quarta parte

Uso dei materiali nella scuola:
esiste un curriculum Montessori?

Siamo ancora nel secondo piano dello sviluppo: presentiamo una sintesi – emblematica, quanto gradevole – di un percorso di anni di lavoro in una scuola pubblica francese. Si descrivono conquiste raggiunte dai bambini oltre le loro difficoltà iniziali e malgrado un ambiente infelice con ostilità attorno.


Vi si parla di materiali e dunque è il modo più concreto per dare un’idea sia pure sommaria degli aiuti offerti a bambini e a ragazzi dal Nido alla Scuola Elementare Montessori.


Un percorso personalizzato: ecco che cos’è il curriculum secondo Montessori. Non tanto informazioni e nozioni da accumulare, quanto aspetti della conoscenza, sempre uniti a un fare concreto da cui la conoscenza scaturisce ben salda, che rispondono a tappe dello sviluppo e a interessi profondi del bambino che è protagonista del percorso stesso.


Dunque non un programma di concetti prefissato e nemmeno “aree” all’interno delle quali il docente articola le proprie lezioni, ma un’acquisizione graduale e coerente nel tempo di cui il bambino o il ragazzo sono protagonisti, all’interno di spazi esplorativi, interni o esterni, nei quali possono scegliere, approfondire questo piuttosto che quello.


È evidente che una tale libertà, ricca di imprevisti, è l’aspetto meno accettabile per un modello di istruzione fortemente centralizzata e determinata dagli adulti, come è ad esempio quello italiano, secondo cui tutti procedono in parallelo, senza diversificazioni possibili, con la spada di Damocle dei giudizi e dei voti.


Nella realtà Montessori invece l’allievo è in posizione di ricerca attiva e il docente gli si adatta, risponde, funge da guida maieutica e da incoraggiante sostegno, sospende ogni giudizio. In effetti entrambi cercano insieme, a livelli diversi, e sono in continuo apprendimento. E questo per ogni bambino presente nella classe!


Non va poi trascurato l’effetto “formatore” del gruppo dei compagni, il più possibile eterogeneo e tanto più incisivo via via che si cresce: grazie ad esso ogni scoperta individuale riecheggia in quella di altri, come confronto naturale e come reciproco arricchimento.


Proprio perché non si fa tutti, nello stesso momento la stessa cosa, le scelte personali risuonano nell’interesse degli altri e per altri, in uno scambio continuo.


Il resoconto che segue – sintesi di un’esperienza di molti anni in una pluriclasse (4-14 anni) o in piccole scuole di campagna nel Sud della Francia – ci è stato dato dall’Autrice: un suo invito ai colleghi e un racconto esemplare che, attraverso la gioia di agire di alcuni suoi allievi, riassume il lavoro Montessori a contatto con bambini di età diverse. Le note sono della curatrice.

Montessori in una primaria pubblica: un’esperienza francese

di Jacqueline Lefrançois96


Ho scritto questo opuscolo per i miei colleghi, maestre e maestri della scuola pubblica, che cercano di lavorare meglio, persuasi che i loro allievi potrebbero arrivare a risultati più soddisfacenti e che per questo accettano di esplorare fuori dei sentieri battuti. Racconto la mia esperienza nella speranza di renderli curiosi di saperne di più, affinché scoprano finalmente questo cosiddetto metodo Montessori di cui è stato detto loro molto poco o soltanto che non è adatto per i loro allievi.

Maria Montessori l’ha elaborato con bambini piccoli, poverissimi, abitanti in un grande casamento popolare, i cui genitori erano per lo più disoccupati e analfabeti. Come credere che non abbia nulla da insegnarci?


Maestra da circa otto anni, avevo già lavorato in molte classi e scuole assai diverse tra loro. Troppo spesso trovavo allievi a un bassissimo livello e mi avviliva avere ogni sera quaderni pieni di errori da correggere e lezioni da preparare che comunque sarebbero state ben poco seguite e capite dalla maggior parte.


Ricordo certe ragazzine che apparentemente leggevano alla perfezione, ma che non capivano nulla del testo letto o bambinetti, felici di ritrovare il libro iniziato l’anno precedente, che leggevano la prima pagina, spiegandomela in modo perfetto, ma che mi rispondevano, quando chiedevo loro di leggere la pagina seguente: “Ma, signora, questa non la sappiamo, non l’abbiamo imparata”.


Ricordo anche di un giorno in cui avevo preparato una lezione di aritmetica con la massima cura possibile perché risultasse chiara. Quando passai all’esercizio di applicazione, avevano capito solo in cinque o sei.


Fu allora – un po’ per caso, un po’ perché ero in cerca d’altro – che scoprii una scuola funzionante secondo Montessori. Mi parve esattamente ciò che andavo cercando: i bambini erano, nella stessa classe, di diverse età e questo mi era familiare, perché avevo avuto quasi sempre pluriclassi.


Qui però non si trattava di sezioni riunite in uno stesso spazio, né di scegliere di volta in volta a quale di esse l’insegnante avrebbe fatto lezione, mentre le altre si impegnavano in un lavoro scritto.


No, qui ogni bambino seguiva un proprio lavoro personale e il maestro era a disposizione di chi aveva bisogno di spiegazioni. Le mensole che nascondevano in basso le pareti erano coperte di materiali ben visibili ciascuno in un esemplare unico. I bambini si spostavano senza far rumore per andare a prendere il lavoro che a loro interessava e poi lo rimettevano a posto da soli.


Dopo questa scoperta che mi parve meravigliosa, cercai di capire, di imparare. Ora vi propongo di fare altrettanto.


Occorre tuttavia sapere che questo metodo non è una successione di procedimenti, né una somma di materiali con i quali è possibile spiegare le materie agli scolari. È prima di tutto un modo di capire il bambino per permettergli di svilupparsi. Utilizzare il materiale senza prima aver cambiato il proprio atteggiamento verso di lui, non servirebbe a niente. Io sono però convinta che molti miei colleghi sono pronti a questo sforzo.

Il metodo Montessori deve servire all’educazione di tutti

Maria Montessori è stata molto criticata, spesso in modo contraddittorio: lascia troppa libertà al bambino / è troppo dirigista…


Si è associato al suo nome un insieme di confuse connotazioni che hanno portato a dire: “Non fa per noi”. Forse perché, nata in una famiglia della borghesia italiana, era di origine cattolica? Tuttavia vi assicuro che né le lettere smerigliate97 , né il materiale del sistema decimale, spiegati poco oltre in questo opuscolo, sono contrari alla laicità98 .

Inoltre le regole di vita di questo tipo di scuola – essere attenti a non disturbare gli altri; rispettare il materiale; collaborare con i compagni – sono cento volte migliori, per un’educazione laica e repubblicana, della continua rivalità dei voti e delle classifiche. E il fatto di imparare a scoprire se stessi non è forse superiore, per la formazione del futuro cittadino, all’abitudine di ascoltare passivamente un maestro?


Si dice anche che il materiale Montessori costi caro. In parte è vero, ma nella classe ne esiste una sola serie e i bambini imparano ad averne cura. Dura molto a lungo (il mio l’ho adoperato per 22 anni) e in fin dei conti non costa più dei sussidiari rinnovati anno per anno.


Montessori in Francia è applicato solo nelle scuole private, dunque è riservato a bambini i cui genitori possono pagare. Proprio questo è ingiusto. Sono persuasa che gradualmente prenderà posto nelle scuole statali, dato che al presente le norme ministeriali raccomandano un insegnamento individualizzato, classi raggruppanti bambini di età diversa e sconsigliano le bocciature e conseguenti ripetizioni di classe.


Perché un ‘progetto scolastico’ non potrebbe avere per obiettivo l’orientamento di una scuola verso Montessori?

Dalle leggi in vigore in Francia

“La scuola è organizzata in cicli di tre anni: 2-5; 5-8; 8-11”.

“La ripetizione identica di un anno scolastico non esiste più. Quando il consiglio dei maestri (di ciclo) propone per un bambino di prolungare di un anno il ciclo, si tratta di tutt’altra cosa (rispetto alla ripetizione tradizionale). L’allievo è al centro di un progetto specifico nel quale re-impara ciò che ancora non padroneggia, ma va avanti nelle aree in cui è già sicuro”.


“Prima del gennaio 1992 la scuola presentava uno schema estremamente semplice: un corso = una classe = un maestro. Oggi questo schema è modificato. È nel progetto di scuola che si precisa il modo di funzionare scelto dall’equipe. Sono offerte così numerose possibilità. Per esempio classi di ciclo (tre età nella stessa classe)… Notiamo che l’apprendimento a gruppi di bambini di età diversa è una soluzione ricca ed efficace…”.


Talune istruzioni raccomandano il lavoro individualizzato.

Altre, molto vecchie, ma sempre in vigore, proibiscono i compiti a casa nella scuola elementare.

Maria Montessori99

Nata in Italia nel 1870 e morta nel 1952 in Olanda, dopo aver dedicato gran parte della sua vita allo studio dell’infanzia in tante regioni della terra, era pronta alla vigilia della sua morte a ripartire per l’Africa dove c’erano persone interessate al suo lavoro. Ma io preferisco pensare alla giovane donna dallo sguardo vivace che decide, contro il parere di tutti e contro gli usi del tempo, di diventare medico: è così che si laurea nel 1896. È la stessa che sarà delegata al Congresso dei Diritti delle Donne a Berlino nel 1898 dove reclamerà “salario uguale per un lavoro uguale” (La pedagogia non è l’unico settore in cui, cent’anni dopo, è ancora del tutto moderna). Ed è ancora lei che sceglierà di non sposarsi e di tenere con sé un figlio che aderirà totalmente all’opera della madre è la continuerà dopo la morte di lei.

Nel 1900 è nella Scuola Magistrale Ortofrenica che prepara anche i maestri e accoglie bambini ‘frenastenici’ della città; vi lavora anche con funzioni direttive per due anni ed elabora un primo materiale educativo, tanto da riuscire a condurli all’esame di scuola elementare, come i bambini normali che seguivano l’insegnamento tradizionale.


A proposito di bambini ritardati, permettetemi di raccontare un aneddoto recente. La mia amica Aline, insegnante di scuola speciale, ha una classe di sette bambini, tutti con handicap molto gravi. Una bimbetta in particolare è talmente disturbata che al minimo cambiamento corre al gabinetto e questo può accadere anche ogni cinque minuti. Dopo due anni Aline scopre il lavoro Montessori e cerca di fabbricarsi il materiale necessario, ad esempio una ‘catena del 100’ davvero magnifica. Si tratta di cento perle dorate, infilate a gruppi di dieci su fili di ferro rigidi, collegati tra loro. Piccole frecce di plastica con i numeri scritti e un tappetino su cui disporre a terra il tutto completano l’insieme.


I bambini furono talmente catturati da questi oggetti aritmetici, che rimasero oltre un’ora e mezzo attorno ad essi, appassionati, contando le perle e mettendo le piccole frecce l’una dopo l’altra. La bimba fragile era con loro e non pensò un solo istante al gabinetto in fondo al corridoio.


Fu Aline a interrompere il lavoro perché era arrivata l’ora di pranzo.


Lavorando con i bambini ritardati Maria Montessori capì, dati i buoni risultati ottenuti, che a maggior ragione i normali avrebbero progredito, superando le lezioni tradizionali. Quando le proposero di occuparsi di bambini piccoli – una sessantina circa – abitanti da poco in un grande casamento popolare, portò loro il materiale preparato per i bambini ritardati e soprattutto passò molto tempo a osservarli. Vide come i piccoli si calmavano quando si interessavano a un’attività, che erano tutt’altro che distratti, che la ricominciavano tante volte spontaneamente, alla fine mostrandosi soddisfatti di ciò che avevano fatto.


Scoprì i meccanismi dell’apprendimento di lettura e scrittura e quello della formazione della ‘mente matematica’. Vide anche bimbetti, in principio pallidi e smunti, rifiorire con un tono più vitale.


E poi? Da allora ci sono scuole Montessori in tutte le parti del mondo, ma ben poche in Francia e nessuna o quasi nelle nostre strutture pubbliche. Tuttavia Maria Montessori vide il suo primo libro pubblicato in Francia con la prefazione di Paul Lapie, all’epoca Direttore dell’Insegnamento Primario; fu nominata Ufficiale della Legion d’Onore nel 1948; gli ambienti ufficiali fecero erigere un suo busto in bronzo. Una delle sue collaboratrici, l’americana Miss Cromwell, aiutata da Marie-Aimèe Niox-Chateau, già alla fine della prima guerra mondiale, aveva donato una serie completa di materiale Montessori a ciascuna delle 99 Scuole Magistrali di Francia e a numerose scuole materne ed elementari. La Montessori ricevette tutti gli onori dal governo francese e venne proposta per il Premio Nobel della Pace, andato poi ad altri per le convenienze politiche del tempo. Perché dunque si parla così poco del suo lavoro?


Da parte mia, dopo aver cercato di saperne di più e di approfondire, ho voluto metterlo in pratica, come ora cercherò di raccontare.

Le idee-forza

Più che il ‘metodo’, è l’idea che l’insegnante si fa del bambino a determinare il modo di condurre la classe. Ecco alcuni principi essenziali prima di utilizzare il materiTutti i bambini, più o meno e salvo handicap specifici, hanno in partenza le stesse possibilità. Per esempio quella di arrivare a parlare un linguaggio qualsiasi, a seconda dell’ambiente in cui vivono.


Hanno anche, tutti, la possibilità di imparare a leggere, a scrivere, a calcolare se si danno loro gli elementi necessari a tali acquisizioni.


Questi però vanno presentati nella prima infanzia: appena qualche anno dopo, certe possibilità saranno scomparse. (Dipende dai periodi sensitivi!). L’essenziale per l’apprendimento della lingua materna si costruisce prima dei tre anni. L’interesse per la scrittura, la lettura, l’avvio dell’aritmetica è vivo tra i quattro e i sette anni. Passato questo limite, tutto diventa più difficile. Dunque c’è un tempo adatto per ogni cosa.


I bambini piccoli fanno le loro scoperte tramite il movimento e i sensi, non certo per mezzo di spiegazioni verbali. L’astrazione verrà più tardi e solo se le basi sono state assimilate, integrate.


Il bambino (e questo per lungo tempo) integra solo quello che scopre da sé; lascia cadere, ignora quello che gli viene dato a parole, come verità, come dogma. Non gli serve ascoltare lezioni teoriche, per lui è essenziale disporre di un materiale concreto che gli permetta di costruire a poco a poco le proprie conoscenze.

Il bambino deve potersi concentrare sul proprio lavoro, di qui la necessità di un ambiente calmo, sereno. Deve poter ricominciare lo stesso esercizio tante volte quanto lo desidera, fino a che la soddisfazione di aver scoperto qualcosa di nuovo è completa. È la riuscita che appaga il bambino, lo rende felice e gli dà il desiderio di affrontare cose nuove. Di qui l’inutilità di voti e di confronti.


Il bambino, ovvero ogni bambino. Quando una domanda viene posta a un gruppo di bambini e uno di loro risponde, è scorretto dire: “I bambini hanno trovato …”. Uno solo ha trovato e ha risposto. Gli altri sono stati solo uditori e la loro acquisizione resterà malferma, senza fondamenta.

Queste idee, tratte dalle osservazioni di Maria Montessori, sono alla base del resoconto che segue.

Come Janine imparò a leggere

Janine arrivò a scuola a 4 anni. Sua madre mi aveva detto: “Non è come gli altri”. Si era ammalata gravemente a pochi mesi e aveva cominciato a camminare e a parlare molto tardi. Era soprattutto ‘nervosa’, come del resto i suoi fratelli e la sorella. A inizio d’anno mi aveva spaventato con il suo disordine, la goffaggine, la lentezza nel capire. Se le dicevo di avvicinare la sedia, la tirava indietro. Quando le presentai la prima scatola dei colori, le mostrai il giallo e la invitai a cercare l’altro giallo, lei si alzò e cercò sotto la tavola.

Tuttavia gli esercizi con le tre scatole dei colori sono stati il suo più bel progresso. Impiegò due mesi e mezzo per capire il lavoro della prima: la scatola contiene sei tavolette (chiamate anche ‘spolette’: un tempo erano avvolte di fili di seta, oggi sono verniciate): due rosse, due gialle, due blu.


La prima presentazione consiste nel mescolare quattro tavolette di due colori e riunirle poi due a due. In principio metteva un giallo vicino al blu e diceva trionfante: ‘rosso!’ Per aiutarla le detti, a parte, alcuni bottoni verdi e bianchi da separare e fu una gioia vedere che ci riusciva, anche se durava poco perché il disordine riprendeva il sopravvento.


A poco a poco procedette, riuscì ad appaiare esattamente la prima scatola, tre settimane dopo la seconda (22 spolette, 11 appaiamenti).


Alla fine dell’anno scolastico, cioè a quattro anni e nove mesi, Janine sapeva mettere in gradazione vari colori della terza scatola (ogni colore, sette sfumature, dalla più scura alla chiara) e sapeva dirne il nome. Voleva fare tutto quello che facevano altri.

Un giorno le mostrai come usare gli incastri del disegno. In principio si limitò a prendere un po’ di foglietti, tracciarvi sopra una forma vaga e a metterli via, sottraendoli agli altri, per averne di più. Glieli presentai di nuovo:

prendere un cartoncino, posarvi un foglietto 14 X 14 cm; mettere nel portamatite tre pastelli di colore diverso; con una mano prendere l’incastro per il pomellino, con l’altra la cornice; portare tutto sul tavolino e disporlo bene in ordine. Poi sedersi comodamente e disporre la cornice (anch’essa 14 X 14) esattamente sul foglietto, tracciando accuratamente il contorno interno con una delle matite. Quindi togliere la cornice, sul contorno tracciato mettere l’incastro e, tenendolo ben fermo, segnare il nuovo contorno con un altro colore. Infine si toglie l’incastro, lo si rimette a posto nella cornice adagio, senza far rumore) e con un terzo colore si riempie la forma con piccoli tratti verticali, dall’alto verso il basso, a partire da sinistra, il più regolarmente possibile …


Alla fine dell’anno scolastico Janine, a volte, riusciva già a eseguire tale lavoro in modo corretto. Nel frattempo faceva molte altre cose; a piccoli passi riusciva a calmarsi, a concentrarsi, a eseguire con cura quello che aveva scelto di fare.

Aveva passato molto tempo a lucidare piccoli oggetti di rame o un piccolo paio di scarpe; aveva annodato, abbottonato, allacciato, infilato. Con i compagni aveva camminato sul “filo”: avevo incollato sul pavimento, pur nello spazio limitato tra i tavoli, una striscia adesiva che formava un rettangolo dagli spigoli arrotondati. L’esercizio consisteva nel camminare lentamente, uno dietro l’altro, ponendo attenzione ai piedi. Proposto all’inizio della giornata, calmava tutti i piccoli.


Janine aveva anche partecipato alla lezione del silenzio: durante il giorno nella classe si sentiva un leggero brusio; i bambini si spostavano spesso, parlavano tra loro pur senza gridare. La regola era quella di non fare rumore per non disturbare gli altri. Non c’era mai silenzio, salvo nel momento di questa speciale esperienza che riguardava tutti i bambini, piccoli e grandi.

La consegna era semplice: sedersi comodamente, poi non muoversi fino all’immobilità (per qualche istante). Il risultato è un silenzio totale che permette di cogliere i rumori esterni. Alla fine ci si rimette a parlare, con calma e ciascuno può dire ciò che ha sentito.


Janine si era molto interessata anche all’armadietto degli incastri piani, per l’approccio sensoriale alla geometria. Sono quadrati di legno verniciato (sempre 14 X 14) nei quali sono intagliate diverse forme: cerchi, triangoli, rettangoli, quadrati, poligoni … trentadue in tutto.


Il bambino all’inizio ne utilizza poche: un cassetto di sei. Prende per il pomellino, con una mano, una delle piastrelle e, con il pollice e l’indice dell’altra, ne segue il contorno in senso antiorario, lo stesso che userà per la scrittura. In seguito segue allo stesso modo il contorno della cavità; infine vi rimette la piastrella. (Un lavoro molto semplice, eppure affascinante per i piccoli e con verifica diretta per loro della precisione del risultato). Per essere ancor più interessante, questo esercizio si può fare a occhi chiusi o con una benda.


Il materiale include anche tre serie di cartoncini; ciascuna rappresenta le trentadue forme dello stesso colore dell’incastro, ma:

  • la prima è interamente colorata;
  • la seconda è segnata da una linea larga un centimetro;
  • la terza, da una linea molto sottile.


Si tratta di appaiare le piastrelle alle forme corrispondenti dei cartoni. L’ultimo esercizio (il bambino vi può giungere varie settimane o mesi dopo la prima presentazione) consiste nel disporre tutti i cartoni delle tre serie, da quella intera a quella con la linea sottile e passare gli incastri dalla prima alla terza serie.


Alla fine del primo anno Janine arrivava a completare solo la parte iniziale di questo lavoro (un cassetto e la prima serie di cartoncini).


Al ritorno, in settembre, era ricaduta nel suo disordine totale: prendeva alcuni giochi, li usava malamente, cambiava di posto senza motivo, parlava di continuo, disturbava gli altri. Impiegò circa due mesi per calmarsi.

Cominciai allora la preparazione diretta alla lettura. Secondo Montessori leggere significa tradurre segni in suoni e questi in significati.


Anche il metodo sillabico Boscher100 traduce i segni in suoni. Fino all’ultima lezione le parole sono tagliate in sillabe e spesso senza nessuna preoccupazione per il loro significato: “il pa vi men to scu ro, il gat ti no go lo so…”. Molti bambini imparano a leggere con questo sistema perché il maestro riesce a stabilire per loro un legame tra parola scritta e significato. Il metodo globale al contrario vuole tradurre direttamente i segni in significati, senza passare attraverso l’analisi dei suoni. Dopo aver ascoltato un testo, averlo spiegato e tagliato, i bambini ritengono di saper leggere. In effetti, a poco a poco, trattengono il senso dei vocaboli e, quando si mostra loro la parola ‘saluto’, rispondono ‘Buon giorno!’. Molti di questi bambini imparano a leggere perché negli anni della materna avevano già scoperto le lettere. Oggi la maggior parte dei maestri fa il cosiddetto “metodo misto”: i bambini arrivano comunque a leggere.


Montessori segue ancora un cammino diverso, partendo con le lettere smerigliate.


Si tratta dapprima di far scoprire al bambino i suoni che compongono le parole che egli usa ogni giorno, insieme ai segni corrispondenti, rappresentati da grandi lettere almeno di 8 cm le corte, ciascuna isolata dalle altre, ritagliata in carta smeriglio molto fine e incollata su un cartone robusto. Si presentano mostrando come toccarle e dicendone il suono, anche prima dei quattro anni101 .

Quando il bambino conosce tutte le lettere o quasi, gli si dà l’alfabetario mobile con cui, basandosi sull’analisi dei suoni, riesce a comporre parole fonetiche. Per la lingua francese occorre poi dare immagini che aiutino il bambino a comporre le parole non fonetiche.

In ogni caso i vocaboli che analizza hanno un significato.


Più tardi arriverà allo stadio della lettura: il bambino, pronunciando uno dopo l’altro i suoni di una parola, dapprima lentamente, poi più velocemente, arriverà a coglierne il senso. È la “chiave” della lettura: quando l’ha trovata, non smette più di leggere. La maggior parte dei bambini che ho avuto dall’età dei quattro anni, tutti provenienti dalle campagne, hanno cominciato a leggere prima dei sei anni.


Attenzione: da questo non bisogna dedurre che il bambino possa imparare a leggere prima dei sei anni in un modo qualsiasi. Nella scuola Montessori non si insegna a leggere, ma si danno gli elementi perché il bambino stesso scopra il suo potere di leggere. E questa è tutt’altra cosa.


Torniamo a Janine. Verso la fine del primo anno avevo provato a farle scoprire i suoni contenuti nelle parole. In una scatola avevo riunito una dozzina di oggetti abitualmente conosciuti dai bambini, scelti in base alla sonorità del loro nome:

vis (vite), fil (filo), cube (cubo), café (caffè), ecc.


Dopo aver verificato che li conosceva tutti, la invitai a cercare: ‘In quale parola si sente “a”? e “sss”?’. Non sembrò interessata e io non insistetti.


Il secondo anno, quando aveva ormai cinque anni, le presentai di nuovo qualche lettera smerigliata.

Una grande lettera per piccole braccia: si mettono in gioco la memoria visiva, la memoria tattile, la memoria muscolare. Al bambino piace e ricomincia a toccarle varie volte di seguito, pronunciandole tra sé e questo vale tutti gli esercizi di scrittura. A sei anni Janine conosceva molte lettere, ma non riusciva ancora a ritrovarle nelle parole. Un giorno, il 17 novembre, quando aveva sei anni e due mesi, cominciò a comporre, parole molto semplici, seguendo una serie di immagini: as (asso), os (osso), vis (vite), lis (giglio)102 .

Fu per lei una grande vittoria e un’immensa gioia. Più volte nella giornata venne ad abbracciarmi e prima di andar via mi regalò un suo disegno. Credo che, di fronte alla felicità di aver superato l’ostacolo, voti e ricompense non abbiano davvero alcun significato.


La composizione delle parole si fa con l’alfabetario mobile già ricordato, un grande casellario in cui le lettere, ritagliate in cartoncino, sono sistemate in ordine e in più copie ciascuna. Il bambino non scrive ancora le parole. Non ne è ancora capace e inoltre l’eventuale errore si corregge facilmente, mettendo o spostando una lettera, senza lasciare traccia.


A partire da quel momento Janine continuò a comporre tutti i giorni parole con molto entusiasmo. Andava persino dai compagni a suggerire loro: “Ci vuole una ‘b’, una ‘r’”.

Bisogna precisare che in una classe Montessori i bambini fanno ognuno un lavoro diverso, scelto da loro stessi, dato anche che nessuno è esattamente allo stesso livello degli altri. I compagni di Janine componevano parole diverse da quelle che interessavano a lei. Nello stesso periodo cominciò a fare progressi notevoli anche in aritmetica: si sa che un successo incoraggia e ne trascina altri con sé.


Tuttavia Janine era sempre molto instabile. Un pomeriggio la osservai senza intervenire: era uscita senza aver terminato o forse nemmeno cominciato il lavoro scelto. Aveva messo insieme una mezza dozzina di materiali (la regola è di adoperarne uno alla volta, rimettendolo a posto dopo averlo usato), con molti gesti inutili, spostamenti agitati e soprattutto parole. Eppure, due mesi dopo la prima composizione di parole, Janine scoprì la “chiave” della lettura.


Quando i bambini compongono una parola (ad esempio ‘rosa’ o ‘palla’) la ripetono, ma questa non è lettura, è solo memoria di ciò che hanno appena fatto. Due giorni dopo, se si mostrasse loro, anche con l’alfabetario, la stessa parola, non saprebbero individuarla. Leggere infatti significa analizzare i suoni in modo così rapido da coglierne il significato.


Janine quel giorno cominciò a leggere i suoni uno dopo l’altro ‘m, o, t, o’. Le dissi: “Così, così, ma più svelto” e lei riprovò. “Più svelto ancora”, le dissi ridendo. “m o t o”. Di colpo, ripetendo, “È una moto!”.


Tirai fuori un libro con parole scritte in grande e molto facili. Le lesse subito, con grande felicità.

È importante capire che si tratta di un’autentica scoperta fatta dal bambino e non qualcosa che gli sia stato insegnato. In una classe Montessori non si usa “far leggere”. Il bambino legge e basta, e lo fa in silenzio senza disturbare i compagni che magari stanno leggendo altro o sono occupati in calcoli o con la geografia.


Con questa scoperta i bambini non hanno alcun problema di rovesciamento di lettere, perché si tratta sempre di leggere un suono dopo l’altro.


Solo dopo che ha capito la lettura fonetica, si propone al bambino altro materiale, per studiare separatamente le difficoltà ortografiche proprie della lingua, con immagini, biglietti e nomi da associare.


Subito dopo non si dà certo il classico ‘libro di lettura’, ma ancora parole, tante parole isolate. Nella classe se ne trovano moltissime da leggere: etichette sui mobili, nomi dei compagni, ‘comandi’ semplici e divertenti che indicano un’azione da compiere (“Vai alla porta”, “Cammina per la stanza”) e ai quali bisogna “obbedire”. Troverà minuscoli libri a due pagine, con una figura e una sola parola; raccolte di figure in appaiamento con i loro nomi isolati; infine libri, tanti, diversi l’uno dall’altro, interessanti.


Janine, nervosa e instabile come era, aveva conquistato la lettura grazie a più elementi: i numerosi esercizi di vita pratica, da lei stessa ripetuti a suo piacere, che le avevano affinato i sensi e al tempo stesso l’avevano condotta alla calma e alla concentrazione. L’aveva aiutata il lavoro individuale, al suo ritmo: le aveva permesso scoperte quando era pronta per farle, senza subire accelerazioni o rallentamenti a causa di qualche compagno. Al tempo stesso bambini più grandi o meno disturbati di lei le avevano suscitato il desiderio di arrivare a leggere come loro e la presenza di altri più piccoli le aveva dato sicurezza e continuava a dargliela: non la faceva sentire “ultima”, ma al contrario la metteva spesso in condizione di aiutare a sua volta.


La nostra d’altra parte era una situazione particolare – un gruppo di bambini dai 4 ai 14 anni, mentre di regola nelle classi Montessori i gruppi sono riuniti per tre anni d’età. Infine per Janine era stato fondamentale il materiale, così preciso, grazie al quale aveva potuto molte volte correggere da sé i propri sbagli.

Marianne e l’aritmetica

Anche Marianne era arrivata nella scuola a quattro anni. In principio era triste, inattiva. Poi un giorno scoprì un lavoro appassionante e di colpo fu come se si svegliasse. Come altri aveva lucidato e svolto altre attività manuali (nell’ambito della “vita pratica”) che avevano lo scopo di aiutarla a sviluppare le sue abilità concrete, i suoi sensi e a concentrarsi sul proprio lavoro.


Aveva lavorato a lungo con le aste delle lunghezze: dieci barre, a sezione quadrata (2,3 X 2,3 cm), la cui lunghezza va da un metro a un decimetro.

Prendendole con entrambe le mani (quando si hanno solo quattro anni, si fa fatica a prendere con le braccia aperte la più lunga!) il bambino acquista senza spiegazioni il senso della lunghezza, così come con la torre rosa (dieci cubi in gradazione da 10 cm a 1 cm di lato) il senso della grandezza che prepara allo studio dei volumi, sviluppando la precisione delle piccole mani per elevare una torre perfetta.


Ben presto passò alle aste numeriche, rosse e blu, identiche come dimensioni alle aste delle lunghezze, tutte rosse. La differenza consiste nel fatto che nelle numeriche sono evidenziate, alternando il rosso e il blu, sezioni di 10 cm l’una, da 1 a 10.


Un giorno Marianne le dispose a terra come le rosse: mi avvicinai e prendendo in mano la più corta, dissi: ‘uno’, poi passai questa sulle due sezioni dell’asta successiva e dissi di questa: ‘due’.


A seconda dei progressi del bambino si può arrivare così fino al ‘dieci’, ma attenti a non forzare, a non anticipare, cioè a non presentare una nuova quantità se le precedenti non siano state del tutto assimilate.

Per Janine questo richiese vari mesi, per Marianne qualche giorno appena. Da notare che le aste numeriche sono un materiale perfetto dal punto vista matematico, nel senso che le varie unità sono distinguibili tramite colore, ma al tempo stesso legate in un insieme che è appunto l’asta.


A questo livello Marianne aveva solo imparato a contare e a dare un nome alle quantità. Solo in un secondo tempo cominciò a conoscere i simboli relativi, cioè le cifre. Per questo scopo utilizzò le cifre smerigliate, simili alle lettere smerigliate: imparò a riconoscerle e a disegnarle. Alla fine le presentai l’associazione tra quantità e cifre. Più volte volle disegnare le aste e scrivere il numero relativo.


D’altro canto aveva anche altri materiali che potevano rafforzare la sua conoscenza dei numeri da 1 a 10 e ciascuno di essi era altrettanto rigoroso, senza particolari che possono distrarre dall’obiettivo: la conoscenza delle quantità, in particolare i bastoncini colorati da 1 a 9, che l’avrebbero condotta lontano nell’esperienza dei numeri.


Sono perle infilate su fili di ferro rigido; ogni numero è di un colore diverso. Ci sono anche nove cartellini con i numeri: si dispongono sul tavolo, su un piccolo tappeto, dall’1 al 9, mettendo accanto la cifra corrispondente. (Le perle sono attaccate vicinissime le une alle altre; i colori sono convenzionali, ma utili per facilitare il riconoscimento delle quantità e, in seguito, per accelerare i calcoli).

Fig. 8a - Il materiale dei francobolli: si predispone l’addizione. I tre addendi sono ben visibili; le tessere di cartoncino o di legno - i “francobolli” - sono nei colori gerarchici. Le figure dalla 8a alla 12d sono a cura di J. Lefrançois.

Fig. 8b - L’addizione eseguita. Le tessere, come i cartelli, sono nei colori gerarchici, verde, rosso, blu, ma qui le tessere delle decine mancano perché tale è il risultato dell’addizione: 8 migliaia, 8 centinaia, 8 unità semplici. Per maggiore chiarezza le tessere portano sovraimpresso 1000, 100, 10, 1.

Fig. 9b - La divisione eseguita. Il 2 di resto è bene evidente nei due francobolli a lato (verdi) che non possono essere distribuiti, non potendo dare, ancora una volta, un francobollo a ciascuno dei quattro “omini”


Fig. 9a - Il materiale dei francobolli: si predispone la divisione che per ora è di tipo distributivo: i quattro “omini” verdi - quattro unità - devono ricevere ciascuno la stessa quantità di francobolli. Quanto riceverà ogni omino è il risultato dell’operazione.

Fig. 10 - Le operazioni trascritte sui moduli a righe colorate, verdi per unità e migliaia, azzurre per le decine, rosse per le centinaia: prima si esegue l’operazione (con i francobolli o con altri materiali), poi si trascrive in colonna.

Fig. 11 - Si predispone la moltiplicazione e si dispongono i cartelli del moltiplicando (sopra, con i cartelli nei colori gerarchici) e del moltiplicatore (sotto, con i cartelli in grigio).

Fig. 11a - Una moltiplicazione con i bastoncini colorati: un bastoncino di 6 preso 4 volte.
Fig. 11b - Qui un bastoncino di 4 è preso 6 volte.

Fig. 12 - L’operatore effettua le piccole moltiplicazioni una dopo l’altra e indica, a chi ha il compito di cambiare, i numeri da dare al totalizzatore (a destra). Saranno questi due ultimi a eseguire tra loro i cambi necessari.

Fig. 12a - Gli zeri mobili del moltiplicatore facilitano i calcoli.

Fig. 12b - Il risultato: il totalizzatore ha riunito i cartelli (quelli a destra, con le cifre in colore) e può leggere un grande numero.

In modo analogo si procede con la sottrazione. Migliore conoscenza di questi materiali si può avere, come già ricordato, leggendo la Psicoaritmetica, ma soltanto seguendo un corso Montessori bene organizzato, che riservi lungo tempo alle esercitazioni, un adulto può realmente conoscerne l’uso e le modalità di presentazione ai bambini perché siano interessati e liberi al tempo stesso.

Fig. 13a - Materiale di base del Sistema Decimale (da sinistra a destra) Il cubo di 1000 perle; il quadrato di 100 perle; la decina: 10 perle; 1 unità: una perla. È la presentazione del Sistema Decimale. Tutte queste perle sono color ambra-giallo oro.

Fig. 13b - I cartelli relativi ai materiali del Sistema Decimale, con le cifre da 1 a 9000 nei colori gerarchici: le unità, semplici o di migliaia, sono scritte in verde; le centinaia, in rosso; le decine in turchino.

A Marianne, dopo averli disposti come nella figura 6, piaceva disegnarli. Quando fu perfettamente sicura di essi, le presentai, secondo il lavoro Montessori, il sistema decimale. Si tratta di un materiale magnifico, fatto di perle dorate: le unità (una perla); la decina (dieci perle legate a bastoncino); il centinaio (cento perle legate a quadrato); il migliaio (mille perle legate a cubo).


Marianne, pur sapendo contare solo fino a 10, poteva usarlo: la decina è infatti composta da dieci unità; il centinaio da 10 decine; il migliaio da 10 centinaia.


Disegnò e contò anche queste quantità, moltissime volte: un lavoro attraente e facile. Chiamare ‘mille’ un mille non è più difficile che chiamare ‘gatto’ un gatto. E ancora non si impara a numerare ‘undici’, ‘ventidue’… questo verrà dopo!

In principio il bambino gioca a comporre le quantità (con il materiale di perle) e, separatamente, a comporre le cifre con i cartelli.


Solo quando Marianne mostrò di aver perfettamente capito le quantità, le presentai i simboli. I cartelli sono scritti in tre colori: verde per le unità semplici e per le unità di migliaia, blu per le decine, rosso per le centinaia. Le feci poi notare che le decine si scrivono con uno zero, le centinaia con due, le migliaia con tre.


Sovrapponendo alcuni di questi cartelli Marianne riuscì a comporre un numero.


Arrivò a questo stadio verso i 4 anni e 8 mesi. In seguito poté realizzare grandi addizioni lavorando in piccolo gruppo con tre o quattro compagni.


Per tale lavoro i bambini dispongono di nove cubi del mille e circa quaranta quadrati del cento, in legno, ma con le perle disegnate. Sono meno costosi di quelli tutti in perle, ma della stessa misura. (Sono anche un ulteriore aiuto alla simbolizzazione!). Le decine e le unità, circa 40 anch’esse, sono invece in perle.

Uno dei bambini, il cosiddetto ‘banchiere’, su un tavolo coperto da un ampio tappeto dispone tutti i cartelli. Un altro bambino, di fianco, ha la scatola con le quantità sopra descritte. Altri due o tre, ciascuno con un piccolo vassoio, compongono un numero con i cartelli e vanno a chiedere le quantità corrispondenti. Poi portano ciascuno il proprio vassoio dal banchiere che riunisce tutto sul suo tappeto, quindi comincia a contare, prima le unità, poi le decine e così via.

C’è una sola regola: ogni volta che arriva a 10, deve cambiare 10 unità con un bastoncino di 10; 10 decine con un quadrato di 100; 10 cento con un cubo di 1.000. (I bambini che fanno a lungo questo lavoro così concreto, non hanno bisogno più tardi di spiegazioni sul ‘riporto’!). Fatta la somma con i relativi cambi, il banchiere indica anche il totale con i cartelli.


In questo lavoro Marianne, a 5 anni e 5 mesi, occupava il ruolo più complesso: quello del banchiere. Inoltre faceva con lo stesso materiale le moltiplicazioni103 .

Le presentai allora il materiale dei francobolli.

È un materiale semi-simbolico nel senso che le quantità (unità, decine, centinaia, migliaia) sono rappresentate da piccoli quadrati di legno di dimensioni uguali, ma diversi per colore (lo stesso dei cartelli). Su ognuno di essi è scritta in nero la cifra: 1 o 10, 100, 1000. Questo permette al bambino, dopo aver lavorato in gruppo, di lavorare da solo.


Le mostrai come questo materiale rappresentasse le stesse quantità del precedente cui era abituata e ben presto fu in grado di eseguire grandi addizioni e lunghe moltiplicazioni.

I francobolli, come i cartelli, sono nei colori gerarchici, verde, rosso, blu, nella fig. b i francobolli delle decine mancano perché tale è il risultato dell’addizione: 8 migliaia, 8 centinaia, 8 unità semplici. Per maggiore chiarezza le tessere portano sovraimpresso 1000, 100, 10, 1.


Aveva cinque anni e mezzo. Poi ha eseguito con lo stesso materiale sottrazioni e, un mese più tardi, le divisioni. (Vedi figure dalla 8a alla 9b).


Quando il bambino fa un’operazione con i francobolli, la trascrive su un foglio che porta tracciate linee di colore corrispondenti alle gerarchie, per aiutare l’allineamento delle cifre (fig. 10).


Parallelamente a queste operazioni realizzate con il materiale, i bambini cominciano a dare il nome ai numeri. La prima tavola di Séguin permette loro di conoscere i numeri da 11 a 19, la seconda tavola, quelli da 20 a 100, sempre componendo prima la quantità, poi la cifra (che si può anche scrivere).


Poi passano alla catena del 100: dieci decine di perle dorate, legate una dopo l’altra, da stendere in tutta la loro lunghezza a terra, e due serie di piccole frecce in cartoncino, la prima nei colori gerarchici (verde per le unità, blu per le decine, rosso per le centinaia), l’altra in bianco con numeri scritti o da scrivere per individuarne la posizione sulla catena, che si può anche disegnare, con tutti i numeri accanto.


Avevamo anche la catena del 1000: misura vari metri e il solo problema era riuscire a stenderla tutta, in una classe stretta, piena di banchi, con la stufa nel mezzo!


Dopo aver usato più volte questi materiali, i bambini sapevano contare perfettamente.


Altro lavoro parallelo che potevano fare, conosciuti i numeri da 1 a 9, era la memorizzazione delle operazioni. Si dice tuttora: “Imparare i calcoli, le tabelline”, ed è sottinteso: a memoria! No, i miei allievi non imparavano niente “a memoria”. Avevano a disposizione tanti di quegli esercizi interessanti che diventavano abili nei calcoli senza nemmeno rendersene conto.


Questa è una delle superiorità del lavoro Montessori: ogni bambino fa il proprio lavoro, anche lentamente, se è il suo carattere, ma senza venire interrotto. In ogni istante è attivo in prima persona: non sta fermo per assistere al lavoro di altri come nell’insegnamento collettivo. In ogni momento è lui che registra, assimila e i suoi progressi sono reali.


Uno di questi esercizi consiste nel contare i bastoncini colorati. Si tira fuori a caso un bigliettino da una scatola (o da un sacchetto): 8 + 4 =. Si prende un bastoncino di 8 e uno di 4 e si contano. Marianne amava molto questo esercizio. Aveva un quadernino a cinque anni e mezzo su cui ho contato 25 di queste piccole addizioni fatte nella stessa giornata.


Nello stesso periodo cominciò anche a fare piccole moltiplicazioni.

Da un’altra serie di bigliettini estrasse, a caso, 6 X 4 = (vedi fig. 11a).


Prese 4 bastoncini da sei e contò, ma, dato che con la ripetizione del contare aveva a poco a poco memorizzato che 2 volte 6 fa 12, cominciò a numerare le perle dal terzo bastoncino, cioè dal 13.


Un altro giorno con altri bastoncini, si ricordò che 3 volte 6 fa 18 e cominciò a contare dal 19.


È così che ‘imparò’ le famose tabelline.


Quando si sa moltiplicare e gli zeri non fanno paura (avendone fatto conoscenza amichevole con il materiale del sistema decimale), si può giocare alla banca. (Vedi fig. dalla 12 alla 12b).


Per questo occorre trovare due compagni più o meno allo stesso livello di esperienza, al momento non occupati e interessati a partecipare. Il materiale consiste in vari cartelli. I bambini si siedono in riga: a sinistra l’operatore allinea i numeri da moltiplicare; in mezzo si pone chi fa i cambi con i cartelli da l a 9 milioni, a destra il totalizzatore che esegue la somma e che in principio resta in attesa.


Dopo tutti questi esercizi (e vari altri che qui non sono illustrati) ripetuti a volontà secondo le sue scelte, Marianne giunse al momento in cui era pronta per le operazione astratte, senza alcun materiale. Questo passaggio all’astrazione, dopo lunga maturazione con l’uso del materiale, è una gioia per il bambino. Ricordo Fabienne, compagna di Marianne: quando scoprì di poter fare operazioni astratte, manifestò un tale entusiasmo che cominciò a farne un numero sempre maggiore nei giorni che seguirono, fino a 43 in una sola giornata, oltre al resto del lavoro.

Dal quaderno di Marianne a 6 anni e mezzo leggo:


542 + 2.673 + 951 = 4.166


Tre mesi più tardi:

9.061 - 4.258 = 4.803


Nello stesso periodo si divertiva a inventare addizioni a quattro addendi di 20 cifre. Le ho verificate: ho trovato solo due errori.

A 6 anni e 10 mesi ecco una moltiplicazione dapprima scomposta 2.845 x 324


2.845 x 4 11.380

2.845 x 20 = 56.900

2.845 x 300 = 853.500


poi sommata come segue:

2.845 x 324 = 11.380

56.900

853.500

-------

921.780


A 7 anni Marianne cominciò le prime divisioni astratte: 7.045 : 4 = 1.761 resto 1. A questo punto le moltiplicazioni non ebbero più bisogno di essere scomposte:

5.419 x 571 = 5.419

379.330

2.709.500

---------

3.094.249


Due mesi più tardi le divisioni diventarono più complicate: 5.436 : 21 = 258, resto 8 e, alla fine dell’anno, a 7 anni e 10 mesi: 648.292 : 742 = 873 resto 526.

Nello stesso tempo si lanciò nelle operazioni con i numeri decimali:

21,78 + 9,732 + 48,656 = 80,168


L’allineamento dei numeri non pose alcun problema, dato che da sempre, ancor prima di saper scrivere, aveva posto le unità sotto le unità.


Poco dopo aver scoperto le piccole moltiplicazioni con i bastoncini colorati, intorno ai sei anni, Marianne si era appassionata allo studio dei quadrati e dei cubi con altro materiale a lei ben noto e con l’aiuto del disegno. La prosecuzione di questo lavoro fu che, intorno agli 8 anni e mezzo, arrivò a stabilire la formula del cubo del trinomio, a calcolare ad esempio il cubo di (4 + 5):


(4 + 5)³ = 4³ + 3 x 4² x 5 + 3 x 4 x 5² + 5³

= 64 + 240 + 300 + 125 = 729

verifica: (4 + 5)³ = 9³ = 729

Ancora con altro materiale, estraeva radici quadrate.

Tutto questo certo non è indispensabile per un bambino di questa età e tuttavia è l’occasione di una bella ginnastica intellettuale che prepara a studi futuri e soprattutto è molto divertente. Marianne lavorò anche molto sui numeri primi, sul MCD e sul mcm ed era assai fiera del fatto di non aver trovato un liceale in grado di capire che cosa fosse il Crivello di Eratostene104 . Per lei come per altri suoi compagni era facile, grazie al materiale Montessori che avevano adoperato così a lungo.

È importante valutarne appieno la funzione e l’importanza. Certo, si possono adoperare ad esempio i ‘francobolli’ per far capire a un ragazzino di 10 anni – se è necessaria un’azione di ‘recupero’ – come si fa una divisione. Ma non è questa la loro funzione: questo materiale non è stato elaborato per “spiegare”, ma per rispondere ai bisogni della ‘mente matematica’ del bambino, il quale sulla base di queste esperienze potrà affrontare studi astratti.


Mio figlio Francesco, che aveva frequentato per quattro anni la mia classe, mi ha detto quando era in seconda media: “Tu non mi hai insegnato tutto, ma dal modo con cui mi presentavi le cose, ora capisco molto facilmente tutto quello che mi insegnano”. In realtà era il lavoro che egli stesso aveva fatto con i vari materiali a dare chiarezza alla sua mente.


Altro esempio: io non avevo mai parlato di basi in classe, ma i bambini le avevano intuite perfettamente, grazie al materiale del sistema decimale.


Un giorno, quando aveva 8 anni, Marianne vide sul mio tavolo un foglio relativo a questo argomento. C’era scritto 11 + 13 = 30.


“Signora, mi disse, 11 + 13 non fa 30, ma 24”. Le spiegai in pochi minuti, a partire dalla sua conoscenza del sistema decimale, che quella somma era su base 4. In un istante, stabilì che se 11 + 13 = 24, allora 23 + 32 = 121. L’indomani, senza altre spiegazioni, si mise a numerare su base 8 e aiutò un compagno a farlo su base 5. Poi mi chiese se si poteva contare su base 11 o 20. Le mostrai allora che servivano cifre supplementari. Ben presto abbandonò il materiale per fare queste addizioni in astratto.


Eppure Marianne non era una bambina superdotata: era solo aperta, viva. Anche molti altri hanno avuto risultati simili, in questo ambiente di libertà intorno a un materiale scientifico. D’altro canto, quando ho lasciato questa scuola, la collega che mi ha sostituito e che si è affrettata a rimettere i banchi in rigide file e l’inchiostro nei calamai, ha giudicato Marianne a livello medio.


È vero: non scriveva “bene”!

La classe

L’aula in cui lavoravo era unica e lì ho avuto, secondo gli anni, da 35 a 42 allievi, tra i 4 e i 14 anni. La situazione non era sempre idilliaca, ma non so che risultati avremmo tratto i bambini e io senza il metodo Montessori. Erano bambini di campagna, i cui genitori erano coltivatori, contadini, operai. Alcuni di loro avevano già alle spalle anni di scolarità con metodi tradizionali e collettivi. Erano quelli che mi davano più da fare rispetto ai piccoli di 4 anni. Però traevano grande vantaggio dal lavoro individualizzato e dal materiale. Uno di loro mi disse, lasciandomi dopo un anno di frequenza (aveva 8 anni e mezzo), che non avrebbe più dimenticato la nostra scuola perché finalmente lì aveva imparato.


Il locale era stretto e i bambini si dovettero allenare a muoversi facendo i conti con l’esiguità dei passaggi e con i tappeti, su cui i compagni lavoravano a terra e che non dovevano essere calpestati.


I ragazzi più grandi si preparavano all’esame finale.

La pluriclasse (in francese “classe unica”) faceva paura ai miei colleghi e penso che sia così ancora oggi, anche se si comincia a coglierne alcuni aspetti positivi. Quando un collega mi chiedeva quanti allievi avessi, dicevo ad esempio 35. “Va bene, ma quante sezioni?”. Rispondevo: “35”. Questo sembrava uno scherzo, una battuta, mentre per me era la verità ed era ciò che permetteva ai bambini di progredire: il lavoro individuale.


A proposito dei 35 allievi, non penso affatto che sia un numero ideale. Se ne avessi avuto solo 25, certo avrei avuto più tempo da dedicare a ciascuno e tutti ci saremmo sentiti meglio!


I bambini erano abituati a lavorare nella calma, senza urtarsi e parlando a voce bassa. Sceglievano essi stessi il lavoro tra i tanti che già conoscevano oppure mi domandavano di mostrarne loro uno nuovo che avevano visto usare da un compagno. I più grandi avevano anche l’obbligo di svolgere ogni giorno taluni lavori, secondo il loro livello, come ad esempio un problema, un piccolo testo o un’analisi.


Non c’era la tipica “ricreazione” che avrebbe interrotto slancio e concentrazione. I bambini andavano al gabinetto quando ne avevano bisogno, senza mai domandare il permesso.


D’altro canto, ogni volta che il tempo lo permetteva, uscivamo, specie sul finire del pomeriggio, per correre e per organizzare giochi.


Egualmente non c’erano compiti a casa, eccetto che per i più grandi che dovevano presentarsi all’esame. Questi famosi compiti, sempre discussi o proibiti e sempre in vigore, causa di ingiustizie e di esperienze sgradevoli: i maestri li danno perché i genitori li chiedono, dicendo che comunque non prenderanno più d’un quarto d’ora. E invece richiedono un’ora o più, vengono fatti davanti alla TV e quindi non permettono di assimilare nulla o, peggio, sono svolti sotto la guida di un genitore che – stanco, snervato – finirà per prendersela con il figlio.


I genitori, che vorrebbero per loro stessi una diminuzione degli orari di lavoro, dovrebbero rendersi conto che per i bambini sei ore al giorno sono già molte, troppe per aggiungervi anche i compiti a casa. Per di più il giorno dopo il maestro troverà una classe ancor più divisa: quelli che hanno profittato della spiegazione di un genitore calmo e disponibile e quelli che sono ancor più stanchi e convinti della loro incapacità a imparare. È tutt’altra la situazione in cui i bambini, spontaneamente, a casa loro, si divertono a scrivere o a fare operazioni “difficili”, come a scuola.

Quale era il mio lavoro durante la giornata?

Appena entravano i bambini sceglievano un lavoro, certi esitando, altri con sicurezza. Alcuni arrivavano così determinati, che parevano averci pensato fin dalla sera prima e si toglievano velocemente il cappotto per poter prendere prima di altri il materiale che avevano in mente. Qualcuno veniva a chiedermi di presentargli un lavoro nuovo. Tutte le presentazioni erano di regola individuali, ma talvolta quando si presentava un’occasione nuova, appassionante, anche altri venivano a sentire.


Verificavo tutti gli esercizi che non erano autocorrettivi e ripetevo le presentazioni quando a qualcuno non era chiaro l’uso di un materiale. Inoltre era importante cogliere il momento in cui un bambino fosse giunto a uno stadio sufficiente per accedere a un lavoro di livello più avanzato. Queste presentazioni non prendevano lo stesso tempo ed io ne passavo più con le ‘Janine’ che con le ‘Marianne’. Con le prime – bambini che presentavano taluni svantaggi – dovevo trovare sempre e con molta pazienza un modo nuovo di presentare le cose. Con le seconde poteva bastare qualche minuto. Nessuno comunque avrebbe tratto vantaggio da un insegnamento collettivo.


Le Janine si sarebbero viste passare parole sopra la loro testa: senza capire niente, avrebbero preso coscienza della loro impotenza e sarebbero diventate insopportabili. Per contro le Marianne e simili avrebbero perso tempo, annoiandosi e disprezzando gli altri. È incredibile quanti scienziati e scrittori siano stati pessimi allievi. Senza essere stata né l’uno né l’altro, ricordo bene le ore di noia ad ascoltare leggere un compagno che non ne era capace o dover seguire alla lavagna le correzioni di un dettato che avevo fatto bene fin dal primo momento!

E la sera?

Dovevo correggere i quaderni dei più grandi, preparare i fogli di disegno o dei primi calcoli per i piccoli, aggiustare un materiale che si era deteriorato o farne uno nuovo, ma nessuna delle altre inutili incombenze. Per contro avevo uno schedario su cui annotavo l’evoluzione di ogni bambino, le sue difficoltà e i suoi progressi. L’ho conservato ancora e da lì ho tratto questi ricordi.

E i genitori?

Facevo una riunione a ogni inizio d’anno e non era facile convincerli che senza voti, senza compiti o cose da imparare a memoria, ma con perle, immagini e forme geometriche i bambini sarebbero arrivati alla lettura e ai calcoli. I risultati però venivano: i piccoli imparavano a leggere e a scrivere, eseguivano grandi operazioni; i grandi prendevano la loro licenza e potevano entrare nella scuola successiva.


La madre di Andrea mi disse: “È strano, Andrea sa le tabelline, eppure lei non gliele ha mai date da studiare”. La madre dei gemelli che avevano perso un anno di scuola mi ringraziò perché erano riusciti a recuperarlo. E la mamma di Lorenza che aveva tolto la bambina dalla mia classe poco dopo il mio arrivo, me la riportò due anni dopo, riconoscendo l’errore che aveva fatto. Aveva capito che “i miei metodi erano buoni”. Nell’insieme i genitori erano d’accordo o, quanto meno, non si opponevano.


Tuttavia la mia classe non era una vera classe Montessori: mi auguro che, se il mio scritto vi entusiasmerà, voi riusciate a fare di meglio. Non lo era intanto per la gamma di età troppo elevata (differenze anche di dieci anni!), né per lo spazio esiguo o il grande numero di bambini, alcuni arrivati già grandi e con grossi ritardi.


Inoltre io avevo studiato bene il metodo per i più piccoli, ma conoscevo poco le attività da proporre nella scuola elementare; avevo cercato di muovermi secondo gli stessi principi, fabbricandomi il materiale mancante e utilizzando in parte lo schedario autocorrettivo di Freinet. Ero sola in questo lavoro, purtroppo. I colleghi cui cercavo di mostrare ciò che andavo facendo, erano a volte curiosi, a volte interessati, ma non se la sentivano di seguirmi, davanti a un tale rovesciamento delle loro abitudini. C’era anche il timore delle critiche dell’ispettore ministeriale. Il mio era stato molto comprensivo, avendo basato il suo giudizio sui risultati, ma c’era sempre il rischio che altri fossero più suscettibili e meticolosi.


Oggi però i tempi sono cambiati, c’è stata un’evoluzione e le nuove normative si appellano a cambiamenti assai simili a quelli proposti da Montessori. Basta mettersi all’opera!

Altre classi… come organizzarsi?

Anche quando non ho avuto una pluriclasse, ho cercato di lavorare secondo Montessori. Ricordo una scuola di campagna a classi diverse e anche una scuola di città in un quartiere operaio, dove il 30% dei bambini era di famiglie immigrate. Anni in cui la TV già troneggiava in ogni famiglia.


In ciascuna di queste classi cominciai preparando il materiale solo la sera prima del rientro dalle vacanze: non si poteva fare diversamente. Spostai anche i tavoli a modo mio: pesanti banchi a due posti che misi due a due per fare gruppi di quattro bambini, più o meno dello stesso livello, in modo che la presentazione fatta a uno di loro potesse interessare anche gli altri. Inoltre i bambini avrebbero avuto più facilità a trovare uno spazio adatto quando avessero scelto un lavoro di piccolo gruppo, come quelli prima descritti.


Il primo giorno, quando questi piccoli sconosciuti si furono installati e, secondo l’abitudine già presa negli anni precedenti, incrociarono le braccia per mettersi ad ascoltare, io spiegai loro che quest’anno avremmo lavorato in modo differente, che ognuno avrebbe fatto un lavoro diverso dagli altri e che per questo dovevano prima di tutto imparare a non disturbarsi fra loro. Presentai vari esercizi come: alzarsi, andare alla mensola, prendere una delle scatole, portarla sulla tavola senza che si sentisse alcun rumore. Tutti erano attentissimi: per loro era nuovo e divertente.


Si imparò anche a dire qualcosa a un compagno senza che gli altri sentissero. Spiegai che ciascuno avrebbe potuto cercare un lavoro per lui interessante, ma che dovevano aspettare che io l’avessi presentato loro, prima di poterlo usare.


Finalmente si cominciò. Non tutti potevano prendere lo stesso lavoro nello stesso momento, né io potevo fare le presentazioni contemporaneamente a ciascuno. Distribuii materiali per disegnare e subito dopo cercai di capire che cosa sapessero in fatto di lettere e di numeri. A partire da questo, presentai qualche esercizio dei più semplici a chi era più avanti e qualche materiale a chi era nuovo a tutto.


Ci vollero circa tre settimane prima che tutti imparassero a organizzarsi con il proprio lavoro, a scegliere un’attività e a rimetterla a posto: a quel punto dovevo solo aiutare ciascuno a progredire secondo il proprio ritmo.


Il materiale elaborato in modo scientifico da Maria Montessori è un fattore di calma: i bambini si appassionano al proprio lavoro.


Avevo un grosso quaderno a due divisioni su cui avevo scritto tutti i nomi dei bambini secondo la loro data di nascita e, vicino a ciascuno di essi, tutti gli esercizi possibili a partire dal materiale. Ogni volta che un bambino aveva raggiunto una nuova acquisizione, ne annotavo la data. Così sapevo in ogni momento a che punto fosse ciascun bambino e se potevo proporgli un materiale nuovo.


Le condizioni di lavoro in queste classi non erano quelle ideali: lavorare solo per un anno, avere bambini della stessa età e forse dello stesso livello, con abitudini di passività e di dipendenza già assimilate dagli anni precedenti, il tutto in una scuola che ignorava totalmente i metodi dell’educazione attiva. Tuttavia i bambini che hanno imparato a leggere con piacere, ad amare l’aritmetica, a cercare loro stessi le risposte ai propri problemi, a rispettare il lavoro degli altri e il materiale in comune, hanno fatto acquisizioni che di certo saranno servite loro per il futuro.

Tavole riassuntive sui materiali (a cura di ghf)

Alla base del materiale preparato dalla dottoressa Montessori ci sono le sue scoperte sulla vera natura del bambino. Osservandolo, studiandolo, ella capì che ogni piccolo è pieno di possibilità, che si sviluppano solo se l’ambiente lo consente. Questo significa tra l’altro che i bambini possono capire la matematica o accedere a letture anche complesse secondo ciò che trovano attorno a loro. È una constatazione che con forza contrasta ogni forma di razzismo!


Montessori ha capito che non sono il nostro accanimento o le nostre parole a educare il bambino, ma che egli stesso si costruisce, anche con mezzi minimi se non riceve altro: fa come può, esattamente come per lo sviluppo fisico. Cresce fisicamente non perché gli diciamo di crescere, ma perché gli diamo di che nutrirsi.


Ha scoperto che la crescita del bambino avviene secondo periodi sensitivi, periodi felici durante i quali il bambino è particolarmente adatto a certi apprendimenti: il movimento, la parola, l’ordine, la lettura… e se questi periodi vengono sciupati perché non abbiamo fornito al bambino le giuste risposte per le sue acquisizioni, sono persi per sempre e gli apprendimenti relativi saranno domani più difficili e più lunghi, a volte perfino impossibili.


Ha scoperto che il bambino, per piccolo che sia sa appassionarsi a un’attività, concentrarsi su di essa e ripeterla finché non l’ha perfettamente assimilata. Ma questo non accade se, durante il suo lavoro, viene disturbato, distratto, interrotto.


Ha visto che la felicità del bambino è proprio nelle sue conquiste, al punto di ignorare ricompense e premi, e ha constatato che questa felicità lo rende gentile, generoso, pacifico.


Non posso dirvi tutto. Per capire un autore occorre leggere e rileggere i suoi libri. Maria Montessori ne ha scritti diversi, alcuni a inizio secolo, eppure possono ancora insegnarci tanto. E poi non basta ancora. Andate a vedere una scuola e constaterete quali effetti produca l’esperienza della libertà nel rispetto di ciascuno e degli altri.

I materiali Montessori dai tre ai dodici anni

I materiali Montessori che si propongono in un arco di tempo che va, circa, dai tre ai dodici anni – hanno il pregio di essere un sistema coerente di strumenti che parte dalla classificazione sistematica delle qualità sensoriali delle cose (grande-piccolo; alto-basso; pesante-leggero; suono grave­suono acuto; rosso-giallo; cerchio-quadrato) per esplorare poi le basi del sapere: i tre fattori della scrittura e della lettura; le parti del discorso; la numerazione e i calcoli aritmetici; i rapporti tra aritmetica e geometria; i contrasti di forme terrestri e il trascorrere del tempo; le piante e gli animali; la formazione della Terra; la storia dell’umanità; la manualità e il disegno; il movimento e la musica…


I materiali sono in sostanza mezzi semplici, razionali, coerenti per “dare il mondo al bambino”, per offrirgli mezzi esplorativi – alla sua misura – della realtà naturale e umana, per far ordine nelle miriadi di impressioni, il che corrisponde a una precisa esigenza, specie nei primi anni, affinché non rimangano ombre, zone inesplorate o confuse come quelle che da adulti inducono a dire: “Non ho mai capito il calcolo frazionario”, “L’analisi grammaticale, che noia!”, “So fare le divisioni, ma non mi rendo conto perché si facciano in quel modo…”.


In molte persone certi angoli oscuri del sapere determinano difficoltà per apprendimenti successivi, repulsione verso lettura, scrittura o calcolo, che nel tempo possono trasformarsi in barriere insormontabili, ostacoli nella vita quotidiana.


Con il percorso Montessori, tale rischio è ridotto al minimo se, in accordo con i ritmi individuali di sviluppo, si comincia fin dai tre anni e si prosegue nella scuola elementare, sia con la chiarezza degli oggetti di lavoro, sia con un clima accogliente e non competitivo.


Anche un bambino che in principio abbia qualche difficoltà, trova a poco a poco la sua strada, grazie ai materiali, ma non solo.


Nel presentare i cinque quadri dei materiali in uso e dare un’idea sintetica dell’intero curriculum, alcune considerazioni a priori sono necessarie.

  1. Una scuola Montessori ideale va dai tre ai dodici anni, con una sua continuità: pur avendo ciascuna fascia d’età (3-6; 6-9; 8-12) i propri spazi gli ambienti sono contigui. Ogni età è a contatto diretto con le altre e questo consente di mantenere viva la sensibilità verso le differenze di sviluppo, di ritmi, di interessi, di capacità dei singoli individui, pur favorendo un cammino personale secondo il proprio tempo. In ogni caso la diversità, la varietà sono considerate un valore; non altrettanto il conformismo, l’omologazione.Non è un caso che gli stessi materiali risultino assai meno interessanti se usati in famiglia. L’ideale è una classe di almeno 25-30 bambini di età diverse. Se i bambini sono coetanei e/o in un gruppo molto esiguo di bambini coetanei. In questi casi viene a mancare l’effetto dinamico e ridondante che invece genera di per sé una situazione il più possibile variegata ed eterogenea, con numerosi scambi.
  2. Tutti i materiali sono concepiti per essere usati direttamente dai bambini, come strumenti di sviluppo personale e non come mezzi in mano al maestro per rendere più chiara una qualsiasi lezione. Quindi non sono utensili didattici: lavorando con essi è il bambino che elabora e affina i vari apprendimenti. Non è una “macchina esecutiva”, come di fatto avviene nella maggioranza delle scuole, comprese quelle in cui la “direttività” sembra sfumata al massimo, adombrata di modi gentili e divertenti.
  3. Tutti i materiali vengono offerti alla libera scelta di ciascun bambino e consentono la ripetizione spontanea del loro uso, secondo tempi del tutto personali. In genere quando un bambino “abbandona” un materiale dopo averlo usato a lungo, significa che lo ha “superato”. Nessun bambino infatti apprezza ripetizioni superflue o esercizi fine a se stessi: la molla è sempre l’interesse personale ad agire, a capire. Libera scelta e ripetizione spontanea sono le condizioni essenziali grazie alle quali il bambino sviluppa la sua naturale capacità di concentrazione.
  4. Molti dei materiali che si usano nella Casa dei Bambini si riutilizzano a livello elementare per approfondimenti diversi e comunque rimangono nella memoria inconscia come conoscenza di base. L’effetto è molto importante: ciò che è radicato nelle esperienze della prima infanzia riemerge nella seconda come qualcosa di familiare e di rassicurante, quindi accresce l’interesse e l’efficacia. Dopo i sette anni soprattutto, il bambino rielabora a livello razionale concetti che prima ha intuito a livello seminariale e sperimentato attraverso l’uso di oggetti mai banali.
  5. Quanto più i bambini sono piccoli, tanto più hanno bisogno di esperienze concrete; quindi l’uso del materiale diminuisce progressivamente nel secondo ciclo della scuola elementare, sostituito da ricerche nell’ambiente, libri, documenti di vario genere, strumenti di laboratorio, esperimenti. Tuttavia non viene tolto per decisione degli adulti, ma solo in base a osservazioni circa il lavoro dei bambini: spesso viene valorizzato con nuove presentazioni come rinforzo prezioso a qualcosa di già noto.
  6. Molti materiali sono in stretta relazione tra loro dal punto di vista sensoriale, numerico, geometrico: ciò permette al bambino di avvicinare tematiche anche complesse, da differenti punti di vista, affrontando una difficoltà alla volta o ritrovando lo stesso concetto, presentato in modo nuovo e interessante.
  7. Il materiale è limitato nel suo insieme e ogni sua parte è in copia unica nella scuola. Quindi non è sovrabbondante né ripetitivo. Il fatto che di ogni oggetto ci sia un esemplare unico, da rimettere a posto dopo l’uso, promuove nei bambini la scelta autonoma, ma anche la capacità di rinviare i propri desideri per rispettare un compagno, sperimentando con fiducia l’attesa.
  8. Tutti i materiali proposti sono direttamente o indirettamente autocorrettivi, nel senso che consentono al bambino di controllare da sé l’esito del suo lavoro. Questo gli permette di sviluppare autonomia di giudizio, capacità di migliorare e di autovalutarsi senza dipendere dal parere del maestro o dei compagni, e quindi crescita nella stima di sé.
  9. I materiali e le cosiddette “materie” sono, secondo Montessori, altrettanti aiuti allo sviluppo psichico del bambino, tali da favorire la sua indipendenza, la consapevolezza, il senso di responsabilità prima verso i compagni e l’ambiente-classe, poi verso l’ambiente sociale più vasto, la natura, il pianeta. È ciò che la Montessori chiama presa di coscienza del proprio “compito cosmico”: si prepara nella Casa dei Bambini, ma si attua progressivamente nel periodo 6-12 anni. Il motivo per cui si parla di psicoaritmetica, psicogrammatica, psicomusica e così via è che si tratta di settori di esperienza che parlano alla mente e diventano strumenti per la sua progressiva apertura.
  10. I materiali da soli non fanno miracoli, se non c’è un adulto che sappia presentarli, che ne conosca a fondo la successione e le sequenze, che crei attorno ad essi un clima incoraggiante, privo di qualsiasi forma di competizione e di giudizio, insieme a una chiarezza di limiti e di piccole regole necessarie alla convivenza.
  11. Nell’ultima tavola “Per l’educazione cosmica” quel “Per” indica che E.C. non è una materia, né un’area di studio da riempire con nozioni di biologia, storia, geografia, matematica, astronomia, ecc… bensì un punto di arrivo, una nuova consapevolezza di sé in rapporto alla natura, alla storia, al futuro. Si tratta di una prospettiva legata all’ambiente in cui si vive, che alimenta il senso di appartenenza e di responsabilità cui sono interessati i ragazzini tra i 10-12 anni e i pre-adolescenti. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Le grandi domande che ogni essere umano si pone, le stesse raffigurate da Gauguin in un suo celebre quadro del 1897.

Montessori: perché no?
Montessori: perché no?
Grazia Honegger Fresco
Una pedagogia per la crescita.Che cosa ne è oggi della proposta di Maria Montessori in Italia e nel mondo? Un testo fondamentale, corretto, ampliato e riproposto a distanza di anni, per chiunque si interessi alla vita e alle opere di Maria Montessori. Montessori: perché no? è un testo fondamentale per chiunque si interessi alla vita e alle opere della celebre pedagogista. Sull’onda del recente rinnovato interesse per la figura e il pensiero di Maria Montessori, il testo, già edito da Franco Angeli in 7 edizioni ed esaurito da anni, è stato curato da Grazia Honegger Fresco, corretto e ampliato con uno scritto della stessa Montessori relativo all’Educazione Cosmica e uno sull’apprendimento della nostra lingua per adulti migranti. Il bambino che ha sentito fortemente l’amore all’ambiente e agli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo. La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.Maria Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.