capitolo xiv

Parto e atteggiamento biodinamico

Cosa significa assumere un atteggiamento biodinamico?

Senza attendere la diffusione della nuova consapevolezza, dobbiamo iniziare a prepararci all’era post-industriale della nascita. Questo implica atteggiamenti completamente nuovi, che a loro volta comportano l’uso di un vocabolario rinnovato. Questo è un altro motivo per continuare ad usare l’analogia tra agricoltura e nascita. Il termine migliore che mi viene in mente per definire l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare il parto post-industriale è “biodinamico”. L’espressione “parto naturale” è obsoleta, casomai utile a posteriori, in quei casi in cui la donna riesce a partorire senza l’uso di farmaci e senza interventi. Noi però non dobbiamo definire un risultato, quanto piuttosto un atteggiamento.


Un atteggiamento biodinamico si basa su una buona comprensione dei processi fisiologici. Lo scopo è quello di valorizzare il più possibile il potenziale fisiologico di madre e neonato. È l’opposto di ciò che avviene nella nascita controllata culturalmente, come quella medicalizzata tipica nella nostra società. Il contrasto fra “parto controllato medicamente” e atteggiamento biodinamico si può esprimere in termini di differenza tra le preoccupazioni fondamentali e paragonando i diversi modi di affrontare le difficoltà.

Preoccupazioni differenti

Facciamo un esempio concreto. Immaginiamoci una donna che sta entrando nella fase di travaglio avviato. Nel caso di un parto medicalmente assistito, la principale attenzione sarà quella di usare i sistemi più efficaci per monitorare il feto, allo scopo di essere costantemente preparati a salvare il neonato in caso di pericolo. La priorità è quindi di controllare ciò che sta accadendo. Un simile atteggiamento ha portato al concetto di monitoraggio elettronico fetale, divenuto uno dei simboli del parto industrializzato. È difficile liberarsi dei simboli. Ecco perché il monitoraggio fetale viene ancora usato in alcuni ospedali, nonostante molti studi dimostrino che, se paragonato all’auscultazione occasionale del battito cardiaco fetale, ha come unico effetto costante e significativo l’incremento dal punto di vista statistico dei tagli cesarei.


Adesso immaginiamoci la stessa fase del travaglio in un’“atmosfera biodinamica”. La principale preoccupazione sarà quella di ridurre quanto più possibile il rischio di sofferenza fetale, l’obiettivo quello di rendere il parto il più facile possibile. La futura madre potrà godere di completa intimità, senza sentirsi guidata o osservata: si sentirà libera di emettere suoni e di assumere le pose più inattese. Molto probabilmente si ritroverà a quattro zampe, o piegata in avanti in un’altra posizione qualsiasi. Il primo effetto immediato sarà quello di alleviare il dolore, soprattutto in presenza di mal di schiena. Dal punto di vista meccanico, l’effetto più importante sarà quello di far cessare completamente la compressione dell’utero sui grossi vasi sanguigni che si trovano lungo la spina dorsale: il fattore più comune di sofferenza fetale sarà così eliminato, e contemporaneamente verrà agevolata la rotazione della testa del bambino. Aggiungiamo anche che quando una donna si trova a quattro zampe sulle ginocchia e sulle mani, come se pregasse, è più facile che riesca a estraniarsi dal resto del mondo e a “partire per un altro pianeta”. In altre parole, sarà più facile per lei ridurre l’attività dell’intelletto e raggiungere il giusto equilibrio ormonale. Una ostetrica esperta assisterà con discrezione e, senza essere invadente, riuscirà a individurare il momento opportuno per auscultare il battito cardiaco del feto con un apparecchio tascabile. Ad esempio, potrebbe approfittare del momento in cui la donna va in bagno. Qualunque sia la posizione assunta dalla madre, l’ostetrica potrà usare (con moderazione e nelle circostanze appropriate) questo apparecchio meraviglioso e poco costoso che è il rivelatore fetale, pur essendo cosciente che i rischi di sofferenza fetale, in un contesto simile, sono quasi completamente eliminati. Anche il bisogno di ricorrere a farmaci si ridurrà notevolmente, e con esso un’altra potenziale causa di sofferenza fetale.

Affrontare le difficoltà

Pensiamo ora ad un travaglio lungo, difficile e doloroso. Questo ci suggerisce che la donna probabilmente ha qualche difficoltà a rilasciare gli ormoni coinvolti nel processo del parto, in particolare l’ossitocina ipofisaria (necessaria alla contrazione dell’utero) e gli antidolorifici naturali chiamati comunemente endorfine. Questa situazione è molto comune in un parto medicalmente controllato. La tendenza sarà quella di rimpiazzare immediatamente gli ormoni naturali mancanti con dei sostituti farmacologici. Una flebo di ossitocina sintetica sostituirà l’ormone ipofisario, mentre una anestesia peridurale prenderà il posto delle endorfine naturali.


Ora immaginiamo che una situazione simile abbia luogo nonostante l’atteggiamento biodinamico. La prima domanda, secondo una prospettiva fisiologica, sarà: è possibile fare in modo che questa donna riesca a ridurre la secrezione di ormoni della famiglia dell’adrenalina? Ponendo la domanda in modo così semplice, è possibile che la risposta appropriata appaia subito evidente. Forse la stanza è troppo fredda, e allora bisogna provvedere a scaldarla in fretta. O forse la futura madre non riesce ad entrare nella fase di travaglio vero e proprio perché è un po’ affamata. La fame è correlata ad un aumento dei livelli di adrenalina: uno spuntino può fare miracoli. Oppure, come spesso accade, qualcuno dei presenti sta rilasciando adrenalina: di solito si tratta del padre oppure del medico, o di entrambi. Un aumento dei livelli di adrenalina è molto contagioso. Una completa intimità in penombra, con la sola vicinanza di una ostetrica dall’atteggiamento discreto e materno, può essere il modo migliore per valutare il reale potenziale fisiologico della donna in travaglio. È anche ponendo la questione in questo modo che possiamo, ad esempio, suggerire l’uso di una vasca da parto. L’immersione in acqua a temperatura corporea è senza dubbio un modo per ridurre il livello di ormoni della famiglia dell’adrenalina. Una volta mi sono immerso in una vasca da parto e mi sono addormentato; questo è un segnale affidabile di bassi tassi di adrenalina.


Le ostetriche dell’era post-industriale saranno pratiche degli effetti dell’immersione in acqua. Sapranno come trarre profitto dal ricorso alla vasca da parto nel caso che il travaglio si presenti difficile, sebbene i bisogni primari della donna sembrino esser stati soddisfatti. Avranno ben assimilato un piccolo numero di regole semplici. Innanzi tutto daranno una grande importanza al breve lasso di tempo in cui la donna inizia a pregustare il bagno, cioè quello in cui comincia a sentire il rumore dell’acqua che scorre e a vedere la bella acqua azzurra riempire la vasca: può essere che già in quel momento molte delle inibizioni cadano. Avranno capito che l’immersione in acqua a temperatura corporea può rendere più efficaci le contrazioni per un periodo limitato di tempo, nell’ordine di un’ora e mezzo. Le due principali raccomandazioni sull’uso appropriato della vasca da parto si basano su questo semplice fatto.


La prima raccomandazione è quella di aiutare la partoriente ad essere paziente e non entrare in acqua troppo presto. Il bagno dovrebbe venir posticipato idealmente fino ad un certo punto della dilatazione; infatti, se si rimanda l’immersione a quando il collo dell’utero è dilatato di circa cinque centimetri, quasi certamente non ci sarà bisogno di ricorrere a farmaci o a interventi: è infatti probabile che si arrivi alla dilatazione completa entro un’ora o due, anche nel caso di madre primipara. Le ostetriche esperte sanno come aiutare le donne a pazientare abbastanza. Ad esempio, in attesa che l’acqua raggiunga la temperatura giusta (non dev’essere mai superiore a quella corporea) l’ostetrica può suggerire alla madre di fare una doccia. La doccia può essere efficace per molti motivi. Il principale è che solitamente sotto la doccia la donna si trova sola in uno spazio molto piccolo, cioè in una situazione di completa intimità. Il rumore dell’acqua che scorre può poi contribuire magicamente a far cadere le inibizioni. In più, il flusso dell’acqua può essere diretto sui capezzoli, così da stimolare il rilascio di ossitocina, o sulle spalle, per alleviare il mal di schiena.


La seconda raccomandazione è quella di evitare di programmare un parto in acqua. Il neonato potrà nascere nell’acqua se all’improvviso si verificheranno contrazioni irresistibili e potenti, e la mamma non vorrà uscire dalla vasca: ma non dovrebbe essere l’obiettivo. La finalità è piuttosto quella di ridurre il ricorso all’uso di farmaci. Spesso, le donne provano il bisogno di uscire dall’acqua alle ultime contrazioni, una fase in cui paradossalmente una breve scarica di adrenalina può essere utile. Le donne prigioniere del loro progetto di partorire in acqua potrebbero essere tentate di restare troppo a lungo nella vasca, cosicché quando il bambino nasce le contrazioni sono già più deboli. In casi simili, le contrazioni saranno ancora meno efficaci al momento dell’espulsione della placenta.


Il contrasto fra atteggiamento biodinamico e controllo medico diventa chiarissimo se osserviamo il modo diverso di usare la vasca. Nel primo caso, la tendenza è quella di tenerla a disposizione delle partorienti, usandola come un modo di sostituire il ricorso ai farmaci, qualora il travaglio dovesse essere lungo, difficile e molto doloroso. La piscina può essere usata per una rapida “prova acquatica di travaglio”, cioè come mezzo utile per valutare se il neonato possa effettivamente nascere per via vaginale. Nel caso in cui non si assista ad una rilevante progressione della dilatazione della cervice, dopo un’ora di travaglio intenso passata in vasca, non c’è motivo di tergiversare: evidentemente c’è un problema grave e non ha senso ritardare un taglio cesareo. Nel caso del parto medicalizzato, la tendenza è invece quella di moltiplicare le controindicazioni all’uso della vasca da parto, così che alla fine vengono “autorizzate” ad usufruirne solo le “donne a basso rischio”, ovvero quelle che in realtà non ne avrebbero bisogno.


Dopo questa rassegna delle attenzioni e delle strategie associate ad un atteggiamento biodinamico, è facile intuire qual sia la direzione dei cambiamenti necessari al superamento dell’era della nascita industrializzata. Come prepararsi a tale cambiamento?

L'Agricoltore e il Ginecologo
L'Agricoltore e il Ginecologo
Michel Odent
L’industrializzazione della nascita.Uno scambio di idee che analizza le molteplici similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto. Sembra il titolo di una favola moderna: durante uno scambio di idee, l’agricoltore e il ginecologo comprendono fino a che punto entrambi abbiano manipolato le leggi della natura e analizzano le impressionanti similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto, ambedue sviluppatesi nel corso del ventesimo secolo.L’Agricoltore e il Ginecologo di Michel Odent è una pietra miliare sull’industrializzazione della nascita. Conosci l’autore Michel Odent, medico ostetrico celeberrimo, noto soprattutto per aver introdotto il parto in acqua e le sale parto simili a un ambiente domestico, ha al suo attivo una cinquantina di studi scientifici e oltre dieci libri pubblicati  e tradotti in più di venti lingue. Da molti anni gestisce a Londra il Primal Health Centre, studiando gli aspetti relativi alla salute del bambino dalla gestazione al primo anno di vita.Di recente ha creato un nuovo sito internet - www.wombecology.com - dedicato all’ecologia della vita intrauterina.