APPENDICE

Il metodo di Eduard Estivill è inefficace e potenzialmente nocivo

di Annamaria Moschetti e Maria Luisa Tortorella

Una confidenza spensierata nella sicura accessibilità e nel supporto delle figure di attaccamento sono le basi sulle quali sono costruite personalità stabili e fiduciose di sé
J. Bowlby

Nel suo libro Fate la nanna il dottor Estivill propone un “metodo semplice per risolvere per sempre l’insonnia del bambino. Questo metodo consiste sia nell’educare il bambino sin dai primi giorni di vita a regolare da solo i suoi stati di coscienza (in particolare il passaggio dalla veglia al sonno), senza quindi la presenza della madre, sia nel rieducare il bambino che abbia già sviluppato problemi di sonno. La sua proposta nasce dalla convinzione che i disturbi del sonno derivino dalla cattiva abitudine del bambino a usare l’adulto per addormentarsi e quindi alla conseguente successiva incapacità di farlo da solo.


L’autore propone pertanto che l’adulto si “distanzi” precocemente dal lattante lasciandolo solo durante l’addormentamento, sia fisicamente, ponendolo da subito in una stanza separata ad addormentarsi, sia psicologicamente: infatti l’adulto deve resistere al richiamo del bambino che si esprime col pianto. Si parla di “resistere” perché la risposta al pianto del neonato da parte della madre è tanto irresistibile per lei, quanto lo è per il bambino richiamare sua madre.


Anche per i bambini da “rieducare” al sonno l’autore propone di adottare (leggendo le istruzioni del suo libro) la stessa tecnica, chiamata scientificamente “estinzione graduale”, che consiste nell’ignorare il pianto del bambino per tempi rigidamente stabiliti e sempre più lunghi.


La prima osservazione che deve essere fatta è che diversi e autorevoli studi scientifici dimostrano che la sindrome della morte improvvisa del lattante (che chiameremo SIDS – abbreviazione dell’inglese “Sudden Infant Death Sindrome” – conosciuta anche come “morte in culla”) è più frequente nei bambini messi a dormire da soli in camera separata dai genitori. Tale evento tragico si manifesta soprattutto nei primi 6-8 mesi di vita. Pertanto è fondamentale che i lattanti dormano in camera con i genitori almeno in questo periodo: tale raccomandazione è stata espressamente formulata dall’Accademia Americana di Pediatria proprio per la prevenzione della SIDS. Dunque il metodo educativo di Estivill è assolutamente sconsigliato nei primi 8 mesi di vita per il rischio di morte improvvisa in culla.


È stato dimostrato che il sonno del bambino che dorme con la mamma è più superficiale rispetto a quando dorme da solo, e ciò è vero anche per sua madre. Le fasi di superficializzazione – e a volte i risvegli durante la notte – avvengono spesso in contemporanea nella madre e nel bambino (l’esperienza di avere un sonno più leggero dopo la nascita del bambino è infatti nota a tutte le madri). Questo fenomeno diminuisce quando i due sono posti a dormire distanti in camere separate. Ma qual è il significato di questa sincronia? Il sonno superficiale rende il lattante più capace di reagire ad eventuali fenomeni avversi (come può essere un rigurgito, l’ostruzione nasale, la coperta che accidentalmente gli copre il viso, ecc.) e dall’altra la madre più pronta al soccorso del suo piccolo, che in qualche modo continuerebbe a “controllare” anche mentre dorme.

Pertanto, contrariamente a quanto afferma Estivill, un sonno pesante, profondo, ininterrotto non è il sonno migliore per i bambini nelle prime epoche della vita. A conferma di ciò è stato dimostrato che fra i bambini morti “in culla” molti più del normale avevano un sonno profondo, pochi risvegli notturni e pochi movimenti durante il sonno1. Un sonno lungo e profondo non è dunque nemmeno l’ideale per la neomamma, che spontaneamente tende a svegliarsi spesso proprio per una certa “ansia” di verificare che il neonato stia bene. In questo senso le affermazioni dell’autore sono assolutamente prive di fondamento scientifico: il piccolo “deve” svegliarsi spesso (ovviamente la frequenza dei risvegli è diversa da bambino a bambino) e questo è perfettamente normale fino al 3°-5° anno di vita.


La necessità della vicinanza fisica tra madre e bambino è ben dimostrata nel periodo neonatale. Infatti diversi studi hanno appurato che il contatto con il corpo della madre (pelle a pelle) e la sua vicinanza favoriscono nel neonato lo sviluppo di vari sistemi di regolazione (per es. della temperatura corporea, della glicemia, delle difese immunitarie, della produzione di ormoni e del comportamento), regolazione che è resa più difficile dalla separazione. La lontananza dalla madre e l’esposizione a un ambiente sensoriale inadeguato (come avviene per esempio nei nidi degli ospedali) aumentano nel neonato le “reazioni neuroendocrine da stress” (con la tendenza all’ipoglicemia, all’acidosi metabolica, al pianto prolungato e al dispendio energetico). Una situazione di stress nel periodo neonatale può avere esiti negativi a distanza.

La vicinanza con la madre consente a lei di funzionare come “sintonizzatore psicobiologico” e cioè, anche dopo la nascita, di continuare a regolare, attraverso la relazione e la vicinanza, lo sviluppo delle funzioni psichiche e biologiche del bambino, che nasce ancora molto immaturo. La sintonizzazione psicobiologica è una funzione attraverso la quale tutti gli esseri umani si inter-regolano, ossia regolano reciprocamente le proprie funzioni biologiche, ed è favorita dalla vicinanza fisica. Tale funzione ha un’importanza maggiore nelle prime epoche della vita e per tutta l’infanzia.


Il bambino è predisposto dalla natura a ricercare la vicinanza fisica della mamma (o dell’adulto che lo accudisce), che lo aiuta a regolare le sue funzioni. Lo fa nel tempo in maniera sempre più attiva: infatti tra l’8° mese e il 3° anno di vita sviluppa la cosiddetta “ansia da separazione” (descritta e studiata da J. Bowlby). In questo periodo situazioni allarmanti come la presenza di un estraneo, il buio o la stessa semplice separazione lo spaventano e il bambino tende a recuperare la vicinanza con la madre avvicinandosi (a volte letteralmente aggrappandosi) a lei e/o piangendo per richiamarla se ne è lontano, e questo perché è orientato dall’istinto naturale a cercare la vicinanza con la madre che lo protegge e lo “regola”.

La separazione forzata da lei, soprattutto in questo periodo, può produrre effetti devastanti nella mente del bambino. Neppure le separazioni limitate al periodo della sola notte sono esenti da rischi. È vero il contrario, come fu ben dimostrato in uno studio effettuato sui bambini israeliani di alcuni kibbutz, che venivano posti a dormire di notte tutti insieme nella cosiddetta “casa dei bambini”, sotto il controllo di personale estraneo alla famiglia. Questi bambini, per una scelta della comunità, di giorno trascorrevano normalmente il tempo con la famiglia, ma di notte dormivano tutti insieme in un luogo separato. Si notò che i piccoli in questione, in maggior numero rispetto agli altri che dormivano con i genitori, sviluppavano “attaccamenti insicuri”2. Separare i bambini dalla madre nel periodo dell’ansia da separazione, soprattutto in una situazione vissuta come minacciosa qual è il buio, e senza nessuna possibilità di richiamarla e ottenerne la vicinanza, può essere mentalmente pericoloso. Il fatto che i bambini dopo un po’ di tempo si “abituino”, ossia smettano di chiamare, non è indicatore di un buon adattamento e dell’instaurarsi di un’efficace autoregolazione, quanto il segno che il bambino si è rassegnato. Questa “rassegnazione” è però intrisa di sofferenza e costituisce una deviazione dal percorso normale stabilito dalla natura.


L’esempio dei bambini israeliani ricalca quello che Estivill propone per i singoli bambini, e cioè che vengano posti a dormire al buio, in camera separata dalla madre e scoraggiati nel tempo e con tecniche appropriate dall’aspettarsi risposte al loro richiamo notturno, volto a ottenere la ricongiunzione e la vicinanza fisica.


L’ipotesi prospettata dal suddetto autore circa la necessità che il piccolo si abitui presto a dormire da solo e che la funzione della madre di regolare gli stati di coscienza del figlio sia errata e fonte di “vizi”, non trova alcun riscontro nella letteratura scientifica. Anzi, tutti gli studi sull’argomento dimostrano il contrario.


Durante il periodo dell’ansia da separazione (8 mesi-3 anni) la risposta “sensibile” della madre al pianto del bambino gli consente di sperimentare che può fidarsi di lei, e questo è alla base dello sviluppo del senso di sicurezza interiore. Inoltre il passare con rapidità e facilità dal pianto e dall’agitazione alla quiete, grazie all’aiuto della madre, diviene nel tempo una capacità propria del bambino, che diventa a mano a mano più capace di calmarsi e di addormentarsi da solo. Il bambino diventa indipendente solo dopo aver sperimentato un periodo di efficace dipendenza. La responsabilità della regolazione passa nel tempo dalla madre alla coppia madre-bambino, quindi al bambino.


Anche se molto nell’esito di queste vicende maturative dipende dal temperamento e dalla storia personale della madre (o di chi si occupa in modo primario del bambino) è vero che fattori culturali possono interferire in questo processo. L’indicazione di Estivill a ignorare il bambino e i suoi richiami, se applicata con decisione e perseveranza, può interferire in senso decisamente peggiorativo con la normale e fisiologica interazione madre-bambino.


Ogni madre può e deve soccorrere il figlio, accorrendo al suo richiamo, come sente spontaneamente di dover fare.


L’autore suggerisce, per la rieducazione al sonno, l’uso di tecniche di “estinzione graduale” e dichiara che queste, nella sua esperienza, hanno avuto successo nel 96% dei casi. Non sono però reperibili nella letteratura scientifica lavori a nome dell’autore che presentino questi dati, per cui queste dichiarazioni non possono essere prese in alcuna considerazione.


Al contrario, gli studi effettuati con rigore scientifico e resi pubblici dimostrano che tale tecnica registra, laddove proposta ai genitori di piccoli con disturbi del sonno, un’elevata percentuale di abbandono: i genitori non accettano infatti di praticarla quando viene loro proposta, oppure interrompono il trattamento perché trovano inaccettabile e insopportabile far piangere i loro figli.


Allorquando il trattamento sia stato portato a compimento, il metodo risulta inefficace a lungo termine: i piccoli pazienti, infatti, nella maggior parte dei casi presentano ricadute e tornano a distanza di tempo ad avere disturbi del sonno.

Per quanto riguarda le abitudini al sonno, la nostra tradizione di cullare, cantare la ninna nanna, accogliere nel nostro letto il bambino quando lo richiede non è da abbandonarsi e deve essere interpretata senza rigidità, secondo la sensibilità, i bisogni, le convinzioni di ogni singola coppia di genitori: fare il genitore è naturale e viene naturale ad ognuno, non c’è bisogno di istruttori. Dormire insieme al bambino può risolvere, nel periodo dell’ansia da separazione, molte insonnie vere o presunte. Tale pratica, diffusa presso tutti i popoli del mondo e presente nella tradizione anche del nostro, non è nociva in alcun modo3, né in alcun modo diseducativa. Prima o poi i bambini imparano a dormire da soli.


Nella maggior parte dei casi i “disturbi del sonno” che si verificano durante il periodo dell’ansia da separazione sono limitati nel tempo: quasi tutti i bambini riprendono a dormire tranquillamente entro il 3°-5° anno.


I gravi disturbi del sonno, che sono fortunatamente molto rari, non devono essere affrontati da soli e meno che mai con il solo aiuto di un libricino divulgativo, ma possibilmente rivolgendosi al pediatra di famiglia che potrà avvalersi di un consulente psicologo o neuropsichiatra infantile.


Del libricino di Estivill possiamo salvare con piacere una sola cosa: la foto di copertina che (ironia della sorte o segno del destino!) rappresenta un bimbo che dorme tranquillamente abbracciato al corpo del suo papà!

Annamaria Moschetti e Maria Luisa Tortorella

(Pediatre dell’Associazione Culturale Pediatri)

Facciamo la nanna - Seconda edizione
Facciamo la nanna - Seconda edizione
Grazia Honegger Fresco
Quel che conviene sapere sui metodi per far dormire il vostro bambino.Consigli, idee e suggerimenti per affrontare i problemi di sonno dei neonati, con un approccio dolce e rispettoso del bambino. Siamo sicuri che il bambino debba dormire quando lo decidiamo noi?Siamo certi che il suo pianto notturno sia un lamento?Dorme troppo? Dorme poco?A volte vorremmo la bacchetta magica per farlo addormentare?Ancora peggio, c’è chi ricorre a medicinali.Siamo fuori strada!Grazia Honegger Fresco, nel suo Facciamo la nanna, chiarisce le motivazioni che dovrebbero spingere a rigettare tutti i metodi “facili e veloci” per far dormire i bambini piccoli (come quello tristemente famoso di Eduard Estivill, noto agli specialisti per la violenza dell’impostazione e la potenziale dannosità nei confronti del bambino) e delinea al contrario quali siano gli approcci più dolci e rispettosi per affrontare i problemi del sonno. Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.