Quando i nazisti presero i comunisti / io non dissi nulla / perché non ero comunista. / Quando rinchiusero i socialdemocratici / io non dissi nulla / perché non ero socialdemocratico. / Quando presero i sindacalisti, / io non dissi nulla / perché non ero sindacalista. / Poi presero gli ebrei, / e io non dissi nulla / perché non ero ebreo. / Poi vennero a prendere me. / E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.1
“Per colpa di Cristian, che ha lanciato un quaderno, oggi non siamo andati in giardino”, mi ha riferito un giorno mio figlio, indignato, tornando dalla scuola elementare. La maestra, evidentemente, aveva dato di nuovo una “punizione sistemica”, cioè punito l’intera classe per ottenere il controllo del singolo elemento “di disturbo”. Questo approccio (rispetto a quello di occuparsi dell’elemento difficile, assumendosi la responsabilità di capire e di risolvere un problema, o almeno la responsabilità di imporre limiti), offre molti più “vantaggi” per chi vuole dominare gli altri:
- utilizza la punizione per vietare le situazioni sgradite, facendo passare questa scelta autoritaria per una “conseguenza” causata dalle vittime stesse;
- permette di occultare l’azione repressiva dietro etichette come “attivare le risorse del gruppo”;
- punisce il singolo convogliando su di lui il risentimento dei compagni;
- fa fare il “lavoro sporco” al gruppo dei pari, delegando loro a biasimare e reprimere i comportamenti dei compagni che violano le regole date;
- crea una divisione in “buoni” e “cattivi” che può essere utilizzata all’infinito per impedire la solidarietà contro l’oppressione, che si crea invece in un gruppo coeso (secondo l’antico sistema del “dividi et impera”);
- il capro espiatorio dirotta utilmente la frustrazione della massa, permettendo l’imposizione di limitazioni altrimenti non tollerabili.
Per me, vedere in mio figlio germogliare questo seme di odio e biasimo che gli era stato piantato, è stato come veder strisciare una vipera in salotto: il mio impulso è stato quello di schiacciarla subito con il piede. Dopo essermi fatta raccontare gli eventi, ho provato a ridefinire la questione, iniziando con una semplice descrizione dei fatti: “Cristian ha lanciato il quaderno per qualche motivo. La maestra si è arrabbiata. Non è stato Cristian a vietarvi il giardino: è stata la maestra che ha deciso di tenervi tutti in classe”. Abbiamo poi convenuto che per Cristian doveva essere stata davvero una brutta giornata: oltre a essergli andato storto qualcosa già da prima, in seguito non solo la maestra non si è interessata a capire cosa gli fosse successo, ma si è arrabbiata, e poi anche tutti i compagni si sono arrabbiati con lui: proprio una giornata storta per Cristian!
Ho poi chiesto a mio figlio perché secondo lui la maestra aveva deciso di vietare il giardino a tutti, anziché rimproverare solo Cristian. Mio figlio ci ha pensato e ha individuato la spiegazione corretta: “La maestra non vuole mai portarci in giardino, perché corriamo”.
Questo lavoro di riformulazione delle dinamiche scolastiche ho dovuto farlo, con entrambi i miei figli, per tutto il periodo delle scuole dell’obbligo. È stata dura, ma è valsa la pena per proteggere la capacità dei miei bambini di pensare con la loro testa. Quel bambino che si vide negare l’ora d’aria dalla maestra “per colpa di Cristian”, 30 anni dopo non si è fatto ingannare, quando si è visto di nuovo negare, da un’autorità più alta della maestra, di poter andare in giardino (o più lontano) “per colpa di…”. Il capro espiatorio sono stati a turno gli immigrati cinesi, i runner, i vecchi signori che portavano a spasso il cagnolino, e infine lo sparuto gruppetto dei “no-vax” (etichetta di comodo in cui collocare qualsiasi dissidente delle direttive del governo) che, nonostante ormai vivessero a casa (senza lavoro e senza poter prendere un mezzo pubblico o entrare in una cartoleria), erano diventati i principali untori di una perpetua pandemia. E invece, forse ai cittadini la mobilità è stata negata, in realtà, proprio per gli stessi motivi di quella maestra: non si è voluto che se ne andassero in giro, liberi.