capitolo v

Il ruolo dei batteri
nell'addestrare il sistema
immunitario del neonato

Cos’è il sistema immunitario?

Siamo sotto attacco da parte di invasori stranieri più o meno ogni secondo della nostra vita, ma la cosa straordinaria è che neppure ce ne accorgiamo – almeno finché non ci ammaliamo. Questo costante fuoco di fila è sbaragliato da un esercito instancabile, conosciuto con il nome di sistema immunitario.


Il sistema immunitario è una complessa organizzazione di organi, tessuti e cellule, ciascuno dei quali ha funzioni diverse da espletare per proteggere l’intero organismo umano, il “sé”. Il ruolo di questo sistema complesso non è soltanto quello di sconfiggere infezioni e malattie, ma anche di assicurarsi che i nostri organi e tessuti si trovino in una salutare condizione di equilibrio, altrimenti nota come omeostasi.


Mentre un sistema immunitario che funzioni in modo appropriato manterrà il corpo in buona salute, uno malfunzionante potrebbe essere addirittura causa di malattia. È pertanto essenziale che questo sistema difensivo sia organizzato e approntato in modo corretto sin dall’inizio.


Alla nascita il bambino entra in contatto con un mondo brulicante di potenziali batteri, virus, funghi e parassiti pericolosi. Il suo sistema immunitario, però, non è ancora sviluppato appieno ed è incapace di riconoscere quali di questi microbi siano dannosi per il “sé”. È della massima importanza che gli venga data l’opportunità di imparare il più presto possibile la differenza fra i microbi benefici e quelli dannosi.


Recenti studi scientifici hanno scoperto che una gran parte di questo processo inizia durante il travaglio e il parto, e che i batteri svolgono un ruolo cruciale per il suo successo.

Come funziona il sistema immunitario?

Un modo per rappresentare il sistema immunitario è quello di pensarlo come una città fortificata circondata da spesse mura e protetta al suo interno da una difesa letale. Le mura rappresentano la pelle e le membrane mucose che rivestono i tratti gastrointestinali e respiratori, e sono anche note come barriere epiteliali. Rappresentano la prima linea difensiva, e di prassi fanno un ottimo lavoro quotidiano di respingimento degli invasori. La pelle e le mucose sono così fittamente impregnate di microbi “amici” che per i patogeni, ossia i microbi nocivi, è assai arduo trovare un posto per stabilirsi e fare presa. Appena il sistema immunitario si accorge che un patogeno è arrivato, le cellule epiteliali secernono sostanze chimiche antimicrobiche che inibiscono la crescita dell’intruso. Se il patogeno riesce ad entrare nel tratto gastrointestinale, gli acidi dello stomaco e gli enzimi digestivi quasi certamente lo uccideranno.


Se un patogeno dovesse riuscire a penetrare le barriere epiteliali, incorrerebbe nell’ira della seconda linea difensiva: soldati a risposta rapida che pattugliano i confini e sono noti come fagociti (fra cui i macrofagi). Questi circonderebbero e assorbirebbero le cellule degli invasori prima di secernere degli enzimi digestivi che, se tutto va bene, finiranno per mangiare il patogeno stesso.


Un segno che la risposta immunitaria sta avendo luogo è l’infiammazione, che è l’espansione di piccoli vasi sanguigni nel tessuto infettato. Di solito la percepiamo come un rigonfiamento morbido nel sito infetto. Il gonfiore significa che i nostri vasi sanguigni stanno diventando “permeabili” per consentire alle altre cellule immunitarie di correre nell’area dell’infezione e unirsi alla battaglia.


Se i fagociti falliscono nell’eliminare l’invasore, questo verrà comunque trattenuto finché non giungeranno i rinforzi sotto forma di cellule dendritiche. Il lavoro di queste cellule è di scortare l’invasore fino ai linfonodi, che sono la dimora di globuli bianchi specializzati noti come linfociti, o cellule B e T. I linfociti inizieranno dunque a studiare il patogeno e a fabbricare gli anticorpi necessari per immobilizzare quello specifico invasore.


Se un patogeno particolarmente ostinato continua a sopravvivere, i linfociti T, anche noti come cellule citotossiche, si uniranno alla battaglia, spesso con l’aiuto di macrofagi e cellule dendritiche. L’attacco combinato di solito è sufficiente ad assicurare l’annichilimento del patogeno.


Il processo è ininterrotto, complesso, e ha un che di straordinario!

Risposte immunitarie innate e acquisite

Quello che abbiamo appena descritto è una combinazione di risposte immunitarie innate e acquisite (anche note come adattative). I fagociti innati (macrofagi e cellule dendritiche) sono i soldati semplici di frontiera. Muovono battaglia con rapidità e fanno sempre la stessa cosa quando affrontano il nemico, ma non hanno la capacità di imparare dalla propria esperienza.


I linfociti B e T, d’altro canto, imparano delle lezioni dall’invasione di un patogeno. Utilizzano la loro conoscenza “acquisita” per ricordarsi cosa fare se mai quel patogeno dovesse tornare in futuro.


Le risposte innate e acquisite sono entrambe elementi molto efficaci del sistema immunitario, tuttavia hanno anche degli inconvenienti. L’efficacia di una risposta innata è dovuta alla sua azione immediata, ma i fagociti attaccano sempre senza discriminare e questo può avere come conseguenza dei danni collaterali – danni a carico delle cellule sane circostanti. Una risposta immunitaria acquisita è efficace perché i linfociti possono produrre l’anticorpo specifico che neutralizzi quella minaccia particolare. Tuttavia, possono volerci anche una o due settimane prima che vengano clonati tutti gli anticorpi necessari. Stiamo male o siamo febbricitanti quando una risposta immunitaria acquisita sta cucinando con metodicità la minestra cellulare utile a contrastare un’infezione.


Se avessimo solo un’immunità innata, la risposta pesante potrebbe causare troppi danni collaterali, ma se avessimo solo l’immunità acquisita, il ritardo nella risposta potrebbe aprire a un patogeno opportunista particolarmente odioso quella finestra temporale necessaria a scatenare un’infezione che diventerebbe troppo potente da poter distruggere.


La chiave del successo di questa forza difensiva combinata è l’abilità comunicativa fra le varie unità, che lavorano insieme per determinare la risposta appropriata a ciascun invasore.


In alcuni casi solo un tipo di difensore si mobiliterà per respingere un attacco, ma in altri potrebbe volerci una coalizione fra tutte le unità.

Come fanno le cellule immunitarie a identificare un intruso?

Tutte le cellule hanno delle molecole proteiche sulla superficie, note come antigeni. Queste agiscono come cartellini identificativi del materiale genetico, o DNA, contenuto nella cellula, che sia umana, batterica o di qualsiasi altro tipo. Gli antigeni permettono al sistema immunitario di riconoscere le cellule che appartengono al “sé”. È come se dicessero: “Questo sono io e ho il permesso di stare qui, lasciami tranquillo”. Permettono anche al sistema immunitario di riconoscere cosa non è parte del sé, ciò che è estraneo dal sé e potenzialmente pericoloso. E proprio quando questi antigeni stranieri si palesano, i soldati del sistema immunitario vengono spediti in battaglia.


Alcune cellule T-helper aiutano le cellule B a fabbricare anticorpi, che sono proteine a forma di Y che si fissano agli antigeni stranieri immobilizzandoli, finché non vengono distrutti da altre cellule immunitarie come i fagociti. Le cellule T-helper orchestrano anche l’intera strategia di attacco. Altre cellule T (cellule T citotossiche) potrebbero uccidere un invasore direttamente.


Queste sono le principali unità combattive del sistema immunitario, ma ce ne sono molte, molte di più, e ciascuna con il proprio ruolo da giocare; troppe perché si possa menzionarle qui.

Quando si sviluppa il sistema immunitario?

Questo esercito immunitario non è completo alla nascita; si sviluppa e matura perlopiù strada facendo, fino all’adolescenza. I linfociti B e T continuano a imparare per tutta la vita, “acquisendo” e conservando le informazioni su ciascun patogeno invasore, pronti a respingere ogni futura nuova eventuale ricomparsa dello stesso.


Questa educazione acquisita è essenziale perché l’esercito possa agire al massimo del suo potenziale nel corso di tutta la vita, ma qualsiasi perturbazione nel processo di apprendimento può avere come risultato una confusione degli elementi difensivi. Quando questo accade, gli strumenti di difesa possono persino rivolgere il proprio potere distruttivo contro il sé, ossia il proprio organismo, attaccando cellule sane, tessuti e organi, in quella che sarà una malattia autoimmune e infiammatoria.


Di particolare rilevanza per la nostra discussione sulla nascita è il fatto che recenti studi scientifici abbiano scoperto che forse uno dei più importanti elementi per l’addestramento del sistema immunitario abbia inizio, come ben descritto dal dottor Dietert, “Nella stretta finestra temporale che circonda la nascita”. Il che implica un’interazione fra i microbi materni (provenienti dalla vagina, dalla materia fecale e dal latte) e le cellule immunitarie immature del bambino.

Perché il sistema immunitario del bambino non è completo alla nascita?

Poiché una delle maggiori responsabilità del sistema immunitario è quella di scovare e distruggere gli intrusi estranei al sé (identificati attraverso il DNA), ci potremmo chiedere come mai un feto “estraneo” riesca a crescere dentro un corpo umano. Le cellule di un feto contengono DNA che proviene sia dalla madre sia dal padre, il che significa che gli antigeni sulle cellule del bambino lo identificheranno almeno in parte come estraneo. Di norma questo dovrebbe bastare perché il sistema immunitario materno scateni un attacco e rigetti il feto.


Per fortuna esistono alcuni meccanismi intelligenti che ingannano il sistema immunitario materno o lo informano che il feto deve essere tollerato. Alle cellule T materne, che di solito attaccano le cellule estranee, viene impedito di prendere di mira il feto “armeggiando” un po’ con il DNA.

I geni, che di solito mobiliterebbero i linfociti T materni all’attacco, sono disattivati all’interno della decidua (la struttura che circonda il feto e la placenta). Questo fa in modo che ai linfociti T venga negato l’accesso al feto1.

Oltre a ciò, durante la gravidanza alcuni linfociti T-helper, chiamati cellule TH1, vengono soppressi come ulteriore forma di sicurezza contro il rigetto fetale. Le cellule TH1 del feto non si sviluppano fin dopo la nascita, il che vuol dire che il bambino manca di una parte vitale del proprio sistema immunitario.


Per quanto la cosa possa sembrare in certo qual modo pericolosa, in realtà è molto importante che il sistema immunitario del bambino sia soppresso nelle prime settimane di vita dopo la nascita.

Perché nelle prime settimane di vita il sistema immunitario del neonato deve essere soppresso?

Quando il feto si trova nell’utero il suo sistema immunitario è perlopiù innato. La sua forza difensiva chiave è costituita dai “soldati semplici” (fagociti) che attaccano tutte le cellule estranee che incontrano. Durante la nascita, il bambino entra in contatto con milioni di microbi nel canale del parto, microbi che sono di importanza vitale per il suo sviluppo e la sua salute futura. Se i fagociti li considerano alla stregua di cellule estranee, perché il sistema immunitario del neonato non li distrugge?

Perché il neonato non lancia un attacco immunitario contro i microbi vaginali?

I batteri vaginali materni, come i lattobacilli, e i batteri intestinali sempre della madre, come i bifidobatteri, hanno bisogno che venga loro garantito un passaggio sicuro attraverso il tratto gastrointestinale del bambino, per poter colonizzare il suo intestino. E dunque, come riescono a non essere fermati dai “soldati semplici”? Deve accadere qualcosa che neutralizzi queste macchine da guerra, e infatti accade.


Durante l’ultimo periodo di gestazione, il feto in via di sviluppo produce cellule immunosoppressive dette cellule eritroidi CD71+. Queste tengono a bada il sistema immunitario del bambino durante e dopo la nascita, permettendo ai batteri benefici di stabilirsi nell’intestino.


Sappiamo che i bambini nati prematuri soffrono spesso di infiammazione intestinale, indice del fatto che sta avendo luogo un attacco immunitario. Questo potrebbe suggerire che la nascita pretermine abbia significato che il sistema immunitario del bambino non aveva ancora predisposto un numero adeguato di cellule CD71+, così che, quando i microbi materni arrivano nell’intestino del neonato, le cellule killer del sistema immunitario innato lanciano un attacco perfetto anziché tollerarli. Questo può indurre una patologia molto grave detta enterocolite necrotizzante, che distrugge i tessuti intestinali e può essere fatale2.


Verso la terza settimana di vita, il numero delle cellule CD71+ è andato scemando, permettendo al sistema immunitario del bambino di avere effetto. E anche qui, i batteri giocano un ruolo cruciale.

In che modo al sistema immunitario viene impartita la sua prima lezione durante il travaglio e il parto?

Come già detto, le truppe non specializzate del sistema immunitario innato non sono in grado di apprendere. È una funzione del sistema immunitario acquisito quella di imparare cosa attaccare e come. La primissima lezione impartita alle cellule proviene dai batteri vaginali materni e poi da quelli contenuti nel latte. Queste specie di batteri (inclusi il Lactobacillus, il Bifidobacterium e il Bacteroides) inviano segnali che interagiscono con le cellule del sistema immunitario del neonato per dare avvio al processo di addestramento.


Come spiega Rodney Dietert, professore di immunotossicologia alla Cornell University,

I microbi, soprattutto quelli intestinali, aiutano la maturazione del sistema immunitario e lo fanno utilizzando una varietà di sostanze chimiche diverse. Alcune sono in soluzione, altre si trovano sulla superficie delle cellule e sui microbi stessi, ma sono tutte importanti per far sì che il sistema immunitario maturi e capisca cosa è sicuro per l’organismo e cosa no.

Questo processo si chiama tolleranza immunitaria e determina quali microbi dovrebbero essere tollerati dal corpo umano e quali aggrediti. Per tornare alla nostra analogia con la guerra, alle sentinelle di guardia sulle mura viene insegnato a distinguere fra amici e nemici.


Come già visto nel terzo capitolo, l’allattamento fornisce altre specie batteriche, nonché gli zuccheri complessi per nutrirle, ma offre anche quegli anticorpi che aiutano a proteggere il bambino quando il suo sistema immunitario è ancora soppresso per poter permettere a tutti quei microbi materni di lavorare nell’intestino.


Gli anticorpi contenuti nel latte aiutano a proteggere il rivestimento delle mucose intestinali, respiratorie e polmonari del neonato, così come lo difendono da virus e batteri patogeni. Ma questi anticorpi sono solo un dono temporaneo – non dureranno per sempre, e alla fine l’apparato digerente del bambino li scinderà e verranno espulsi dal corpo.

In che modo il cesareo influenza l’educazione del sistema immunitario?

Se un bambino nasce con il cesareo d’elezione, il suo primo incontro con il mondo microbico non sarà con i batteri vaginali o intestinali materni. Sarà invece con i batteri aerei della sala operatoria, e con quei batteri, come gli streptococchi e gli stafilococchi, che provengono dalla pelle del personale medico e dei genitori.


Saranno pertanto queste diverse specie batteriche a provvedere all’educazione iniziale del sistema immunitario, il che può determinare conseguenze avverse.


I ricercatori ipotizzano che, senza il naturale inoculo della madre alla nascita, il sistema immunitario del neonato riceva una sorta di cattiva educazione, il che potrebbe portare a un malfunzionamento immunitario in seguito, nel corso della vita.


Negli studi pilota e successivi del progetto canadese CHILD (si veda pag. 163-172), la Kozyrskyj ha scoperto che i bambini nati con cesareo avevano una diversa “impronta” batterica rispetto a quelli nati per via vaginale. In particolare, vi ricorderete che avevano un numero minore di specie batteriche Bacteroides, sia che fossero allattati, sia che fossero alimentati con formula.

A tre o quattro mesi d’età, questi bambini hanno una minore abbondanza della specie Bacteroides rispetto a quelli partoriti per via vaginale. Riteniamo che il genere Bacteroides, che si trova in minor numero nei bambini nati con cesareo, possa essere fra quelli importanti per lo sviluppo della tolleranza immunitaria.

Se il sistema immunitario del neonato non è addestrato in modo corretto nel primissimo periodo della vita, vi è il rischio che in seguito, nel corso del tempo, non risponderà in maniera appropriata.

Secondo Dietert,

Il sistema immunitario risponderà in modo sconsiderato a quegli elementi esterni che non rappresentano un pericolo. Non sarà in grado di decidere cosa è sicuro e cosa non lo è, e perciò commetterà un errore per eccesso, considerando tutto pericoloso. Così facendo, però, produrrà allergie, malattie allergiche, infiammazioni dei tessuti e reazioni autoimmuni, il che porterà a diverse patologie nel corso della vita.

Per quanto si possa in parte ripristinare l’equilibrio del microbioma, il problema, secondo Dietert, è che nel bambino nato con cesareo l’educazione iniziale del sistema immunitario non è avvenuta in modo corretto dall’inizio:

I microbi sono venuti a mancare nel periodo critico in cui doveva essere addestrato, e così il sistema immunitario resterà immaturo e squilibrato nel bambino, e nell’adulto risponderà a caso rischiando di creare patologie a danno dei tessuti.

Comunque, le nuove scoperte della Kozyrskyj sottolineano ancora una volta i benefici a lungo termine dell’allattamento. Nei duecento bambini della ricerca CHILD, l’impoverimento di Bacteroides non era più evidente a distanza di un anno nei bambini che erano stati allattati per almeno tre mesi.

Cosa abbiamo imparato finora?

Abbiamo fin qui discusso dell’importanza di un’inseminazione microbica ottimale del bambino per la prevenzione delle malattie future e, come abbiamo visto, se l’“inseminazione e la coltura microbica” non avvengono in modo ottimale durante e subito dopo la nascita, è molto alto il rischio di future conseguenze sulla salute.


Quello che non abbiamo considerato è l’impatto a lunghissimo termine – che ne sarà dei figli dei nostri figli? Se un bambino nasce con cesareo, vi sono conseguenze per le generazioni che verranno dopo di lui? Persino oltre la generazione successiva, i tassi crescenti di tagli cesarei potrebbero avere conseguenze che si ramificano a danno del futuro dell’intera nostra specie? Vaglieremo queste domande nel prossimo capitolo.


Ecco un sommario dei principali temi affrontati in questo capitolo:

  1. Il sistema immunitario del bambino non è ben sviluppato alla nascita.
  2. Durante la gravidanza, le cellule immunitarie denominate helper, le Th1 helper, vengono soppresse nella madre, per impedire che attacchino e rigettino il feto. Questo significa che agli stessi linfociti Th1 helper del bambino viene impedito lo sviluppo.
  3. Fino a tre settimane dopo la nascita, le cellule CD71+ sopprimono il sistema immunitario del bambino, permettendo ai batteri di colonizzarne il microbioma intestinale.
  4. Con la nascita vaginale, i batteri del microbioma vaginale e intestinale materno arrivano e colonizzano l’intestino del bambino, dando l’avvio alla prosecuzione dello sviluppo immunitario del neonato.
  5. Questi batteri addestrano il sistema immunitario a distinguere ciò che è amico da ciò che è nemico; il che significa che il sistema immunitario viene educato a riconoscere quali microbi siano benefici e vadano tollerati, e quali invece siano nocivi e vadano attaccati.
  6. Durante tutta la gestazione, la nascita e la prima infanzia, è previsto che accadano alcune cose in momenti precisi. Sono eventi che accadono una sola volta; se non avvengono in quella finestra temporale designata per loro (e il taglio cesareo e l’alimentazione in formula hanno la capacità potenziale di far perdere a questi eventi la giusta finestra temporale), il bambino potrebbe sviluppare un malfunzionamento del sistema immunitario.

Effetto microbioma
Effetto microbioma
Toni Harman, Alex Wakeford
Come la nascita influenza la salute futura.Il parto è un momento cruciale per la formazione del microbioma umano: come si forma e qual è la sua importanza per la salute del bambino? Che cos’è il microbioma umano? E perché è così importante? Il trasferimento al figlio dell’insieme dei microorganismi presenti sul e nel corpo della madre al momento della nascita sembra rivestire un ruolo fondamentale nella salute futura del bambino. Si tratta di un evento particolarmente delicato, che purtroppo è messo a rischio dalle moderne pratiche che circondano il parto. Come fare allora per preservare questo fondamentale processo?Effetto microbioma di Toni Harman e Alex Wakeford risponde proprio a questa domanda e spiega qual è la sua importanza per la salute del bambino. Conosci l’autore Toni Harman e Alex Wakeford, coppia professionale e nella vita, sono registi e produttori cinematografici. Il loro film-documentario, Microbirth (2014), è stato insignito del primo premio, il Grand Prix Award, al Life Sciences Film Festival di Praga.