creiamoci una rete di supporto

Un ambiente da bambino

NON È UN PERCORSO CHE FACCIAMO DA SOLI

Crescere un bambino a volte significa stringere molti legami emotivi, a volte sentirsi molto soli. Potremmo renderci conto che i nostri vecchi amici hanno priorità e prospettive diverse dalle nostre, che la nostra famiglia non ci aiuta abbastanza (o ci aiuta fin troppo) oppure che sentiamo la mancanza di un nostro familiare che purtroppo non potrà mai conoscere nostro figlio. Inoltre su internet potremmo vedere delle foto che ci fanno sentire in colpa perché la nostra vita non è perfetta quanto sembra esserlo quella degli altri (avete presente la scena: un picnic informale sulla spiaggia, in cui un grande gruppo di simpatici amici stringe fra le braccia i propri figli piccoli, mentre i loro fratellini corrono liberi e senza controllo al tramonto).


È ora di crearci una nostra comunità, perché nostro figlio può apprendere molto dalla vasta gamma di persone che ci sono al mondo e imparare a fidarsi degli adulti che sceglieremo perché si prendano cura di lui.


Ecco alcune delle persone che possono far parte della nostra comunità.

  • Il nostro compagno (se ne abbiamo uno): impegniamoci a creare un’intesa passando del tempo solo con lui, ma anche ritagliando dei momenti in cui tutta la famiglia possa riunirsi e altri ancora in cui lui possa sviluppare un legame emotivo con il piccolo prendendosene cura da solo.
  • Familiari (vicini): ci può essere uno speciale momento della settimana in cui vengono a passare del tempo con il bambino, mentre noi per un attimo ci togliamo le vesti di “mamma” e “papà” e torniamo a essere noi stessi.
  • Familiari (lontani): possiamo mantenere un rapporto con loro grazie alle videochiamate in cui leggono una storia al bambino, cantano una canzone o suonano per lui. Ogni tanto possono venire a farci visita, così che il rapporto online possa tradursi in uno basato sulla vita reale.
  • Amici che hanno un’idea di genitorialità simile alla nostra: mai prima di oggi è stato così facile trovare – online o meglio ancora nella vita reale – altre famiglie che condividono i nostri stessi valori. Le amicizie nascono molto velocemente e spesso durano per tutta la vita, come è capitato ai genitori che si sono incontrati in occasione dei giochi di gruppo organizzati da Simone.
  • Amici con cui non dobbiamo parlare di figli: la conversazione e il supporto di queste persone ci fa stare bene e ci ispira, rendendoci genitori migliori.
  • Una babysitter, tata, au pair o maestra d’asilo accuratamente selezionata: ci saranno utili un paio di mani in più (in alternativa possiamo accordarci con un’altra famiglia per badare ai bambini a turno).
  • Qualcuno che si occupi delle pulizie: se ne abbiamo la disponibilità economica, una volta al mese chiamiamo qualcuno che pulisca la casa da cima a fondo, occupandosi anche degli anfratti per cui non abbiamo sempre tempo.
  • Un professionista: un osteopata, un medico, uno psicologo, un chiropratico o un massaggiatore che si prenda cura di noi mentre noi ci prendiamo cura di tutti gli altri (sempre che ne abbiamo la disponibilità).
  • I nostri vicini di casa o i commercianti della zona: queste persone hanno un ruolo marginale nelle nostre vite quotidiane, ma con il passare degli anni possono diventare parte della nostra famiglia allargata.
Non c’è niente di male a chiedere aiuto

Possiamo chiedere una mano nel prenderci cura del bambino oppure in altri aspetti della nostra vita, così da avere il tempo di creare un legame emotivo con nostro figlio.


A volte siamo così stanchi che, anche quando qualcuno si offre di darci una mano, non sappiamo cosa rispondergli, perché non sappiamo quali commissioni vadano sbrigate, oppure ci viene difficile chiedere aiuto. Ecco un suggerimento: attacchiamo al frigorifero una lista delle cose da fare in casa o per il bambino, così chi viene a farci visita può scegliere qualcosa dall’elenco e darci una mano. Non sarebbe di grande aiuto?

Collaborare con il nostro compagno

In alcune famiglie ci sarà una persona che si prende maggiormente cura del bambino e una che se ne occupa meno, mentre in altre questo compito sarà equamente diviso fra i due genitori. Di qualsiasi equilibrio si tratti, dobbiamo lavorare per mantenere un legame emotivo con il nostro compagno, anche quando tutta la nostra attenzione sembrerà essere rivolta al piccolo.


Anche nelle famiglie in cui è la madre a prendersi cura del bambino nelle prime settimane, si può trovare un modo speciale per legare con il piccolo: durante la gravidanza il nostro compagno può parlare, cantare e suonare per il bambino, accarezzare il pancione, stabilire un legame emotivo e gettare le basi per i mesi successivi. Quando sarà venuto al mondo potrà stringerlo e parlargli, dal momento che la sua voce sarà ormai diventata per il neonato un punto di riferimento familiare. Potrà fargli il bagnetto, cantare per lui, cambiargli il pannolino, suonare o restare semplicemente in silenzio a guardare il bambino negli occhi, dolcemente. Potrà anche dargli da mangiare usando il biberon (pieno di latte materno o latte artificiale).


Il nostro compagno si impegnerà a proteggere e supportare l’unità familiare durante questa fase simbiotica, prendendo le telefonante, gestendo le visite di familiari e amici, preparando i pasti e andando a fare la spesa. Se ci sono altri bambini aiuterà a prendersi cura di loro, portandoli al parco o stando loro vicino nella difficile fase di transizione che li porterà a diventare fratelli maggiori.


Il nostro compagno ci può fornire un supporto emotivo. Le tempeste ormonali che condizionano il nostro umore vanno e vengono durante la gravidanza e nei mesi dopo il parto (a dirla tutta per i primi dodici mesi, di solito), per cui può essere utile sentirsi chiedere ogni giorno: “Come ti senti oggi? Hai bisogno di qualcosa?”. Forse ci vorrà un po’ prima che la madre si abitui al proprio nuovo ruolo dal punto di vista fisico, emotivo e spirituale e sia in grado di restituire il favore, offrendo il proprio supporto al compagno.


Queste piccole attenzioni date durante la gravidanza possono anche continuare dopo la nascita del bambino. Come restare insieme? Come mantenere salda la nostra unione, che ha dato vita a questo speciale essere umano? E come restare uniti anche dopo che il bambino sarà cresciuto e se ne sarà andato di casa?

Collaborare con i nonni e le altre persone che si prendono cura del bambino

Anche i nonni e le altre persone che badano al bambino possono essere di grande aiuto.


Ad esempio dandoci il tempo di fare una pausa: si possono offrire di cucinare, raccontare al bambino la propria storia, arricchire la famiglia condividendo musica, arte, storia e cultura. Possono fare le commissioni, aggiornare gli amici così da lasciarci spazio, fare il bucato, piegare i vestiti, dare una spolverata o spazzare il pavimento.


E possono amarci: saremo grati del loro affetto e lo accoglieremo con gioia.


A volte ci vuole tempo per trovare un accordo con i nonni del bambino o con le altre persone che si prendono cura di lui, perché forse avranno scelto un metodo educativo molto diverso da quello montessoriano e nel loro caso avrà funzionato. I nostri genitori (o i nostri suoceri) potrebbero sentirsi criticati se ci rifiutiamo di crescere i nostri figli come loro hanno cresciuto noi o il nostro compagno. Per scoprire qualche metodo creativo con cui spiegare alle altre persone in cosa consistono i principi Montessori e raggiungere un accordo, si veda p. 228.


La chiave del successo è rendersi conto che i nonni del piccolo, così come le altre persone che si prendono cura di lui, non hanno l’intento di farci innervosire: ci sono molti modi di crescere un bambino e loro puntano a fare del proprio meglio basandosi sulla propria esperienza e conoscenza.


È questo il privilegio di vivere: rendersi conto che cerchiamo tutti di dare il massimo e provare a trovare un modo di riconoscere, considerare e accontentare tutti.

ESSERE UN GENITORE SINGLE O UN CO-GENITORE

Esistono tantissime costellazioni familiari diverse: forse non abbiamo un compagno, o forse siamo i co-genitori di un bambino. Ogni organizzazione domestica va benissimo.


Forse ci preoccuperemo che il piccolo cresca senza avere due genitori in casa e che in questo modo si perda qualcosa. Se siamo un genitore single possiamo trovare altre figure di riferimento a cui il bambino possa ispirarsi crescendo, mentre se dividiamo questo compito con un co-genitore significa che il bambino effettivamente ha due genitori, solo che vivono in due case diverse, per cui ha l’opportunità di crescere in due ambienti domestici.


Se ci assumiamo la responsabilità della nostra situazione vedremo che anche le altre persone l’accetteranno e non ci giudicheranno per le nostre scelte. Accettiamo ciò che non possiamo cambiare e cambiamo ciò che possiamo: è molto meglio scegliere di essere felici che restare in una relazione che non ci soddisfa (o che è potenzialmente pericolosa). A volte non decidiamo noi di essere genitori single, ma se ce ne assumiamo la responsabilità cresceremo il piccolo nel modo migliore, e questo sì che dipende da noi.


Quando il compito di accudire il piccolo è diviso con un altro co-genitore, dobbiamo trattarlo con gentilezza davanti a nostro figlio. Se incontriamo delle difficoltà, parliamone con una persona fidata (un amico, un terapista o l’altro co-genitore) lontano dal bambino: forse non staremo più insieme al nostro compagno, ma saremo sempre una famiglia, grazie a nostro figlio. Cerchiamo il più possibile di fargli passare del tempo con entrambi i genitori (a meno che non si tratti di una situazione potenzialmente pericolosa): non solo ci sono numerosi studi che lo consigliano, ma andare d’accordo con il nostro ex compagno ci permetterà di organizzarci serenamente con lui nella gestione del piccolo.

TROVARE UN ACCORDO

A volte, se le nostre scelte genitoriali ci stanno particolarmente a cuore potremmo trovare frustrante avere a che fare con altre persone che non sono d’accordo con noi. Immaginiamo i seguenti scenari (probabilmente molto comuni):

  • ci sono persone nella nostra vita che sono piene di esperienza e vogliono condividerla con noi, mentre noi preferiremmo scoprire queste cose da soli;
  • altre persone vogliono dimostrarci il proprio affetto facendoci dei regali, quando noi preferiremmo meno doni materiali;
  • speravamo che alcuni familiari e amici ci dessero una mano, ma forse non hanno il tempo di farci visita, chiamarci o offrirci il loro aiuto;
  • il nostro compagno o la nostra famiglia non supporta la nostra decisione, ad esempio, di provare a usare un letto rasoterra.
Sensibilizziamo con informazioni goccia a goccia

Forse saremo tanto fortunati da avere nella nostra vita qualcuno che si sieda al nostro fianco e legga questo libro con noi.


La maggior parte di noi dovrà però agire più furtivamente, non con l’intenzione di manipolare chi ha accanto, ma condividendo ogni informazione lentamente, nel tempo, usando diversi formati. Così potremo far conoscere agli altri il metodo Montessori: anche se forse non cambieranno subito punto di vista, dopo un po’ capiranno il nostro.


Cerchiamo di capire come si informa la persona che abbiamo accanto: guarda dei video? Ascolta dei podcast? O preferisce leggere blog, newsletter, articoli o ricerche? Raccontiamogli l’esperienza di chi ha scelto il metodo Montessori e confrontiamoci con lui per spiegargli il nostro intento e fare il punto della situazione.


Ci sono così tanti modi in cui condividere le informazioni che basta trovare il formato giusto.

Scegliamo le nostre battaglie

Forse non riusciremo a raggiungere un accordo su tutto, quindi scegliamo cos’è più importante per noi e rendiamolo una priorità, ovvero l’unica cosa su cui non siamo disposti a cedere.


Cerchiamo di essere chiari e gentili, non aggressivi. Proviamo per esempio a dire al nostro compagno: “Ti amo e voglio mostrarti qualcosa che per me è importante.


So che non ti interessano queste cose, ma so anche che mi ami, quindi puoi aiutarmi/ ascoltarmi/darmi retta? Ti farò strada io, ma vorrei che mi aiutassi, quindi possiamo trovare un momento per parlarne? Quando ti andrebbe bene?”


Ci piace l’affermazione: “È importante per me”. Usiamola con moderazione, ma usiamola. È un modo di esprimerci senza dare la colpa all’altro e ci richiede di essere estremamente vulnerabili nell’affrontare una questione che altrimenti potremmo non tirare mai fuori.

Comunichiamo in modo da essere ascoltati (con maggiore probabilità)

Quando l’altra persona si sente giudicata è difficile stabilire un legame emotivo con lei, per cui si perde definitivamente l’opportunità di avere un confronto.


Quando correggiamo l’altra persona, è facile che si metta sulla difensiva: in questo modo non ascolterà cosa le stiamo dicendo, perché sarà troppo impegnata a giustificarsi.


Quando siamo convinti che ci sia un solo modo di fare qualcosa, rischiamo di dare all’altra persona la sensazione di non avere libertà di scelta. Cerchiamo di fare richieste, e non di avanzare pretese.


E quindi cosa dovremmo fare?


Ognuno ha le proprie idee, emozioni ed esigenze, per cui dobbiamo usare la nostra creatività per trovare un modo di venirci incontro. Nessuno ha torto e nessuno ha ragione. Dobbiamo solo trovare una soluzione che funzioni per tutti.


Le pagine seguenti sono ispirate al libro Le parole sono finestre (oppure muri) di Marshall Rosenberg, in cui si spiega come comunicare in modo che l’altra persona ci presti ascolto, aprendo la possibilità di instaurare un dialogo produttivo, invece di un conflitto.


Come funziona?


Prima di esprimere un giudizio o un pensiero, dobbiamo analizzare i nostri sentimenti. Per esempio, se vediamo uno dei nostri genitori o dei nostri suoceri che ronza intorno al bambino con fare apprensivo potremmo chiederci: “Perché è così iperprotettivo? Perché non lo lascia esplorare?”. Forse ci sentiremo frustrati, perfino arrabbiati, perché è un discorso che abbiamo già affrontato.


Prima di metterci a criticare il nostro familiare, chiediamoci perché proviamo questo tipo di emozioni. Questo atteggiamento mina uno dei nostri valori? Forse diamo un grande importanza alla libertà (come quella di lasciare che il bambino esplori autonomamente), oppure vogliamo che gli altri rispettino il modo in cui intendiamo crescere nostro figlio.


Solo quando avremo fatto questa riflessione, lasciando perdere ogni reazione di rabbia, potremo dire al nostro familiare che gli vorremmo parlare.

Come comunicare i nostri sentimenti?
  • Scegliamo un buon momento per parlare (non tenere una lezione). Accenniamo a quale sarebbe l’argomento e mettiamo in chiaro che vogliamo trovare una soluzione che vada bene per tutti.
  • Vediamoci all’ora stabilita.
  • Facciamo una costatazione obiettiva e usiamo parole neutrali: “Quando il bambino stava giocando a palla vicino allo scalino si stava impegnando molto per farla muovere, ma tu lo hai preso in braccio e gli hai detto di stare attento”.
  • Facciamo presente come questo comportamento ci fa sentire e mettiamo in chiaro ciò di cui abbiamo bisogno: “Mi innervosisco quando lo fai, perché per me è importante che il bambino impari a muoversi liberamente e capisca quali sono i limiti del suo corpo”.
  • Cerchiamo di capire il suo punto di vista: “Eri preoccupato che potesse farsi male?”
  • Facciamo una richiesta, non avanziamo una pretesa: “C’è un modo perché il bambino possa esplorare senza che tu ti preoccupi che si faccia male?”
  • Cerchiamo delle soluzioni creative insieme. Non si tratta sempre di un compromesso: spesso si arriva a un risultato ancora migliore di quello che avremmo mai potuto immaginare. Proviamo a dire: “Magari se sei preoccupato potresti sederti fra il piccolo e lo scalino”. Potremmo sentirci proporre “E se invece lo portassi al parco?”

Un punto di confitto potrebbe portarci a creare un legame emotivo con le persone più importanti per noi, a dispetto delle differenze. All’inizio ci può sembrare una conversazione un po’ impostata, ma con la pratica diventerà più naturale, perché riusciremo a esprimerci con parole nostre e sarà ben chiaro il nostro intento: trovare una soluzione in linea con le esigenze di tutti.


Consiglio: se qualcuno ci vuole parlare di una determinata questione ma non ci sentiamo pronti ad affrontarla (perché ci fa scattare, perché siamo stanchi, emotivi o distratti) possiamo dire: “Mi piacerebbe molto parlarne con te, ma al momento non credo di esserne in grado. Possiamo rimandare alle otto, così ho il tempo di elaborare meglio come mi sento e cosa ne penso?”. Fissiamo un orario e rispettiamolo.

Partiamo da valori condivisi

Parlando ci renderemo conto che condividiamo gli stessi valori, ad esempio vogliamo tutti che il bambino cresca sentendosi protetto, sicuro di sé e amato. Partiamo da qui per immaginare delle soluzioni creative per collaborare, invece di accusarci a vicenda.


L’obiettivo è di condividere la nostra visione e le nostre idee in merito alla genitorialità, o almeno cercare un terreno comune.


Restiamo calmi. Ricordiamoci di non prenderla sul personale.


L’importante è mantenere solida la nostra relazione, tenendo a mente che ognuno si basa sulla propria esperienza.


Il bello è che spesso troviamo delle soluzioni che permettono ai nonni e alle altre persone che si prendono cura del piccolo di incorporare nelle proprie azioni il metodo Montessori, ad esempio condividendo con il bambino la propria passione per il giardinaggio, le gite naturalistiche, il bricolage o la cucina.

Fissiamo un incontro settimanale per parlare del piccolo – con il nostro compagno e con gli altri

Può essere davvero estenuante discutere tutta la settimana di come vogliamo crescere il bambino, o al contrario potrebbe essere difficile trovare il tempo di parlarne. Le migliori coppie di genitori stabiliscono un determinato momento della settimana (per esempio, il mercoledì sera) per ascoltarsi a vicenda, sondare il terreno, capire come si sentono e fissare un piano per la settimana successiva.


Possiamo attaccare sul frigorifero un foglietto su cui scrivere tutte le questioni che vengono fuori durante la settimana: guardiamo il calendario per capire cosa ci aspetta e decidere chi dovrà cucinare, fare la spesa, badare al bambino ecc. Discutiamo dei prossimi passi da fare e troviamo delle soluzioni creative.


La settimana successiva faremo il punto su come è andata, capendo cosa si è svolto senza intoppi e cosa dobbiamo invece modificare.


Rendiamolo un momento divertente: aggiungiamo vino, tè, candele o un sottofondo musicale. Prepariamo dei salatini e poi mettiamoci a guardare un film, fare un gioco da tavola o cantare insieme una canzone. A guardare Instagram, questo genere di passatempi sembra molto diffuso.


Se a prendersi cura del bambino è un nonno o un altro adulto, fissiamo con lui almeno un incontro al mese per assicurarci di essere ancora sulla stessa lunghezza d’onda, almeno sulle questioni più importanti.

Proviamo a capire gli altri

Cerchiamo di essere curiosi e comprensivi non solo nei confronti di nostro figlio, ma anche delle persone che si prendono cura di lui, che si tratti di compagni, genitori, insegnanti o babysitter. Evitiamo di correggerli e di usare con loro un tono che non ci sogneremmo mai di usare con il bambino.


Nostro figlio fa suo il modo in cui trattiamo gli altri, per cui continuiamo a incarnare un modello positivo, mostrandogli che dobbiamo sempre portare rispetto.


“Quando hai gridato contro di lui perché _______________________, mi è sembrato che si trattasse di una questione che ti sta molto a cuore. Ti va di parlarmene?”

Mostriamoci riconoscenti e divertiamoci

Ricordiamoci di non prendere le cose troppo sul serio. Nei momenti migliori, crescere un bambino può essere meraviglioso.


E quindi facciamoci una risata, consapevoli che con il tempo i momenti più difficili con il bambino passeranno (anche se ce ne saranno altri) e noi stiamo facendo del nostro meglio. Quindi mostriamoci riconoscenti con le persone che ci aiutano a badare al piccolo, anche se magari non lo fanno esattamente come lo faremmo noi. Cerchiamo qualcosa da apprezzare, come il modo in cui ci portano qualcosa da mangiare, piegano gli abiti del bambino, ballano con lui e gli tengono compagnia.


Ringraziamoli sinceramente. Sappiamo chi ci sta osservando: nostro figlio.

Il piccolo imparerà che siamo tutti diversi

Non riusciremo sempre a fare sì che gli altri siano d’accordo con noi sul modo in cui cresciamo nostro figlio. Ognuno ha una storia diversa e delle diverse concezioni di giusto e sbagliato, ed è davvero difficile cambiare mentalità. E comunque chi dice che abbiamo ragione noi? Ognuno vede le cose dalla propria prospettiva.


Puntiamo ad essere d’accordo sulla visione d’insieme e poi veniamo a patti con l’idea che nostro figlio imparerà che i diversi adulti che si prendono cura di lui lo fanno in modo differente: alcuni sono più organizzati, altri hanno un approccio più vivace. Crescendo, il bambino capirà a chi rivolgersi in caso di bisogno.

COME SCEGLIERE UN ASILO NIDO O UNA BABYSITTER

Se abbiamo la necessità o il desiderio di tornare al lavoro, dobbiamo trovare qualcuno che si occupi del bambino con le nostre stesse accortezze.


L’ideale sarebbe trovare una sola figura che badi al piccolo: un nonno, una babysitter, una au pair o una figura simile. In questo modo il bambino sarà inserito in un ambiente linguistico ricco, potrà stabilire un legame emotivo e gli eventuali giorni di malattia non saranno un grande problema.


Ci rendiamo comunque conto che non si tratta di una soluzione accessibile a tutti.


Fino a circa 16 mesi il bambino può frequentare un asilo nido Montessori, per poi spostarsi fino ai 3 anni in una comunità per l’infanzia.


Un asilo nido Montessori è un ambiente preparato seguendo i principi di questo approccio educativo: i materiali, ben selezionati, sono disposti in modo ordinato e invitante, perché il piccolo possa esplorarli.


In un asilo nido Montessori, i collaboratori e le altre persone che si prendono cura dei bambini sono di importanza fondamentale. Devono essere persone uniche e speciali, che sappiano:

  • essere amorevoli, anche se i piccoli non devono amarle per forza;
  • avere tantissima pazienza;
  • muoversi lentamente;
  • offrire ai bambini un linguaggio ricco;
  • restare calme quando un bambino piange, rispondendo alle sue esigenze e rendendolo una priorità;
  • comprendere i genitori ed essere loro d’aiuto, ascoltandoli e in caso dando dei consigli.

Le persone che si occuperanno del bambino diventeranno i suoi punti di riferimento e lo aiuteranno a stabilire un attaccamento sicuro. Dovranno essere delicate con lui e comprendere i suoi segnali. Per quanto possibile, si dovrà trattare sempre dello stesso ristretto numero di persone (con poco ricambio), almeno per i primi tre anni (in particolare nel periodo 8-24 mesi).

Anche se l’ideale sarebbe di far crescere il bambino in un asilo nido Montessori, per ragioni logistiche o economiche potrebbe non essere un’opzione accessibile per tutti. Ecco quindi a cosa prestare attenzione nella scelta di un asilo nido o di una babysitter:

  • mentre la babysitter dà da mangiare al bambino lo deve tenere in braccio, guardandolo negli occhi (invece di porgergli distrattamente il biberon o telefonare nel frattempo);
  • l’ambiente deve essere rilassante e invitante per il bambino;
  • il bambino deve avere la possibilità di esplorare dei giochi adatti alla sua età, se possibile realizzati in materiali naturali;
  • l’area preposta al riposo deve avere dei letti rasoterra da cui il bambino possa alzarsi una volta sveglio;
  • una volta che il piccolo sarà in grado di mangiare cibi solidi, deve seguire una dieta nutriente. Mangerà da solo sedendosi a un tavolino basso (al posto di un seggiolone);
  • chi si occupa di lui deve comprendere l’importanza di dare spazio alla conversazione, trattarlo con delicatezza e chiedergli il permesso prima di toccarlo;
  • ci deve essere un rapporto tale perché ci sia un adulto ogni tre bambini: ai neonati non servono ampi gruppi sociali, perché stanno ancora stabilendo un legame emotivo con le persone che si prendono cura di loro;
  • non ci deve essere una televisione.

Non è facile trovare tutte queste caratteristiche in un asilo nido o in una babysitter, quindi puntiamo a fare del nostro meglio nell’individuare un luogo accogliente, dove nostro figlio possa sentirsi al sicuro ed essere accudito con amore.

E se l’asilo nido si basasse su valori diversi rispetto ai nostri?

È una delle domande più difficili che ci vengono poste. Ci rendiamo conto che non viviamo in un mondo utopico e che a insegnanti e babysitter chiediamo molto.


La cosa più importante è scegliere un asilo nido in cui ci sentiamo a nostro agio a lasciare il bambino. Ci andrebbe bene anche se non venisse fatta nessuna modifica?


A volte ci convinciamo che gli altri cambieranno idea e saranno d’accordo con noi, ma molti asili nidi esistono da anni e ci vuole tempo per cambiare – sempre che si cambi.


Consideriamo quindi cosa offre la struttura. Uno spazio esterno, altri bambini, pasti caldi o qualcuno che ami ridere e passare del tempo con i piccoli.


Alcuni insegnanti saranno più severi di altri. Anche i principi Montessori possono essere applicati in modo diverso. Alla fine, si tratta ancora una volta di capire se prevalgono i vantaggi, ad esempio il fatto che ci siano delle belle attività da assorbire o che lo spazio sia accogliente, o se preferiamo un nido che non segue il metodo Montessori ma ha un ambiente più caloroso.


Una volta che avremo stabilito un rapporto cordiale con le insegnanti dell’asilo nido, potremmo proporre loro di leggere qualche articolo sul metodo Montessori o perfino qualche pagina di questo libro, oppure di allestire un laboratorio aperto a educatori e genitori sul tema della disciplina positiva. Si vedano all’inizio di questo capitolo i consigli per trovare un accordo.


Se ancora non ci sentiamo a nostro agio, forse è meglio ritirare il bambino dall’asilo nido e trovarne un altro che sia più in linea con la nostra famiglia, oppure pensare a una soluzione creativa: potremmo cambiare il nostro orario lavorativo, organizzarci con un’altra coppia di genitori per alternarci come babysitter o trovare un gruppo di famiglie con cui condividere una tata.

SALUTARE IL BAMBINO PRIMA DI USCIRE

Se talvolta il bambino è affidato alle cure di qualcun altro, dovremo esercitarci a salutarlo in modo fermo: ricordiamoci che un neonato è molto sensibile e assorbe il nostro stato d’animo.


Il primo passo è assicurarci di essere soddisfatti della persona o della sistemazione che abbiamo scelto per il bambino: gli dobbiamo far passare il messaggio che a prendersi cura di lui è una persona di cui ci fidiamo.


Inoltre un neonato apprezza la prevedibilità, per cui salutiamolo sempre nello stesso modo. Trina, di DIY Corporate Mom, ci ha raccontato che ogni volta diceva a suo figlio che sarebbe tornata a casa al calar del sole, gli leggeva una storia sui pesci rossi e lo salutava. A quel punto la babysitter e il bambino andavano a dare da mangiare ai pesci. Le attività che creano un legame emotivo sono sempre un’ottima idea.


Abituiamoci poi a stringere il bambino per tutto il tempo di cui ha bisogno, prima di salutarlo. Abbracciamolo finché non lo sentiamo allentare la presa. A volte saremo costretti a dirgli che capiamo che possa sentirsi triste, ma che dobbiamo davvero andare: poi lo passeremo gentilmente al nonno o alla babysitter. Se non avremo fretta, questo momento si farà via via sempre più facile. Per tenere traccia dei progressi, proviamo a cronometrare di volta in volta per quanto tempo il bambino piange nel vederci andare via.

CONSIGLI DA PARTE DI NOSTRO FIGLIO PER CHI VIENE A FARGLI VISITA

Cari nonni, amici e altre persone che si prendono cura di me,


grazie di essere venuti a farmi visita. Siete davvero speciali.


Per favore, trattatemi con delicatezza. Prima di prendermi in braccio, chiedetemi se sono pronto e datemi il tempo di rispondere. Domandatemi se mi va un abbraccio o un bacino: se inarco la schiena, mi volto o piango significa che mi serve ancora tempo, per cui non prendetela sul personale.


Quando mi cambiate il pannolino, mi date da mangiare o mi fate il bagnetto, parlatemi e ditemi cosa state facendo. Toccatemi come se fosse la prima volta, perché per me è ancora una sensazione nuova. Non c’è fretta: mi piacciono questi momenti perché creo un legame emotivo con voi.


Parlatemi: se faccio un verso, ripetetelo. Raccontatemi qualcosa del mondo che mi circonda, indicandomi il nome degli alberi, dei fiori e delle piante. Voglio sapere tutto. Mi piace quando usate con me un tono cantilenante, ma senza esagerare e senza che ci siano parole inventate del tipo “gu ga ga ga” facendomi il verso. Parlatemi come se capissi tutto, perché assorbo ogni parola.


So di avere detto che dovete parlarmi, ma quando mi sto concentrando su qualcosa apprezzo anche il silenzio: lasciatemi finire di esplorare le mie mani o i miei piedi, quella foglia, quel sonaglino, quella giostrina, quella palla. La mia attenzione è importante tanto quanto la vostra, per cui non interrompetemi, per favore.


Se cado e mi metto a piangere, aspettate un attimo prima di prendermi in braccio. Lasciate che provi quella sensazione: sto scoprendo come funzionano le cose. A volte starò bene e mi rialzerò come se non fosse successo nulla, altre invece avrò bisogno di essere consolato, e in tal caso chiedetemi se voglio un abbraccio. Non ditemi di non preoccuparmi o di non piangere, e non provate a distrarmi. Dovete lasciarmi il tempo di elaborare questi sentimenti. Magari potreste chiedermi se mi sono spaventato.


Quando piango sto provando a comunicare qualcosa, per cui, per favore, non mi ignorate. Non piango solo quando ho fame, ma anche quando non riesco ad addormentarmi (e talvolta basta che mi calmiate con una carezza). Piango quando sono sottoposto a troppi stimoli nel corso della giornata (provate a tranquillizzarmi e a rimuovere la fonte di stress). Piango quando ho voglia di qualcosa di nuovo (magari potremmo provare uno spazio diverso o una diversa attività). Piango quando mi fa male lo stomaco (mi tiro le gambe; per ulteriori consigli consultate a pag 196 la sezione dedicata a coliche e reflusso). Piango quando ho il pannolino bagnato o sporco (è una sensazione così strana). Piango perché i vestiti mi danno fastidio (per favore scegliete degli abiti che abbiano poche cuciture ed etichette) o quando sono sdraiato sulle lenzuola sfatte (so che a voi sembra un dettaglio insignificante, ma a me sembra di stare su un ruvido pezzo di corteccia). Piango quando in casa c’è molto movimento (amo i miei fratellini, ma è possibile trovare un posto tranquillo?) e piango quando ce n’è troppo poco (adoro restare sdraiato sotto a un albero a osservare le foglie che si muovono). Piango quando ho bevuto troppo latte (perché il mio stomaco ha bisogno di tempo per digerirlo).


E a volte piango senza un apparente motivo, e vorrei che mi amaste comunque.


Aiutatemi il meno possibile, solo quando è necessario: se mi aiutate troppo non riuscirò a fare tutte queste scoperte meravigliose da solo, ma se non mi aiutate affatto perderò la mia fiducia nel mondo. So che riuscirete a trovare un giusto equilibrio.


Lasciate che vi stia vicino.


Lasciatemi libero di esplorare per terra.


O portatemi fuori: la natura è sempre il regalo migliore.


Per favore, condividete con me i vostri doni e talenti personali: cantate per me, suonate uno strumento, tenetemi con voi mentre fate giardinaggio, mostratemi come fate la maglia e come intagliate il legno, insegnatemi il vostro sport o il vostro gioco di carte preferito, raccontatemi dei vecchi tempi.


Non mi servono molti doni materiali. Preferisco dei giochi che non si illuminino e non si mettano a suonare rumorosamente, perché mi piacciono di più quelli che mi richiedono di pensare e di interagire con loro. Trovate tante idee nel capitolo 6 di questo libro, anche perché spesso non si trovano nei negozi di articoli per bambini. Non mi piacciono gli schermi, perché la loro luce mi rende difficile addormentarmi. Preferisco poter toccare e mettere in bocca oggetti reali.


A proposito, è così che osservo il mondo in questo momento, per cui lasciate che metta le cose in bocca e rimuovete tutto ciò che è potenzialmente pericoloso.


Sorridetemi, ridete con me, guardatemi negli occhi.


Amatemi. Il vostro amore è ricambiato.


Quindi, per quanto possa essere difficile, evitiamo di sgattaiolare via in modo che il bambino non se ne accorga: sta costruendo la propria fiducia nel mondo, per cui dovrebbe sapere cosa sta succedendo, dove stiamo andando e quando torneremo. Facciamo del nostro meglio per rispettare quell’orario.

Forse dovremo discutere con la babysitter come gestire il fatto che il bambino pianga dopo che ce ne siamo andati, soprattutto se sembra inconsolabile. Aiutiamola a trovare dei modi per mantenere la calma anche in queste situazioni.


È stato dimostrato che i bambini colgono i segnali emotivi di chi li circonda, per cui se vedono che ci fidiamo e apprezziamo la persona a cui li stiamo lasciando, faranno lo stesso. L’ideale sarebbe che la babysitter passasse del tempo con il bambino quando il genitore è presente: il piccolo capirà che è qualcuno di cui la nostra famiglia si fida. Allo stesso modo, se prevediamo di lasciarlo al nido, potremmo sederci in un angolo della stanza perché nostro figlio possa vederci per tutto il tempo di cui ha bisogno, prima di perdere interesse e allontanarsi gattonando.

IN PRATICA

  • Ci sono modi creativi di costruire la nostra (piccola) comunità? Nostro figlio può imparare molto dagli altri.
  • Riusciamo a collaborare con il nostro compagno o con gli altri per venire incontro alle esigenze di tutti?
  • Possiamo esercitarci a comunicare così da creare un legame emotivo e non innescare un conflitto?
  • Possiamo comunicare ciò che è importante per noi in un modo che (con ogni probabilità) ci farà ascoltare dagli altri?

Il bebè Montessori
Il bebè Montessori
Simone Davies, Junnifa Uzodike
Crescere il bambino nel primo anno di vita con amore, rispetto ed empatia.Una guida scritta a quattro mani in cui teoria e pratica si uniscono in un libro prezioso per tutti i genitori per applicare i principi Montessori nel primo anno di vita del bambino. Dall’autrice Simone Davies del bestseller Il bambino piccolo Montessori, tradotto in più di 25 paesi, arriva Il bebè Montessori, una guida scritta a quattro mani con la collega educatrice Junnifa Uzodike per applicare i principi Montessori nel primo anno di vita del bambino.Teoria e pratica si uniscono in un libro prezioso per tutti i genitori, ricco di suggerimenti per crescere il bebè con amore, rispetto ed empatia, mantenendo un sorprendente senso di calma e pace interiore.Nel libro si troveranno utili consigli per: sviluppare un sicuro senso di attaccamento stabilire confini chiari favorire lo sviluppo motorio e linguistico del bambino scegliere i giocattoli organizzare la casa, ricreando un ambiente calmo, tranquillo e funzionale per tutta la famiglia Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code sul retro di copertina. Tanti consigli per mettere in pratica quell’approccio profondamente rispettoso di crescere il bambino, che è il metodo Montessori.Angeline S. Lillard Conosci l’autore Simone Davies è un’insegnante Montessori dell’AMI (Association Montessori Internationale), ed è anche autrice di The Montessori Notebook, il popolare blog e profilo Instagram in cui offre consigli, risponde a domande e organizza laboratori online per i genitori di tutto il mondo.Nata in Australia, vive ad Amsterdam con la sua famiglia, dove organizza corsi genitori-figli nella sua scuola Montessori, la Jacaranda Tree. Junnifa Uzodike è un’insegnante Montessori dell’AMI.Vive in Nigeria con la sua famiglia, dove ha fondato la scuola Fruitful Orchard Montessori, ed è autrice del blog Nduoma, a good life.