Affrontare le difficoltà
Pensiamo ora ad un travaglio lungo, difficile e doloroso. Questo ci suggerisce che la donna probabilmente ha qualche difficoltà a rilasciare gli ormoni coinvolti nel processo del parto, in particolare l’ossitocina ipofisaria (necessaria alla contrazione dell’utero) e gli antidolorifici naturali chiamati comunemente endorfine. Questa situazione è molto comune in un parto medicalmente controllato. La tendenza sarà quella di rimpiazzare immediatamente gli ormoni naturali mancanti con dei sostituti farmacologici. Una flebo di ossitocina sintetica sostituirà l’ormone ipofisario, mentre una anestesia peridurale prenderà il posto delle endorfine naturali.
Ora immaginiamo che una situazione simile abbia luogo nonostante l’atteggiamento biodinamico. La prima domanda, secondo una prospettiva fisiologica, sarà: è possibile fare in modo che questa donna riesca a ridurre la secrezione di ormoni della famiglia dell’adrenalina? Ponendo la domanda in modo così semplice, è possibile che la risposta appropriata appaia subito evidente. Forse la stanza è troppo fredda, e allora bisogna provvedere a scaldarla in fretta. O forse la futura madre non riesce ad entrare nella fase di travaglio vero e proprio perché è un po’ affamata. La fame è correlata ad un aumento dei livelli di adrenalina: uno spuntino può fare miracoli. Oppure, come spesso accade, qualcuno dei presenti sta rilasciando adrenalina: di solito si tratta del padre oppure del medico, o di entrambi. Un aumento dei livelli di adrenalina è molto contagioso. Una completa intimità in penombra, con la sola vicinanza di una ostetrica dall’atteggiamento discreto e materno, può essere il modo migliore per valutare il reale potenziale fisiologico della donna in travaglio. È anche ponendo la questione in questo modo che possiamo, ad esempio, suggerire l’uso di una vasca da parto. L’immersione in acqua a temperatura corporea è senza dubbio un modo per ridurre il livello di ormoni della famiglia dell’adrenalina. Una volta mi sono immerso in una vasca da parto e mi sono addormentato; questo è un segnale affidabile di bassi tassi di adrenalina.
Le ostetriche dell’era post-industriale saranno pratiche degli effetti dell’immersione in acqua. Sapranno come trarre profitto dal ricorso alla vasca da parto nel caso che il travaglio si presenti difficile, sebbene i bisogni primari della donna sembrino esser stati soddisfatti. Avranno ben assimilato un piccolo numero di regole semplici. Innanzi tutto daranno una grande importanza al breve lasso di tempo in cui la donna inizia a pregustare il bagno, cioè quello in cui comincia a sentire il rumore dell’acqua che scorre e a vedere la bella acqua azzurra riempire la vasca: può essere che già in quel momento molte delle inibizioni cadano. Avranno capito che l’immersione in acqua a temperatura corporea può rendere più efficaci le contrazioni per un periodo limitato di tempo, nell’ordine di un’ora e mezzo. Le due principali raccomandazioni sull’uso appropriato della vasca da parto si basano su questo semplice fatto.
La prima raccomandazione è quella di aiutare la partoriente ad essere paziente e non entrare in acqua troppo presto. Il bagno dovrebbe venir posticipato idealmente fino ad un certo punto della dilatazione; infatti, se si rimanda l’immersione a quando il collo dell’utero è dilatato di circa cinque centimetri, quasi certamente non ci sarà bisogno di ricorrere a farmaci o a interventi: è infatti probabile che si arrivi alla dilatazione completa entro un’ora o due, anche nel caso di madre primipara. Le ostetriche esperte sanno come aiutare le donne a pazientare abbastanza. Ad esempio, in attesa che l’acqua raggiunga la temperatura giusta (non dev’essere mai superiore a quella corporea) l’ostetrica può suggerire alla madre di fare una doccia. La doccia può essere efficace per molti motivi. Il principale è che solitamente sotto la doccia la donna si trova sola in uno spazio molto piccolo, cioè in una situazione di completa intimità. Il rumore dell’acqua che scorre può poi contribuire magicamente a far cadere le inibizioni. In più, il flusso dell’acqua può essere diretto sui capezzoli, così da stimolare il rilascio di ossitocina, o sulle spalle, per alleviare il mal di schiena.
La seconda raccomandazione è quella di evitare di programmare un parto in acqua. Il neonato potrà nascere nell’acqua se all’improvviso si verificheranno contrazioni irresistibili e potenti, e la mamma non vorrà uscire dalla vasca: ma non dovrebbe essere l’obiettivo. La finalità è piuttosto quella di ridurre il ricorso all’uso di farmaci. Spesso, le donne provano il bisogno di uscire dall’acqua alle ultime contrazioni, una fase in cui paradossalmente una breve scarica di adrenalina può essere utile. Le donne prigioniere del loro progetto di partorire in acqua potrebbero essere tentate di restare troppo a lungo nella vasca, cosicché quando il bambino nasce le contrazioni sono già più deboli. In casi simili, le contrazioni saranno ancora meno efficaci al momento dell’espulsione della placenta.
Il contrasto fra atteggiamento biodinamico e controllo medico diventa chiarissimo se osserviamo il modo diverso di usare la vasca. Nel primo caso, la tendenza è quella di tenerla a disposizione delle partorienti, usandola come un modo di sostituire il ricorso ai farmaci, qualora il travaglio dovesse essere lungo, difficile e molto doloroso. La piscina può essere usata per una rapida “prova acquatica di travaglio”, cioè come mezzo utile per valutare se il neonato possa effettivamente nascere per via vaginale. Nel caso in cui non si assista ad una rilevante progressione della dilatazione della cervice, dopo un’ora di travaglio intenso passata in vasca, non c’è motivo di tergiversare: evidentemente c’è un problema grave e non ha senso ritardare un taglio cesareo. Nel caso del parto medicalizzato, la tendenza è invece quella di moltiplicare le controindicazioni all’uso della vasca da parto, così che alla fine vengono “autorizzate” ad usufruirne solo le “donne a basso rischio”, ovvero quelle che in realtà non ne avrebbero bisogno.
Dopo questa rassegna delle attenzioni e delle strategie associate ad un atteggiamento biodinamico, è facile intuire qual sia la direzione dei cambiamenti necessari al superamento dell’era della nascita industrializzata. Come prepararsi a tale cambiamento?