capitolo v

Autonomia e potere

Ai bambini servono genitori collaborativi

Spesso i bambini si sentono impotenti perché sono piccoli e inesperti in un mondo vasto, complesso, che si muove in fretta; quanti macchinari che non possono toccare, adulti e animali che li intimoriscono, luoghi in cui non possono andare da soli, vette che non possono raggiungere, cose per cui serve aiuto, eventi paurosi, e ritmi che non comprendono. Molti dei loro malumori derivano da un senso di impotenza.


I bambini hanno bisogno di sentire che sono in grado di generare risposte ai propri bisogni. A differenza degli adulti, non sono pronti a rinunciare a quello che desiderano nel presente in funzione di cosa sia meglio per il futuro. Hanno bisogno di sapere che le persone attorno a loro prendono seriamente le loro scelte. Come per altre privazioni emotive, i bambini che lottano con un senso di impotenza, o che sentono di non avere alcun controllo sulla propria vita, potrebbero diventare rabbiosi, aggressivi o depressi.


Sebbene sia impossibile eliminare il senso di impotenza nei bambini, si possono aumentare tantissimo le possibilità che hanno di sentirsi autonomi e capaci. Il neonato o il bambino piccolo possono influire sull’ambiente attraverso di voi, hanno bisogno che siate la loro “estensione di potere” verso tutto ciò che è al di fuori della loro portata. Talvolta questo implica dover fare cose al loro posto, ma più spesso significa non intralciarli e rendere il loro percorso sicuro e accogliente. Se l’ambiente fisico e sociale è sano e protetto, si può eliminare il bisogno di limitare o dirigere. In quel caso è il bambino che sceglie e dirige le proprie attività, il cibo, gli orari e gli interessi, nel contesto sano a sua disposizione creato da voi.


Nonostante le intenzioni amorevoli dei genitori, i bambini si sentono spesso impotenti e alla mercé degli adulti. Interrotti da una telefonata mentre giocano con i genitori, soffrono l’ignominia di essere messi da parte mentre il genitore parla con l’intruso inopportuno. A volte subiscono l’insulto che gli si dica cosa fare, quando fare silenzio e come adeguarsi ai bisogni degli adulti, mentre i loro bisogni non sono di regola rispettati. Ad esempio, i bambini sono spesso criticati perché interrompono gli adulti, eppure molti adulti interrompono i bambini e gli parlano sopra come se niente fosse. Nella nostra cultura, essere alla mercé di ogni evento effimero o decisione arbitraria è la realtà per gran parte della vita di un bambino.


Ci sono modi in cui rendiamo impotente un bambino senza neppure pensarci. Spesso gli organizziamo la vita senza dargli neppure un’opportunità di dire la sua, anche se le nostre scelte hanno influenza diretta sulla sua vita. Includere i bambini nella nostra vita, come avviene nelle tribù, è difficile che li interessi, a meno che non si coltivi la terra, non si allevino animali, non si costruisca qualcosa o non si facciano altre attività di tipo fisico. Guardare la mamma che scrive, legge o fa le sue operazioni di banca non spinge all’osservazione né offre l’opportunità di partecipare. Quello che si vede non è indicativo di ciò che sta accadendo, magari il contenuto del libro è entusiasmante ma il piccino ai primi passi non vede altro che papà seduto a contemplare una pagina.


Un esempio tipico è quello di portarsi i bambini quando si esce per fare delle commissioni. Il bambino vorrebbe continuare a fare quello che sta facendo, invece viene interrotto, legato su un seggiolino e portato in giro senza alcuno scopo suo personale. Ci si aspetta che sia lui quello “maturo”, in grado di accompagnare l’adulto nei suoi giri. A noi non piacerebbe un’esperienza simile e non chiederemmo a un amico di seguirci, quando dobbiamo sbrigare delle commissioni. Un bambino piccolo non ha idea che i nostri giri gli possano tornare utili e un bambino più grande potrebbe capirlo ma questo non significa che sia interessato a partecipare. Per lui la maggior parte delle commissioni da sbrigare sono noiose e insignificanti, fatte di attese e di tragitti in auto.


Per quanto un bambino piccolo possa divertirsi ad andare a fare la spesa, quando cresce gli piacerà solo se può avere un giocattolo o un dolce, il che sarà causa di ulteriore frustrazione. Anche in quest’ambito, l’esperienza umana è cambiata da quando si raccoglieva il cibo nei campi o si faceva la spesa in un piccolo negozio vecchio tipo; i grandi supermercati di oggi sono iperstimolanti e seduttivi e lasciano spesso il bambino molto frustrato. Alcuni genitori sono abili nel coinvolgere i figli durante la spesa e allora le uscite diventano gradevoli, ma per la maggior parte dei genitori queste si trasformano in una battaglia.


Per prevenire queste situazioni o minimizzarle fate i vostri giri quando il coniuge o un’altra persona può stare con i bambini. Se il figlio è piccolo e ha bisogno della vicinanza fisica della madre, il padre può occuparsi della maggior parte delle commissioni necessarie alla famiglia; i genitori unici avranno bisogno di trovare amici o familiari che li aiutino. In questo modo la madre o il padre non dovranno strappare il bambino alle sue occupazioni.


Un’altra soluzione è di orientare le uscite ai suoi interessi: andate al parco, alla spiaggia o a casa della nonna e programmate solo una piccola commissione lungo il tragitto.


Molti bambini stressati si tranquillizzano anche solo riducendo le uscite a quelle strettamente necessarie.


Capita che i genitori si chiedano come mai i figli non possano crescere, come in passato, osservando la vita degli adulti e integrandosi quando si sentano pronti, ma questo può accadere solo se gli adulti seguono uno stile di vita naturale e attivo. Se la comunità lavora in gruppo, come quando si coltivano i campi, si costruiscono manufatti e abitazioni, si cucina, allora i bambini seguono con interesse o giocano nei paraggi facendo le loro cose. Nei moderni stili di vita spesso non esistono comunità simili, né altrettanta libertà e sicurezza. Possiamo rimpiangere il passato ma piangere sui cambiamenti avvenuti non è utile per apprezzare il presente. La vita è un mutamento costante e dobbiamo di continuo adottare e inventare nuovi modi per crescere.


Includere i bambini in ciò che facciamo, come lavare i piatti, curare il giardino e cucinare è ancora possibile. Però, quando quello che facciamo non implica un’azione fisica, e quando le nostre attività impediscono al bambino di fare ciò di cui ha bisogno, allora si sentirà impotente e frustrato. I bisogni di un essere umano non possono essere soddisfatti soffocando quelli di un altro, almeno non senza pagare un prezzo. Inoltre, molto di quello che facciamo in casa e in giardino non corrisponde a quelli che saranno gli interessi dei nostri figli quando cresceranno. Hanno bisogno di coinvolgersi in attività intellettuali e acquisire abilità di loro interesse che ne favoriscano lo sviluppo.


Anche la tendenza di alcuni genitori ad aspettarsi che i figli realizzino certe cose, si comportino bene, imparino, siano interessati o socializzino sulla base di “norme”, piuttosto che spinti dalle proprie inclinazioni, apre la strada a un senso di impotenza. Per esempio, i genitori spesso mi chiamano molto agitati a proposito del comportamento dei figli quando sono con i coetanei o in luoghi pubblici come i ristoranti. Quando suggerisco che evitino di far partecipare il bambino a gruppi di gioco o corsi se non sono ancora pronti, mi confidano la loro preoccupazione per i bisogni di socialità del figlio. Tuttavia, un bambino ai primi passi o più grandicello che trascorra il pomeriggio in conflitto con altri coetanei non sta certo soddisfacendo i propri bisogni sociali. Anziché trascorrere ore piacevoli con gli amichetti, sperimenta il fallimento nel relazionarsi e nell’accontentare i genitori, e si sentirà impotente su entrambi i fronti. Voi frequentereste un gruppo di persone con le quali non andate d’accordo? Come gli adulti, i bambini che non si trovano in un contesto sociale hanno bisogno di qualcosa di diverso, o forse hanno solo bisogno di socializzare con i propri genitori.


Molti bambini non riescono a stare seduti tranquilli al ristorante; se possono dar sfogo alle loro energie magari poi riescono a restare seduti per la durata del pranzo, altrimenti un ristorante non è luogo che rispetti le loro necessità. Quando imponiamo i nostri desideri a un bambino solo perché abbiamo il potere di farlo, egli si sentirà impotente e, col tempo, anche risentito. Anziché dare ascolto ai media o alla nonna, osservate e ascoltate vostro figlio, senza dar retta alle altre opinioni. Lui sta crescendo qui e ora e, a differenza di tutti i benintenzionati che elargiscono consigli, è solo lui l’esperto dei propri bisogni.

La tendenza a sviluppare aspettative può rendere un bambino impotente, anche quando le aspirazioni non siano manifeste. Ad esempio, pur se in modo sottile, potremmo implicare che la condivisione sia auspicabile, che il piccolo di due anni inizi a usare il vasino, che un bambino dovrebbe stare tranquillo, essere empatico, grato ed educato. Un figlio può sentirsi impotente e inadeguato se non è in grado di soddisfare le nostre aspirazioni, o se, pur essendone capace, non ha l’inclinazione a farlo di sua spontanea volontà. Magari esprimerà il desiderio di restare piccolo o di sfuggire al peso delle aspettative; potrebbe diventare scontroso o fare quello che vogliamo solo per ottenere la nostra approvazione o scrollarcisi di dosso, nel frattempo sentendosi inerme.


Un altro modo con cui priviamo di forza i bambini è negando le loro scelte personali. Se siete voi a scegliere lo strumento che vostro figlio dovrà suonare, lo sport che dovrà giocare, le uscite e le attività, gli orari in cui dovrebbe mangiare o i vestiti che dovrebbe indossare, inavvertitamente lo state derubando dell’esperienza di influire sulla propria vita. Con simili esperienze, l’intima percezione della propria inettitudine potrebbe condurre infine alla ribellione, all’aggressione, o a un’obbedienza non sana e alla depressione.


Quando lasciate perdere i vostri programmi personali a favore del bambino e gli garantite la possibilità di creare la propria vita, sarà forse necessario proteggere la sua libertà. Così come rendete sicura la casa, per evitare che si faccia male e sia libero in un ambiente senza pericoli, allo stesso modo potreste rendere sicuro l’ambiente più vasto che lo circonda, scegliendo i media, i cibi e i giocattoli ai quali esporlo, nonché il circolo di relazioni sociali con cui entra in contatto finché è piccolo.


La libertà di un bambino dipende dalla nostra abilità di rendere la sua vita sicura senza bisogno di controllarla. Trascorrere le giornate in un ambiente naturale previene la necessità di dover limitare il suo gioco, a differenza di quanto accadrebbe per le strade di una città. Socializzare con persone con cui sta bene e si sente capace, gli permetterà di giocare sentendosi indipendente, senza che sia necessario il vostro intervento.


Dal vostro stile di vita e dalle vostre scelte genitoriali dipenderà la misura con cui proteggerete l’ambiente. Ogni genitore controlla l’ambiente in qualche misura. Perlopiù premurandosi di non esporre i figli ad armi, droghe, notizie o media che esibiscano violenza, e magari sigarette, alcool, caffé etc. In casa non si tengono in mostra simili articoli, dovendo poi esercitare un controllo sul bambino per impedirgli di toccarli. Semplicemente non li si espone.


Il senso di autonomia e di potere del bambino non è funzione dell’essere in grado di accedere a ogni cosa disponibile nella nostra società, quanto piuttosto del sentirsi libero ogni giorno a casa propria e nel proprio ambiente. Se, per esempio, portate vostro figlio in un negozio di dolciumi e poi gli proibite di mangiarli, si sentirà in collera e impotente. Se non andate nel negozio di dolciumi e offrite cose speciali ma sane a casa, si sentirà autonomo e soddisfatto. Siete voi a stabilire una direzione in base allo stile di vita che scegliete per la famiglia, così che i vostri figli si sentano liberi e fiduciosi. Man mano che crescono saranno esposti sempre più a tutto ciò che è a disposizione; sicuri di sé, non sceglieranno in funzione della pressione sociale ma delle loro preferenze e valori.


Se la relazione che avete con loro si fonda sulla fiducia e non sul controllo, la guida e l’esperienza che offrite saranno prese in seria considerazione, perché sapranno che siete dalla loro parte. È una fiducia che tornerà utile quando i ragazzi entreranno in contatto con ambiti sociali più ampi; anziché rifiutare le vostre idee come reazione al controllo e alla negazione che avete esercitato, vi chiederanno consiglio come a un alleato premuroso.


Nel capitolo precedente abbiamo visto che alcuni genitori temono di essere sopraffatti se non esercitano un controllo. Ricordate che se un bambino o un ragazzo non vivono con la paura di essere privati del proprio potere (quindi di essere controllati, costretti o diretti), non hanno bisogno di prendere il sopravvento su nessuno. Il loro unico desiderio è aver cura di se stessi e, se vengono rispettati, possono prosperare. Un bambino che prospera è troppo indaffarato e felice per meditare strategie negative.

Smontare l’aggressività del bambino

I bambini spesso ricorrono all’aggressività se sopraffatti dal senso di impotenza. Per quanto ci si sforzi, sentirsi impotente è inevitabile per un essere umano. È un sentimento utile e naturale nell’esistenza di individui equilibrati e non repressi. Quando invece un ricorrente senso di impotenza non è riconosciuto e manifestato, e l’individuo non è in equilibrio, possono risultarne rabbia e aggressività da un lato, rassegnazione e depressione dall’altro. Pertanto, non solo dobbiamo evitare di privare il bambino del proprio potere, ma dobbiamo anche fornirgli il modo di esprimersi e di dar prova della sua forza senza che corra pericoli.


Il modo più manifesto e comune con cui un bambino esprime la propria impotenza è negando e violando gli altri. Però, se i genitori lo aiutano a esprimersi nei modi che gli sono più congeniali, egli troverà sistemi creativi e giochi per rigenerare il proprio senso di potere. Un padre mi chiese consiglio per il figlio di tre anni che spargeva cartacce per tutta la cucina. Dopo la seduta, la sua inclinazione a frenare le azioni del figlio mutò:

Da quando la famiglia si è trasferita in un’altra zona della città, il piccolo Chris dà segni di malessere. È scontroso e lamentoso, piange sempre per ogni minima cosa. Un giorno arriva in cucina e inizia a svuotare il secchio della carta e delle lattine, spargendo tutto per terra. Vedendo il contenuto della differenziata disseminato sul pavimento, il padre risponde con un drammatico “Oh, no!”, che sembra dare a Chris il senso di potere di cui è in cerca: “Aha, ce l’ho fatta!”

Il padre raccoglie tutta la carta e le lattine e le rimette nel secchio, così Chris ha modo di ripetere la sua strategia terapeutica infinite volte. Ogni volta che il bambino svuota i bidoni, il padre si esprime con un sempre più sonoro e teatrale “Oh, no!”, seguito da un divertito “Ora rimetto tutto a posto!” e poi da una supplica: “Ti prego, ti prego non svuotarlo di nuovo!”. Il gioco termina con la differenziata sparsa ovunque e il papà che si arrende esausto.

Per un paio di mesi Chris prende l’iniziativa del gioco e ogni volta il padre si spertica in esclamazioni, raccoglie tutto, lo rimette nel bidone perché si rovesci tutto di nuovo fra scrosci di risa. Per tutto il tempo, il padre confida nel bisogno di Chris di fare questo gioco per riguadagnare un senso di potere e di autonomia. Un bel giorno il bambino smette di rovesciare i bidoni del riciclo e non lo rifà più, la sua irritabilità e i comportamenti fastidiosi diminuiscono e sembra contento della nuova casa.

Molti genitori intuiscono modi analoghi di dare potere ai figli semplicemente perché li rispettano e desiderano partecipare ai loro giochi. Come quando il bambino scappa mentre il papà cerca di afferrarlo per il pigiama, l’inseguimento è serrato per tutto il gioco. Al genitore può sembrare stancante e lungo, ma alla fine il bambino ne avrà abbastanza e il suo bisogno di sentirsi potente sarà soddisfatto.


È davvero cruciale non privarlo del proprio senso di potere. Se fermate voi il gioco o ne controllate la direzione, siete voi che decidete e lui continuerà a sentirsi inetto. Questo fatto cancella molti dei benefici emotivi del gioco e porta al conflitto; il tempo che serve a smaltire la conseguente rabbia è maggiore di quello che avremmo impiegato a giocare senza interrompere, finché il bambino non avesse deciso di smettere. Inoltre, un lungo e divertente gioco di potere lascia tutti felici e uniti.


Nel caso di Chris ci sono stati risultati evidenti, ma spesso i genitori non riescono a individuare ogni singolo successo. È fondamentale non sviluppare aspettative di rapidi cambiamenti. Molti dei benefici emotivi non hanno una manifestazione visibile nell’immediato ma piuttosto si palesano gradualmente o in modo inaspettato. Spesso i genitori si accorgono mesi dopo che alcune difficoltà di comportamento non ci sono più. Inoltre, è impossibile sapere cosa si sia prevenuto. Si può notare un appagamento generale e alcuni specifici miglioramenti. Dobbiamo fidarci dei bambini e dei benefici che ne trarranno quando prendono l’iniziativa in simili giochi. Pur sapendo che si tratta di un gioco, i bambini ne traggono vantaggio, come se la rappresentazione fosse reale. L’esempio che segue illustra un altro di questi approcci al gioco che hanno come obiettivo il raggiungimento di un senso di potere.

Una sera Kirk appende la camicia alla maniglia della porta e va in bagno a prepararsi per andare a dormire. Quando torna la camicia è sparita. Melanie, la figlia di tre anni, è in piedi accanto alla porta con uno sguardo allegro. “Oh no, dov’è la mia camicia!?”, fa Kirk fingendo una grande sorpresa mentre Melanie ride tutta felice.

Inizia così un rituale serale, ogni notte prima di andare a dormire Kirk appende la camicia sulla stessa maniglia e dice a Melanie: “Ho lasciato la camicia sulla maniglia, non la nascondere…”, e Melanie risponde all’invito, nasconde la camicia del papà e aspetta eccitata che lui scopra la sparizione. Il gioco va avanti finché, qualche mese dopo, Melanie non ne ha abbastanza; per il momento, il bisogno di alimentare il proprio senso di potere è stato soddisfatto.

Non dovete preoccuparvi che vostro figlio approfitti del gioco per credere che sia consentito mettere tutto in disordine o disturbare. Al contrario, per i bambini è molto chiara la distinzione fra gioco e realtà. Assecondare l’esigenza di fare questo tipo di giochi permette loro di sfogare in modo sicuro le emozioni represse e prevenire manifestazioni dannose del bisogno di potere.


Se sentite l’esigenza di controllare vostro figlio, è possibile che nella vita abbiate provato un senso di impotenza eccessivo. Facendo questi giochi anche voi potreste trarne un vantaggio terapeutico. Il bisogno di controllo non è controllabile, la scelta di agire o meno su di esso è invece alla vostra portata. Una volta riconosciuta la debolezza insita nella necessità di esercitare un controllo, non arrendersi alla sua presa vi darà una sensazione di potere. Ci vuole forza emotiva per lasciarsi andare e seguire il bambino senza soggiacere ai propri impulsi; quando ci si relaziona con i figli, il potere ci viene dal lasciar andare anziché dall’aggrapparsi alle proprie reazioni.

I giochi di potere, come quelli già descritti, hanno molte sfaccettature e noi genitori dobbiamo stare all’erta, pronti a individuarli e a coglierli. È facile dire al bambino di smetterla, tuttavia il più delle volte, quando siamo spinti a dire “basta”, lui è sul punto di iniziare un gioco creativo. Può trattarsi di spiaccicare il tofu, di dire parole legate alle funzioni corporali, o di lanciare le costruzioni dappertutto dopo che noi le abbiamo raccolte mattoncino per mattoncino. Sono inviti al gioco a cui serve un genitore collaborativo che dica sì quando la mente vuole dire no. Anziché pensare che il bambino non è collaborativo, immaginatevi come attori della rappresentazione (quali siete in realtà) e accogliete l’invito. A casa nostra, se un adulto non risponde alla giocosità dei piccoli, viene etichettato come “troppo serio” o “barboso”1. Il bambino percepisce la chiusura dell’adulto come un ostacolo al suo gioco creativo o terapeutico.

Se imparassimo a prendere meno sul serio le nostre reazioni istintive, anche i bambini farebbero lo stesso. Non dobbiamo obbedire ai nostri pensieri negativi, ma assecondare l’invito al gioco. È questo che rende la vita ricca e piena di pace; l’alternativa al conflitto che combatte le inclinazioni del bambino è unirsi a lui nella gioia. Ecco un altro esempio di gioco che suscita una sensazione di potere e che il genitore potrebbe essere tentato di rifiutare:


A cinque anni, Alex vive con la famiglia in una casa di campagna senza serratura. La porta a vetri da cui si entra può essere chiusa solo dall’interno con un chiavistello.


Un giorno, mentre salgono le scale con le buste della spesa in mano, Alex corre avanti, supera i genitori e la sorella, entra in casa e spranga la porta dall’interno. I suoi occhi brillano di eccitazione e aspettativa di là dal vetro.


“Oh, no!”, esclamano quasi all’unisono la madre e il padre: “E ora che facciamo?”. Appoggiano la spesa sul pavimento del portico e iniziano a supplicare: “Oh, ti prego, lasciaci entrare, per favore, per favore, la spesa si rovinerà!”. La sorella più grande tutta contenta si unisce ai genitori nell’inscenare la commedia.


Alex ride tutto soddisfatto, sa benissimo che i genitori stanno giocando e si divertono. Dopo un minuto, si intensificano le suppliche: “Dove dormiremo? Avremo freddo! Oh no, che faremo?!”, iniziano a scegliersi degli angolini per dormire esprimendo tutta la presunta frustrazione per la scomodità che li attende.


Si inginocchiano di fronte alla porta e di nuovo lo pregano di lasciarli entrare. Dopo un paio di minuti Alex apre la porta con un sorriso vittorioso stampato in volto. I genitori e la sorella entrano, lo ringraziano e benedicono quel giorno fortunato perché il potente Alex ha concesso loro di entrare.


Il gioco si ripete solo un paio di volte, dopodiché Alex non lo ha più fatto, né ha mai chiuso una porta in faccia a nessuno; il suo bisogno è stato soddisfatto.


La dichiarazione “Oh, no!”, espressa in tono drammatico e giocoso, può essere un segnale della vostra partecipazione al gioco: quando il tofu si trasforma in pasta da modellare, esclamate “Oh no, che disastro!”; quando l’argenteria diventa uno strumento a percussione è il momento di “Oh no, che confusione!”; quando raccogliete le costruzioni per la quarta volta e di nuovo vengono sparse a terra è la volta di “Oh no, e ora come faremo?!”, mentre crollate a terra. Ogni volta che non ci sia in ballo qualcosa di rischioso, basta sostituire “Basta!” con un teatrale “Oh no!”, e poi unirsi al gioco finché il bambino non vi farà capire che davvero basta così. Può sembrare stancante e impegnativo ma richiede in realtà meno tempo che ingaggiare una lotta contro il bambino. Naturalmente, i benefici a lungo termine faranno sì che i mille momenti felici insieme a lui siano valsi tutta la pena del vostro gioco affettuoso. Inoltre, un’importante lezione che i figli ci insegnano è che l’unico momento è quello presente, perciò godetevelo.


Una delle trappole da evitare quando ci si unisce al bambino nel gioco sul potere è la tendenza del genitore a diventare creativo. Non derubate vostro figlio del suo spettacolo. Fatevi dirigere da lui e riempite i vuoti solo sulla base della sua guida. Se prendete in mano la situazione e introducete cambiamenti anche lievi, vi appropriate del potere a scapito del bambino. Conservate il vostro tesoro per dare inizio a un nuovo gioco in un’altra circostanza e anche quando siete voi a cominciare, lasciate che egli prenda l’iniziativa e lo guidi. Portate inoltre la direzione indicata dal bambino alla sua massima espressione: giocate al meglio il ruolo assegnatovi, siate senza fiato, terrorizzati, disperati e indifesi adattandovi alla scena senza risparmiarvi.


Di nuovo, alcuni genitori potrebbero temere che il bambino se ne approfitti e manchi loro di rispetto. In realtà, il risultato che otterrete rispettando vostro figlio e seguendo la sua guida è che egli vi rispetterà ancor di più. È più facile che un bambino obbediente non rispetti i suoi genitori ma li tema. Potrebbe anche disprezzarli e visto che li ama si sentirà confuso e si vergognerà di se stesso. Imparerà a controllare gli altri e a considerarli in termini di chi ha o meno il controllo. La compiacenza, infatti, non è spesso un segno di rispetto ma di paura e impotenza. D’altro canto, se collaborate con il bambino, anche lui imparerà a collaborare e a prendersi cura degli altri. I bambini contano su di noi per rispondere ai propri bisogni e ci vogliono anni e una ripetizione continua prima che restituiscano ciò che hanno ricevuto. Come nell’apprendimento di uno strumento musicale o nella danza, non possiamo aspettarci che qualche lezione produca un professionista esperto.


Il disegno e altre attività artistiche sono molto utili per esprimere la propria impotenza.


Ricordo le sedute con Georgia, otto anni; continua a disegnare la vicina di casa, che non le piace e di cui ha paura. Chiama i suoi disegni in serie “La brutta giornata di Valentina”. La storia va avanti per sette o otto pagine, descrivendo un disastro dietro l’altro e culminando nella vicina di casa che prende fuoco. Non solo l’ha disegnata, ma me la descrive fra mille risate sfogando tutte le emozioni represse.


Le suggerisco di continuare a raccontare al fratello e ai genitori “La brutta giornata di Valentina” tutte le volte che vuole.


Dopo circa una settimana, Georgia è stanca dei disegni e con grande sorpresa della madre va a trovare Valentina che sta lavorando in giardino e si offre di aiutarla.


Quando torna a casa, Georgia dice: “Mamma, ho aiutato Valentina a piantare alcuni fiori, è simpatica sai?”. Georgia adesso è più rilassata non solo con Valentina, ma anche nella relazione con altre persone.


Il risultati di questa arte-terapia si manifestano subito nella relazione che ne è oggetto. Spesso questo non avviene. Talvolta un bambino detesta il vicino di casa e quest’“odio” è una reale manifestazione delle paure che riguardano lui o qualche membro della sua famiglia. La terapia potrebbe non incidere per nulla sulla relazione; i cambiamenti positivi che si osservano nel bambino potrebbero allora riguardare altre relazioni, la fiducia in se stesso o altri aspetti della sua vita. I bambini usano l’arte, la poesia, la musica e tanti giochi di fantasia in cui “si fa finta di” per ristabilire la sensazione di avere potere sulla vita. Apprezzate la loro creatività terapeutica e guardatela fiorire.

Evitare problemi quando si è lontani da casa

Uno dei benefici aggiuntivi quando si asseconda la necessità del bambino di percepire la propria forza è che si evitano i problemi che sorgono lontano da casa o con altre persone. L’altro giorno ho notato una famiglia che ha lasciato il ristorante nel bel mezzo della cena perché il loro bambino piccolo aveva deciso di lanciare le posate e altri oggetti dal tavolo sul pavimento con gridolini di soddisfazione. Il suo bisogno di potere e di gioco si è scatenato nel luogo peggiore per i genitori.


Se il bisogno di controllo e di potere è soddisfatto a casa, è più facile che i bambini partecipino e apprezzino le attività in pubblico. Se la casa è il luogo in cui può rivelare i propri sentimenti, non dovrà approfittare della vostra vulnerabilità in pubblico per affermare il proprio potere. Allo stesso tempo, è necessario rispettare i suoi limiti in termini di autocontrollo. I giochi sul potere possono essere fatti prima di andare a un concerto, al ristorante, o di intraprendere un lungo viaggio, tuttavia il ristorante può essere il posto sbagliato per alcuni bambini e giusto per altri, soprattutto se hanno avuto l’opportunità di sfogare un po’ di energia e di sentirsi al comando prima di arrivare lì. Anche i gruppi di gioco possono essere eccitanti per alcuni e insostenibili per altri, che in simili contesti si sentono incapaci e inadatti. Rispettare i bisogni e le inclinazioni dell’individuo può essere molto utile per prevenire un senso di impotenza e la ribellione che ne consegue.


Anche l’interazione con gli altri bambini è influenzata da sentimenti di forza o impotenza. Il bambino che si sente spesso inetto potrebbe diventare un mite gregario o sfogare il suo bisogno di potere controllando e disturbando altri bambini. Offritegli la possibilità di esperire una posizione di forza a casa, in modo che il divertimento con i coetanei sia più autentico.


Oltre che dai giochi di potere, i bambini traggono un senso di forza dal poter prendere decisioni e dall’essere responsabili per se stessi. Di tanto in tanto li aiuta in questo la collaborazione nelle faccende di casa, ma solo quando non è un obbligo o un’aspettativa. Se il bambino offre il suo aiuto, ringraziatelo e non aspettatevi di più. Offritegli anche l’opportunità di fare confusione, mettere in disordine e decidere sul da farsi quando è possibile, perchè questo rende i bambini soddisfatti e le loro relazioni più sane. La vita fluisce senza scossoni se si seguono le indicazioni che provengono dal bambino e si rispettano le sue scelte anziché lambiccarsi il cervello per capire cosa sia meglio per lui.


Quando sostengo che non vada privato del proprio potere non intendo che gli si debba concedere la licenza di fare tutto quello che vuole. Come gli adulti, anche i bambini vivono in un mondo che stabilisce i propri confini fisici e sociali. Dobbiamo essere autentici con i bambini così che vivano una vita reale e non di fantasia, dove tutti i desideri sono prontamente esauditi. Le frustrazioni naturali non vengono imposte da alcuno e sono una componente sana della crescita, e dal canto vostro è necessario solo avvalorare i sentimenti e ascoltare.


Un bambino di pochi mesi non ha nessuna comprensione della forza di gravità, eppure risponde ai limiti che essa gli impone; le sue cadute rappresentano un esercizio, non solo per imparare a camminare, ma anche per sopportare tentativi ed errori. In modo analogo, il bambino piccolo ha ben poca considerazione dei bisogni degli altri, il che è proprio ciò che la natura prevede. Acquisirà una consapevolezza e una capacità di rispondere agli altri esseri umani sempre maggiore nel corso degli anni, dopo essere stato accudito con dolcezza e generosità, non imponendo la sua volontà a spese degli altri. Gli sveleremo le norme sociali man mano che sarà pronto a capirle e a esservi incluso. Non si può dire a un neonato “Ora sono troppo stanca per allattarti” e lasciarlo piangere; tuttavia, dopo un paio d’anni, potrete dire: “Sei impaziente perché vuoi il gelato subito? Dopo cena lo prenderemo insieme ai nostri ospiti!”


La tendenza dei genitori amorevoli a voler “far felice il bambino” a tutti i costi non incoraggia l’autonomia e la forza emotiva, ma anzi le deprime. Amatelo e prendetevi cura di lui, dite sì alle sue scelte autonome ma evitate di salvarlo dalle sane lezioni impartite dalla natura e dalla vita sociale.

Il gioco fisico

Il gioco fisico può essere una gioia e un’efficace terapia, oppure può intensificare il senso di inettitudine dei più piccoli. Di solito i bambini apprezzano la fisicità chiassosa e acquistano una competenza sia fisica sia emotiva nel fare la lotta e i giochi sfrenati. Quando li si ascolta mentre giocano talvolta le grida sono seguite da un crescendo di risate. La presenza dell’adulto per la maggior parte del tempo non è richiesta e chi ha qualche timore può sempre dare una sbirciatina senza essere visto. Chi ha dubbi può chiedere e il più delle volte i bambini per i quali si teme risponderanno cose di questo genere: “È solo un gioco mamma, ci stiamo divertendo!”. Possiamo ricordare ai più vulnerabili che se non dovessero sentirsi a proprio agio noi siamo lì per loro. Se avete una relazione di fiducia, state certi che in caso di bisogno vi chiameranno.


Comunque, se vi preoccupate per l’incolumità fisica, seguite il vostro intuito e controllate la situazione. Quando i bambini stanno bene emotivamente perlopiù giocano senza farsi male; ciò nonostante possono verificarsi situazioni oppressive. Ho avuto in terapia adulti che avevano subìto intimidazioni, abusi, molestie dai fratelli e non hanno idea del perché i genitori non l’abbiano mai scoperto.


Una madre mi chiamò perché era preoccupata dopo aver scoperto che il figlio di sei anni era stato chiuso in uno sgabuzzino da un nuovo amichetto, mentre gli adulti si intrattenevano in un’altra stanza. Visto che si trovava a casa di estranei, il bambino non aveva avuto il coraggio di esprimere la sua paura, e tuttavia in seguito si era confidato con la madre.


Un bambino il cui senso di potere è intatto non ha bisogno di ricorrere al bullismo o ad atteggiamenti distruttivi, mentre può benissimo farlo un bambino che si senta incompetente o inetto, soprattutto se non ha modo di esprimersi. A volte siamo sorpresi nello scoprire che il nostro tranquillo e adorato bambino ha violato i diritti fisici di un fratello o di un amico:


Un giorno, all’improvviso e in contrasto con il suo carattere, Jeremy, che ha nove anni, inizia a spingere il fratellino a terra e a bloccarlo. Continua a farlo tutti i giorni nonostante l’evidente disappunto del fratello. Martha, la mamma, è stupefatta, Jeremy è sempre stato un bambino gentile; non ha idea di quale possa essere la causa visto che né lei né il marito lo hanno mai sopraffatto. Ogni giorno siede con lui e ne parla, cercando di capire i motivi.

“Hai un senso di potere quando blocchi tuo fratello?”, gli chiede Martha in una delle loro conversazioni.


“Non lo so”, risponde Jeremy, “non riesco a controllarmi.”

“Lo so, ma che tipo di soddisfazione ottieni?”, continua Martha.


Jeremy resta in silenzio e sembra perso dentro se stesso. Quando rialza lo sguardo, c’è un sorriso di vittoria sul suo volto e annuncia: “Ho capito!”


Racconta alla madre di essere stato sopraffatto da un ragazzino più grande al campo estivo e il suo bisogno di costringere il fratello a stare sotto di lui è iniziato quel giorno. L’autoanalisi di Jeremy è abbastanza chiara da aiutarlo a vedere, con rimorso, cosa ha fatto al fratello. Mentre parla dell’incidente al campo estivo, dà voce a una notevole dose di paura.


“Ho avuto tanta paura, mamma, e mi vergognavo di essere così debole!”

“Il bambino che ti ha buttato per terra e ti ha bloccato era più grande di te?”, chiede Martha con un tono molto dolce e affettuoso.


“Sì, era grande e grosso, io mi sentivo così piccolo!”


Martha continua ad ascoltare e a mostrare interesse. L’aver potuto parlare dei propri sentimenti, con la madre che li avvalora e lo ascolta attenta, fa sì che Jeremy non abbia più bisogno di sottomettere il fratello.


Ogni volta che vostro figlio se la prende con qualcuno più piccolo di lui, verificate che non si senta impaurito per via di qualcosa che è successo a casa o fuori. Essere controllati o spaventati provoca comportamenti aggressivi come mezzo per riguadagnare una certa misura di potere e rispetto di sé. Per fermare le pericolose manifestazioni fisiche di forza, siate sempre attenti al bambino; interessatevi alla sua vita a casa e fuori, con gli amici e i familiari. Ascoltatelo con attenzione; aiutatelo a esprimere i sentimenti facendo domande che li avvalorino: “Vorresti poter indossare i vestiti di tua sorella ogni volta che vuoi?”, “Vuoi giocare con lei a modo tuo?”, “Ti sei spaventato quando ti ha minacciato?”. Offritegli dei modi per avere un impatto su ciò che lo riguarda, fate giochi di potere con i più piccoli, date ai grandi l’occasione di condividere i propri sentimenti e di sentirsi alla guida della propria vita.


Gi adulti fanno fatica a stare insieme, e lo stesso vale per i bambini; non aspettatevi che riescano a stare con gli altri oltre i propri limiti. Per evitare rivalità e conflitti date a ognuno l’attenzione, il cibo e le attività mirate di cui ha bisogno. Un bambino aggressivo o fastidioso si sente debole o ha un disperato bisogno di potere: offrirgli la vostra attenzione è la gentilezza più grande che potete fare per lui. Potete leggergli un libro, fare un gioco di potere, una passeggiata con tutti gli altri bambini o unirvi al loro gioco.


Aver fiducia nei bambini non vuol dire trascurarli. Purché evitiamo di prendere le parti di qualcuno e non li priviamo del loro potere, possiamo intervenire, dare il nostro contributo e offrire le cure dovute. Quando i genitori mi confidano (nei laboratori e nelle sedute private) gli abusi subìti, il solletico e le umiliazioni sofferte per mano dei fratelli, il loro desiderio è sempre quello che i genitori fossero intervenuti. A volte capita che si facciano male sul serio e abbiamo più probabilità di prevenire simili incidenti se andiamo incontro ai bisogni emotivi fondamentali di ogni bambino e siamo presenti nelle loro vite.

Non è necessario mettere alla prova la forza emotiva dei bambini lasciandoli giocare insieme da soli più del dovuto rispetto alle loro capacità. Non vorreste essere sottomessi da un vostro amico mentre la vostra adorata moglie è nell’altra stanza e non interviene. I bambini meritano la nostra protezione e contano su di noi per questo, sicché presumono che se non facciamo niente vuol dire che il modo in cui sono trattati è giusto. Evitate contesti sociali in cui le cose non funzionano, date a tutti l’attenzione necessaria e attività mirate così che giocare insieme non sia troppo pesante ma diventi un piacere per tutti.

Il solletico

Di solito sono gli adulti a prendere l’iniziativa del solletico, ma molte persone non lo amano e certo non lo faremmo a un altro adulto. Perché dunque pensiamo che i bambini si divertano? In realtà essi lo odiano, a meno che non esercitino un potere sul gioco del solletico, il che vuol dire a meno che non lo scelgano e non ne controllino i modi e la durata. Se un adulto fa il solletico a un bambino che non ha voce in capitolo, al bambino non piacerà. È una violazione del corpo, proprio come qualsiasi dolore fisico, e non differisce dalle percosse. La risata irrefrenabile prodotta dal solletico non è una libera espressione di gioia. Se il bambino riuscisse a riprendere fiato, le risate sarebbero infatti frammiste a grida come “Fermo!”, “No!”, “Basta!”. Talvolta il solletico è una tale sopraffazione che il bambino non riesce a dire una parola. Abbiamo già visto che sentirsi indifeso e sopraffatto lo porterà a esprimere il disagio con l’aggressività o altri modi distruttivi. Oltre alla sofferenza del solletico, il bambino imparerà dall’esperienza a violare il corpo di un altro e a soccombere alla violazione del proprio.


Per quanto la maggior parte dei bambini, potendo scegliere, non vorrà farsi fare il solletico, può capitare che ogni tanto sia divertente fare il gioco del solletico, ma solo quando il bambino non rinuncia al proprio potere. Una sola volta mi è capitato di vedere gioia durante questo gioco. È stato quando una bambina di tre anni ha chiesto alla madre di toccarla sotto il braccio; ha sollevato il gomito e la mamma con dolcezza gli ha passato rapidamente le dita sotto l’ascella per un secondo, fermandosi subito quando la figlia si è sottratta. Ridendo, la bambina le ha chiesto di farlo ancora; poteva divertirsi perché guidava lei il gioco e la madre la assecondava. Sono fattori di norma assenti in gran parte degli episodi di solletico, che il più delle volte lasciano i bambini indifesi e quantomai desiderosi di sottrarsi.


In un’altra occasione, un bambino mi raccontò di un gioco col solletico che gli era piaciuto. Lui e i due fratelli stavano sul letto e si spingevano giù a vicenda facendosi il solletico. Come per il gioco precedente, il controllo e il potere erano equamente distribuiti fra i tre partecipanti, liberi di scegliere quando ritirarsi e giocando in entrambi i ruoli di chi faceva e di chi subiva il solletico.

La lotta

La lotta fra genitori e figli non insegna ai figli a essere violenti, a meno che i bambini non siano violati. Se il genitore si riserva il ruolo dello svantaggiato, permette al bambino di soddisfare il proprio desiderio di sentirsi forte. In questo caso si tratta di un vero e proprio gioco di potere terapeutico. Se, invece, il genitore sopraffà il figlio e lo blocca, lo solleva senza il suo consenso, gli fa il solletico, lo controlla o evoca comunque in lui un senso di inettitudine, il bambino esprimerà la propria frustrazione imitando il comportamento del genitore, sopraffacendo una persona più piccola così come è stato fatto a lui, oppure mostrando altri sintomi di stress.


La vita riserva ai bambini già molte esperienze che li fanno sentire piccoli e inermi, non c’è bisogno di aggiungerne altre. Il vostro ruolo è di dare al bambino l’opportunità di sentirsi autonomo e di imparare da voi con quanta gentilezza chi è più forte tratta chi è più debole.

Il bambino ubbidiente

Non tutti i bambini esprimono il disagio di sentirsi deboli e inermi con giochi di potere o aggressività. Alcuni tendono a essere compiacenti, sperando di conquistare l’approvazione del genitore ed evitare la sua ira. Interiorizzano il proprio senso di impotenza, che potrà manifestarsi poi in depressione, difficoltà di apprendimento, malattie o altre difficoltà fisiche, emotive o comportamentali. È perciò di vitale importanza offrire a un bambino obbediente occasioni per sentirsi forte e autonomo. Una volta capito che non perderà la vostra approvazione, reagirà benissimo ai giochi di potere. Poiché un bambino intento a compiacere gli altri è più soggetto a insicurezze e al timore di esternare le proprie frustrazioni, bisognerà che sperimenti il vostro amore in un momento in cui non è compiacente. Deve riconquistare la libertà di scegliere di obbedirvi non per timore di perdere la vostra approvazione, ma per il piacere autentico di farlo. Per conquistare tale libertà deve potersi sentire meritevole e capace, non solo quando fa quello che piace a voi, ma soprattutto quando è semplicemente se stesso, e anche quando vi disobbedisce.

Miranda, dieci anni, ha l’abitudine di dire sì quando vorrebbe dire no. Dopo una seduta con me, i suoi genitori capiscono che lodare il suo atteggiamento collaborativo e avere grandi aspettative la rende insicura e troppo timida per affermarsi. Si preoccupano e vorrebbero incoraggiarla a sentirsi forte e assertiva. Iniziano raccontando a Miranda i loro momenti di impotenza, per non farla sentire sola. Si fanno attenti a ogni minimo segno di ribellione sublimata.

Un giorno, tornando dalla spesa, il padre le chiede se vuole aiutarlo a sistemare gli acquisti, Miranda sospira e poi dice: “Oh, va bene!”

Il padre coglie l’occasione e ribatte: “Hai esitato, sei sicura di voler aiutare?”

“Sì, ti serve il mio aiuto!”

“Possiamo anche farne a meno se ci sono altre cose che preferisci fare adesso!”

“Va bene, allora preferirei giocare!”. Miranda guarda il padre timidamente e lui le sorride: “Ottimo, vai a giocare!”, le dice, e lei lascia la stanza.

Un’espressione tipica di impotenza è proprio il bambino docile che non riesce a dire di no. È meglio non chiedere di fare cose che non hanno una buona probabilità di essere apprezzate. Se davvero vi serve un aiuto fate sapere che ne avete bisogno oppure chiedete al bambino se ha voglia di aiutarvi, ma siate pronti ad accettare un “no” come risposta. Se vi accorgete che un “sì” non è sincero, rassicurate vostro figlio sul fatto che non avete aspettative, in modo che sia libero di essere onesto e assertivo con voi. Magari aiuterà pochissimo, ma quando lo farà la sua scelta sarà autentica e contribuirà a determinare una percezione positiva della sua persona. Agire di propria volontà per aiutare un altro lo farà sentire forte e capace, anziché impotente e risentito; gli resterà un buon ricordo dell’azione compiuta. Se temete che non impari mai a fare le cose che non sono divertenti, ricordate che ogni cosa è una gioia quando è una libera scelta, e viceversa.


Costringere i bambini a collaborare nelle faccende contro la propria volontà potrebbe essere il motivo per cui molti adulti detestano i lavori di casa.


Se vogliamo aiutare i figli a soddisfare il loro bisogno di sentirsi forti e capaci, il nostro compito è quello di essere attenti sia alle manifestazioni estroverse di impotenza (rabbia e aggressività), sia a quelle introverse (obbedienza, apatia, comportamento sempre obbediente). Il bambino assertivo che si ribella allo scopo di soddisfare i propri bisogni, attirerà la vostra attenzione. Colui che invece reprime i propri sentimenti avrà bisogno che vi facciate avanti, gli parliate, lo legittimiate e stabiliate un contatto in modi che possano aprire le porte della sua assertività.


Dovrete anche scoprire in che modo avete trasmesso a vostro figlio il messaggio che avrebbe guadagnato la vostra approvazione con la compiacenza e che affermare se stesso era rischioso. Perdonatevi, avete fatto del vostro meglio e state imparando. Se avete usato lodi, ricompense, minacce e/o disapprovazione, fategli sapere che avete capito il vostro errore e vorreste smettere di usare la manipolazione. Fategli sapere che la sua autonomia e la sua libertà sono importanti per voi. Mostrategli il vostro amore inamovibile e incondizionato quando osa addentrarsi fuori dal terreno delle vostre aspettative, e anche in ogni altra occasione.

Imparare a fare affidamento su se stessi

Un bambino si sente forte quando genera le proprie esperienze. Se lo “salviamo” da esperienze che consideriamo “fallimentari” lo priviamo della capacità di gestire la sua forza. Togliamoci di torno e permettiamogli di arare il suo campo. Magari dovrà provarci e riprovarci prima di ottenere ciò che vuole, però svilupperà la fiducia in se stesso e nelle proprie capacità. La forza non è il risultato di un successo costante, ma dell’abilità di sopportare il fallimento e riprovarci più e più volte.


Molti genitori si sentono a disagio quando vedono i figli che subiscono una frustrazione, oppure faticano a lasciargli prendere da soli decisioni all’apparenza poco sagge. Presumono che aiutando il bambino a rendere il suo sforzo un successo, costruiranno la sua autostima e genereranno sentimenti positivi. L’autostima, però, ci viene da noi stessi e non dagli altri; un aiuto non richiesto è, pertanto, un insulto e un danno al senso di forza del bambino e allo sviluppo della capacità di fare affidamento su se stesso.


Se mai i bambini dovranno compiere scelte responsabili, è necessario che facciano pratica. Non significa che resterete a guardare mentre vostro figlio distrugge i suoi sogni, i suoi progetti o il suo benessere. Si possono dare informazioni in modo rispettoso se rispondiamo alle richieste dei figli senza fare nostri i loro progetti. Una volta ottenute le informazioni o capito come si fa, hanno bisogno di esercitare la propria forza scegliendo la direzione da seguire. I tentativi e gli errori sono i loro e non ci sarà spazio per recitare la parte della vittima o lasciarsi andare al biasimo; allo stesso modo, anche tutti i trionfi gli apparterranno in pieno.


Sin da quando sono piccolissimi, potete ricordare a voi stessi di non aiutare i vostri figli a meno che non ve lo chiedano. La torre di mattoncini magari cadrà se se ne aggiunge uno in più; forse un’amicizia finirà se vostro figlio insiste con il suo piano strambo, è probabile che senza un aiuto non riesca a partecipare alla fiera della scienza con il suo progetto. A meno che non sia lui a chiedervi un intervento specifico, è meglio non salvare la torre, né l’amicizia, e non far sì che il progetto scientifico abbia successo. Quando un aiuto è richiesto, offrite solo quello specifico voluto dal bambino; è meglio non mettersi a costruire una nuova torre al suo posto, né suggerire come ricucire l’amicizia o far nostro il progetto di scienze. Potete condividere i vostri sentimenti ma fate solo quello che vi viene chiesto, nulla di più. Anche solo offrire aiuto chiedendo: “Vorresti sapere come funziona?”, può essere percepito dal bambino come un insulto. Se però sapete che, semmai, non esiterà a rifiutarlo, potete offrirvi di condividere con lui ciò che sapete.


È vero che noi adulti siamo al mondo da più tempo, però un giovane essere umano ha comunque il diritto di camminare per la sua strada. La nostra esperienza non può diventare un modo per evitargli di saggiare il proprio cammino. Non c’è bisogno che evitiamo di dare informazioni se queste ci vengono richieste, però dobbiamo fidarci dei figli per l’uso che ne faranno. Quando gli errori li metteranno di fronte al disappunto o alla sofferenza, la nostra fiducia nella loro resilienza emotiva sarà il sostegno più grande che potremo mai offrire, come nel caso di Mary e del suo piccolo Rhys, di due anni:

Mary ricorda lo sguardo sul volto di Rhys quando è caduto correndo. Lei non si è mossa per prenderlo, non ha detto una parola. Lui l’ha guardata e lei ha sorriso tranquilla senza dire nulla. Anche lui poi ha sorriso, si è alzato e ha continuato a correre.

Un anno dopo, Rhys cade dal triciclo, Mary lo vede dalla finestra, il triciclo gli cade addosso e lui lancia un grido. Lei si slancia verso la porta a vetri ma resta in casa senza farsi notare, solo osservando con attenzione per vedere se c’è bisogno di aiuto. In pochi secondi il piccolo smette di piangere, si alza, tira su il triciclo e pedala via.

Un bambino è libero di dar vita ai propri sentimenti se non gliene forniamo di già confezionati. Anche predire gli eventi ha effetti altrettanto disastrosi sulla forza del bambino. Avvertimenti ben intenzionati del tipo: “Attento, puoi cadere!”, “È pericoloso!”, “Potrebbe non funzionare!” o “Non credo che ti piacerà!” hanno il potere di scoraggiare il bambino, che perderà fiducia in se stesso e non rischierà. Si possono dare informazioni su dati di fatto come: “Il giaccio è scivoloso!”, “Questa cosa è bollente e pesante!”, o “Non credo che facciano stare a piedi nudi nel ristorante”, ma a meno che l’incolumità non sia a rischio, permettiamo al bambino di fare le sue scelte.


Per ottenere di più e sfidare se stessi, spesso i bambini scelgono la via più irta di difficoltà; fategli capire che qualunque siano le circostanze hanno i mezzi per affrontare la vita. Fate che imparino come funziona la vita attraverso la loro esperienza personale.

Crescere i nostri figli crescere noi stessi
Crescere i nostri figli crescere noi stessi
Naomi Aldort
Eliminare i conflitti e i litigi con i nostri bambini grazie all’amore incondizionato.Un approccio efficace per costruire relazioni autentiche e gratificanti con i propri figli, senza ricorrere a punizioni e minacce. Crescere i nostri figli, crescere noi stessi prende le mosse da una premessa radicale: né il bambino né il genitore devono dominare.Un libro di Naomi Aldort, famosa esperta di genitorialità, per tutti coloro che desiderano smetterla con i rimproveri, le minacce, le punizioni e vogliono rinunciare al controllo in favore dell’autenticità. Conosci l’autore Naomi Aldort è un’esperta di genitorialità; i suoi articoli, le sue conferenze e consulenze sono note a livello internazionale. Genitori da ogni parte del mondo approfittano della sua guida, per telefono o di persona.Cura il sito authenticparent.com