terza parte

La dignità del feto

Non esiste un diritto umano che dipenda dall’esterno: il diritto o c’è o non c’è. Non sta a un arbitro, a un giudice o a un legislatore giudicare chi ha diritti e quando li perde, se si tratta dei fondamentali diritti dell’uomo. Così vale anche per la dignità della persona: non è pensabile in una società ugualitaria e democratica che qualcuno valga meno di qualcun altro, o che abbia una dignità inferiore. Eppure, nel caso della vita prenatale non è così. Già, perché si affida al fatto che “non si vede” anche la conseguenza che “non ha diritti”, o “non ha dignità”. Questa maniera di ragionare limita la conoscenza a ciò che si vede. O peggio ancora, la lega alla decisione di un altro: se il padre o la madre decide che il figlio non ancora nato può arrivare fino alla nascita, riconoscendone la dignità, la sua vita è assicurata, altrimenti dipende da altre variabili – l’assenza di malattie, il sesso giusto – che influenzano la decisione dei genitori.


In realtà la dignità del feto è fondamentale per la salute del bambino: l’attaccamento prenatale tra madre e figlio è indice di attaccamento postnatale; la cura e la salvaguardia del feto da inquinanti o sostanze tossiche prima della nascita garantisce la sua salute dopo la nascita. Eppure prima di nascere lo consideriamo “diverso”. E invece di accogliere il “diverso”, o “il clandestino”, mettiamo in atto tutta una batteria per passarlo al setaccio (screening) genetico per vedere se è proprio come lo volevamo. La gravidanza entra nei meandri dei segreti genetici della persona, li svela, li seziona e scruta e alla fine decide. Non esiste privacy prima di nascere: tutto è svelabile e trascrivibile. E usabile contro il soggetto.


Soggetto cui, si badi bene, si è ben pensato di dare un nome (“feto”) che non ha maschile né femminile, dunque lo priviamo anche dell’attributo principe che qualifica l’essere umano, cioè il suo essere sessuato. Insomma, un termine che serve a stigmatizzare, a dire “questo non è ancora dei nostri”.


E questo è un errore, perché riappropriarci della dignità della vita fetale serve tantissimo.


Serve per esternare l’ansia, in un dialogo segreto e intimo forse con la prima persona – il bimbo – che la donna ha mai trovato che la ama senza riserve semplicemente perché c’è, perché lo contiene e l’alimenta: un dialogo, prima solo di pensieri, poi, attraverso il pancione, anche di voci e massaggi.


Serve come assicurazione sul futuro: la mamma che sa di portare in sé un bambino e non un “prodotto del concepimento” non berrà alcolici e non fumerà perché saprà con certezza che farebbe bere e fumare lui/lei.


Serve anche a elaborare il lutto, perché ogni mamma che perde un bambino non ancora nato sa bene di aver perso un bambino, mentre tutta la società le dice “Non è nulla!” e le censura l’espressione della tristezza e della voglia di piangere.


La dignità del feto sarebbe meglio riconosciuta se esistesse una specialità medica tutta dedicata a lui/lei. Già, perché esiste il pediatra per il ragazzo e il gerontologo per il vecchio, esiste il podologo per il piede e l’endocrinologo per il diabete… ma il bambino non ancora nato lo cura il medico della mamma, e questo è paradossale nell’epoca dell’ultraspecializzazione, in cui se il “feto” mostra di avere una malattia, non trova a diagnosticarla uno che dalla mattina alla sera cura solo esseri piccoli come lui (come il pediatra fa con i ragazzi), ma che cura sia esserini di 70 grammi che donne di 70 chili.

Bisogna dunque guardare al futuro e oltrepassare i pregiudizi dell’epoca presente, un’epoca in cui si sa sempre di più cosa è un “feto” (cioè che è un essere pluripercettivo, che sente la voce della mamma, i sapori di quello che lei mangia, la sua voce; e che questo servirà ad abituarlo al mondo esterno, a prepararlo alla vita all’aria aperta, e a formare correttamente il suo sistema nervoso)… ma si fa sempre più finta di non sapere. E si privano le donne della bellezza di questa compagnia, che può essere una compagnia talvolta malata, che addirittura può morire. Ma ci si sostituisce alle donne, disegnandole come delle povere deboli, incapaci di prendere decisioni e di reagire, pensando che per loro il meglio sia fuggire e cancellare. Ma ogni donna sa quello che gli scienziati stanno appena scoprendo. E forse non perdonerà mai chi le censura ciò che lei già ha capito.


Carlo Bellieni, neonatologo presso il Dipartimento Materno Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese3

Riferimenti bibliografici

  • Bellieni C., Godersi la gravidanza… come una volta, Ancora Ed, 2007. Bellieni C, L’alba dell’io, Società Editrice Fiorentina, 2004.

  • Bellieni C. V., Una gravidanza ecologica, Società Editrice Fiorentina, 2008.

  • Bellieni C. V., Ceccarelli D., Rossi F., Buonocore G., Maffei M., Perrone S., Petraglia F., Is prenatal bonding enhanced by prenatal education courses?, “Minerva Ginecol.”, aprile 2007; 59(2):125-9.

  • Herbinet E., Busnel M. C., L’alba dei sensi, Cantagalli Ed., 2001.

  • Siddiqui A., Hägglöf B., Does maternal prenatal attachment predict postnatal mother-infant interaction? “Early Hum Dev.”, 2000 Jul; 59(1): 13-25.

Quando l'attesa si interrompe
Quando l'attesa si interrompe
Giorgia Cozza
Riflessioni e testimonianze sulla perdita prenatale.La perdita di un bambino durante la gravidanza è sempre una tragedia, vissuta spesso da sole e senza l’adeguata vicinanza emotiva. Ma si può superare. Quando si perde un bambino non si può dimenticare lo smarrimento, la solitudine e l’angoscia che una donna prova. Un aborto spontaneo è un dolore grande, è una promessa di gioia senza fine che si infrange all’improvviso, lasciando nel cuore amarezza, delusione, incredulità. I dati clinici sono allarmanti: il 15-25% circa delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre, e ogni anno in Italia circa 2 gravidanze su 100 si concludono con una morte perinatale. Perché mai è successo?Capiterà ancora?Ce la farò a diventare madre?Dovrei fare ulteriori controlli e accertamenti?Perché gli altri non capiscono questo dolore?E il futuro padre? Cosa prova un uomo che perde un figlio?Molte domande, poche risposte. Esistono centinaia di titoli su gravidanza, nascita, accudimento dei figli, ma mancava un libro che parlasse dell’aborto spontaneo, un’esperienza che, purtroppo, riguarda tante donne.Perché parlarne è un modo di riconoscerne l’importanza. Raccontare la propria storia, rivivere certi momenti per alcune donne è difficile e doloroso, mentre per altre è un’opportunità per comprendere meglio le proprie emozioni e riconciliarsi col passato. Quando l’attesa si interrompe si propone di offrire una risposta agli interrogativi più comuni quando si perde un bimbo nell’attesa o subito dopo la nascita. È difficile parlare di questo dolore, perché al dispiacere si aggiunge anche la devastante consapevolezza di non essere comprese. Uscire dal silenzio che molto spesso avvolge questi argomenti, rendendoli quasi dei tabù, può essere di grande aiuto non solo per la donna, ma anche per chi le sta accanto (partner, familiari, amici, operatori sanitari) e vorrebbe offrirle il proprio sostegno emotivo. Grazie ai contributi di numerosi esperti (ostetriche, psicologi, ginecologi, neonatologi) l’autrice Giorgia Cozza offre una chiave di lettura delle reazioni fisiche ed emotive della donna (e della coppia), riflettendo sulle tappe e sui tempi di elaborazione del lutto.Le testimonianze, intense e commoventi, di tanti genitori che hanno perso il proprio figlio vogliono essere una mano tesa verso ogni donna che sta soffrendo e ha bisogno di sapere che non è sola. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.