Luca Palmarini

Università Jagellonica

Janusz Korczak e il suo tempo

Janusz Korczak, il cui vero nome era Henryk Goldszmit, fu scrittore, poeta, redattore, pediatra, pedagogo, libero pensatore. 

A causa delle sue origini ebraiche, assieme a duecento bambini ospiti di quella Casa dell’Orfano che dirigeva da circa trent’anni a Varsavia, nel 1942 venne deportato nel campo di sterminio di Treblinka. Considerata la sua notorietà anche agli occhi dei tedeschi, gli venne offerta una via di fuga che però egli rifiutò, convinto del fatto che un padre non avrebbe mai abbandonato a se stesse le proprie creature. 

Janusz Korczak aveva trovato la chiave per entrare nel mondo dei più piccoli. 

Egli fu il precursore della lotta a favore di un totale riconoscimento dei diritti del bambino. Infatti, nelle istituzioni da lui fondate il pedagogo polacco introdusse numerose novità interessanti, tra cui, ad esempio, si possono citare l’autogestione dei bambini, o il giornalino dove i bambini potevano scrivere ed esprimere in autonomia le proprie idee. 

Per meglio comprendere la poliedrica figura di Korczak bisogna rammentare il contesto storico in cui egli si venne a trovare, con particolare accenno al periodo tra le due guerre, quando la Polonia era tornata ad essere indipendente. 

Il vecchio dottore visse la sua età matura in un periodo complesso, di acceso antisemitismo, a cui egli contrappose le sue teorie di uguaglianza, rispetto e giustizia sociale.

L’antisemitsimo nella Polonia tra le due guerre

La fine della Grande Guerra ebbe come conseguenza il trionfo delle teorie nazionalistiche che in buona parte si espresse in modo inaspettato e violento. Un caso particolare fu senza dubbio quello dell’Europa centro-orientale che in quel periodo vide la nascita di nuovi stati (Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Lituania, Lettonia e Estonia) e i tentativi della creazione di altri (Ucraina, Bielorussia e Repubblica dei Lemko). Il vuoto lasciato dalla disgregazione dell’impero austro-ungarico e dalla caduta delle monarchie russa e tedesca, oltre all’euforia per le possibilità d’indipendenza di diversi popoli, portò anche una forte incertezza sulla demarcazione dei nuovi confini e dei sistemi politici degli stessi paesi interessati. Sotto la spinta degli allora incalzanti nazionalismi tutte le diverse comunità diventavano dei potenziali nemici; anche la componente ebraica non ne era esclusa. 

In particolare, la Polonia non aveva nessun confine ben definito né a occidente, né a oriente, così come né a meridione e né a settentrione. Questa situazione di forte instabilità avrebbe portato a tre insurrezioni slesiane e a una sollevazione nella regione di Poznań per scacciare le truppe tedesche che ancora stazionavano in questi territori, a due guerre, una con la Cecoslovacchia e l’altra con l’Unione Sovietica e ancora a un colpo di mano militare per la presa della regione di Vilna, la Gerusalemme del nord, oggi Vilnius, città allora a maggioranza polacca ed ebraica, ma assegnata dalla Società delle Nazioni alla Lituania. In tale caso la Polonia optò per una rapida annessione di Vilna e della regione circostante, facendo valere le sue richieste con una prova di forza. 

In questo contesto di profonda incertezza e tensione si inserisce la questione ebraica in Polonia. Come in altre parti d’Europa anche nelle terre polacche l’antisemitismo esisteva già in precedenza. Durante il periodo delle tre spartizioni tale fenomeno era ampiamente tollerato, soprattutto nella zona di spartizione russa e in parte in quella tedesca.
Dal primo importante censimento della Polonia indipendente, che ebbe luogo nel 1921, si viene a conoscenza del fatto che la popolazione in Polonia era composta da quasi 26 milioni di abitanti e che ben un terzo di essi si era dichiarato di un’altra nazionalità che non fosse quella polacca. Le minoranze etniche più numerose erano quelle degli ucraini e degli ebrei. Per molti polacchi, usciti da 123 anni di spartizioni, occupati e sottomessi da tre diversi paesi, con altre nazioni vicine che rivendicavano gli stessi territori, la questione delle minoranze nazionali era percepita come una minaccia all’integrità dello Stato polacco, quindi, per l’ennesima volta, anche il quel momento di euforia per la conquista della libertà, pregiudizi e diffidenza ebbero il sopravvento. 

Secondo il succitato censimento, nel 1921 in Polonia abitavano circa 2 milioni di ebrei, il che corrispondeva all’incirca all’8% della popolazione1. Si trattava della più grande comunità ebraica in Europa, se si esclude quella presente in Unione Sovietica. La maggior parte degli ebrei polacchi era in larga parte appartenente alla fascia povera, ovvero il proletariato, mentre l’intellighenzia, in un rapporto numerocomunità, era decisamente inferiore a quella polacca, ma essa sarebbe comunque risultata essere di grande peso nel destino della nazione. 

Dopo il Settecento e l’Ottocento, secoli in cui la comunità ebraica si divideva tra villaggi, piccoli e grandi centri urbani, a cavallo tra il XIX e il XX secolo gli ebrei polacchi mostrarono una certa tendenza a essere un “popolo di città”. Nel secondo grande censimento, avvenuto nel 1931, più del 75% di essi abitava nei grandi centri urbani. Sempre nello stesso censimento si sottolinea che gli ebrei che parlavano yiddysh erano quasi il 90%, mentre soltanto l’8% parlava l’ebraico. Molti di essi erano comunque assimilati e parlavano fluentemente la lingua polacca, proprio come Janusz Korczak.
Nei primi anni dell’indipendenza della Polonia una decisa influenza sull’andamento della politica e il rapporto con la comunità ebraica la ebbero senza dubbio gli accordi internazionali del primo dopoguerra. Alla conferenza di pace di Parigi venne invitata anche una delegazione ebraica con la quale le potenze vincitrici discussero dell’autonomia degli ebrei in Polonia. Al termine delle trattative venne firmato con la Polonia un documento sulle minoranze nazionali di questo paese. 

Due punti di questo memorandum riguardavano proprio la comunità ebraica: il primo salvaguardava l’esistenza delle scuole ebraiche, amministrate dagli ebrei stessi, ma finanziate dallo Stato polacco. Nel secondo punto lo Stato polacco si impegnava a riconoscere la festa dello Shabbat. Ciò provocò la forte irritazione degli ambienti nazionalisti polacchi che volevano l’annullamento di queste concessioni, in quanto, a parer loro, esse erano una limitazione per l’elemento polacco e un segno di debolezza del governo in politica estera. I partiti di destra gettavano benzina sul fuoco incitando continuamente a provocazioni e a marce di protesta, spesso di carattere antisemita. D’altra parte, dal punto di vista della partecipazione alla vita politica, gli ebrei erano automaticamente esclusi dai grandi partiti polacchi: dal partito dei contadini, in quanto la comunità ebraica non si sentiva appartenente a questa classe, dal partito cattolico per ovvi motivi, così come dai partiti nazionalisti polacchi. Una parte degli ebrei trovava una certa affinità di idee nei partiti di sinistra che però in Polonia erano osteggiati dalla stragrande maggioranza della popolazione. Allo stesso modo era malvista la scelta di non schierarsi. Tutto ciò alimentava ulteriore rancore e sospetto. 

Quello che sorprende è come in quegli anni l’antisemitismo dalle strade fosse arrivato anche alle stanze del potere; l’atteggiamento di ostilità nei confronti degli ebrei era dunque diventato anche una questione politica. La maggior parte delle formazioni politiche iniziava a vedere in questa comunità un pericolo (o forse esse intravedevano nella sua demonizzazione una possibile affluenza di voti a loro favore). Questo pensiero, però, non aveva affatto un aspetto unanime: in effetti, la sinistra polacca (rappresentata soprattutto dal partito socialista, il PPS) non si mostrava antisemita, ma guardava all’assimilazione dell’elemento ebraico come a un fattore irrinunciabile. La destra, invece, rappresentata soprattutto da Demokracja Narodowa e capeggiata da Roman Dmowski, pavoneggiava la teoria del collaborazionismo ebraico con i tedeschi o, a volte, persino con i sovietici. 

Nel primo decennio dell’esistenza dello Stato polacco la discriminazione, espressa anche con atti di violenza, fu assai palpabile, per poi aumentare violentemente con gli effetti della crisi economica mondiale del 1929. Quello che si vuole sottolineare è che come il livello di odio raggiunga l’apice sempre a seguito di una grave crisi, sociale o economica che sia. Per esempio, se torniamo indietro di qualche anno, durante la Grande Guerra, quando la Polonia era divisa e sul suo territorio passava la linea del fronte, gli episodi di attacchi e violenze degli eserciti occupanti verso i villaggi a maggioranza ebraica furono assai numerosi. Eccone una testimonianza: 

Myszyniec. Una cittadina di confine. La piazza principale. Negozi saccheggiati, finestre spaccate, porte sfondate. Gli edifici sono già bruciati. Non ci sono quasi più abitanti, non c’è più un solo ebreo. Carri di accampamenti militari, cavalli, fanteria e cavalleria. Ho detto che non c’è più un solo ebreo: ne è rimasto uno invece, vecchio e non vedente. Attraversa la piazza, tasta la strada con il suo bastone, riesce stranamente a scansare i carri, si sposta lento attraverso quel fiume di cavalli e uomini. Forse non ha famiglia o forse lo hanno abbandonato nella fuga? No, lui è restato perché lo ha scelto: a Myszyniec sono rimasti la sinagoga e il cimitero. 

L’autore di queste parole, scritte nel 1918, è proprio Janusz Korczak (Korczak, 1918: vol.14, 7) che era stato mandato al fronte come medico dell’esercito russo. La sua testimonianza del livello d’odio allora raggiunto è davvero struggente. 

Sempre nello stesso anno la popolazione polacca di Leopoli, esasperata dalla guerra e dell’incertezza, mise in atto un pogrom. L’isteria collettiva raggiunse il suo apice quando di lì a poco, ovvero nel 1920, sarebbe scoppiata la guerra polacco-bolscevica. Molti ebrei che combattevano per la Polonia vennero internati in un campo di prigionia. Infatti, la paura che tradissero lo Stato polacco era molto alta. Insomma, durante la guerra e gli anni di crisi che ne susseguirono, l’antisemitismo già preesistente aumentò nel suo aspetto pratico. 

Nella seconda metà degli anni Venti il sentimento di odio verso gli ebrei sembrò sopirsi. Il comandante supremo dello Stato, il maresciallo Józef Piłsudski, uomo dotato di grande carisma, pose freno, con la sua politica autoritaria, a questa spirale di odio. Anche il governo sembrava essere più aperto nei confronti della minoranza ebraica. Purtroppo si trattò di una calma effimera. Nel 1929 il mondo venne sconvolto dalla succitata crisi economica innescata da Wall Street e l’antisemitismo in Polonia, così come in altri paesi, riprese vigore. Il passaggio dalla democrazia a un maggiore autoritarismo, insieme agli avvenimenti convulsi che stavano sconvolgnedo il mondo, spingevano all’isolamento degli ebrei dalla vita economica e intellettuale del paese. 

La morte di Piłsudski fu un momento di svolta. La sua dittatura, più che un legame con un dato partito o sistema, aveva mostrato un carattere personale con il quale il comandante supremo si era opposto al desiderio, espresso da una parte della popolazione, di marginalizzazione dell’elemento ebraico. Venuta a mancare questa autorità, l’antisemitismo riprese vigore anche nella sfera politica. 

In seguito al ripetersi di persecuzioni psicologiche e fisiche a scuola il numero degli studenti ebrei era diminuito sensibilmente. In alcune università venne persino introdotto il numerus clausus norma che, sebbene creata per dare più possibilità di studiare ai ragazzi provenienti dalle campagne, sembrava avere come fine quello di emarginare proprio gli ebrei. La loro presenza numerica, infatti, non doveva superare l’8%, ovvero rimanere rapportata alla percentuale di questa minoranza su scala nazionale. Prima di questa legge nelle facoltà di diritto e medicina il numero degli ebrei iscritti arrivava quasi al 50%, quindi le nuove generazioni di questa comunità avevano minori possibilità di accesso agli studi rispetto agli anni precedenti. In alcune scuole venne persino introdotto il “getto ławkowe”, il ghetto tra i banchi, ovvero l’obbligo di far sedere gli ebrei in banchi separati da quelli dei polacchi2.
L’intolleranza verso gli ebrei salì d’intensità tra il 1935 e il 1939, assumendo forme diverse: dagli sforzi legislativi del governo, agli attacchi di carattere fisico. Una delle armi più dirompenti restava il boicottaggio economico delle attività ebraiche. Molti polacchi venivano messi sotto pressione da fautori della discordia affinché non facessero affari con la comunità ebraica. L’estrema destra polacca rendeva pubblici nomi e cognomi di chi non partecipava al boicotaggio. Quest’ostracismo purtroppo sfociò in successive violenze. Tra il 1935 e il 1937 un’ondata di pogrom, che toccò 150 centri abitati, portò alla morte di una trentina di persone, mentre i feriti furono quasi 2000. Senza dubbio le formazioni radicali di destra ebbero le loro responsabilità nell’aizzare la folla, ma molte di queste violenze furono soprattutto di carattere spontaneo. 

Prima dello scoppio della II guerra mondiale nella comunità ebraica regnava un grande timore, ma allo stesso tempo c’era una sorta di paradossale euforia. Molti ebrei provavano una certa soddisfazione a sentirsi parte integrante dello Stato polacco, nell’avere una patria per la cui esistenza volevano combattere. Infatti, molti di essi si arruolarono immediatamente come volontari, altri finanziarono raccolte di denaro a carattere patriottico. Alcuni, entrando a far parte delle forze armate, provavano finalmente la sensazione di sentirsi polacchi. Come si può facilmente intuire, con lo scoppio della guerra la questione ebraica passò in secondo piano, ma l’antisemitismo sarebbe rimasto ben radicato3. Di lì a poco si sarebbero succedute l’occupazione e lo sterminio. È doveroso sottolineare come agli antisemiti polacchi si siano invece contrapposti altri polacchi che decisero di aiutare molti ebrei, cercando di salvarli dallo sterminio, venendo spesso anch’essi condannati a morte4.

Janusz Korczak e il suo dualismo ebreo-polacco

In questo contesto storico della Polonia tra le due guerre mondiali, dei difficili rapporti tra polacchi e comunità ebraica, dell’incitamento all’odio e alla guerra, si inserisce la figura di Janusz Korczak che propone una visione del mondo totalmente opposta, in cui si crede fermamente che l’elemento polacco e quello ebraico possano convivere. Korczak non si dimenticherà mai della tradizione ebraica e avrà occasione di sottolinearlo anche tramite la sua produzione letteraria. Il vecchio dottore comprese che attraverso la scrittura si possono aprire spazi sconfinati e che la letteratura, nei suoi molteplici aspetti, è ben più forte delle atrocità della guerra. 

Come sappiamo, Korczak era un assimilato, ma egli nella sua vita scelse di rimanere sempre interessato a tutte le diverse correnti dell’ebraismo. Non si faceva problemi nel criticarne anche gli eventuali limiti. Egli non manterrà, comunque, una posizione neutrale super partes, ma semplicemente opterà per l’accettazione di tutti, per la multiculturalità. 

Korczak mantenne un rapporto equidistante tra lo stratificato nazionalismo ebraico e gli ambienti filopolacchi degli assimilati. Lo dimostrò pubblicando sia sulla stampa polacca che su quella ebraica. Il suo dualismo ebraico-polacco, fatto anomalo tra gli scrittori assimilati, viene anche confermato da come egli si firmava. Sappiamo infatti che Korczak era il nome di un cavaliere polacco del XVII secolo, protagonista dell’opera Historia o Janaszu Korczaku (1874) di un grande della letteratura polacca, Józef Kraszewski, molto amato nell’ambiente degli ebrei assimilati. 

Negli articoli riguardanti la medicina e la pedagogia alcune volte troviamo anche l’utilizzo del vero cognome di Korczak, Goldszmit, a testimonianza del fatto che l’autore non voleva dimenticare le sue radici, bensì dimostrare a chi lo accusava di non aver affatto abbandonato il suo popolo. Nei suoi articoli Korczak non esitava a citare spesso la letteratura yiddish; egli comprendeva questa lingua, sebbene non la parlasse, ritenendola comunque parte integrante della sua cultura. 

Questo suo dualismo, saggio e moderato, fu allora oggetto di un doppio attacco da parte di entrambi i nazionalismi. Alcuni ebrei più conservatori gli rimproveravano la sua ironia verso la comunità d’origine, alcuni polacchi, invece, lo attaccavano proprio per il fatto che metteva troppo in evidenza la tradizione ebraica. Queste accuse riguardavano anche la sua attività di pedagogo nelle colonie estive, perché Korczak permetteva che i ragazzi a lui affidati parlassero in yiddish. Secondo alcuni, invece, ciò avrebbe complicato una possibile integrazione di quei giovani nella società della Polonia di allora (Tommassucci, 2014: 150). Korczak non vietò mai ai suoi bambini di parlare yiddish, né mai suggerì a qualcuno di accantonare questa lingua. Si trattava piuttosto di un doppio binario, di una pacifica convivenza, anche interiore, ulteriore esempio di tolleranza del vecchio dottore. 

Nei testi letterari di Korczak si nota come il tema dell’antisemitismo venga combattuto con l’utilizzo del sarcasmo. Ciò avviene in modo più profondo che nella sua opera pedagogica (Tommassucci, 2014: 151). 

Durante l’ondata di crescente antisemitismo degli anni Trenta Korczak visse un momento di crisi della sua vocazione. Il denaro a disposizione per la sua attività era sempre meno, i suoi collaboratori, pressati dall’odio imperante verso la comunità ebraica, sembravano essere diffidenti nei confronti di tutti, persino dello stesso Korczak. Come sempre al vecchio dottore vennero incontro in bambini: 

Un ragazzo che stava lasciando la casa degli orfani mi disse: “se non fosse stato per questa casa, non sarei venuto a conoscenza del fatto che al mondo ci sono persone oneste che non rubano. Non sarei venuto a sapere che è possibile dire la verità. Non sarei venuto a sapere che al mondo esistono equi diritti” (Korczak, Pamiętniki: 82). 

La letteratura fu da sempre una delle passioni di Korczak. Come per molti altri, essa costituiva una fuga dalla famiglia e dalle regole troppo strette che imponeva la società: Ne Il diario del ghetto, lo scrittore ebreo-polacco racconta che fin da ragazzo era un lettore accanito e che per lui esistevano solo i libri (Korczak, 1997: 96). Il vecchio dottore invogliava sempre i suoi bambini a leggere: nel mondo in cui si entrava leggendo le barriere culturali venivano abbattute, le differenze tra l’essere ebrei e l’essere polacchi si assottigliavano, così come sembravano scomparire differenze religiose e di classe. Anche per questo il pedagogo decise di mettere la lettura e la scrittura a disposizione dei più piccoli. 

Korczak riesce a presentare il suo dualismo anche nel caso dello Shtetl, il villaggio ebraico nella profonda campagna polacca. Si tratta di un fatto inusuale in quanto, come accennato, egli era un ebreo nato e cresciuto in città. Nonostante ciò, Korczak non si fa remore nell’esporre un legame con quel mondo antico che resta sempre uno dei punti di partenza di quel processo di assimilazione che la componente ebraica in Polonia stava affrontando. Si tratta di un mondo che li ha visti nascere, li ha educati e che ha aperto loro la strada verso le grandi città. Diversamente da altri autori, Korczak non miticizza lo Shtetl, non lo ritiene luogo dell’esclusiva sofferenza del popolo ebraico. Tutti secondo lo scrittore soffrono, non solo gli ebrei. Il mondo intero potrebbe essere un grande Shtetl. Da queste informazioni si evince l’idea di Korczak secondo la quale le due culture, ebraica e polacca, dovevano unirsi senza che l’una predominasse sull’altra. Era questo il dualismo in cui quell’uomo straordinario credeva.

Mały Przegląd, la rivista di Janusz Korczak, scritta e letta dai bambini

In questa sede vorrei ricordare Janusz Korczak non solo come grande pedagogo e scrittore, ma anche come fondatore e caporedattore di un giornale per bambini scritto dai bambini stessi. L’idea potrebbe forse sembrare utopica per l’epoca, ma un giornale del genere venne dato alle stampe proprio in Polonia, dal 1926 al 1939, ovvero per un periodo complessivo di 13 anni. Nei momenti di maggior splendore arrivò a raggiungere una tiratura di quasi 50.000 copie. 

Il 9 ottobre del 1926, un sabato, insieme alla copia di Nasz Przegląd, il più importante quotidiano in lingua polacca della comunità ebraica, uscì un supplemento dal titolo Mały Przegląd, La Piccola Rassegna, dedicato ai più piccoli. In quel primo numero era presente una dichiarazione dello stesso Korczak che spiegava i motivi della realizzazione dell’opera: “molti adulti scrivono solo per il fatto che non provano vergogna a farlo ma, dall’altra parte ci sono bambini che invece hanno tantissime interessanti osservazioni e idee originali, ma che non scrivono perché provano vergogna” (Korczak, 1926: MP, nr 1). Il redattore aggiunge inoltre che questo quotidiano “ha come scopo quello di invogliare i più giovani a scrivere, vuole infondere coraggio”. 

L’idea di Korczak fu semplice e geniale allo stesso tempo: pubblicare, come già accennato, vari testi per bambini scritti dai bambini stessi, testi mandati alla redazione per corrispondenza. Non si tratta del primo caso di un giornale di tal tipo in Polonia (nel 1907 a Vilna ne usciva un’altro, il cui redattore era Israel Chaim Tawiow (Landau-Czajka 2018: 26), ma di sicuro Mały Przegląd fu quello più attivo. 

Korczak invitava i bambini a scrivere alla redazione lettere nelle quali essi potessero esprimere liberamente le loro gioie, ma soprattutto le loro insoddisfazioni. L’invito era a definire quale fosse il motivo di tali sentimenti, liberi da ogni paura. Sempre sulle pagine di Mały Przegląd, Korczak affermò che “a volte non si ha voglia di dire tutto a persone a noi vicine, mentre si desidera raccontare le difficoltà della vita a qualcun altro. In questo caso la correttezza grammaticale e lo stile passano in secondo piano” (Korczak 1926, MP, nr 27). 

Mały Przegląd si rivela dunque essere un mezzo attraverso cui lottare per i diritti del bambino, per comprendere e dare attenzione a cosa per lui sia veramente importante. 

La stampa in prima pagina della lettera del simpatico bimbo Bolek che aveva scritto un’unica frase, “mi balla un dente”, ebbe l’effetto di suscitare una vera e propria discussione tra i vari corrispondenti (Gliński, 2012). Lo stesso Korczak ammise con soddisfazione che Mały Przegląd era diverso da tutte le altre riviste del mondo. I testi dovevano trattare dei problemi veri che coinvolgevano i bambini e, di seguito, anche dimostrare l’efficacia di quegli scambi epistolari. 

Generalmente il giornale non conteneva frammenti di opere letterarie già pubblicate; i racconti e gli estratti dei romanzi comparivano soltanto in estate, periodi in cui arrivavano meno lettere. Non si trattava di un giornale con un profilo stabile, i cambiamenti erano chiaramente visibili durante la sua evoluzione. Risulta naturale anche il fatto che i primi numeri erano realizzati da adulti che invogliavano i bambini a scrivere. Solo in seguito sarebbero arrivate le lettere dei più giovani. Due anni dopo l’uscita del primo numero la redazione comunicò con soddisfazione ai bambini: “il giornale è finalmente vostro”. 

I testi pubblicati erano destinati ai bambini della comunità ebraica, ma erano scritti in lingua polacca. Senza dubbio il fine didattico era anche quello di invogliare la nuova generazione a scrivere in polacco, in modo da imparare meglio l’idioma del paese in cui essi vivevano. In questo caso il vecchio dottore fu categorico, non accettando mai di pubblicare in altre lingue, sebbene ve ne fosse una certa richiesta5. Lo stesso Korczak, quando si rivolgeva ai bambini, scriveva in una lingua assai semplice, inserendo delle frasi tipiche dell’ambiente dei più giovani, in modo da essere facilmente compreso e allo stesso tempo ben accetto dalla quella comunità che egli amava molto. Molte lettere erano farcite di errori, la redazione spesso li correggeva con la speranza che l’autore, rileggendo il suo testo stampato, avrebbe notato gli sbagli e in futuro non li avrebbe ripetuti.
Sebbene scritto in polacco, il giornale, essendo in realtà un inserto settimanale, rimaneva strettamente legato all’ambito dei lettori della comunità ebraica. All’inizio, quindi, vi scrivevano bambini ebrei e i lettori erano della stessa età e comunità, ma in seguito, soprattutto negli anni Trenta, i redattori decisero di provare a inserire lettere anche di bambini polacchi. In fondo, affermava Zofia, collaboratrice di Korczak: “se gli ebrei si sentono degli esclusi, loro stessi non possono escludere gli altri” (Landau-Czajka, 2018:35). Era un’apertura verso il mondo polacco con cui si voleva convivere in modo pacifico. 

Korczak rimase caporedattore del giornale fino al 1930. Dopo aver lasciato l’incarico, però, non smise di interessarsi alla sua creatura: ogni giovedì partecipava attivamente all’incontro con tutta la redazione, fornendo, tra l’altro, preziosi suggerimenti. Non sappiamo perché egli avesse rinunciato al suo ruolo. È probabile che avesse ricevuto pressioni affinché il giornale prendesse una certa direzione, anche politica, e lui questo non voleva assolutamente farlo. Senza la libertà data ai corrispondenti il suo lavoro non avrebbe avuto più senso. Ma si tratta soltanto di congetture. 

Una delle tematiche spesso trattate nei carteggi era la domanda diretta se fossero migliori i maschietti o le femminucce, fatto che suscitò un grande e lungo dibattito tra i corrispondenti. I bambini venivano invogliati a scrivere spiegando perché fossero arrabbiati, con chi litigassero il più della volte, cosa li facesse innervosire e di cosa avessero paura. Ecco - anche nel caso di questo avvenimento editoriale - l’interesse di Korczak verso la libertà del bambino, del suo esprimersi senza alcuna costrizione resta sempre e comunque uno dei temi centrali. 

Alcune tematiche riguardavano la didattica, altre la religione. Spesso avevano luogo dei concorsi dove non era importante la semplice descrizione di un fatto o di un avvenimento, ma le opinioni del bambino a riguardo e il poter esprimere la propria immaginazione. 

Intanto, anche il raggio d’azione della rivista si era ampliato. Non solo si avevano corrispondenti e richieste di invio di copie da tutta la Polonia, ma si chiedeva a gran voce di pubblicare lettere dalla Palestina, mentre si mandavano alcune copie in Uruguay, in Francia, in Gran Bretagna e persino in Italia, dove i corrispondenti ufficiali si trovavano nella città di Bologna. 

Senza dubbio si può definire Mały Przegląd come il precursore dei moderni portali internet. Sul giornale si trovava un vero e proprio forum, moderato dallo stesso Korczak. I bambini condividevano pienamente le loro impressioni con gli altri e tutti potevano contare sul fatto che il vecchio redattore avrebbe loro risposto. A volte Korczak era assai diretto con i suoi corrispondenti, non risparmiando critiche e osservazioni. Egli stesso ammise: “So di scrivere cose spiacevoli e me ne dispiace […] la redazione, però non è un negozio dove bisogna essere gentili con chi compra” (Korczak, 1926: libro 11,p. 32). 

Qui si faceva avanti il Korczak conoscitore della pedagogia. Il motivo di queste risposte, che a prima vista potevano apparire appunto spiacevoli, era invece il rispetto che il vecchio dottore aveva per i bambini, trattandoli in quel caso come adulti e rispettando il compito degli scritti proposti: educare i lettori in un’atmosfera di grande collaborazione, dove tutti erano alla pari. L’intento educativo si riscontra anche nelle lettere di esempio a volte presenti sul giornale in modo che i bambini avessero un modello di struttura su cui sviluppare le proprie idee. 

Un’altra tematica su cui si poteva scrivere liberamente era il ruolo dell’insegnante. Come doveva essere un buon insegnante, cosa doveva fare, ma come si doveva reagire quando il bambino credeva di non piacere al maestro e così via. Andava creandosi un rapporto di tutt’altro tipo dove i più piccoli non si sentivano solo più un oggetto in mano all’apparato dell’istruzione. 

In alcuni casi le lettere portavano anche a effetti concreti: durante il primo anno di uscita del giornale scoppiò una polemica riguardo al filo spinato posto a delimitare il parco giochi nel giardino Krasiński. Il clamore suscitato dalla discussione fece sì che l’incriminato strumento di demarcazione venisse tolto qualche mese più tardi. Una situazione simile si ebbe con il problema del grembiulino: molti bimbi non volevano portarlo nel tragitto da casa a scuola. bensì indossarlo solo arrivati davanti all’ingresso nell’edificio. Grazie a Mały Przegląd anche in questo caso i più giovani ottennnero una successiva vittoria, in quanto alcuni genitori acconsentirono a quella proposta. 

Quello che sorprende del Mały Przegląd è senza dubbio la bidirezionalità della comunicazione. Si trattava di una chiara interattività dove spesso gli stessi piccoli autori - quindi non solo i redattori ̶ chiamavano i lettori a rispondere, a fornire un’opinione a riguardo. 

All’interno del giornale i bambini ebrei e polacchi si univano, diventavano un’unica comunità, fatto che invece raramente avveniva nella vita di tutti i giorni, persino a scuola dove le divisioni invece di scemare spesso andavano ad acuirsi. 

Il giornale aveva un’ottima struttura organizzativa. Per molti anni le lettere vennero archiviate, e classificate. Grazie a ciò possiamo affermare che la redazione riceveva circa 4000 lettere all’anno. In un numero venivano dunque pubblicate un’ottantina di lettere. 

Korczak conosceva i segreti per mobilizzare i bambini. Infatti, il vecchio dottore sapeva abilmente creare un forte legame tra i suoi corrispondenti e i lettori, arrivando spesso a unire i due ruoli, in quanto i bambini, oltre a essere curiosi delle reazioni dei loro coetanei, erano anche impazienti di leggere se stessi e di ragionare sulle loro scelte. 

Korczak faceva leva sulla motivazione: chi debuttava con il suo articolo veniva inserito in una rubrica dal titolo “Hanno scritto per la prima volta”, dove compariva il nome e il cognome dell’autore. Era sinonimo di grande prestigio, il bambino lo percepiva come un premio per il suo lavoro. Altre volte i primi classificati ai concorsi ricevevano in regalo libri o scacchi. Un bambino racconta di come avesse vinto degli ingressi gratuiti per il cinema, per sé e per la sua famiglia. Questo cambiava radicalmente l’ordine delle cose: in quel caso era il piccolo a offrire il cinema ai suoi genitori e non viceversa. I premi a volte erano anche in denaro o in cartoline di auguri con rappresentata la frutta, simbolo, appunto, del frutto del lavoro svolto sul giornale. 

Era presente il tema dei rapporti polacco-ebraici. Anche in questo caso la gamma delle tematiche era assai ampia. I bambini potevano scrivere di come essi vivevano in Polonia, ma anche dell’idea polacca di patriottismo che si aveva allora. Emergevano così fattori importanti tra cui la presenza a scuola di classi miste dove le barriere continuavano ad esistere. Questa tematica divenne più frequente negli anni Trenta durante i quali l’antisemitismo aumentò sensibilmente. Si arrivò anche ad avere a che fare con la censura. Intanto il giornale cambiava: i corrispondenti e i lettori affezionati erano cresciuti, stavano per entrare nell’età adolescenziale. Korczak, invece, avrebbe preferito rimanere con una “clientela” più giovane, ma era davvero difficile cercare di far desistere dallo scrivere questi ragazzi ormai grandi. 

Mały Przegląd formò molti personaggi della società ebraico-polacca, alcuni di essi divennero anche ottimi scrittori. In seguito Józef Balcerak avrebbe scritto che si trattava del “giornale più democratico al mondo” (Gliński,2012). Infatti, non esisteva un gruppo di scrittori che dominava sugli altri per stile, tematica o quantità, tutti si trovavano sempre sullo stesso piano. 

La storia di Mały Przegląd si conclude il 1 settembre 1939, quando, in concomitanza con l’invasione della Polonia da parte della Germania, la redazione verrà chiusa. La storia di Mały Przegląd e le tematiche in essa proposte vengono analizzate nel libro Wielki Mały przegląd di Anna Landau-Czajka, ma a riguardo rimane ancora molto da scrivere. Gli esperti di pedagogia polacchi, e non solo, potrebbero interessarsi alle lettere, analizzarne il contenuto in cui si possono osservare il rapporto dei bambini con i redattori, i mutamenti delle opinioni di chi scrive e l’evoluzione che il bambino stesso presenta mentre vive quest’esperienza. 

Naturalmente Mały Przegląd è anche un’occasione per venire a conoscenza della vita dei più piccoli sia nelle città che nella provincia polacca. Le informazioni riguardanti la vita nei piccoli paesi, i rapporti umani, la comunità famigliare, la vita sportiva e scolastica possono essere un interessante materiale di studio anche per gli esperti della storia della comunità ebraica in Polonia. 

Definire Mały Przegląd uno dei trionfi di Korczak non è affatto sbagliato. L’idea del redattore di creare un giornale dove i bambini potessero esprimere le loro idee e far valere la loro immaginazione divenne realtà, ma purtroppo non ebbe un seguito. Dopo il vecchio dottore pochi si sono interessati a questo esperimento, togliendo alla voce di quei bambini la possibilità di venire ascoltata anche dalle generazioni future. 

In questo caso ho voluto dare un mio piccolo contributo affinché sia ridata voce proprio ai bambini, così come voleva Janusz Korczak.

Bibliografia

Korczak Janusz, Dzieła, vol. 11 (2), Latona Warszawa.
Korczak Janusz, Dzieła, vol. 14, Wydawnictwo Instytutu Badań Literackich
PAN, vol. II, Warszawa 2008.
Korczak Janusz (1997), Diario del ghetto, Luni, Milano.
Korczak Janusz, Pamiętnik, Ośrodek Dokumentacji i Badań Korczakianum, Oddział Muzeum Historycznego m.st. Warszawy (Stampa al computer del documento originale del diario di Korczak).
Landau-Czajka Anna (2018), Wielki Mały Przegląd, Warszawa.
“Mały Przegląd”, nr. 1, 1926.
“Mały Przegląd”, nr. 27, 1926.
Tommassucci Giovanna, “Io sono a scacchi”, l’identità ebraica nell’opera letteraria e teatrale di Janusz Korczak, in: “Konteksty Kultury”. nr 13/3 (2016), pp. 223-241.

Sitoteca

Ghetto ławkowe (“Il ghetto tra i banchi”), in: Jewish historical institute http://www.jhi.pl/psj/getto_lawkowe (consultato il 10/02/2019).
Gliński Mikołaj, Mały Przegląd Gazeta inna niż wszystkie, 2012 Culture.pl https://culture.pl/pl/artykul/maly-przeglad-gazeta-inna-niz-wszystkie (consultato il 05/02/2019).

Janusz Korczak
Janusz Korczak
AA.VV.
Dalla parte dei bambini. Sempre.Raccolta degli Atti del Convegno del 16 marzo 2019. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Luca Palmarini, Università Jagellonica Alessandro Volta, pediatra neonatologo Alessandro Vaccarelli, professore associato di Pedagogia Generale e Interculturale all’Università dell’Aquila Dario Arkel, professore di Pedagogia Sociale all’Università di Genova