Le parole in corsivo sono sottolineature del testo francese.
“La differenza più evidente tra il primo e il secondo piano dello sviluppo è che il primo – da zero a sei anni – è essenzialmente motorio e sensoriale, mentre il secondo – dai sei ai dodici anni – è in prevalenza morale e intellettuale. È il tempo in cui i bambini cominciano a giudicare le azioni degli altri, adulti compresi, e a orientarsi in campo etico. Una caratteristica di questa età è la preoccupazione circa le proprie azioni e il bisogno di sapere se sono approvate dagli altri.
Il problema del bene e del male campeggia ora nella mente infantile come parte di una sensibilità speciale della coscienza; è un ulteriore passo avanti nello sviluppo ed esige trattamento raffinato da parte degli adulti, delicatezza e conoscenza specifica.
Sappiamo che nel
primo piano il maestro deve avere grande tatto per non interferire nell’attività spontanea del bambino. Nel
secondo piano questa non interferenza deve essere estesa alla vita morale dei bambini, all’esigenza, centrale a questa età, di capire il bene e il male, non in modo astratto, ma con strumenti di confronto molto concreti. Un discorso che può sorprendere questo, perché di solito si pensa che tale esigenza sia propria di età successive. Viceversa potremmo parlare del manifestarsi di
un nuovo periodo sensitivo: se la costruzione del senso morale non viene opportunamente sostenuta, sorgeranno in corrispondenza situazioni difficili che richiederanno interventi di ordine sociale, non altrettanto felici.
Pensiamo ad esempio al concetto di
giustizia, così profondamente radicato nella concezione morale della società umana. Tale sentimento nasce nell’animo del bambino proprio in questa fase dello sviluppo, insieme alla comprensione del legame tra bisogni e azioni. Non è un sentimento innato, ma proprio ora mette radici nello spirito umano e la sua evoluzione può essere studiata seguendo lo sviluppo del bambino. Se ciò non avviene, si afferma un’idea ben diversa di giustizia.
Di solito questo è un concetto che il bambino sperimenta, in casa o a scuola, in modo
distributivo: tutto deve essere uguale per tutti. Le cose buone che alcuni bambini hanno devono essere divise fra tutti e se viene data una punizione, anche questa deve essere uguale per tutti.
L’ingiustizia viene percepita come tale, quando qualcuno riceve un trattamento privilegiato, il che porta l’individuo a considerare la giustizia come l’affermazione egoistica e personale del proprio vantaggio e non come una sana affermazione della propria individualità.
Nella scuola tradizionale l’idea di giustizia è acquisizione connessa non a uno sviluppo interiore, bensì a fatti esterni e quindi svuotata di sentimenti profondi: è tutt’altra faccenda.
La sensibilità morale che emerge con forza, di solito tra i sette e i dodici anni, resta soffocata e incompresa perché collegata a regole esteriori, anziché a emozioni autentiche e alla sensibilità propria di questa età.
In questo periodo emerge un altro fenomeno: il grande sviluppo intellettuale, dovuto al passaggio a un livello più specificatamente astratto. Tre elementi ci possono guidare:
- il bisogno di uscire all’esterno, oltre il ristretto cerchio della famiglia;
- il grande sviluppo intellettuale;
- la nuova costruzione morale.
Uscire dal cerchio ristretto significa il desiderio di esperienze sociali nelle quali esercitare e fortificare la propria sensibilità morale
(primo e terzo elemento).
In stretta connessione con essi, il desiderio di conoscenza e lo sviluppo della cultura del gruppo in cui si vive
(secondo elemento).
Entro questi termini possiamo cominciare a tracciare alcuni particolari dell’educazione adatta a ragazzi di questa età e, tramite l’osservazione, trovare una corrispondenza con gli elementi che abbiamo considerato nel primo periodo dello sviluppo.
Là c’erano per esempio gli esercizi di vita pratica che permettevano al bambino di andare oltre i limiti creduti possibili per i piccoli sotto i sei anni, oppure le attività per la coordinazione dei movimenti che nella prima età conducono a straordinarie finezze motorie e sociali (come l’aiuto spontaneo). Inoltre gli uni e le altre danno grande indipendenza al bambino.
Nel
secondo periodo non si tratta di continuare nella stessa direzione: il bambino ha già raggiunto piena coordinazione motoria, ma può ampliare il comportamento sociale in altro campo – ad esempio aiutare persone che soffrono o che si trovano in difficoltà.
Il ragazzo sperimenta ancora la solidarietà con altri, ma a un diverso livello.
Se nel primo periodo far cadere o rompere qualcosa era a volte una tragedia al punto di dover consolare il bambino, ora egli capisce più a fondo che cosa sia “bene”. Se pur volendo agire correttamente, la cosa non gli riesce, ha il sentimento di aver fatto qualcosa di “non buono”.
Vi ho parlato del movimento dei
Boy Scout e di come abbia tanto successo a questa età perché favorisce le relazioni all’interno di principi morali ben definiti. Ciò che attrae i ragazzini è il fatto di raccogliersi attorno a certi principi che per loro è possibile condividere. Per appartenere al gruppo, occorre fare o non fare determinate azioni, in risposta a una tensione ideale (ad esempio aiutare il debole).
Questo porta a un sentimento di responsabilità personale e di dignità, verso il quale i ragazzini sono fortemente attratti. Al tempo stesso si incoraggia il comportamento morale: per lo sforzo che richiede, è comunemente considerato al di sopra delle possibilità di questa età, mentre corrisponde a una loro esigenza.
Lo scoutismo domanda inoltre ai ragazzi un certo impegno fisico, anch’esso considerato, soprattutto all’epoca del suo fondatore, ben al di sopra delle forze infantili: lunghe marce o sforzi fisici, connessi con dure esperienze all’aperto.
Lo scopo è parallelo a quello della “vita pratica” che noi proponiamo ai bambini piccoli: da molti adulti considerata difficile, è invece molto amata, tanto da condurli ad abilità raffinate e a notevoli indipendenze.
Potremmo chiederci quale differenza ci sia tra un maestro che conduce fuori la sua classe e un’attività analoga nell’organizzazione
Scout.
Il maestro, guidando gli allievi, permette loro di uscire dall’ambiente chiuso della scuola, di camminare all’esterno e magari di andare a vedere lo zoo. Ciò significa camminare con le proprie gambe e verificare sensorialmente la realtà con i propri occhi, ma non provoca di per sé alcuna elevazione della dignità del bambino. Si resta ancora nello stesso cerchio ristretto di qualcuno che ordina; non si corrisponde alla natura profonda del ragazzino che cerca l’indipendenza e il riconoscimento di sé. Per quante passeggiate si facciano, non accade nulla, nulla cambia. Perché?
Perché i bambini escono agli ordini del maestro, devono seguirlo e andare dove egli dice di andare. È una situazione in cui moralmente parlando, sono dipendenti e del tutto passivi.
Ben diverso se l’organizzazione che li tiene uniti risponde a uno scopo cui ciascuno ha dato liberamente il proprio assenso. Hanno accettato di partecipare a tale gruppo (ad esempio
Scout) che si propone in primo luogo un fine morale – come difendere il debole, usare l’ambiente con rispetto, mantenere gli impegni liberamente presi – e questo li aiuta a perseguire un certo livello di comportamento.
Qui il ragazzo è libero di promettere o no certe cose; non c’è un maestro che lo obblighi ma un adulto che ha assunto gli stessi suoi impegni, condivide le stesse fatiche fisiche ed è legato agli stessi principi. Qui ciascuno, adulto responsabile o ragazzo, se vuole far parte del gruppo, deve vivere secondo tali principi. E il primo di essi è proprio il
consenso da parte di ognuno. Sono legati tra loro dalle stesse norme e non da una prescrizione del maestro come nell’altra situazione.
Osserviamo bambini seduti in una certa stanza: formano una classe tanto che anche mentalmente sono chiusi tra quattro mura. Viceversa gli adulti, che hanno promesso di tener fede a certi principi, non hanno tali limiti fisici. Qui, se il numero dei partecipanti cresce, non c’è il problema di un edificio più grande, ma solo di altre persone che diano la loro adesione, il proprio consenso morale e usino un segno esteriore che indichi l’appartenenza al gruppo.
Naturalmente non c’è solo adesione a principi morali, ma condivisione della vita di ogni giorno, con le sue fatiche e le sue difficoltà, considerate, come dicevo prima, al di sopra di questa età e invece bene accette. Con entusiasmo portano pesanti fardelli sulle spalle, accendono il fuoco, alzano le tende, cucinano loro stessi; sembrano altri bambini, capaci di sforzi reali, di vero lavoro.
L’attrazione, l’interesse vengono dunque dall’impegno morale che, liberamente sottoscritto dai singoli, trova risposte nello spirito di avventura.
Questa libertà personale è fondamentale per la formazione sociale.
Corrisponde a quando nel primo piano il bambino dà il suo consenso a una presentazione. La libera scelta, che nel primo periodo è sensoriale, nel secondo si rivolge a un piano più astratto. Ora è tempo di sforzi a un livello superiore: non al comando di un adulto, ma attraverso la coscienza personale dell’individuo (…).