capitolo vii

Allattamento oltre i primi mesi
e pregiudizi psicologici,
ecco alcuni miti da sfatare

di Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale

Chiariamolo subito: non esistono evidenze scientifiche secondo le quali l’allattamento oltre i primi mesi provoca danni psicologici nel bambino, né che rivela eventuali disturbi psicologici della madre se sceglie di allattare a lungo i propri figli. Nessuna mamma dovrebbe mai mettere in dubbio il proprio istinto e il sacrosanto diritto di scelta circa la durata dell’allattamento, spaventata dalle possibili ripercussioni psicologiche sui propri bambini.


Il fatto che proprio gli psicologi mettano in guardia dall’allattamento oltre i primi mesi è dovuto soltanto a una mancanza di informazione.


Il paradosso più grande è, a mio parere, che proprio coloro che si dovrebbero occupare della tutela della relazione madre-bambino non conoscano gli strumenti che la natura mette a disposizione di tutte le mamme, anche senza che queste debbano ricorrere agli esperti!

Qualcuno potrebbe obiettare che se gli studi sui potenziali danni non ci sono è perché non sono stati ancora effettuati, ma in realtà è esattamente il contrario. Nel nostro Paese e nel mondo, gli studi sull’allattamento nel tempo sono disponibili da anni e dimostrano casomai puntualmente il contrario e cioè gli effetti benefici dell’allattamento al seno oltre i primi mesi. Purtroppo però non sono diffusi a sufficienza, soprattutto fra gli psicologi, e mi permetto di dire anche fra molti pediatri i quali, continuando a ignorare gli effetti positivi dell’allattamento protratto negli anni, effetti sul sistema immunitario, sullo sviluppo del sistema nervoso e sulla relazione madre-bambino, danno indicazioni contraddittorie e non corrette alle mamme, suggerendo di svezzare il bambino a una determinata età. Come già accennato nel capitolo 3 di questo volume, i dati tratti dall’indagine ISPO1 indicano che la percentuale di allattamento oltre il primo anno di vita è piuttosto bassa e che l’elemento essenziale perché le mamme prolunghino l’allattamento, superando le difficoltà che possono emergere, è risultato essere il sostegno psicologico innanzi tutto del partner (indicato come sostegno psicologico importante dal 61% delle mamme), poi dei nonni del bambino (46%) e poi del pediatra (34%). Il 27% delle mamme, ad esempio, ha dichiarato che, se avesse avuto un sostegno maggiore da parte del pediatra, avrebbe – forse o sicuramente – potuto allattare un po’ più a lungo.


Ecco quindi che il lavoro degli psicologi e dei pediatri risulta molto influente nella durata dell’allattamento, sia direttamente che indirettamente, nell’attivare il sostegno familiare intorno alla mamma, ed è quindi da alcuni pregiudizi appartenenti alla nostra cultura che desidero iniziare; lo scopo è di dare ai lettori spunti di riflessione per prendere le distanze da condizionamenti privi di qualsiasi giustificazione scientifica oltre che di semplice buonsenso.


Vediamo i più comuni e i relativi studi da far vedere magari al proprio pediatra o a chi scoraggia le mamme, senza motivo:

  • allattare a lungo rende il bambino insicuro e dipendente dalla madre

Mary Ainsworth2, famosissima psicologa, grazie ad alcune ricerche da lei compiute in Africa, già nel 1972 ipotizzava che l’età di svezzamento dei bambini dovesse essere intorno ai due/tre anni e che le modalità di allattamento al seno a richiesta, anche di notte, dormendo vicino al bambino e allattandolo per farlo addormentare, contribuirebbero a rendere il bambino più sicuro di sé e aumenterebbero la sua fiducia nel fatto che la madre comprenda i suoi segnali e i suoi bisogni. Ciò, secondo questa illustre autrice, costituirebbe una sorta di iniezione di fiducia e di sicurezza a cui il bambino farebbe riferimento per tutta la vita nei momenti di difficoltà. C’è da domandarsi perché se questa illustre autrice aveva già intuito il legame esistente tra allattamento prolungato e sicurezza quasi quarant’anni fa, ancora oggi si affermi il contrario.

Intorno a noi abbiamo sempre più adulti dipendenti da alcol, droghe più o meno leggere, farmaci (gli psicofarmaci hanno vendite da capogiro), videogiochi, giochi d’azzardo, cibo e che dire della dipendenza affettiva da persone e rapporti che non riusciamo a gestire? Perché quindi pretendere dai bambini ciò che non possono dare, perché geneticamente programmati per le cosiddette “cure prossimali” (contatto fisico, allattamento, dormire vicino ai genitori)?


Il bambino ha bisogno di essere dipendente dalla madre per la conquista della propria autonomia con i suoi tempi. La dipendenza serve per sperimentare la sicurezza e l’accettazione da parte della madre, oltre che per allenarsi entrambi in una comunicazione non-verbale fatta di sguardi, gesti, pianto, e istinto che determina già in sé l’evolversi della relazione! Pochi hanno fiducia nella capacità di autoregolazione del neonato e nella competenza materna nel comprendere e rispondere in modo appropriato ai suoi bisogni. Nella nostra cultura viviamo il paradosso di voler rendere i bambini autonomi da subito, facendo esattamente il contrario di ciò che serve a loro per esserlo!

  • allattano più a lungo le mamme iperprotettive che tengono legati a sé i figli e non li vogliono lasciare andare

Braibanti3 afferma stupendamente che “allattare a lungo fa bene sia alla mamma che al bambino e che dal punto di vista materno, oltre ai vari effetti positivi sulla salute della donna, l’allattamento favorisce più saldi legami di attaccamento nei confronti del bambino e una maggiore competenza nell’interazione precoce. Questo accresce la fiducia della madre verso il bambino e verso se stessa; quindi tiene lontani atteggiamenti iperprotettivi e di simbiosi prolungata che nascono dalla mancanza di sicurezza sia verso se stessa che verso la relazione col proprio bambino. La separazione in età precoce e gli atteggiamenti di disconferma della competenza femminile nel ruolo madre-nutrice rafforzano, invece, i sentimenti di insicurezza e di crisi. Quindi l’allattamento protratto non può essere dannoso né per la madre né per il bambino, né da un punto di vista psicologico, né fisiologico. Non c’è evidenza alcuna che l’allattamento protratto sia sintomo di difficoltà nella relazione normale tra madre e bambino”.


Questo ginecologo “illuminato” mette finalmente l’accento sulla relazione che si instaura tra madre e figlio attraverso l’allattamento. Il pregiudizio vuole che la mamma si leghi troppo al bambino allattato e che si crei così un rapporto che li rende schiavi entrambi. In realtà, succede esattamente il contrario. La sicurezza di entrambi aumenta proprio perché si sperimenta da subito una relazione basata sulla fiducia e sulla comunicazione reciproca. I bambini allattati a lungo sperimentano anche il valore non nutritivo del latte materno e cioè che l’allattamento è uno dei mattoni fondamentali per costruire la relazione con la madre, indipendentemente dall’aspetto nutritivo. Un bimbo può voler ciucciare, per freddo, paura, o semplicemente per “voglia di mamma”: una base sicura cui far ritorno nei momenti di difficoltà4.

  • Il bambino avrà in seguito problemi di natura sessuale

Non esistono evidenze scientifiche che confermino questo assurdo pregiudizio.


Anzi, in tutti i continenti e nelle culture di tutto il mondo, dove le madri allattano seguendo i ritmi naturali e le richieste dei bambini e il seno è completamente a loro disposizione, non ci troviamo di fronte ad adulti in massa omosessuali o con “disturbi della sessualità”. I dati ci dicono anzi che in queste culture, dove il contatto fisico è ovviamente massimo tra adulti e bambini, sono minori le manifestazioni di violenza e di aggressività5.


Il pregiudizio quindi sembra nascere dalla confusione attribuita da chi considera il seno materno come un oggetto di attrazione sessuale, ma di certo non lo vede così il bambino allattato! Il seno piuttosto è un elemento della vita sessuale di una madre, che comprende quindi anche l’allattamento, qualunque sia la durata di questo nel corso del tempo.

  • La madre ha lei stessa problemi sessuali, in quanto il voler continuare ad allattare le impedisce un “sano” ritorno al proprio ruolo di donna-femmina oltre che di madre

Come ho appena affermato, la madre che a lungo allatta oltre i primi mesi il proprio bambino lo deve fare in un mondo che vede il seno soltanto come oggetto di attrazione sessuale.


Esiste inoltre un luogo comune che propone un modello di bellezza femminile basato più sulle caratteristiche di una teen-ager che di una donna che ha appena partorito. Si pensa quindi che si debba tornare in forma a tempo di record per recuperare le forme e gli “usi” delle proprie parti del corpo come prima. Il marito spesso si sente deprivato di ciò che prima era suo e che lo faceva sentire “al primo posto”. Di fatto, nella nostra società i ruoli di donna e di mamma vengono visti in concorrenza e non possibili di integrazione e armonia. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la fisiologia del parto e dell’allattamento. In altre parole è normale che la sessualità di una donna e di una coppia comprenda anche la gravidanza, il parto e l’allattamento con le trasformazioni del corpo della donna che ne derivano, dettate dagli ormoni e dalle necessità del bambino per formarsi, nascere e crescere secondo ciò che da migliaia di anni le leggi naturali hanno previsto come necessario per la sopravvivenza della specie umana.


Non ha senso quindi contrastare o negare questa parte della sessualità femminile e anzi penso che nei corsi di accompagnamento alla nascita sia di fondamentale importanza discuterne con i genitori. Questo affinché ci siano elementi di dialogo di coppia anche su questi temi e quindi la possibilità di adeguarsi con flessibilità e amore al nuovo ruolo che li aspetta, senza per questo sentirsi deprivati di qualcosa. Una mamma che offre il suo corpo al figlio lo fa anche per l’amore che prova per il suo compagno, col quale ha deciso di generare, dare alla luce e nutrire di cibo e di amore la loro creatura!

  • Il bambino che non viene svezzato dalla madre ma che si stacca dal seno da solo non sperimenta la frustrazione

Dove sta la fretta di rendere un bambino frustrato? È la stessa fretta di volerlo silenzioso, che non disturbi, che dorma tutta la notte magari già dalla nascita, che sia autonomo e indipendente da prestissimo. La stessa che vuole le mamme subito magre, veloci, truccate, al lavoro dopo poche settimane e i figli capaci di sopportarne l’assenza. Questo non è ciò che la natura considera come comportamenti adattivi e forieri di benessere, né fisico né psicologico.


Che valori vogliamo tramandare ai nostri figli?

La fretta? L’aspetto fisico? Il correre da una parte all’altra delle nostre città mattina e sera?


Compatibilmente con le proprie realtà personali e familiari, penso che i bambini abbiano bisogno di molto poco e cioè di contatto fisico e di disponibilità, soprattutto affettiva. Non si considerano mai abbastanza questi aspetti, a mio modo di vedere. La frustrazione ci sarà comunque poiché fa parte della vita; quello che la vita non ti insegna è come farvi fronte. Un genitore che dia un esempio di presenza, di disponibilità, di contenimento, di capacità di entrare in relazione col figlio, comprendendone i bisogni e dandogli gli strumenti per affrontare le difficoltà, rappresenta un bagaglio di fiducia in sé da cui trarre esempio per la costruzione di un’identità basata sul rispetto reciproco e del prossimo, sulla fiducia in sé e negli altri, sul saper aspettare perché tanto qualcuno nel momento del bisogno arriva e ascolta ma, soprattutto, significa permettersi di avere fiducia nelle proprie sensazioni di bambino che, solo se accolte e decifrate in maniera corretta e soddisfacente dall’adulto, danno sicurezza in ciò che emerge spontaneamente, dal profondo di sé.


Il bambino che si stacca definitivamente da solo dal seno sa che può farlo, che è giunto il momento di allargare lo spazio fra sé e sua madre e di spiccare il volo, con un bagaglio di sicurezza e di fiducia che certo lo aiuterà nell’affrontare le mille frustrazioni a cui andrà incontro.

Sapore di mamma
Sapore di mamma
Paola Negri
Allattare dopo i primi mesi.Perché è importante allattare ben oltre i primi sei mesi canonici. La meravigliosa esperienza di proseguire per molti mesi, come consiglia anche l’OMS. Sapore di mamma parla di allattamento prolungato, una pratica che si sta diffondendo grazie a iniziative e interventi per la sua promozione. Sono infatti sempre di più le donne che allattano secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero fino e anche oltre ai due anni di vita del bambino. C’è una bella differenza però fra allattare un neonato e allattare un bambino di uno, due o più anni, e non sempre le mamme riescono a trovare informazioni specifiche, coerenti e aggiornate su questo argomento.Come se non bastasse, le donne che decidono di continuare ad allattare il bambino dopo il primo anno si sentono spesso isolate e non trovano occasioni in cui scambiare opinioni ed esperienze con altre mamme. Anzi, spesso si scontrano con l’ignoranza e la disapprovazione del prossimo (il compagno, i parenti, il proprio ginecologo o il proprio pediatra), intrisa di luoghi comuni. Chi ha il diritto di decidere sulla sua durata?Su quali basi può deciderlo?Cosa vuol dire, oggi, allattare fino all’anno e oltre?Cosa comporta questo per la madre, il padre e il bambino?È vero che l’allattamento prolungato rende le madri succubi dei figli, e questi ultimi viziati, dipendenti e mammoni?Ma soprattutto, perché molte persone si sentono in diritto di dire alla madre quello che deve fare riguardo all’allattamento, in tante situazioni così diverse l’una dall’altra e senza che venga richiesta la loro opinione in merito? In questo libro, Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, offre tutte le informazioni affinché ogni madre trovi le proprie personali risposte a queste domande, ragionando sul valore dell’allattamento come forma normale di accudimento anche quando i bambini non sono più neonati, unitamente a spunti di riflessione sui vari aspetti di questa pratica, che vanno ben oltre quello puramente nutritivo.Gli operatori sanitari e le figure che si trovano a lavorare con mamme e bambini piccoli troveranno una chiave per entrare con maggiore rispetto nel delicato mondo della coppia madre-bambino, comprendendone meglio vissuti, bisogni e sentimenti, in modo da offrire un’assistenza più rispettosa, mirata, consapevole ed efficace. Il libro è inoltre arricchito da numerose testimonianze di mamme che hanno scelto di continuare a nutrire al seno il proprio bambino per consolarlo nei momenti difficili e addormentarlo con dolcezza. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.