CAPITOLO IV

Educare i genitori prima che i bambini: l’importanza dell’educazione prenatale e non solo…

“Allora, ditemi voi, chi va educato prima di tutto? Io sostengo che non siano tanto i bambini quanto i genitori. …Prima di impegnarsi nell’educazione degli altri, ognuno deve essere il pedagogo delle sue cellule”

M.O. Aïvanhov

Lo diceva anche Leboyer: “In tema di educazione, il primo dei doveri è un dovere verso se stessi”49 . Questa profonda verità io l’ho imparata soprattutto come mamma che, a un certo punto del suo cammino, per uscire dal tunnel della sofferenza, ha dovuto andare a riguardare il suo passato per elaborarlo e lasciarlo finalmente andare. Ogni volta che scavavo nei recessi della mia anima e riuscivo a mettere a posto un tassello della mia travagliata storia perinatale, vedevo di riflesso un miglioramento nella relazione con i miei figli: oggi il mio rapporto con loro è profondamente cambiato ed è sicuramente il migliore e più soddisfacente frutto di tutto il mio lavoro interiore, nonché la gioia più grande della mia vita.


Ecco perché nel corso degli anni ho spostato sempre di più la mia attenzione verso i genitori: sono convinta che solo rendendoli consapevoli del grande compito che hanno scelto, di custodi dei loro figli, si possa aiutare i bambini a crescere felici.


Dopo tanto studio e grazie ad esperienze personali di lavoro interiore, mi sono resa conto di quanto profonde, sottili e invisibili siano le dinamiche che sottostanno a tutte le relazioni, di qualunque tipo esse siano. E soprattutto di quanto condizionino la nostra vita, e quella dei nostri figli, finché rimangono sotterranee e inconsapevoli. Se noi non ci sforziamo di riconoscerle, rischiamo che i nostri bambini vivano vite non loro ma che appartengono a qualcun altro, esattamente come in molti casi abbiamo fatto noi…


Lo spiega molto bene Jung, per cui vi riporto le sue parole:

“I figli tendono sempre a vivere la vita inconscia che non è stata vissuta dai loro genitori, le cose che i loro genitori hanno ignorato, non hanno osato o hanno negato, a volte ingannando se stessi. I genitori non hanno niente di cui meravigliarsi se non della sprovvedutezza e ignoranza che essi stessi hanno della propria psicologia, che a sua volta è il frutto del seme gettato dai loro stessi genitori: sprovvedutezza e ignoranza che perpetuano all’infinito il corso dell’inconsapevolezza di sé. La mia soluzione a questo problema è: educare gli educatori, fare scuole per adulti”.

Ecco la conclusione a cui è giunto Jung, con la quale concordo pienamente.


I traumi familiari si trasmettono di generazione in generazione fino a quando arriva qualcuno disposto a spezzare le catene e a diventare il guaritore del suo albero genealogico.


In tutto ciò i bambini hanno la funzione di specchio per i genitori, per cui molto spesso riflettono le loro sofferenze e le loro problematiche per aiutarli a prenderne coscienza. Sono portatori delle memorie familiari: le hanno assorbite durante la vita prenatale, come abbiamo visto, quando erano immersi nel liquido amniotico, in un bagno di memoria, in un brodo di informazioni transgenerazionali, e durante tutta la loro infanzia.


Come emerge dalle costellazioni familiari, a volte i figli portano su di sé carichi invisibili ma molto pesanti, che condizionano quello che siamo soliti chiamare “destino”.


Il mal d’amore – dice Leboyer – è come le malattie infettive: “i genitori fanno pagare ai figli per tutto l’amore che essi stessi non hanno ricevuto. E che quindi non sanno dare”50 . Naturalmente non lo fanno con intenzione, ma questo è ciò che inconsciamente arriva.


Ecco perché quando ci troviamo in relazione con un altro da noi, soprattutto un bambino, dovremmo sempre chiederci “A che gioco stiamo giocando?”, e andare a scoprire cosa si nasconde dietro le quinte del palcoscenico.


I bambini hanno bisogno innanzitutto di avere al loro fianco adulti realizzati e appagati, altrimenti si sentiranno obbligati a dare a mamma e papà ciò che a loro manca, pena però il sacrificio di una parte di sé.


Ecco alcune dinamiche (chiamate di irretimento) che si riscontrano frequentemente nei sistemi familiari:

  • “Ti seguo nel tuo destino”: per non lasciarti solo nel dolore ripercorro i tuoi passi e mi attiro le stesse esperienze di sofferenza.
  • “Prendo il tuo posto”: ovverossia “faccio io per te quello che tu non sei riuscito a fare” (per esempio il medico, l’avvocato o l’artista).
  • Voglio espiare la colpa” (e quindi mi saboto e mi ammalo).

Se, per esempio, un bambino ha un genitore che non ha elaborato un lutto, può pensare inconsciamente: “Chiunque tu abbia visto morire e ti manchi io ne prenderò il posto: sarò il tuo sposo/a, il figlio che non è vissuto, il fratello che ti lasciò troppo presto, il tuo primo amore…”


Oppure se la mamma o il papà sono depressi, ecco che il pensiero diventa:

“Se ti vedo sempre triste e ti sento tanto sola/o, rinuncio alla mia vita per farti compagnia, accudirti, farti ridere…”

“Se gli altri ti hanno deluso io diventerò tutto quello che vuoi tu”.

Nel caso invece di una perdita finanziaria o un fallimento: “Qualunque cosa tu abbia perso io te la riporterò o non l’avrò neanch’io”.


È come se il bambino ci chiedesse “Posso essere felice anche se tu non lo sei?” Molte volte la risposta è no, non ci si dà il permesso…


Ecco perché è importantissimo che noi adulti lavoriamo per spezzare queste invisibili catene che imprigionano anche i nostri figli, proprio come, prima di noi, hanno incatenato i nostri genitori. Fino a quando arriverà un momento in cui potremo gridare con gioia, come nel gioco del nascondino, “Tana, libera tutti!”. Più noi adulti coltiviamo la nostra felicità e la nostra autorealizzazione, lavorando sui nostri problemi irrisolti e questioni in sospeso, più aiutiamo i nostri bambini a essere a loro volta felici. Quindi la risposta (scusate l’anticipazione) alla domanda del prossimo capitolo “Come aiutare i bambini a crescere felici?” è “diventando noi stessi felici”.


Oggi la nuova biologia ci dice che non sono i geni, il DNA, a determinare la nostra salute e la nostra vita ma le informazioni ricevute dall’ambiente (che sono in grado perfino di rimodellare i geni). Ecco perché il compito dei genitori è così importante! Come abbiamo visto, secondo B. Lipton essi sono dei veri e propri “ingegneri genetici”, che possono influenzare enormemente, fin dai mesi precedenti il concepimento, lo sviluppo e quindi la felicità dei loro bambini.


Nei primi sette anni di vita si scrivono i copioni della nostra storia: tutti i messaggi che il bambino riceve dai genitori (“Non capisci niente! Sei proprio un buono a nulla…” “Da solo non ce la puoi fare”, “La felicità si paga”, “La vita è dura, i soldi non crescono sugli alberi” ecc.) si imprimono nella sua mente subconscia, proprio come su un nastro magnetico, e queste tracce invisibili, che per il 70% contengono programmi autosabotanti, saranno poi quelle che condizioneranno il 95% delle sue giornate di adulto.


Ecco perché è fondamentale educare i genitori prima ancora che diventino tali.

L’importanza dell’educazione prenatale

Non ho mai capito perché una conoscenza così importante, come quella che insegna ad accogliere e a crescere un bambino, non sia proposta a scuola, dal momento che la maggior parte degli studenti diventerà prima o poi una madre o un padre.


Nessuno ci insegna il difficile mestiere di genitori e ognuno in questo campo è chiamato ad essere un autodidatta: peccato, perché forse si potrebbero risparmiare tanti errori, facilmente evitabili con un po’ di informazioni in più…


Ecco perché non mi stanco mai di scrivere o parlare di questi argomenti e, nel corso degli anni di pratica pediatrica, mi sono dedicata sempre di più a un lavoro di sensibilizzazione e formazione per promuovere una maternità/paternità consapevole.


Mi sono resa conto infatti che per curare con efficacia un bambino bisogna prendersi cura innanzitutto dei suoi genitori…


E il prima possibile: l’ideale sarebbe poter intervenire ancor prima del concepimento perché si potrebbe creare l’ambiente migliore per accogliere una nuova anima.


Mi è capitato per esempio in diversi miei corsi sulle tematiche perinatali che alcune donne presenti, che faticavano a iniziare una gravidanza, siano rimaste incinta proprio durante il percorso, oppure altre che avevano problemi di fertilità li abbiano sbloccati dopo una semplice lettura del loro tema natale, accompagnata dalla prescrizione di qualche Fiore di Bach.


Anche il tema della difficoltà a concepire andrebbe infatti rivisto da un’altra angolazione: la visione medica ne fa un problema di natura squisitamente fisica e agisce attraverso terapie ormonali e interventi di fecondazione in vitro per appagare il desiderio di maternità dei genitori non fertili, ma la realtà è molto più complessa e andrebbe affrontata in ben altri modi.


Ho visto donne a cui era stato detto che non avrebbero mai potuto avere figli per via di una chiusura delle tube uterine che invece sono rimaste incinta, altre che, dopo una serie di aborti ripetuti, sono riuscite a portare a termine una gravidanza giusto in seguito a una costellazione familiare, grazie alla quale era emersa la memoria antica, quella traumatica, che bloccava inconsapevolmente qualsiasi concepimento.


In tutte le culture tradizionali del mondo esistono tecniche e rituali per preparare l’arrivo di una nuova vita: purificare il grembo, ripulirlo delle memorie passate, ritrovare il proprio canto personale, cioè il proprio ritmo e la propria armonia da un punto di vista energetico, sono tappe fondamentali che vengono ritenute indispensabili per prepararsi al concepimento.


Qui da noi in Occidente invece non si presta sufficiente attenzione all’inizio della Vita: la nostra visione prettamente materialistica e meccanicistica ha dimenticato di onorare il Mistero che sta dietro a ogni nascita. E quando si perde l’anima, si perde il cuore, si perde anche il miracolo che ogni neonato continua ad annunciarci con la sua venuta al mondo.


Se l’educazione preconcepimento è ancora perlopiù un’utopia, l’educazione prenatale invece è una realtà ormai collaudata: oggi tutti i professionisti della salute sono concordi sulla sua assoluta importanza.


“Il periodo perinatale è un periodo sensibile, soprattutto per la disponibilità ad accogliere consigli, sostegno psicologico, nuove conoscenze e una nuova consapevolezza. C’è la possibilità di guarire i traumi del passato”51 ci ricordano Klaus e Kennel, ed è quindi in questo periodo “che ha inizio la vera educazione, quella potente, efficace, reale, indistruttibile52 .


Ho potuto constatare quanto afferma l’omeopata Peter Chappell: “Ciò che accade all’interno dell’utero rappresenta una tra le fasi più critiche della vita53 . Ma molto spesso le madri non si rendono nemmeno conto – perché nessuno gliel’ha mai detto – dell’influenza che esercitano i loro stati d’animo sul bambino durante la gestazione.


Tante volte mi è capitato sentirmi dire dalle mamme durante visite o conferenze: “Se solo l’avessi saputo prima!”


Si potrebbe migliorare l’umanità, ma soltanto a condizione che si cominci dall’inizio: dalla madre mentre porta in grembo il suo bambino54 . Trovo che queste parole del Maestro Aïvanhov esprimano nel modo più chiaro possibile il senso di questo capitolo, che, insieme a quello sul periodo perinatale, è per me il più importante di tutto il volume che avete tra le mani. Perché le sorti del bambino, come abbiamo visto, si giocano in buona parte prima che egli nasca.


Ecco perché sono sempre stata felice quando una coppia veniva da me all’inizio della gravidanza, (ma mi sarebbe piaciuto che fosse arrivata anche prima, quando incominciava a sognare che una nuova vita entrasse a far parte della loro famiglia).


Vediamo ora però di capire cosa vuol dire prepararsi alla nascita.

Preparazione al parto o all’accoglienza del bambino?

Da quanto detto finora, è assolutamente essenziale che una coppia si prepari al grande e sacro compito di diventare genitori il prima possibile e in modo serio e rigoroso. Ma in che modo?


L’educazione prenatale spesso viene affrontata con un taglio prettamente tecnico-informativo: i corsi di preparazione al parto tradizionali (che iniziano in genere nell’ultimo trimestre di gravidanza e quindi troppo tardi) vertono perlopiù su aspetti legati alla dieta e all’esercizio fisico, alla gestione del travaglio e alla preparazione della valigia da portare in ospedale.


Dobbiamo inoltre sfatare l’idea, così diffusa, che accogliere il bambino voglia dire preparargli una cameretta su misura o un corredino perfetto: l’educazione prenatale è molto, molto di più!


Conoscere per esempio il significato di ogni tappa dello sviluppo di un bambino, a partire dal punto zero, è fondamentale per poterlo accogliere in modo ottimale; comprendere i suoi vissuti fin da quando è poco più che un ammasso di cellule, permette di offrirgli quanto di meglio è possibile per farlo crescere bene. Imparare a comunicare con lui fin dall’inizio, da uno spazio di centratura e di presenza consapevole, è assolutamente prioritario e può rivelarsi più utile di tanti corsi di stretching…


La preparazione alla nascita non dovrebbe riguardare solo l’acquisizione di informazioni e conoscenze specifiche – che siano norme di puericultura o princìpi pedagogici – ma dovrebbe essere un vero e proprio percorso interiore che possa portare a una trasformazione dei propri vissuti, così da offrire al nascituro quella casa calda, gioiosa e accogliente che egli tanto desidera e che gli permetterà di diventare ciò che è destinato ad essere nel modo più “lieve” possibile.


Si tratta di fare un lavoro di pulizia, per buttare via un po’ di spazzatura, di zavorra, per cancellare quanto più si può le memorie del passato, i condizionamenti che ci sono stati inculcati e si sono appiccicati sulla nostra pelle e dentro la nostra anima, per identificare e smantellare le credenze errate, riconoscendo che erano solo bugie a cui noi ingenuamente abbiamo creduto. Durante la gravidanza – dal concepimento al parto – infatti emergono più che mai le memorie del nostro concepimento, della nostra vita prenatale, della nostra nascita, del nostro rapporto con la mamma, che influiscono in modo sotterraneo anche sul nostro modo di essere madre. Le memorie della nostra nascita o dei parti delle donne della nostra famiglia possono avere ripercussioni sul nostro parto e sulla nascita del nostro bambino, come ci insegna la metagenealogia.


Ecco perché la gestazione è un periodo cruciale, è il tempo privilegiato per fare un profondo lavoro interiore, un lavoro di consapevolezza, perché noi possiamo trasformare solo ciò di cui siamo consapevoli.


Se questo lavoro interiore – che è centomila volte più importante della ginnastica preparto – lo facessimo già prima del concepimento sarebbe ancora più fruttuoso perché, a livello energetico, permetteremmo l’incarnazione di un’anima a un livello di coscienza più elevato. E oggi è più che mai urgente innalzare il livello di Coscienza degli individui, se vogliamo salvare il nostro pianeta.


E qui ci tengo a sottolineare che il lavoro su di sé “non consiste solo nel rivivere i traumi passati (cosa che potrebbe spaventare e tener lontani i più da questo tipo di indagine) ma anche – come sottolinea Jodorowsky – nel far emergere l’immensa gioia di vivere che si annida nel più profondo di noi”. Perché, quando si sbloccano le serrature e si spezzano le catene, nuove porte si aprono e si è finalmente liberi di vivere la propria vita e non quella di qualcun altro.

Non c’è niente da mettere, ve lo assicuro, c’è solo da togliere.


Più ci svuotiamo di ciò che non serve, più facciamo spazio al bambino e gli forniamo l’ambiente ottimale per la sua crescita. Lui ha bisogno di un posto tutto suo, che gli appartenga per diritto di nascita.


Accoglierlo significa fargli posto nel proprio cuore, vuol dire imparare a conoscere i suoi bisogni, a comprendere le sue esigenze e sapere come soddisfarle, non soltanto però quelle del corpo, ma quelle dell’anima, che passano perlopiù inosservate, perché nessuno ci insegna a riconoscerle.


Ci sono miriadi di corsi per insegnare alle mamme le tecniche di puericultura: come allattare, come svezzare, come portare in fascia, ma con un bambino la tecnica non basta. È utile, certo, ma si tratta sempre di un livello superficiale, e invece occorre andare più in profondità, occorre un’educazione dell’anima, del cuore.


Educare è una parola bellissima che viene dal latino educere, che vuol dire tirare fuori: ecco cosa occorre fare oggi più che mai, tirare fuori l’anima, farla resuscitare, palpitare di nuovo. Perché, come scriveva la Montessori, “Il grande pericolo dell’umanità è il vuoto delle anime55 . Sappiamo tutto su tutto, la mente trionfa nella sua apoteosi, ma abbiamo perso il cuore.

Il tempo dell’attesa

Il tempo della gestazione è il tempo dell’attesa. “Solo le donne, le madri – scrive Erri De Luca – sanno cos’è il verbo aspettare. Il genere maschile non ha costanza né corpo per ospitare attese”56 .


L’attesa è un tempo per imparare la pazienza: ce ne vuole molta con un bambino… È un tempo per imparare a dare priorità alle cose che contano, a prendersi degli spazi per sé, a rallentare i ritmi. E invece quanto spesso mi capita di sentire mamme che mi raccontano di aver lavorato non stop, fino all’ultimo giorno, senza pensare che il bambino nel ventre in questo modo si sente ignorato e, come abbiamo già avuto modo di dire nel capitolo sulla vita prenatale, cercherà poi, una volta nato, di attirare l’attenzione che non ha avuto al momento giusto.


La gravidanza, per usare le parole di Recalcati, è “dono del tempo e di un’ospitalità senza proprietà”. La madre si fa custode del bambino e poi canale perché la sua forza di vita possa sbocciare e manifestarsi in tutta la sua gloria.


Nell’attesa inoltre c’è un progetto di vita. Prima di tutto quello relativo al bambino: come lo accoglieremo, dove lo faremo nascere, che nome gli daremo, come lo educheremo, quali saranno le scelte relative alla sua salute? Sono tutte questioni importanti su cui la coppia genitoriale dovrebbe discutere ancora prima del concepimento perché poi tante volte ho visto i nodi venire al pettine, quando magari era tardi per scioglierli senza sofferenza…


La scelta del nome che si dà a un bambino, per esempio, ha una grande importanza: noi occidentali abbiamo dimenticato che il nome contiene un’energia e nel nome c’è scritto anche, in codice, il nostro progetto di vita. Personalmente ho scoperto, solo dopo molti anni, che i nomi dei miei figli erano in realtà perfettamente corrispondenti alla direzione di vita già indicata nei loro temi natali!


Non è un caso poi se a un bambino si da un nome composto: Maria Luisa, Gian Luigi indicano in genere la necessità di trovare una conciliazione tra due antenati o due aspetti del proprio carattere. Così come il secondo nome, imposto magari solo al battesimo e mai usato, può contenere un significato importante che si è dimenticato o messo nel cassetto: è quanto è successo a me quando, arrivata a un certo punto del mio cammino, mi sono accorta di aver dimenticato una parte del mio nome, proprio quella legata alla mia nonna paterna, Maria, una donna sensibile ma forte e indipendente che, rimasta vedova da giovane, ha cresciuto due figli da sola e a ottant’anni ancora andava in altalena divertendosi come una bambina…


E visto che ogni nome contiene un’energia, ho sentito di aver bisogno proprio di quella della mia cara nonnina, ma soprattutto dell’energia di un’altra Maria, la madre del Cristo, donna interiormente illuminata e illuminatrice d’anime, la Stella Maris, che guida i naviganti alla ricerca della giusta rotta…


Se vi ho raccontato tutto questo è per dirvi che a volte l’integrazione di un nome di nascita dimenticato può rappresentare una vera e propria ri-nascita, intesa come conquista di completezza: a voi ora fare nuove entusiasmanti scoperte…!


Quante volte poi, specie in passato, ma ancora oggi succede, si dava o si dà a un figlio il nome del proprio padre amato, del nonno, o di un fratellino morto in giovane età, senza rendersi conto che in questo modo gli si affibbia anche un carico implicito: essere all’altezza di un parente amato o sostituire qualcuno che non c’è più e quindi colmare un vuoto peraltro incolmabile. Ed è un carico pesantissimo quest’ultimo per un bambino, che si trova a competere con un fantasma: è il classico bambino di sostituzione. È stato per esempio il caso di Van Gogh (suicidatosi alla nascita del nipotino Vincent), ma anche di J.M. Barrie, l’autore di Peter Pan, che si vestiva con i panni del fratello per prendere il suo posto nel cuore afflitto della madre.


Per fortuna mi capita sempre più spesso di sentire mamme che mi raccontano di aver ricevuto il nome del loro bambino in sogno: è lui o lei stessa che lo ha comunicato durante la gestazione.


E questo è bellissimo, perché è indice di una forte e profonda connessione energetica tra mamma e bambino.


Poi c’è da aggiungere un altro elemento, perché nell’attesa si riflette anche un altro progetto di vita: il nostro.


Ecco quindi che l’attesa diventa un tempo privilegiato per riflettere e interrogarsi sul proprio ruolo: essere genitori è un grande compito, vuol dire farsi custodi della creatura che ci è stata affidata, un compito sacro, che richiede molta responsabilità, molto impegno e anche molta fatica.


Talvolta mi capita di sentire mamme che si lamentano dicendo “Non pensavo che fosse così stancante o così difficile. Non posso più fare quello che facevo prima.”


Quando arriva un bambino la vita cambia perché nasce una famiglia e si sconvolgono i ritmi, le abitudini, le routine. Da un momento all’altro al centro c’è il neonato e le esigenze di mamma e papà passano in secondo piano. Non sarà così per sempre, non deve esserlo: non bisogna annullarsi per i figli e ai bambini quando crescono bisogna dare anche dei limiti – cosa che i genitori di oggi sembrano non saper più fare – all’inizio però sicuramente bisogna dedicare al piccolo germoglio tutte le attenzioni possibili.


Ma cosa succede se per esempio i genitori sono rimasti senza saperlo essi stessi bambini? Se sono ancora due adolescenti? O se stanno ripetendo in modo inconscio il copione dei loro genitori per i quali magari sono stati un peso? Ecco dunque che l’attesa si pone come un’occasione unica e meravigliosa per accogliere e imparare a conoscere non solo il bambino che portiamo nel grembo ma anche il nostro bambino interiore, quello di cui forse non conosciamo nemmeno l’esistenza e di cui non ci siamo mai presi cura.

L’attesa è, come abbiamo già detto, un tempo prezioso per lavorare su di sé, per imparare a conoscersi, per sciogliere blocchi, per aprire nuove finestre, per prepararsi a diventare madre, ad accogliere il bambino. Che non è una cosa così facile come si potrebbe immaginare.


Anche per questo l’attesa è un periodo fondamentale, su cui bisognerebbe veramente investire tutte le nostre risorse perché è il tempo in cui si costruiscono le fondamenta della casa, si mettono le basi della nuova vita che sta per nascere e se le basi sono solide, sane, tutto il resto poi viene da sé.


È il tempo in cui si può preparare un buon terreno (anche, per esempio, con l’uso di Fiori di Bach, ma soprattutto con un lavoro di consapevolezza interiore) così da permettere al seme di aprirsi senza paura e al piccolo germoglio di crescere sviluppando tutte le proprie potenzialità.


Ricordiamoci sempre però anche che non esiste la gravidanza perfetta o il parto perfetto, così come non possiamo pensare di essere genitori perfetti ma solo “sufficientemente buoni” (come diceva Winnicott), anche se in ogni caso chiamati a dare sempre e comunque il meglio di noi stessi.


Non dobbiamo dimenticare mai inoltre – e ci tengo a dirlo perché le mamme sono molto inclini ai sensi di colpa, anche immotivati, – che ogni bambino si ritrova in una determinata famiglia perché ha bisogno proprio di quella e di nessun’altra per elaborare e superare le tematiche che si porta dietro nel suo fagottino… Quindi tutto ciò che capita – anche a volte di inaspettato e spiacevole, per esempio riguardo al parto, che in quanto evento naturale è sempre imprevedibile – è funzionale a ciò che quel bambino e quella mamma sono venuti ad imparare.


Se potessimo avere una visione dall’alto, panoramica, come quella dell’aquila, se riuscissimo a dare una sbirciatina dall’altra parte di quel grande arazzo che ci sovrasta e di cui scorgiamo solo un guazzabuglio di fili ingrovigliati, ci renderemmo conto che esiste un disegno bellissimo e armonioso, in cui ogni filo ha il suo posto e la sua ragione di essere e che alla fin fine tutto è perfetto così com’è…


Da parte mia mi auguro che la consapevolezza possa crescere sempre di più in noi, così da poter avere quello sguardo e sentirci parte attiva del Grande Mistero che ci avvolge tutti.


Nella visione taoista, la terra è elemento legato alla trasformazione: siamo qui su questo pianeta per crescere, per maturare. Questo l’avevano capito bene i saggi dell’antichità ma anche i poeti che, dopo i mistici, sono i più vicini alla Verità e al Mistero. L’inglese Keats per esempio scriveva “Chiamate il mondo vi prego la valle in cui cresce l’anima e allora capirete a cosa serve il mondo”.


Siamo qui per evolvere, per imparare, per trasmutare, attraverso un processo di alchimia interiore, il piombo in oro: quale occasione migliore per farlo che l’arrivo di un bambino? Perché per lui troviamo il coraggio di metterci in gioco, in discussione, di guardarci dentro, perché per amore suo siamo disposti a rivivere la più grande avventura dell’essere umano, la storia di tutte le storie, il grande viaggio della Vita, l’unico viaggio che conta davvero.

La salute dei bambini
La salute dei bambini
Elena Balsamo
Come aiutarli a crescere felici Le questioni fondamentali riguardanti la salute dei bambini, affrontate in un’ottica olistica per offrire ai genitori le competenze necessarie a svolgere il grande compito che li attende. Elena Balsamo riassume in questo libro i temi più importanti riguardanti la salute dei bambini in un’ottica olistica e offre ai genitori il suo bagaglio di esperienza di tanti anni di pratica pediatrica con i più piccoli. Soprattutto, però, cerca di trasmettere il messaggio che più le sta a cuore: nel periodo perinatale è racchiuso il segreto della salute!Questo suo lavoro, intitolato La salute dei bambini, si pone quindi anche un fine educativo, per rendere i genitori sempre più consapevoli del grande compito che li attende per il quale occorre una rigorosa preparazione. Ecco perché prima di educare i bambini bisognerebbe educare gli adulti che se ne fanno custodi.Una lettura semplice e agevole che può, attraverso la sensibilizzazione dei grandi, aiutare i piccoli a crescere felici.