. Il che in parole povere vuol dire che se provo a immergere un tappo di sughero o un oggetto sufficientemente leggero in un fluido, come ad esempio l’acqua, questo verrà immediatamente spinto verso l’alto.


Ma rispetto al nuoto c’è anche un altro aspetto che dobbiamo tenere presente: quando siamo in tensione, il nostro corpo è contratto, irrigidito. Tale condizione gli conferisce una densità maggiore rispetto a quando è rilassato poiché le fibre muscolari sono accorciate e “ammassate”. In un certo senso è come se “pesasse” di più. Per questa ragione ci risulta più semplice stare a galla quando ci “abbandoniamo” all’acqua e lasciamo che ci sostenga lei, senza cercare di tenere il nostro corpo contratto e in allerta.

Esplorare la fase dell’ambientamento, dunque, è importante non solo quando ad avvicinarsi al nuoto sono i bambini, ma a maggior ragione quando lo sono gli adulti e, in generale, tutti coloro che, grandi o piccini, abbiano molto timore dell’acqua.


L’esplorazione dell’acqua, il modo in cui spinge sul nostro corpo, oppone resistenza e interagisce con gli oggetti, ci consente di apprendere quelle competenze di base fondamentali per poter guidare il nostro corpo immerso in essa e ci permette di padroneggiarla consentendoci di muoverci senza perdere l’equilibrio.

L’ambientamento è verosimilmente la fase più importante e delicata del percorso. Può essere incredibilmente lunga e durare mesi, oppure richiedere addirittura alcuni preziosissimi anni. Capiremo perché.

Il galleggiamento

Potremmo considerare la fase dell’ambientamento come il momento nel quale impariamo a essere felici nell’acqua. Non ci fa più paura, cominciamo a capire come funziona, non ci stanchiamo più nemmeno troppo perché cominciamo a ottimizzare i movimenti, a non opporre inutili resistenze. Giochiamo con gli effetti della spinta di Archimede, sperimentando come ci fa ruotare, volteggiare se siamo distesi, rannicchiati o in qualunque altra posizione. Fino a sperimentare così il galleggiamento: abbandoniamo il corpo e lasciamo che a sostenerlo sia l’acqua.


Non è certamente una conquista semplice: spesso teniamo contratte parti di noi stessi senza accorgercene. E poiché il nostro corpo non galleggia tutto nel medesimo modo, può essere difficile capire quale distretto corporeo stiamo contraendo. Tendenzialmente sono tre i punti sui quali siamo soliti scaricare la tensione: la pancia, il collo, gli arti. Li irrigidiamo per diversi motivi, che ci impediscono di sperimentare un galleggiamento efficace.

Siccome poi la gabbia toracica, contenendo i polmoni, si comporta come un palloncino, la tensione del collo o della pancia finisce con il trasformarsi nell’affondamento delle gambe, che sono di fatto più pesanti del torace.

Un galleggiamento efficace consiste nell’abbandono completo del corpo immerso nell’acqua.

Lo scivolamento

Il galleggiamento del nostro corpo è certo una conquista fondamentale, ma l’ambientamento non risulta essere propedeutico solo ad esso. Il processo di acquisizione di una buona acquaticità di base è essenziale anche per consolidare un nuovo assetto orizzontale. Se infatti sulla terraferma di norma ci spostiamo camminando in posizione eretta, immersi nell’acqua il modo più efficace per muoversi risulta essere a partire da una posizione distesa, poco importa se proni o supini. Il nostro corpo può essere paragonato a una imbarcazione che scivola sull’acqua, nella quale il capo rappresenta la prua, e al momento opportuno le braccia fungeranno da remi, mentre i piedi da timone. Si parla appunto di scivolamento.

Il moto laminare dell’acqua

Per capire bene come mai è così complesso muoversi nell’acqua, dobbiamo avere ben chiaro che “forma” ha. Il principio di Archimede l’abbiamo già visto. È facile da percepire: ci spinge verso l’alto; se corriamo dentro l’acqua ci fa perdere l’equilibrio perché tende a portarci verso l’alto. Più siamo distesi e più galleggiamo.


Ma un altro elemento che condiziona il movimento dei corpi nell’acqua è il moto laminare. Immaginiamo un grosso quaderno, o meglio ancora una risma di fogli che scivolano orizzontalmente gli uni sugli altri, ognuno per conto proprio. Ce n’è qualcuno che va da destra a sinistra e qualcun altro da sinistra a destra. Altri ancora, quelli più in basso, sono fermi, “immobilizzati” dal peso di quelli più in alto. Ecco, l’acqua può essere rappresentata grosso modo nella stessa maniera. Ed è possibile osservare questa caratteristica prendendo una tavoletta di legno o una lamina di plastica o di gommapiuma un po’ rigida: se la poniamo sul fondo del mare (o della vasca o della piscina) e la lasciamo andare, la vedremo salire “danzando” a destra e a sinistra fino ad arrivare in superficie. Non salirà dritta, ma dondolerà, scivolando man mano che sale attraversando i diversi strati dell’acqua.

La respirazione forzata

Infine la meccanica del movimento natatorio si deve coordinare con la respirazione. Nel nuoto si dice che quest’ultima è “forzata” perché di fatto non può avvenire quando lo desideriamo o comunque quando è fisiologico che avvenga. Questo perché deve essere coordinata con il movimento propulsivo delle braccia e delle gambe. Ad esempio, se provate a galleggiare a pancia in giù trattenendo il respiro e decidete di sollevare la testa fuori dall’acqua, noterete che non è affatto semplice e che tutto il vostro corpo subisce delle modificazioni nell’assetto di galleggiamento tali per cui le gambe tenderanno ad affondare e le braccia a muoversi verso il basso in cerca di un appoggio per sostenere la testa che fuoriesce. Perché la regola vuole che se una parte del corpo esce dall’acqua, di fatto “pesa” e quindi il corpo “paga” con una quota di galleggiamento.


Notate bene che non cambia granché da stili a pancia in giù a stili a pancia in su nei quali, per intenderci, il viso è fuori dall’acqua tutto il tempo: il punto sono i muscoli degli arti che si muovono e che interferiscono con quelli che consentono l’espansione della gabbia toracica.

Varietà tra le razze

Un’informazione sul galleggiamento. I neri hanno uno svantaggio fisiologico nel galleggiamento, perché possiedono una densità ossea maggiore e una minor percentuale di grasso. Non solo: hanno una percentuale maggiore di muscoli “veloci”, la cui funzione è sostenere sforzi rapidi e intensi. Dal punto di vista della performance, la loro fisiologia fa di loro eccellenti cestisti, come dimostrano i campioni dell’NBA, perfetti per scatti e schiacciate, ma anche ottimi centometristi. Nel nuoto, invece, la gara più breve (i 50 metri) richiede più di 20 secondi.


Ho potuto verificare di persona questo aspetto, che è ancora più evidente se a imparare a nuotare è un adulto. Di solito quando chiedo a un bianco di stare “in piedi” dove non tocca, una parte della testa rimane a fior d’acqua e la spinta di Archimede è ben percepibile. La prima volta invece che mi sono trovata a proporre questo esperimento a un giovane nero, sono rimasta esterrefatta quando l’ho visto affondare due spanne buone e restare lì immerso, senza che il buon Archimede potesse farci alcunché. Da un punto di vista dell’apprendimento, effettivamente risulta loro più difficoltoso il galleggiamento statico mentre nella nuotata il tono muscolare compensa i punti sfavorevoli della fisiologia.

Primi tuffi e acquaticità neonatale
Primi tuffi e acquaticità neonatale
Maria Letizia Trento
Guida con esercizi e giochi per esplorare l’acqua. Una guida ricca di esercizi, di semplici ma preziose informazioni tecniche, nonché di aneddoti e racconti, pensata per accompagnare i neonati alla scoperta della loro corporeità e di questo magico elemento, di cui conservano ancora una vivida memoria.