capitolo vi

Sicuri di sé

Voi siete lo specchio in cui vostro figlio vede riflesso il proprio valore

Talvolta, a dispetto della nostra dedizione a far sì che tutti i bisogni dei figli vengano soddisfatti, i bambini non sono sicuri del nostro amore e del proprio valore. Per comprendere l’insicurezza forse si possono considerare quei momenti in cui noi stessi ci sentiamo intimiditi, come quando non osiamo rivolgere la parola a qualcuno, non seguiamo la nostra inclinazione, o quando il tono di voce o la scelta di parole di un altro ci fa dubitare di noi stessi. Qual è la conversazione che si svolge nella nostra testa in quei momenti? Oppure, quando dovete essere giudicati o siete messi in difficoltà, cosa vi dice la mente? Alcune frasi comuni sono: “Non ce la faccio!”, “Sono così stupido!”, “Sembrerò ridicolo!”, “Non le piacerò!”, oppure “Non sono abbastanza bravo!”, insieme ad altre parole e frasi che minano la sicurezza in noi stessi. Potrebbero essere frasi che scaturiscono da conclusioni che abbiamo tratto da bambini in risposta ai nostri genitori, o forse sono parole dei nostri genitori o fratelli, registrate nella nostra mente da anni. Vecchie frasi che tornano alla mente in modo automatico e ci instillano il dubbio.


Se, per esempio, vostro padre ha sempre sottolineato le vostre imperfezioni, è probabile che le frasi che avete coniato riflettano il sentimento di non valere abbastanza. Se vostra madre diceva: “Non riesco a credere che tu abbia fatto questo!”, potreste averlo tradotto con “Non riesco a fare niente per bene!”. Quando queste frasi vi vengono alla mente, si genera in automatico anche un flusso di sentimenti.


Ecco poi, capovolgendole, altre frasi che implicano sempre una bassa stima di sé, ma puntano il dito verso gli altri in atteggiamento difensivo: “C’è qualcosa che non va in lui!”, “È proprio un idiota!”, “Perché non riesce mai a fare una cosa fatta bene?”. Simili espressioni permettono alla mente di alleviare la percezione della propria inadeguatezza, concentrandosi sulle “colpe” degli altri.


Abbiamo creato l’immagine di noi stessi attraverso le parole dei nostri genitori, le loro espressioni facciali e il modo in cui ci hanno trattato. Se ci hanno apprezzati e rispettati sentiamo di valere; se hanno avuto fiducia nelle nostre capacità e nei nostri intenti, ci vediamo capaci e facciamo affidamento su noi stessi; se però ci hanno criticato e controllato potremmo aver dubitato di meritare cure e amore.


I messaggi interiori di un figlio a proposito del proprio valore sono soprattutto il risultato della relazione che ha con i genitori. Se nella nostra testa, nonostante gli sforzi, si affollano antiche voci che fomentano il dubbio su quanto valiamo, quelle stesse voci potrebbero risuonare anche alle orecchie dei nostri figli e suscitare emozioni analoghe.


L’autostima inizia in utero. Desiderare il bambino e rendere noto questo desiderio, istante dopo istante, è alla base della sicurezza. Il neonato presume di meritare le vostre cure e il vostro amore, sembra darlo per scontato, il che è evidente nella sua assertività e nello sgomento e nella rabbia di quando non vi occupate di lui anche solo per un istante. Per mantenere intatta una simile fiducia, basta rispondere ai bisogni del bambino piccolo con gioia e prontezza. La negazione dei suoi bisogni manifesti può trasformarsi nel dubbio del proprio valore, mentre la delizia e la prontezza con cui lo accudite proteggeranno la sua fiducia in se stesso. Quando la decisione di attaccarsi al seno, muoversi, riposare, dormire o giocare è assecondata con gioia eloquente e affetto, egli passerà fiducioso allo stadio successivo. Se vedrà il lampo di eccitazione nei vostri occhi in risposta al suo esistere, e la delizia nel servirlo, la sua conclusione sarà: “Io valgo!”


Quando la sua capacità di essere parte attiva nel mondo si espanderà sempre più, per riuscire a intraprendere i suoi coraggiosi esperimenti avrà bisogno di una dose ancora maggiore della vostra fiducia in lui. Si sentirà allora sicuro e fiducioso non perché riuscirà in qualsiasi cosa, ma perché le sue scelte incontreranno il vostro favore. Siate presenti e unitevi alla sua gioia e ai suoi dolori, imparerà a sentirsi a proprio agio con le molteplici sfaccettature dell’essere vivo. Se sarà a proprio agio, sia con il fallimento sia con il successo, non avrà timore di affermarsi e di provare nuove cose. Anziché lodarlo o usare altri tipi di manipolazione, assecondate con gioia e curiosità la direzione verso cui si protende. Tenete a mente, in ogni caso, che l’autostima non ha una garanzia a vita. Anche se provvediamo a tutti i bisogni emotivi e fisici di un figlio nei suoi primi anni di vita, l’insicurezza potrebbe affacciarsi di tanto in tanto e richiedere la nostra attenzione.

I mattoni costitutivi della fiducia in se stessi

Lo spirito del bambino può appassire anche senza una vera violenza verbale; sono spesso i modi più sottili, quelli che sfuggono al nostro controllo, a svilire la percezione di sé. Quelle che seguono sono linee guida generali per restare concentrati sul la percezione del proprio valore e sulla fiducia in se stesso che ha nostro figlio:

  • Aiutate un figlio solo quando ve lo chiede e solo per ciò che vi chiede. L’aiuto non richiesto potrebbe fargli pensare di essere incapace perché il messaggio sottinteso è: “Non credo che tu ci riesca da solo, hai bisogno del mio aiuto, non sei capace!”

  • Lasciatelo libero di sperimentare per conto proprio anche se sapete che non può farcela (fintanto che non corra pericoli, altrimenti cercate un’alternativa). Garantitegli la possibilità di sbagliare e fallire. Imparerà da queste esperienze personali che è forte e capace nonostante le difficoltà, e che può contare su se stesso. Le persone di successo non sono quelle che non falliscono mai, ma quelle che perseverano nonostante le cadute; anziché aver paura, sono a proprio agio con l’insuccesso e si sentono motivati a proseguire.

  • Sostenete le scelte del bambino senza aspettarvi alcun risultato particolare. Accettatene gli esiti restando neutrali e accogliete con rispetto e attenzione le ricadute emotive. Potete avvalorare la frustrazione, la gioia o il disappunto, ma tenete per voi le vostre personali considerazioni sulle sue azioni, o almeno assicuratevi che non lo influenzino, spingendolo a modificare le proprie convinzioni: “Il mio punto di vista è diverso dal tuo ma sono felice di vedere che prosegui per il tuo cammino.”

  • Esprimete la gratitudine ed evitate di correggere o criticare le azioni di vostro figlio. Se, per esempo, si offre di spazzare il pavimento e poi voi ripassate con la scopa, è improbabile che vi offrirà di nuovo il suo aiuto, inoltre si sentirà incapace e forse persino maldestro. Se ha tagliato l’erba e il padre ha espresso la propria insoddisfazione perché c’è un leggero dislivello, oppure se vengono sottolineati gli errori mentre legge, pur non avendovelo chiesto, la sua autostima e il suo sviluppo ne soffriranno senza dubbio. Il bambino che faccia uno sforzo per aiutare dovrebbe percepire solo gratitudine, non giudizi, e chi sta imparando qualcosa di nuovo ha solo bisogno di fiducia e qualche apprezzamento, non di critiche. Migliorerà le proprie capacità col tempo, ammesso che senta di valere abbastanza e riceva gli strumenti d’apprendimento che chiede (lezioni, libri, attrezzi, riscontri, e così via).

  • Evitate la lode, piuttosto fate da specchio ai sentimenti espressi dal bambino e condividete la sua gioia. Lodare i figli per comportamenti (“Sei tanto d’aiuto, Johnny!”) e conquiste (“Sono così fiero che tu sia arrivato primo nella gara degli Scout!”) fa sì che agiscano per amore degli applausi anziché della cosa in sé. Per conquistare il vostro plauso un figlio farebbe di tutto, diventando dipendente dall’approvazione esterna e dall’accettazione che si fonda sul conseguimento di un risultato. Così, per ironia, lodi e ricompense possono abbassare l’autostima tanto quanto le critiche1.

  • Mettete da parte i vostri progetti su vostro figlio e godetevelo così com’è. Esprimere aspettative come in “Di’ ciao alla zia Judy” può determinare un senso di inadeguatezza, soprattutto se il bambino cerca di conformarsi al vostro desiderio. Persino le conquiste devono rientrare nei programmi del bambino e non nei vostri. Se gli dite: “Sarai un atleta fantastico!”, potrebbe temere di non farcela e abbandonare, oppure dedicarsi all’atletica solo per far piacere a voi; a quel punto avrebbe perso la sua motivazione autentica se non addirittura la sua passione. È meglio perciò evitare i suggerimenti o creare aspettative. La vostra gioia per ciò che lui è, e per il suo punto di vista, è un segno di fiducia che ha molte buone probabilità di preservare la sua naturale motivazione a eccellere. (La relazione fra uno studente e il suo maestro è diversa; il maestro ispira lo studente a raggiungere alti traguardi in un campo che lo studente ha scelto e in cui ha eletto quel maestro a proprio mèntore.)

  • Per quanto possibile, evitate di negare le espressioni e la direzione intrapresa da vostro figlio. Dire di “no” troppo spesso o contraddire le idee del bambino può sciupare la sicurezza che ha in se stesso perché la conclusione potrebbe essere: “Sembra che le mie scelte siano sempre quelle sbagliate, non posso fidarmi di me stesso!”. Pur non potendo avere ciò che desidera, la sua scelta mantiene la propria validità e merita considerazione.

  • Evitate i paragoni con chicchessia. Creano l’impressione della competizione e il timore di uscirne sconfitti, indipendentemente da quale sia la parte giocata nel confronto.

  • Assecondate il peso delle responsabilità sulla base degli interessi e della maturità del bambino. Se fate tutto per lui, selezionando i vestiti da indossare, suggerendo le cose da fare o ricordandogli obblighi e compiti (se non richiesto), minate il suo senso di responsabilità, scoraggiando la capacità di fare affidamento su se stesso. Essere responsabile delle proprie scelte e delle proprie azioni lo aiuterà a sviluppare la fiducia in se stesso.

  • Ascoltatelo e avvalorate le sue espressioni emotive. La sua autostima crescerà sapendo che i suoi sentimenti e il modo in cui li esprime sono apprezzati.

  • Rispettate la conoscenza e la sapienza di vostro figlio. Se vi fa una domanda, non trasformate la risposta in una lezione o in un test. Una richiesta di informazioni che si trasforma in una conferenza o in un esame spesso lascia il bambino umiliato o annoiato, e pertanto meno desideroso di chiedere ancora. Condividerà la sua conoscenza e i suoi interessi più volentieri e più spesso se non salirete in cattedra con piglio indagatore.

  • Trattatelo come un eguale, quale egli è. Eguale non vuol dire identico. Difetta dell’esperienza e merita che i suoi limiti vengano rispettati e apprezzati a un tempo. Entrare nella vita per secondi non rende nessuno meno meritevole o senza diritto al pieno rispetto. Vostro figlio fa sempre del suo meglio, come voi del resto.

  • Il latte versato non può essere interpretato come un invito alla critica, semmai come un invito ad aiutare a pulire. Se vostro figlio commette un errore, restate neutrali oppure offrite il vostro aiuto. Usate la formula S.A.L.V.E. per Separare il vostro monologo interiore dagli accadimenti attuali, focalizzatevi su ciò che è necessario nel presente (potrete investigare in seguito i vostri pensieri). Se il bambino è sconvolto, ascoltatelo, avvalorate, rassicuratelo del vostro amore e apprezzamento. Se fa qualcosa che vi appare stupido o maldestro trattenete le critiche (sarà materiale per una indagine interiore) o riflettete sui suoi sentimenti; potrebbe essere soddisfatto o sentirsi in imbarazzo, arrabbiato o confuso. Se notate che dubita di sé potete avvalorare e raccontare le cose stupide o maldestre che vi è capitato di fare, così saprà che succedono a tutti e fanno parte della natura umana.

  • Dedicategli tempo. Se è troppo piccolo per sopportare l’attesa, interrompete le vostre attività e state con lui con entusiasmo. Se è grande abbastanza per aspettare e non potete stare con lui quando ve lo chiede, ditegli che appena possibile lo raggiungerete. Dopodiché, rispettate la promessa e siate una compagnia attenta e coinvolta. Se avete l’abitudine di dire spesso “Non ho tempo per fare questa cosa con te!” o “Giocheremo più tardi!” il bambino si considererà poco importante.

  • Quando siete con lui, fatevi guidare dalla sua iniziativa e partecipate con rispetto al suo mondo. Potete prendere in mano la situazione se ve lo chiede e assicuratevi che sappia sempre quanto siete felici di stare con lui.

  • Quando vostro figlio vi chiede aiuto, rispondete con la massima prontezza possibile e con spirito gioioso. Se, di norma, vi vede un’espressione di impazienza sul viso o se gli parlate con un tono irritato, potrebbe concludere di essere per voi solo un fastidio.

Questi suggerimenti si applicano in verità a qualsiasi relazione e a qualunque età. Non è molto probabile che ne abbiate bisogno quando si tratta di relazioni che intrattenete con amici e colleghi, poiché di certo li trattate già così. Tuttavia, nella nostra cultura, molti dei modi rispettosi che adottiamo con gli adulti non sembrano valere per i bambini. Se non li ricordate tutti, basterà che vi chiediate: “Come mi comporterei se mio figlio fosse un adulto che rispetto e ammiro?”


Le ansie quali “Ma come farà a imparare?” o “Se ne approfitterà!” vengono dal passato e si proiettano come paure sul futuro. Sono il carburante che manda avanti il nostro sviluppo personale (pensieri da investigare con calma con la formula S.A.L.V.E.) e non hanno niente a che fare con il bambino. Essere presenti nel qui e ora servirà a farvi capire come rispettare e apprezzare vostro figlio, godendo dei momenti trascorsi con lui. Date ascolto a lui, anziché alle voci del vostro passato e alle pressioni di amici e familiari. La gioia che provate insieme a vostro figlio equivarrà al grado della sua autostima.

Fiducia in se stessi: cos’è e cosa non è

Talvolta le persone confondono la fiducia con la socievolezza. I bambini possono avere fiducia in se stessi e mostrare sicurezza pur non essendo estroversi. È cruciale distinguere fra la nostra interpretazione emotiva e la reale autostima del ragazzo o del bambino. Un bambino introverso che preferisca la riservatezza e disdegni la conversazione con gli adulti a proposito della sua età e delle sue conoscenze, non è detto che sia insicuro. Al contrario, magari sta proprio affermando se stesso; non sente il bisogno di soddisfare l’adulto comportandosi in modo avverso a quello che gli suggerisce la sua voce interiore. Gli adulti non approccerebbero mai un altro adulto con simili domande paternalistiche, eppure sembrano sorprendersi quando un bambino è abbastanza sicuro di sé da non concedere interrogatori non autorizzati. In modo analogo, un bambino a cui non piaccia mischiarsi a gruppi di altri bambini ma preferisca un’amicizia intima o due, dà prova di sicurezza quando rifiuta di unirsi a un gruppo. È autentico e non si lascia intimidire dalle aspettative di nessuno.

Ricordo uno dei miei figli, di quattro anni e mezzo, a un raduno di gioco. Molti bambini sono impegnati a giocare con i genitori, lui si siede in un canto a osservare. Mi siedo con lui in attesa di capire se resteremo seduti tutto il tempo o se mi chiederà di tornare a casa.

L’organizzatrice dell’evento sente il bisogno di coinvolgere mio figlio, viene un paio di volte e tenta di sedurlo e convincerlo a giocare. Lui la guarda negli occhi e scuote la testa facendo segno di “no”. È un ragazzo che ha sempre saputo quello che vuole e non si è mai mosso di un millimetro dal suo intento.

All’altro capo dello spettro delle personalità ci sono i bambini la cui fiducia in se stessi si manifesta in modi chiari ed estroversi, come nella capacità di far da guida e nel desiderio di essere al centro dell’attenzione. Tuttavia, non tutti i bambini estroversi sono sicuri di sé. A volte, la caratteristica del farsi notare e dire sempre “Io, Io!”, può nascondere una profonda insicurezza. Infatti, persino il mettersi molto in mostra può essere un modo per nascondere la propria insicurezza o cercare di vivere all’altezza delle aspettative. Pertanto, non andate alla ricerca di caratteristiche convenzionali per capire se vostro figlio è sicuro di sé; piuttosto, chiedetevi se egli si comporti in modo autentico. Se adora essere al centro dell’attenzione o è un leader nato, esuberante e istrionico, allora certi comportamenti sono un’espressione autentica della sua personalità. Se, invece, agisce in risposta alle vostre aspirazioni, potrebbe essere l’insicurezza a guidarlo, anziché la fiducia in se stesso. Magari ha bisogno di essere incoraggiato a seguire le sue passioni e aspirazioni.


Ad esempio Iris, dieci anni, era una bambina insicura, chiassosa e sempre in prima fila:

Iris grida sempre: “Prima io!” all’inizio di ogni attività del gruppo di teatro. Salta sempre in prima fila. Sembra molto felice quando è in prima linea e viene notata, ma se non lo è si dispera subito.

Tornando a casa da una delle lezioni di teatro ha un comportamento aggressivo con la sorella, Andrea, ed è piuttosto irritabile. La madre è confusa: “Becky dice che oggi ti sei divertita tanto a lezione, però da quando sei tornata sembri nervosa.”

“Non mi sono divertita, non mi chiama mai, la odio!”, risponde Iris.

La mamma non dice nulla. Più tardi, si siede al piano con Andrea; Iris si accosta e passando dice: “Ah, quel piccolo genio di Andrea, fa tutto bene lei!”

Quella che sembra sicurezza ed esuberanza è in realtà, in questo caso, insicurezza e disperazione. A casa è gelosa e, in preda all’angoscia, tenta di negare i bubbi su se stessa cercando riconoscimenti ovunque vada.


Ecco altri esempi di comportamenti fiduciosi in bambini piuttosto timidi e tranquilli:

A sei anni Yonatan, mio figlio maggiore, decide di prendere parte a un corso estivo di pittura. Quando vado a riprenderlo vedo che non è in classe; con mia grande sorpresa l’insegnante mi dice che Yonatan disturbava la lezione e che lo ha mandato di sopra in segreteria.

Mentre mi avvio per le scale sento la voce allegra di mio figlio che sta scendendo, in felice conversazione con la segretaria. Quando Yonatan mi vede dice: “Mi sono divertito un sacco mamma, ho giocato in ufficio con Tina!”

“Perché sei andato in segreteria?” gli domando.

“Stavo dipingendo e la maestra mi ha disturbato. Voleva che smettessi di dipingere per ascoltare una storia e ha detto che dopo la storia avremmo fatto un altro dipinto; ma io volevo continuare il primo e così lei mi ha detto di andare nell’ufficio. Non voglio tornare al corso di pittura, a casa posso dipingere senza interruzioni.”

La fiducia in se stessi è il risultato del sentirsi importanti e meritarsi il meglio. Talvolta gli adulti interpretano gli atteggiamenti sicuri dei bambini come maleducazione e perdono l’occasione per onorarne l’assertività. Se riconosciamo il coraggio del bambino nell’affermare la propria volontà, possiamo essere dalla sua parte e assecondare la sua crescente sicurezza. Ecco un altro aneddoto che riguarda Yonatan; illustra la sicurezza che scaturisce dal percepirsi meritevoli:

Yonatan ha otto anni ed è impegnato a giocare fuori con il tubo dell’acqua. Suo padre inizia a preoccuparsi dello spreco d’acqua e lo chiama da dentro: “Per favore chiudi l’acqua, il pozzo può restare a secco!”

Non avendo sentito suo padre, Yonatan continua a giocare e a quel punto il padre si arrabbia, va alla finestra e grida: “Chiudi subito quell’acqua!”

Sbalordito, Yonatan chiude subito il rubinetto e corre in casa; quando si trova davanti il padre ha gli occhi pieni di lacrime e il volto rosso di rabbia.

“Se ti gridassi ‘vai subito a chiudere lo sportello della tua macchina!’ tu come ti sentiresti?”, gli domanda.

“Mi sentirei ferito”, risponde il papà e gli schiede scusa;
Chiariscono l’equivoco e discutono su come prevenire il prodursi di simili ferite in futuro.

Alcuni potrebbero essere scioccati dalle parole di questo bambino a suo padre. Eppure, la sua espressione indica che si sentiva sicuro e fiducioso. Una simile confidenza è il risultato del sentirsi al sicuro. Yonatan aveva riflettuto su questo pensiero: “Come puoi trattarmi così? Merito di essere trattato bene, proprio come te!”. I bambini che si sentono al sicuro sono liberi di esprimere i propri sentimenti e hanno un implicito senso del proprio valore.


Inoltre, la libertà di espressione di Yonatan, unita al rispetto di suo padre, hanno guarito in modo spontaneo il suo risentimento. Se suo padre gli avesse fatto la predica o avesse inibito la sua possibilità di esprimersi, il ragazzo si sarebbe arrabbiato ancora di più, e la conversazione si sarebbe trasformata in uno spiacevole confronto. Come conseguenza, avrebbe potuto intensificare il suo risentimento e la volta seguente, trovandosi in un frangente simile, sarebbe magari ricorso alle bugie o avrebbe represso i propri sentimenti. Dimostrando rispetto ed empatia, suo padre ha offerto a se stesso e al figlio l’opportunità di guarire e perdonare.


Quello che rende possibili simili interazioni familiari è l’assenza di paura del bambino nelle sue relazioni quotidiane. Sa che qualunque suo sentimento o pensiero verrà preso sul serio. Sente di meritare il tempo, le attenzioni e il rispetto che riceve. Yonatan ora è un giovane uomo capace di ascoltare l’esplosione di rabbia di un’altra persona, avvalorarne i sentimenti e restare del tutto calmo e centrato.


Il paradosso è che spesso temiamo ci sia qualcosa di sbagliato in un bambino sicuro di sé. Vogliamo che sia assertivo e sicuro, ma quando lo è rischiamo di innervosirci e di voler minare il suo spirito. Se vostro figlio si difende dall’aria di superiorità degli adulti, non avete che da festeggiare, anche se l’adulto siete voi.

Autostima e fratelli (o coetanei)

L’arrivo di un fratellino può essere un’esperienza davvero acuta di dolore per un bambino ancora piccolo, e scuotere la fiducia che ha in se stesso e nel proprio valore. Potrebbe essere eccitato e affettuoso, ma anche scioccato e col cuore a pezzi. Una madre a cui facevo consulenza mi confidò che ricordava l’arrivo della sorellina come l’evento più traumatico della sua vita. Aveva quattro anni all’epoca e sentì come se la sua vita fosse ormai giunta a una tragica fine. Pensò di aver “perso la battaglia” e di essere stata rimpiazzata da qualcuno migliore. Il mio figlio maggiore, Yonatan, lo espresse alla perfezione quando aspettavo il nostro secondo figlio: “Perché vuoi un altro Yonatan?”, mi chiese.

Tutta la preparazione dei genitori sembra svanire di fronte alla realtà del nuovo arrivato. Vostro figlio potrebbe desiderare di tornare ai giorni in cui era figlio unico o il più piccolo. Per capire appieno ciò che potrebbe provare un bambino all’arrivo di un nuovo fratello, mettetevi al suo posto. Immaginate vostro marito o vostra moglie che porta a casa un nuovo partner con grande e ovvia eccitazione. La spiegazione è logica: voi due siete così felici insieme, e voi siete così meravigliosa/o, perchè non raddoppiare la felicità con un altro partner?2

A parte lo shock iniziale, prendete questa immagine e addentratevi fin dove è possibile in quadretti di vita quotidiana. Fare a turno, guardare il vostro amore che si diverte con l’altro partner, l’aspettativa che anche voi condividiate con gioia, e la richiesta di essere un’amica/o affettuosa e sincera per quella persona. Immaginate un contesto reale che si adatti alla vostra famiglia e al tipo di cose che fate o ai luoghi in cui andate. Mettete il nuovo partner a cena con voi, a letto, in vacanza; dipingetevi quella persona mentre passeggia, cucina, scambia affettuosità e abbracci e condivide i vostri stessi momenti speciali. Sono sicura (con rare eccezioni) che entrerete in contatto con alcune emozioni molto spiacevoli. Se vi siete immedesimati a dovere, starete forse malissimo e vi sentirete oppressi. Potreste sentirvi impotenti, temere che non ci sia altra soluzione se non quella di liberarvi dell’“invasore”, il che è proprio ciò che spesso i bambini sentono, o il tipo di fantasia che nutrono a proposito dei fratelli.


Molti bambini rispondono con affetto finché il nuovo arrivato è un neonato; non appena inizia ad andare in giro come loro, lo shock si assesta a scoppio ritardato e iniziano a dare segni di disagio. Capiscono che non è solo un neonato, non è solo un “giocattolo” con cui trastullarsi, ma una vera persona in tutto e per tutto. Ora devono condividere i giocattoli, l’attenzione dei genitori e persino il gelato con il loro “rivale”.


Il modo in cui un bambino risponde all’arrivo di un fratello varia moltissimo e dipende da bambino a bambino e dall’età. La maggior parte dei bambini più grandi, dai sette anni in su, risponde bene a un nuovo fratello, ma se il maggiore è ancora abbastanza piccolo da aver bisogno di attenzioni simili a quelle che riceve il neonato, è probabile che faccia fatica ad accettare il nuovo arrivato. Un bambino piccolo teme di non valere abbastanza e che il neonato lo rimpiazzerà, mentre un bambino più grande non vede l’ora di potersene prendere cura.


Nella famiglia nucleare ci sono solo due genitori, e quando arriva un altro bambino la scarsità di adulti spesso crea tensioni. La competizione e il dubbio saranno di casa come se facessero parte di un unico pacchetto insieme al nuovo arrivato.


La misura del proprio valore verrà valutata considerando chi sia il migliore, chi sappia conquistarsi una maggiore attenzione e un affetto più grande. La sfida della rivalità tra fratelli non è una brutta situazione da evitare, semplicemente qualcosa di cui essere consapevoli, affinché diventi un’opportunità di crescita e non di deperimento. La chiave per rafforzare vostro figlio di fronte alla nascita di un nuovo fratello è la vostra consapevolezza di quella che potrebbe essere la sua esperienza, nonché la vostra capacità di mantenere un contatto con lui e godere della sua compagnia.


Alcuni genitori pensano di poter prevenire questa tensione. Con l’aiuto di nonni o altre persone ci si potrebbe riuscire fino a un certo punto. Nella maggioranza delle famiglie, comunque, non è un processo che si può prevenire. I genitori, di solito, fanno qualcosa solo dopo che il bambino più grande ha già manifestato segni di stress e la sua autostima sta scemando, infatti sono sintomi che sembrano apparire di colpo. I genitori spesso mi dicono: “Non abbiamo nessun problema del genere, i nostri figli si amano”. Eppure, spesso, un giorno uno dei bambini inizia a fare male all’altro e i genitori sorpresi mi chiamano per una consulenza.


Quando un bambino diventa aggressivo verso un fratello o verso di voi, quando è lamentoso, appiccicoso, rabbioso o regredisce, o se mostra qualunque altro segno di stress che secondo voi è legato alla nascita del fratello, il suo sentimento è già fatto di disperazione. Si preoccupa che non l’amerete più e che non avrà più alcun valore. Se cercate di interrompere le sue manifestazioni di disagio, ne concluderà che davvero è cattivo e senza valore. “Mamma mi impedisce di far male a mio fratello, lo protegge, lui è bravo e io devo essere cattivo”. A quel punto il suo risentimento per il fratello crescerà a dismisura. Più cercate di insegnargli con dolcezza a essere gentile e affettuoso, più sarà solo con la sua sofferenza, ossia molto distante dall’affettuosità e dal garbo. Forse vorrà capovolgere le proprie sorti, e magari fantasticherà su come liberarsi del fratello. Poi si sentirà in colpa, immeritevole, e il circolo vizioso rischierà di diventare assai doloroso; il comportamento peggiora mentre l’autostima si deteriora e l’angoscia prende il sopravvento.


Per aiutare un bambino in un momento di passaggio tanto delicato, evitate i rimproveri e affidatevi al riconoscimento e alla convalida dei sentimenti. Per il mio secondo figlio, Lennon, non è stato facile accettare il fratello più piccolo. Ecco la sua storia:


Lennon, a cinque anni, è un bambino adorabile e gentile con il fratellino di un anno. Un giorno, d’improvviso, inizia a strappargli i giocattoli dalle mani e sembra soddisfatto quando il minore, Oliver, piange. Al principio lo incoraggiamo a essere gentile e cerchiamo di fargli capire che a Oliver non piace. Lennon diventa ancora più aggressivo e mi rendo conto che serve qualcosa di più dei nostri solleciti garbati.


La volta successiva, quando il comportamento si ripete, anziché chiedere a Lennon di fermarsi, lo abbraccio e gli dico: “Vorresti che fossimo soli io e te? Senza Oliver? Proprio come eravamo prima che arrivasse lui?”


Lennon sembra a disagio e non dice niente, si aspetta una predica in linea con l’immagine che ha di sé di bambino “cattivo”.


“Anche a me mancano i momenti in cui eravamo soli!”, gli dico.

“Non è vero!”, sussurra Lennon.


“Quindi, quando mi vedi con il piccolo tutto il tempo in braccio, ti senti solo?”

Lennon fa cenno di sì con la testa.


“E allora dici a te stesso che a mamma non importa di te?”

Lo stringo fra le mie braccia e dico: “Mi manca così tanto stare sola con te, ti voglio bene sempre, anche quando tengo in braccio Oliver ti voglio bene!”

Lennon guarda a terra e percepisco che si sente in colpa e pensa di non meritare il mio amore, forse a causa delle fantasie violente che nutre nei confronti del fratello.


“Ti piacerebbe buttare il piccolo nella spazzatura?”, gli chiedo.

Lennon si riprende, “Sì!” dice, e così buttiamo un bambino immaginario nella spazzatura.


“Ti andrebbe di farmi vedere quali altre cose vorresti fare a Oliver? Tieni, prendi questo bambolotto!”. (Il papà è con Oliver e Yonatan nell’altra stanza, così il fratellino non è esposto alle fantasie violente del più grande.)


Dopo che Lennon ha inscenato alcune delle sue fantasie, gli dico: “So come ti senti, va bene avere questi pensieri. La prossima volta che ti senti così, vieni e fammi vedere cosa vorresti fare a Oliver. Mi piace sapere come ti senti e cosa immagini, e puoi sempre farmi vedere con la bambola!”


La volta seguente in cui Lennon dà fastidio al fratello, di nuovo gli offro di mostrarmi con la bambola cosa farebbe a Oliver (nell’altra stanza). Accetta e continuiamo a farlo finché ce n’è bisogno. Tre giorni dopo, Lennon, di sua spontanea volontà, viene da me quando sente che vorrebbe infastidire il fratello. Anziché dar fastidio a lui, mi dice: “Mamma, ti faccio vedere cosa vorrei fare a Oliver!”


Viene con me nell’altra stanza, mi fa vedere, e così facendo evita di far male al vero Oliver. Proseguiamo così. Due settimane dopo, mi chiede di andare con lui a mettere in atto le sue fantasie con la bambola, ma anziché fantasie violente, vuole prendere la bambola per far ridere Oliver e divertirsi lui stesso. E questo ha segnato la fine della sua aggressività nei confronti del fratello.


Avvalorando i suoi sentimenti e facendo il gioco della bambola, non ho drammatizzato la storia di Lennon, né preteso che fosse vera. Anzi, ho fatto l’opposto; gli ho fatto sapere che lo amo sempre, indipendentemente da chi ho in braccio, che mi manca il tempo trascorso a tu per tu insieme a lui, e che il mio amore non smette di crescere. Con il mio atteggiamento e la mia fiducia gli faccio sapere che mi fido della sua capacità interiore di superare questa fase dolorosa. Ne abbiamo parlato apertamente. Lui era depresso e mi ha chiesto se non ci fosse un qualche rimedio omeopatico per il desiderio di far male al fratello. Lennon non voleva davvero far male a Oliver; voleva soprattutto riguadagnare la sua pace e la percezione del proprio valore, cosa che ha fatto.


Oltre al potere dell’accettazione e dell’avvalorare i sentimenti, è cruciale che si trovi del tempo per ciascun figlio da trascorrere a tu per tu con mamma e papà. La famiglia nucleare rende la madre e il padre dei beni preziosi per i quali entrare in competizione. Ci sarà meno tensione e competizione se il bisogno di attenzione di ciascun figlio viene soddisfatto.


Comunque, per quanto riusciate in questa danza acrobatica dell’andare incontro ai bisogni di ciascun figlio, è destino che vi rilassiate quando le cose vanno bene, ma poi dovrete continuare a estinguere i fuochi che via via continueranno a riaccendersi. Le tensioni tra fratelli hanno flussi e reflussi, alti e bassi che riflettono lo stato della loro autostima e delle dinamiche familiari. Pertanto, godetevi i periodi di calma ma state all’erta, pronti a cogliere il divampare di comportamenti da stress, così sarete in grado di aver cura dei bisogni del bambino prima che i livelli di stress causino danni duraturi alla sua autostima.


Mentre i fratelli crescono insieme, gli alti e bassi della loro relazione diventano parte della vita. Proprio come gli adulti, attraverseranno periodi di pace seguiti da conflitti e insicurezze. Soprattutto, un bambino la cui autostima sia minacciata di continuo da un fratello, un amico o un altro congiunto, ha bisogno di passare del tempo con un genitore affettuoso per poter recuperare la fiducia in se stesso. Questo può significare mandare l’altro fratello (se è grande abbastanza) dalla nonna per un giorno, separare le stanze dei fratelli, o pensare a nuove attività da fare con voi o con altri compagni di gioco in cui il bambino si senta una persona amata e considerata. Incrementate le occasioni per ciascun figlio di dar vita al proprio cammino personale, dove non debba competere o condividere con i fratelli, e fate in modo che il legame con ciascuno dei figli sia speciale e individuale. Nessuno si sente amato in gruppi o a coppia.


L’unico ostacolo all’autostima è il pensiero che racconta al bambino di non avere alcun valore. Lui si racconta una storia che è la prova del suo fallimento e della sua inutilità. Sottraete le prove e la sua storia crollerà. Se gli dite di non far male al piccolo, avrà la prova che è cattivo e che non lo amate (state proteggendo il bambino piccolo dal fratello cattivo). Potete smontare il suo dramma abbracciandolo nel momento in cui vorrebbe far male al fratello, avvalorando i suoi bisogni, dando occasione di sfogo, in tutta sicurezza, alle sue fantasie. Se entrate in conflitto con lui alimentate il suo dolore; se vi unite a lui nella sua ricerca, lui vi seguirà nella vostra storia d’amore.

Umiliarsi tra fratelli

Quando i bambini crescono, potrebbero iniziare a usare appellativi degradanti verso i fratelli, come strumento per sentire di valere qualcosa. Alcune di queste interazioni ostili potrebbero essere benigne e innocue, oppure ferire un bambino che le prenda sul serio. Sentirsi insicuri e inferiori potrebbe spingere un figlio a soddisfare i propri bisogni disprezzando un fratello. Chi riceve l’insulto potrebbe sentirsi ferito, anche se un bambino sicuro del proprio valore potrebbe non dargli alcun peso. Si può scoprire quale sia lo stato d’animo del bambino osservandolo e facendo domande.


Chi è sicuro di sé non sarà toccato dalle offese, al contrario gli insicuri potrebbero diventare aggressivi o manifestare la propria ferita a parole o con comportamenti difficili. Un padre mi disse che quando aveva chiesto al figlio di nove anni cosa provasse quando la sorella lo chiamava “bimbetto viziato”, lui aveva risposto: “Niente!”, e in effetti il suo comportamento confermava la sua indifferenza alle parole della sorella. Perciò, molte delle cose che ai genitori sembrano uno scambio doloroso tra fratelli possono in realtà essere innocue e non richiedere alcun intervento. Ci sono, però, momenti in cui un bambino è ferito dalle frecciate continue, il che significa che crede in quello che gli viene detto.


Se vi rendete conto che vostro figlio ne soffre, mettetelo in condizione di riscoprire chi è realmente, così che le parole dei fratelli perdano il loro potere. Ascoltatelo evitando di far intendere che le parole dei fratelli possano controllare i suoi sentimenti. Dire: “Ti fa sentire…” implica che le parole di un altro possano controllare i nostri sentimenti. Al contrario, dopo averlo ascoltato, offrite riconoscimento in un modo che avvalori la sua percezione di sé: “Vorresti sentirti bene con te stesso nonostante quello che dica o pensi tuo fratello?”. Questo potrebbe fagli riconoscere le sue virtù a prescindere dalle parole di chicchessia. Una volta che riesca a percepire il proprio valore e a capire che questo risiede dentro se stesso, nessuno potrà portarglielo più via. Imparerà che ciò che si è non è determinato dalle parole degli altri.


Mentre andate incontro ai bisogni del figlio che soffre, riconoscete anche l’impulso a denigrare dell’altro fratello. Perché una sorella ha bisogno di umiliare l’altra sorella? Deve dimostrare di essere migliore perché dubita di sé? Dubita del vostro amore? Sa distinguere i suoi pensieri dolorosi dalla realtà?


Dubitare di sé non è mai qualcosa di reale, perché ogni figlio è sempre un essere umano prezioso e meritevole d’amore. Vanno cercati bisogni specifici che potrebbero essere stati trascurati. Soddisfare il bisogno di riservatezza, di attenzione, di amore o le necessità legate ad altri interessi renderà il bambino più appagato e non avrà bisogno di sfogare le proprie frustrazioni sui fratelli.


Se vi accorgete di parteggiare per un figlio, fermatevi e ascoltate il vostro monologo interiore (S di S.A.L.V.E.), poi rivolgete la vostra attenzione (A) a ciascun figlio, ascoltate (L) e avvalorate (V) i sentimenti di tutti senza favorire o criticare nessuno. Ascoltare appieno e avvalorare i sentimenti di uno non vuol dire che non si possa fare lo stesso anche per l’altro. Non dobbiamo sedare la disputa, solo affermare i sentimenti di ciascuno e riconoscere le diverse preferenze e i punti di vista. Non interferire con il contenuto della disputa metterà i bambini in condizione di poter confidare in se stessi e trovare le risorse necessarie.


Nell’intento di scoprire se uno dei bambini sta soffrendo, potreste accorgervi che spesso è proprio il “colpevole” quello che soffre di più e ha una necessità emotiva più urgente, come nel caso di Aaron:


Joseph, sette anni, esce piangendo dalla stanza dei giochi, “Mamma, Aaron mi ha detto somaro e ha distrutto la mia torre!”


Rebecca abbraccia Joseph e dice: “Sei un somaro?”

“No. Mamma, mi ha rotto la torre!”

“Vorresti ricostruirla?”


A quel punto Aaron, di dodici anni, esce dalla stanza: “Oh eccolo che va dalla mammina a lamentarsi come un bebè!”, dice con tono canzonatorio.

Rebecca riconosce l’espressione di dolore nei modi di Aaron, gli si avvicina, lo tocca, lo guarda negli occhi e gli chiede: “Ti va di stare un po’ con me ora?”


Aaron si siede accanto alla mamma sul divano; a questo punto Joseph, la “vittima” originaria, lascia la stanza e torna a giocare; è molto probabile che gli sia bastata l’attenzione ricevuta. Il dolore del fratello è invece più profondo.


“Qual è l’aspetto peggiore dell’avere un fratello?”, chiede Rebecca ad Aaron. Lui si tira su e inizia a raccontare. Lei lo ascolta attenta e sente tutto il suo senso di fallimento. Avvalorando i suoi sentimenti scende qualche lacrima ed escono fuori molti aneddoti che chiariscono il perché si senta schiacciato dalla presenza nella sua vita di un fratello più piccolo. Era il fatto di dubitare di sé e del proprio valore che induceva Aaron a dare fastidio al fratello.


Durante la seduta telefonica con me il giorno seguente, Aaron mi dice: “Odio mo fratello!”

“Preferiresti che se ne andasse?” gli chiedo.

“Sì!” risponde.


“Dimmi come sarebbe a casa senza di lui!”

Aaron resta in silenzio, dopo un po’ dice: “No, non voglio che se ne vada, non sopporto l’idea che se ne vada!”

“Allora, vuoi che viva con te?”


“Credo di sì. Non posso immaginare che non ci sia. Gli voglio bene, è solo che è una tale lagna!”

“Che genere di lagna? dimmi di più!”

“Oh, non saprei, è a posto in realtà!”

“E tu stai bene, Aaron?”


“Credo di sì. Sì. Vorrei che mamma avesse più tempo per me, e anche papà. Passano un sacco di tempo con Joseph!”

“Non stanno insieme a te?”


“Bè, sì, però… ecco, forse non voglio davvero che trascorrano più tempo insieme a me. Lui è più piccolo, ne ha più bisogno, io voglio stare con i miei amici!”


“Allora tuo fratello è a posto, i tuoi genitori ti amano e trascorrono la giusta quantità di tempo con te, ci sono problemi?”

Aaron ride: “Sono sicuro che ne potrei inventare qualcuno, è incredibile come ho immaginato tutta questa storia!”


Il nostro scopo e il nostro compito non sono quelli impossibili di crescere figli che non subiscano mai contraccolpi all’immagine che hanno di sé. Una vita simile non esiste e schermare un figlio dalle esperienze reali non farà che indebolirlo. Invece, i bambini hanno bisogno di crescere capaci di affrontare la realtà con piena forza e sapienza emotiva. Noi cerchiamo di costruire con i figli una relazione d’amore scevra di paura, che permetta l’espressione di tutte le emozioni e li faccia sentire fiduciosi del proprio valore. Questo, a sua volta, rafforzerà la sicurezza di cui avranno bisogno per costruirsi una vita ricca di significato e avere un effetto positivo sugli altri.


Sostenete ogni giorno la percezione che i vostri figli hanno del proprio valore. Potete farlo riconoscendo chi sono, approvando la direzione che intraprendono, esprimendo con autenticità il vostro amore e apprezzamento. Il che significa che non ci sono aspettative ad ergersi come ostacoli alla festosa e gioiosa accettazione di vostro figlio quale egli è.

Crescere i nostri figli crescere noi stessi
Crescere i nostri figli crescere noi stessi
Naomi Aldort
Eliminare i conflitti e i litigi con i nostri bambini grazie all’amore incondizionato.Un approccio efficace per costruire relazioni autentiche e gratificanti con i propri figli, senza ricorrere a punizioni e minacce. Crescere i nostri figli, crescere noi stessi prende le mosse da una premessa radicale: né il bambino né il genitore devono dominare.Un libro di Naomi Aldort, famosa esperta di genitorialità, per tutti coloro che desiderano smetterla con i rimproveri, le minacce, le punizioni e vogliono rinunciare al controllo in favore dell’autenticità. Conosci l’autore Naomi Aldort è un’esperta di genitorialità; i suoi articoli, le sue conferenze e consulenze sono note a livello internazionale. Genitori da ogni parte del mondo approfittano della sua guida, per telefono o di persona.Cura il sito authenticparent.com