La quotidiana difficoltà di gestire i limiti
L’incontro con Selene e con sua figlia Elisa è stato significativo ed illuminante nel mio cammino di approfondimento. Confrontarmi con una bimba di 9 anni con tali lucidità, intuito e capacità di connessione è stato sorprendente e anche sconvolgente a tratti. Elisa “ti mette in buca” facilmente se non sei assolutamente certo di ciò che stai dicendo, e se qualcosa non le torna ha la tenacia di affermare sempre con grande maturità e introspezione quello che prova e desidera. Fa tante domande, mette molto alla prova e nel contempo, se accolta, mostra un lato eccezionalmente comunicativo e aperto. Parla di empatia con grande semplicità, come una cosa del tutto naturale. Selene è una persona che esprime maternità, la sua grande capacità di accoglienza, connessione e cura è stato di certo un fattore determinante per la libertà della figlia di potersi esprimere, anche con caparbietà, mostrando se stessa nei lati comodi come in quelli scomodi. Questo aspetto, come leggerete in seguito, è anche difficile da gestire, e la definizione dei limiti è sempre una lotta. Ma è da questa lotta, da questi continui tentativi ed errori, dall’impegno costante e da una grande pazienza dei genitori che nasce per il bambino ipersensibile la possibilità di essere se stesso davvero.
Ecco: Elisa si è presentata subito alla nascita. Uscita da un cesareo programmato, con un pianto che mi ha immediatamente fatto dire: “Ohi ohi, povera me!”. Sensazione di lei che se ne stava tranquillamente dormiente nel suo mondo sereno e all’improvviso svegliata e strappata dal suo posto sicuro. E che quindi più che piangere per la paura, sembrava essere molto arrabbiata e frustrata dalla sua impotenza su ciò che le stava accadendo. Separata subito da me e portata a fare il bagnetto con papà e poi nella culla termica.
Circa un’ora dopo, Elisa, piangente, è di nuovo in braccio dalla mamma. L’ostetrica suggerisce di allattarla subito. Elisa come vede e sente la “titta”, si scaglia a bocca spalancata al capezzolo, con una forza e determinazione sorprendenti, per una creatura di appena un’ora di vita.
Fino ai tre mesi, neonata tranquilla, come si dice, mangia e dorme. Anche nei suoi momenti da sveglia, se ne sta tranquilla, con lo sguardo sereno e lontano. I suoi sorrisi contagiosi pieni di gioia, accompagnati da movimenti morbidi, sono piacevoli a vedersi, dandomi la percezione di una neonata in pace.
Intorno ai quattro mesi di Elisa, traslochiamo in una casa più grande. È una bifamiliare all’interno della casa dei miei genitori, con i quali insorgono inaspettate situazioni incresciose che creano attriti e discussioni accese.
Ecco che Elisa inizia a dormire poco e non si addormenta più da sola.
Ha risvegli notturni ripetuti, anche 4-5 per notte con lunghi e forti pianti inconsolabili che mettono a dura prova tutti, anche il fratello di quattro anni.
Anche durante il giorno il suo sonno è breve (circa 20 minuti) e interrotto, dorme più a lungo se qualcuno è con lei. Quando è sveglia, raramente riesce a starsene serena e tranquilla… Non usa il ciuccio, passa tanto tempo attaccata al seno, che sembra essere l’unica consolazione nei momenti più critici… Tutto ciò per tre lunghi anni.
Intorno all’anno inizia a camminare e parlare… e a mostrare la sua determinazione. Il suo dire di “no” con tanta forza inizia a metterci in difficoltà, e non è stato semplice capire come gestire nel modo giusto i limiti.
Intorno ai 20 mesi Elisa mentre mi guarda rovescia a terra un contenitore in cui ho i cotoni colorati per ricamare, le chiedo di raccogliere i cotoni e rimetterli nella scatola.
Elisa: “NO! …Mamma!”, ha chiara l’intenzione che non raccoglierà i cotoni e indica me.
Le ripeto di raccoglierli.
Di nuovo rispondendo ferma in piedi davanti alla scatola rovesciata a terra: “No!…Mamma”.
Le spiego che lei ha rovesciato, quindi lei deve riordinare, non la mamma.
È irremovibile.
Allora scatta la sfida, capisco che se lascio correre, il rischio è di non darle un limite.
La prendo per mano, l’accompagno nella stanza più vicina (il bagno) dicendole che può rimanere un po’ a pensare, se davvero non vuole raccogliere, che tornerò più tardi per sapere cosa ha pensato.
La lascio in bagno, non riesco nemmeno a chiudere la porta, che scoppia in un pianto fortissimo dei suoi, aspetto 10 secondi, riapro la porta e le chiedo se ha deciso di raccogliere i cotoni colorati.
Smette di piangere e dice: “Ti”.
Ritorniamo in sala davanti al “misfatto” e la invito a raccogliere. Siamo ancora per mano non accenna a muoversi allora le chiedo: “Allora Elisa…? Raccogli?”.
Elisa: “No!…Mamma!”.
Bene, la scena si ripete per sei volte, con questo viaggio nel bagno e pianto, fin tanto che alla sesta volta Elisa si china a raccogliere un cotonino e rimetterlo nel contenitore.
Per quella volta mi sembrava un buon compromesso, anche perché ero io quella stanca di reggere la sfida.
Quando Elisa ha circa 2 anni, è ora di cena e preparo una minestrina in brodo che le metto davanti come per tutti noi. Elisa guarda il piatto e dice: “No a voio”.
La invito ad assaggiarla dicendole che potrebbe piacerle. È irremovibile, non accenna a volerla assaggiare. Dunque da mamma preoccupata per la nutrizione della propria figlia e rispettosa del suo “no” le chiedo cosa vuole. Mi fa capire che vuole i maccheroni.
Le cucino i maccheroni le metto davanti il piatto di pasta fumante, di nuovo dice: “No a voio”.
A questo punto inizio a sgridarla che non si fa così, che la mamma ha preparato due primi, le ha permesso di scegliere, ma lei non ha comunque mangiato. Ero arrabbiata.
Elisa non si scompone dice che tanto non li vuole.
Dunque da mamma in preda a una crisi di nervi, mando Elisa a letto: “Bene! Se non hai fame… per me puoi andare a letto… e ci vediamo domani mattina!”
Elisa non vuole andare, ma sono molto infuriata e la fisso mentre lei inizia ad avviarsi sulla scala per andare in camera. Siamo ancora occhi negli occhi, i miei pieni di rabbia e i suoi fermi e fissi nei miei completamente a suo agio. Sale a metà della scala, si ferma e mentre continua a guardarmi: “Alola!??… Cosa c’è?… Pelché mi gualdi nei miei occhi?… Cosa devi tlovale?… Cosa celchi?… La paula?”.
Completamente colta alla sprovvista da queste domande, rimango furibonda di base, ma assolutamente sbalordita e sorpresa e quasi orgogliosa del cipiglio intuitivo della bambina, che sa pochissime parole ancora.
Al primo anno di nido, durante una attività condivisa con i genitori in un cerchio dove ogni mamma o papà aveva, tra le gambe incrociate, il proprio figlio per cantare insieme una canzoncina per l’occasione, Elisa è voluta rimanere in braccio alla maestra, mentre io sedevo nel cerchio di fronte a loro, dove avrei cantato piacevolmente. Era una bella situazione, ma Elisa continuamente mi faceva segno di stare zitta con il dito davanti alla naso. E molto seriamente smetteva di cantare per farmi il gesto e riprendeva a cantare solo se io smettevo. Aveva bisogno di essere lei ad occupare quel suo spazio.
Una situazione significativa accaduta di recente, riguarda l’esperienza di Elisa ad un campo estivo, con pernottamento lontano da casa per una settimana, e la voglia di nuove esperienze ma anche la difficoltà quindi a lasciare i visi e i luoghi conosciuti e rassicuranti per una situazione completamente nuova.
Nell’estate del 2015 Elisa ha nove anni, e insieme a tre compagni della sua classe decide di partecipare a questo campo, ma, dopo la prima notte, soffre molto la lontananza da casa: dorme poco, male con grande disagio. Al primo appuntamento telefonico, descrive appena le belle attività delle due giornate trascorse e poi scoppia in un pianto straziante, consolabile solo con la promessa di andare a prenderla prima della notte. Assolutamente vuole dormire a casa.
Mi confronto con l’educatrice che conferma la serenità di Elisa durante il giorno, la difficoltà ad addormentarsi, e aggiunge che rimanendole vicina con qualche coccola, si era addormentata velocemente.
Un ultimo tentativo di invitare Elisa a riprovare un’altra notte, le fa ripartire l’angoscia.
Decidiamo quindi di andarla a recuperare. Fine dell’esperienza campo estivo 2015.
Anno 2016: due dei compagni che hanno concluso il campo l’estate 2015, invitano alcuni compagni di classe, tra cui Elisa, a riguardare le foto fatte l’anno precedente. Elisa presa dall’entusiasmo del gruppo, decide che vuole riprovare.
Nonostante la mia felicità per il suo desiderio di ritornare al campo, riparliamo del suo ritiro a causa del suo grande disagio dell’anno precedente, ma Elisa ritiene che quest’anno è più grande, ci sono due bambini in più con i quali si sente molto in sintonia e crede che quest’anno può funzionare.
Come l’anno precedente prepara lei, con attenzione e cura, tutto l’occorrente per la vacanza.
La sera prima della partenza, giocando “al giornalista che intervista l’avventuriera”, improvvisando un microfono con una spazzola per capelli:
“Allora… Elisa… racconta… come ti senti la sera prima della partenza?”
Risponde: “Ma… sai mamma in questi giorni ci penso, e… durante il giorno sono tutta contenta e carica, non vedo l’ora… ma… ecco… alla sera… quando arriva la notte e penso di dormire là… lontano da casa… mhhh… ecco… non sono proprio così sicura,… mi viene un po’ d’ansia…”.
Rispondo: “Be’! Hai avuto il coraggio di riprovarci, è già tanto… vediamo come va, poi… se proprio non ce la fai… Mal che vada ti veniamo a prendere.”
A posteriori quest’ultima frase credo abbia contribuito a diminuire la sua intenzione a resistere fino alla fine della settimana.
Anche quest’anno dopo la prima notte, al primo appuntamento telefonico mi ha chiesto di andarla a prendere, perché non aveva dormito e non se la sentiva di rimanere e passare altre notti via da casa.
Tra l’altro mi parlava al telefono completamente afona, avendo perso la voce durante le attività per farsi sentire dai compagni. Faticavo a distinguere con chiarezza cosa dicesse, contribuendo ad alimentare il mio disagio nel sentirla in quello stato.
“Elisa è molto tardi… ci vogliono due ore prima di essere casa, domani io e babbo lavoriamo… resisti ancora… domani ci risentiamo… vediamo come è andata…”
Comunque la seconda notte riesce a resistere: una festa davanti al fuoco per il compleanno di un amico, la vicinanza dell’educatrice (sempre la stessa dell’anno precedente), il fatto che è già notte fonda e tutto questo riesce a farla rimanere un’altra notte.
Terzo giorno di campo: al telefono di nuovo chiede di ritornare a casa, lamentando che rimane sveglia tutta la notte, che il giorno è stanca e in più i suoi amici iniziano ad escluderla.
Ancora mi confronto con la paziente e attenta educatrice, che questa volta non conferma le parole di Elisa: Elisa si era addormentata vicina a lei, e sta bene con gli amici che in realtà la cercano. Sottolinea anche la grande unità e solidarietà tra i compagni del gruppo di cui fa parte Elisa.
Ricordo ad Elisa della sua scelta di riprovare a frequentare il campo estivo, del suo essere più grande, che può riuscirci, e che sarà contenta di ritornare a casa assieme ai suoi amici l’ultimo giorno, fare i bagagli assieme ricordando le varie avventure.
Si arrabbia, non è per niente convinta e insiste nel voler tornare a casa: “Mi avevi detto che sarei potuta tornare a casa se non ce la facevo!”
“Elisa tu hai scelto di riprovare, ora decido io anche per te, ti vengo a prendere sabato, l’ultimo giorno… Sai cosa credo?… Che se ti vengo a prendere prima della conclusione, la prossima volta che chiederai qualcosa, potrai cambiare idea senza preoccuparti di concludere, che possa servire per una prossima volta… a pensarci meglio… per fare scelte migliori”.
Con tono stizzito: “Bene! non mi iscriverò mai più!”
Mentre siamo ancora al telefono, un bambino le viene a chiedere di ritornare alla grigliata serale.
Quindi: “Elisa mi sembra che i bambini ti vogliono con loro. Può capitare qualche incomprensione anche tra amici, quando si sta così tanto tempo insieme può accadere… poi si trova l’aggiustamento… come a casa con i tuoi fratelli e con me e babbo”. Un po’ seccata ma rassicurata Elisa rimane anche per la terza notte.
Quarto giorno: di nuovo Elisa chiede di ritornare a casa lamentando più o meno le stesse problematiche, arrabbiandosi anche per il fatto che continuo a farla rimanere nonostante le avessi detto che sarei tornata a prenderla, se proprio non ce la faceva… secondo lei stava soffrendo molto per dormire poco e male. È stata dura per me.
Questa volta però, ad ascoltare Elisa c’è l’educatrice, solidale con me per aiutare la bambina a rimanere nella sua scelta di frequentare l’intera settimana e per aiutarla a portarsi a casa una vittoria e non un’altra sconfitta come l’anno precedente.
Sento che le dice: “Elisa, ieri sera ti sei addormentata subito quando sono arrivata e stamattina ti sei svegliata per il rumore dei tuoi amici che si svegliavano, come mai racconti un’altra cosa alla mamma?”.
Rinfrancata nel sentire l’educatrice, ribadisco che questa volta la torno a prendere solo all’ultimo giorno perché sono sicura che alla fine ne sarà felice. Ci salutiamo con l’appuntamento a sabato mattina.
Elisa non ha più avuto bisogno di sentirmi al telefono e ci incontriamo direttamente tranquille il sabato. I bambini vengono incontro a piccoli gruppi. Elisa è fuori nel cortile che mi aspetta, ci salutiamo e ci abbracciamo.
L’educatrice mi ha raccontato che Elisa dopo aver chiuso la telefonata con me si lamentava di quanto fossi cattiva con lei, ma la sua risposta fu: “No Elisa… tua mamma ti vuole bene… sta tenendo duro per te.”