capitolo iv

similitudini

Un accenno veloce alla storia è il modo più semplice per mettere in luce le affinità tra allevamento e agricoltura industriali e nascita industriale. Entrambi i fenomeni si sono sviluppati in modo parallelo durante il ventesimo secolo. È come se la dominazione della natura, che è stata la base della nostra civilizzazione per millenni, abbia improvvisamente raggiunto un altro ordine di grandezza. È stata superata una soglia.

Antichi obiettivi e mezzi rudimentali

Gli antenati degli agricoltori moderni condividevano già gli obiettivi dell’intensificazione quando, per esempio, ripulivano i campi dalle erbacce per far arrivare più luce alle loro piante, o quando proteggevano con recinzioni e difese le loro colture e i loro animali, o quando impararono ad utilizzare attrezzi come asce, bastoni appuntiti, corde e coltelli. Alcuni passaggi sono stati determinanti nel processo dell’intensificazione, come ad esempio l’uso dei buoi per arare, ma ciò che chiamiamo agricoltura intensiva è un fenomeno del ventesimo secolo.


Allo stesso modo, sin dai tempi remoti, tutte le società umane che conosciamo hanno trovato delle ragioni per interferire con la fisiologia della nascita. Gli strumenti più rudimentali sono stati le credenze ed i rituali, che possono risultare molto efficaci nel disturbare la fase del travaglio compresa tra la nascita del bambino e l’espulsione della placenta. Per esempio, la tradizione trans-culturale secondo cui il colostro è contaminato o pericoloso implica che il neonato venga immediatamente allontanato dalla madre. L’effetto è quello di sfidare l’istinto materno protettivo ed aggressivo. Una credenza simile non può essere dissociata da un rituale, ovvero l’affrettarsi a tagliare il cordone ombelicale prima che avvenga l’espulsione della placenta. Di solito questo è il ruolo dell’assistente al parto.


Il concetto di assistente al parto è probabilmente più recente di quello che si possa credere. Filmati sugli Eipos della Nuova Guinea e documenti scritti sulle civiltà non agricole ci dimostrano che c’è stata una fase nella storia dell’umanità in cui le donne avevano l’abitudine di isolarsi quando dovevano partorire. Più che per gli altri primati, il bisogno di intimità durante il parto è fondamentale per la donna, non dimentichiamo infatti che l’essere umano in tali circostanze è svantaggiato dall’enorme sviluppo di una parte del cervello (la neocorteccia) che tende ad inibire l’attività di strutture cerebrali più primitive. Quando qualcuno si sente osservato, la neocorteccia (il cervello dell’intelletto) non riesce a mettersi a riposo. È probabile che talvolta qualche giovane donna nella boscaglia chiamasse occasionalmente la mamma, per essere aiutata all’ultimo minuto: ecco le radici dell’ostetrica, in origine una figura materna. L’avvento della figura di assistente al parto ha prodotto un circolo vizioso. Essa infatti interferisce con il bisogno di intimità della donna durante il travaglio, quindi tende a rendere il parto più difficoltoso, cosicché si crea un bisogno ancora maggiore di aiuto. In molte società le assistenti al parto hanno usato metodi tradizionali per influenzare attivamente il progresso del travaglio: manipolando, massaggiando, persino saltando sull’addome o dilatando manualmente il collo dell’utero. La tendenza quasi universale a negare il bisogno “mammifero” di privacy ha portato alla socializzazione della nascita. L’invenzione di strumenti come il forcipe e l’introduzione di figure mediche maschili sul luogo della nascita hanno rappresentato passi determinanti, ma ciò che chiamiamo nascita industrializzata (o parto industrializzato) è comunque un fenomeno del ventesimo secolo.

Lo sviluppo esplosivo dell’agricoltura e dell’allevamento industrializzati

Fu a partire dai primi del ’900 che divenne evidente lo sviluppo esplosivo dell’allevamento industrializzato.


Quello che ne sarebbe diventato il simbolo è durato in effetti un intero secolo: la Swift and Company di Chicago fu la prima compagnia a usare processi industriali per trattare scarti animali allo scopo di produrre mangimi. L’uso di questi prodotti prese piede in Paesi come la Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale, quando diventò difficile importare mangimi vegetali dall’estero. Le mucche inglesi consumavano fino a due chili al giorno di proteine di origine animale. Dalla metà degli anni ’70 il prezzo delle proteine vegetali negli Stati Uniti crebbe a tal punto da rendere i mangimi di origine animale sempre più diffusi per l’alimentazione delle vacche, anche se mai come in Europa.


Il cammino dell’agricoltura e dell’allevamento industriali è sempre stato associato al fiorire di straordinari progressi tecnologici. Per trarre profitto dai macchinari che riducevano il bisogno di manodopera, furono indispensabili enormi investimenti. Questo spiega la necessità di concentrare pesanti attrezzature, come trattori e mieti-trebbiatrici, in unità agricole sempre più grandi. L’agricoltura intensiva fu determinante nel favorire lo sviluppo delle industrie chimiche e farmaceutiche, grazie all’uso di fertilizzanti sintetici, erbicidi, insetticidi, e grazie anche ai trattamenti a base di ormoni, antibiotici e altre sostanze chimiche usati nell’allevamento. Uno degli aspetti più caricaturali dell’industrializzazione dell’allevamento è il calcolo “scientifico” e informatizzato della razione alimentare delle vacche: ogni porzione viene determinata utilizzando una formula che considera il peso dell’animale, l’età e la produzione di latte. Questa informazione viene codificata e integrata in un chip computerizzato inserito in un cartellino che l’animale tiene appeso al collo. Un computer legge il cartellino, decifra il messaggio, ed eroga precisamente la quantità e il tipo di cibo che quella mucca deve ricevere.

Lo sviluppo esplosivo della nascita industrializzata

Anche lo sviluppo della nascita industrializzata iniziò a manifestarsi intorno ai primi del ’900, in maniera più evidente negli Stati Uniti rispetto all’Europa. In entrambi i continenti, il fenomeno principale fu l’aumento del controllo da parte dei medici. In un Paese come l’Inghilterra, il decreto indicato col nome Midvives Act (letteralmente “Atto delle Ostetriche”) ricevette l’Approvazione Reale nel 1902, dopo storiche controversie sui giornali medici e interminabili trattative col General Medical Council [l’equivalente dell’Ordine dei Medici, N.d.T.]; esso stabilì in modo ufficiale i rapporti tra medico e ostetrica, istituzionalizzando il ruolo subordinato della seconda rispetto al primo. A quel tempo, in America, i medici avevano già guadagnato spazio nel processo della nascita e lo status e il ruolo dell’ostetrica stavano declinando con altrettanta rapidità. La parola “ostetrica” faceva già pensare alla figura dell’immigrante ignorante e analfabeta. Offrire a queste donne una formazione adeguata era fuori discussione. L’eliminazione delle ostetriche venne perseguita con la scusa di un’assistenza migliore, ma c’erano anche ragioni economiche: l’attività delle ostetriche non solo limitava il volume di affari dei medici ma, dal momento che le loro clienti erano per lo più ragazze povere, le ostetriche toglievano alle nuove generazioni di ginecologi il “materiale” su cui esercitarsi. In un tale contesto l’ospedalizzazione si sviluppò negli Stati Uniti più rapidamente che in Europa.


Un professore americano di ostetricia, Joseph DeLee, ebbe un ruolo preminente nell’avvento del parto industrializzato. Autore di molti trattati di ginecologia, fu un raffinato oratore, e l’inventore di parecchi strumenti ostetrici. Nel suo famoso articolo del 1920, dal titolo L’uso profilattico del forcipe, partiva dal principio che “il travaglio è un processo patologico”. Raccomandava il ricorso routinario al forcipe e all’episiotomia ad ogni parto. La “paziente”, secondo lui, doveva essere sedata, e raccomandava l’uso dell’etere quando il feto entrava nel canale del parto; dovevano essere usati ergotamina o farmaci simili per accelerare l’espulsione della placenta, che sarebbe stata estratta con la cosiddetta “manovra del calzascarpe”. I trattati di DeLee ebbero una tale influenza negli Stati Uniti che fin dagli anni ’30 la pratica della “ostetricia profilattica” era diventata la norma.


Sempre all’inizio del secolo, in Germania si cominciarono a studiare gli effetti di una mistura di morfina e scopolamina. Molte donne americane erano così entusiaste alla prospettiva di un parto completamente senza dolore che si recarono a Friburgo, all’inizio della Prima Guerra Mondiale. Quando tornarono, iniziarono a promuovere il twilight sleep (letteralmente “sonno crepuscolare”). Questa tecnica consisteva nel praticare alla donna una iniezione di morfina all’inizio del travaglio, seguita da una dose di scopolamina, una sostanza che cancella la memoria, cosicché la donna non ricordava ciò che stava succedendo. Durante la seconda fase, il medico le somministrava etere o cloroformio. La campagna a favore del twilight sleep fu coronata dal successo: attirò le donne verso gli ospedali e allo stesso tempo le rese più passive durante il travaglio e il parto, facilitando così lo sviluppo di altre tecniche. Con il twilight sleep i parti ospedalieri divennero più anonimi. Il personale, convinto che le donne sotto scopolamina non ricordassero niente, sviluppò la tendenza ad ignorare le “pazienti”. D’altro canto, il rendere tutte le nascite così prevedibilmente simili può aver attratto quelle donne in cerca di un parto veloce e indolore. La nascita divenne una catena di montaggio. Il concetto di ostetricia profilattica promosso da Joseph DeLee, assieme alla popolarità del twilight sleep, dimostrano che, almeno in America, il parto industrializzato era già saldamente radicato prima della Seconda Guerra Mondiale.


L’industrializzazione della nascita entrò in una nuova fase verso la metà del ventesimo secolo, per effetto di una serie di progressi tecnici e tecnologici. Negli anni ’50 una moderna tecnica di taglio cesareo, detta “del segmento inferiore dell’utero”, sostituì gradualmente quella classica. Mentre precedentemente l’incisione veniva fatta in verticale, sul corpo principale dell’utero, con la nuova tecnica si praticava il taglio orizzontalmente, proprio al di sopra della cervice, a livello del cosiddetto “segmento inferiore dell’utero”, che compare e si sviluppa al termine della gravidanza. Grazie a questa nuova procedura, insieme a una serie di altri fattori come l’introduzione di nuovi metodi anestesiologici, una migliore organizzazione delle trasfusioni, la disponibilità di deflussori in materiale plastico per le perfusioni e la disponibilità di antibiotici, improvvisamente il cesareo divenne un’operazione sicura. Dobbiamo ricordare che i parti cesarei erano operazioni così pericolose all’inizio del secolo che nel 1910 in America la loro frequenza in percentuale era intorno allo 0,2%.


Questi straordinari progressi avvennero in un momento in cui la maggior parte dei medici coinvolti nel parto non aveva alle spalle nessuna formazione chirurgica. I loro principali strumenti erano il forcipe per estrarre il bambino e le forbici per tagliare il perineo. Quando, come ultima risorsa, un medico riteneva necessario ricorrere al cesareo, era solito chiamare il chirurgo per l’operazione. Questa è una ragione per cui, malgrado la sicurezza delle nuove tecniche, il tasso di tagli cesarei non aumentò in modo esponenziale fino agli anni ’60, quando cioè apparve una nuova generazione di ginecologi formati sotto il profilo chirurgico. Nel 1968 i cesarei erano ancora il 5% negli Stati Uniti, e ancora di meno in Europa. Durante questa fase di transizione le nascite venivano sempre più concentrate negli ospedali. Era facile convincere chiunque che il modo migliore di beneficiare delle recenti scoperte mediche fosse quello di partorire il più vicino possibile a una sala operatoria, vale a dire in un ospedale dotato di attrezzature chirurgiche.


Fu negli anni ’70, quando ormai il parto in ospedale era diventato la norma e molti ginecologi possedevano formazione chirurgica, che nelle sale travaglio comparve all’improvviso il monitoraggio fetale elettronico: fu così che, nel giro di pochi anni, si entrò nell’era elettronica della nascita. Invece di ascoltare il battito cardiaco fetale di tanto in tanto, divenne consuetudine registrare in modo continuativo il ritmo su un grafico con un macchinario elettronico. La donna in travaglio fu sempre più circondata da una rete complessa di tubicini e di fili, compresa la cannula che le collegava il braccio ad un flacone contenente una quantità calcolata di ossitocina sintetica, necessaria alle contrazioni uterine. L’atmosfera nella stanza del travaglio si era trasformata radicalmente: le donne stavano partorendo in un ambiente elettronico.


Alla fine del ventesimo secolo, all’apice dell’era elettronica, la storia del parto industrializzato ha compiuto un altro passo con lo sviluppo dell’anestesia peridurale. È risultato subito chiaro che la peridurale è la forma più efficace di analgesia ostetrica. Viene somministrata iniettando un anestetico tra due vertebre lombari, attraverso un sottile catetere di plastica che viene lasciato poi in loco per nuove iniezioni. La tecnica era già ben affinata prima del 1980, ma allora c’erano ostacoli pratici alla sua diffusione. Il ruolo degli anestesisti infatti era sempre stato quello di rendere possibili gli interventi chirurgici ma non di intervenire durante un processo fisiologico. Inoltre la procedura dell’anestesia peridurale può richiedere lunghi interventi ad ore imprevedibili del giorno e della notte, ed erano pochi gli ospedali che potevano offrire questo servizio 24 ore su 24. Ecco perché, per assistere ad un’ampia diffusione della peridurale, abbiamo dovuto attendere fino agli anni ’90, quando si è creata la disponibilità di un numero sufficiente di professionisti specializzati, e quando sono state messe a punto tecniche più sofisticate di peridurale, in modo da permettere il movimento delle gambe.


All’alba del ventunesimo secolo, solo i grandi reparti maternità possono offrire un servizio che garantisca la presenza di ginecologi, anestesisti e pediatri per 24 ore al giorno. Ecco perché in molti ospedali dell’Europa occidentale il numero medio di parti è una dozzina al giorno, e nel continente americano anche 20 o più. Spesso sono stati necessari enormi investimenti per progettare, costruire ed attrezzare reparti maternità sufficientemente grandi. Sebbene stiamo parlando di parto, è chiaro che questi ingenti investimenti devono anche coprire i costi della sofisticata attrezzatura necessaria alla moderna assistenza prenatale, in modo particolare i macchinari ecografici.


La concentrazione nei grandi ospedali non è l’unica caratteristica della nascita industrializzata, che comprende anche una impressionante tendenza verso la standardizzazione. Termini come “routine” o “protocollo” sono le parole chiave della moderna ostetricia. Taglio cesareo a parte (che può essere pianificato in anticipo o deciso durante il travaglio), nella mente di molta gente c’è un parto “normale”, quasi standardizzato, in cui alla donna viene praticata un’anestesia peridurale e un’infusione di ossitocina, e magari messo un catetere per svuotare la vescica. Il bambino viene monitorato elettronicamente, e durante le ultime contrazioni è probabile che si ricorra all’episiotomia, associata all’uso della ventosa o del forcipe. Dopo il parto, viene somministrato un farmaco per far contrarre l’utero e far uscire la placenta. Nell’era del parto industrializzato, la madre non ha niente da fare.


È una “paziente”.

L'Agricoltore e il Ginecologo
L'Agricoltore e il Ginecologo
Michel Odent
L’industrializzazione della nascita.Uno scambio di idee che analizza le molteplici similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto. Sembra il titolo di una favola moderna: durante uno scambio di idee, l’agricoltore e il ginecologo comprendono fino a che punto entrambi abbiano manipolato le leggi della natura e analizzano le impressionanti similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto, ambedue sviluppatesi nel corso del ventesimo secolo.L’Agricoltore e il Ginecologo di Michel Odent è una pietra miliare sull’industrializzazione della nascita. Conosci l’autore Michel Odent, medico ostetrico celeberrimo, noto soprattutto per aver introdotto il parto in acqua e le sale parto simili a un ambiente domestico, ha al suo attivo una cinquantina di studi scientifici e oltre dieci libri pubblicati  e tradotti in più di venti lingue. Da molti anni gestisce a Londra il Primal Health Centre, studiando gli aspetti relativi alla salute del bambino dalla gestazione al primo anno di vita.Di recente ha creato un nuovo sito internet - www.wombecology.com - dedicato all’ecologia della vita intrauterina.