Laura Pigozzi

Impasse della resilienza nel Plusmaterno

Psicoanalista e scrittrice

Premessa

Quale resilienza, quale trasformazione del trauma è possibile quando esso sembra invisibile o - per dirlo più precisamente - ha il buon sapore di una famiglia compatta, fusa, inclusiva? Cresce il bisogno di appartenenza a un universo protettivo che però isola il soggetto a venire - il figlio - all’interno di un cerchio magico che ne fa un prigioniero, il più delle volte consenziente. Il genitore, piuttosto che educare all’apertura verso un mondo incerto e insegnare al figlio a superare le paure, si trova ad assicurargli la vita e, in questa clausura protetta, trasmette più un tipo di amore dipendente e pauroso piuttosto che il coraggio e il rischio di una vita autonoma. Il circolo vizioso che si instaura è quello che intreccia la costrizione occulta del genitore (per il bene del figlio, s’intende) all’universo protetto di casa e il consenso inconscio del figlio, secondo il classico meccanismo che definisce la dipendenza affettiva. Questa è la famiglia claustrofilica: scambi, affetto, amore, sostegno, confidenze, compagnia, educazione, viaggi, svago, tutto si fa in questa famiglia all inclusive. Il mondo è risucchiato all’interno e l’orizzonte di tutti si è ristretto in un assetto famigliare nemico del collettivo perché lavoro di civiltà e chiusura sono antitetitici. Chiave di volta della famiglia claustrofilica, ciò su cui si regge, è il nuovo modello della funzione genitoriale che ho definito il Plusmaterno.

I sintomi dei bambini

I sintomi dei bambini, sconosciuti in una forma cosi diffusa nelle generazioni precedenti, sono relativi al loro rapporto con ciò che li circonda. I sintomi dei bambini hanno una genesi nel mondo degli adulti.

Una volta chiesi a una psicoanalista di lunga esperienza, e che prima esercitava come pediatra, come mai avesse cambiato lavoro. Lei mi rispose: “ho capito che per aiutare i bambini dovevo prima aiutare i loro genitori.” In effetti, anche per Lacan, “il sintomo del bambino si trova nel posto cruciale per rispondere a ciò che vi è di sintomatico nella struttura familiare… Il sintomo [del bambino] si definisce in questo contesto come rappresentante della verità”1. E qui si tratta “della verità della coppia famigliare.”2

Tuttavia il sintomo manifestato dal bambino è il caso più semplice su cui intervenire, dice Lacan, diversamente dal caso in cui il sintomo pertiene alla madre. Quando c’è un sintomo? Quando il desiderio è congelato, bloccato, non orienta la vita. Possiamo dire che una madre ha ancora un “desiderio” se non mira a un altrove, a un altro adulto, a un progetto, ma la sua pulsione si posa, invece, senza tregua, sul suo bambino? Oggi i bambini possono ancora avere la benedizione di potersi chiedere: la mamma preferisce me o papà? Forse no, perché non è più così scontato che una donna desideri ancora il suo uomo dopo essere diventata madre. Il suo desiderio, dopo il bambino, si ritira dall’uomo ma per un tempo che va ben oltre il puerperio, cioè quel tempo fisiologico di refrattarietà al partner dopo il parto. Alcune donne credono che il semplice fatto di partorire faccia di loro delle madri - così non è, perché per diventare madri occorre “adottare” il proprio bambino, cioè vederlo non come parte di sé, ma come altro da sé - ed entrano immaginariamente in uno statuto di ordine superiore, affogando la donna - e i suoi desideri - nella Madre. Che questo abbia effetti nocivi alla coppia è ben evidente, ma che effetto ha questo su un figlio?

Il fatto di porsi domande sul desiderio della madre per un bambino è uno stimolo a pensare, a investigare il mondo in cui è capitato. Al contrario, se il desiderio della madre non fa enigma per lui, se è chiaro che la madre vuole lui e solo lui, anche la sua capacità di pensiero e di saperci fare con la frustrazione, decadono. Se la madre si riversa integralmente sul bambino, senza mediazioni, senza contenimenti terzi, cattura fantasmaticamente il bambino che diviene “oggetto” della madre, ma non più il classico oggetto fallico, di meraviglia e stupore che si mostra con orgoglio, ma diventa un oggetto-cosa, riempitivo dei suoi vuoti e delle sue angosce. Il bambino-Cosa fa della madre una madre sempre incinta, sempre piena. Il bambino-Cosa impedisce alla madre di incontrare la perdita, di crescere il figlio facendosi a lui mancare e accendendogli, così, quel desiderio che gli servirà per vivere. Ciò elimina in anticipo ogni salutare lavoro del lutto, lavoro che salverebbe entrambi, madre e bambino, dalla dittatura del Plusmaterno.

Il bambino-Cosa

Voglio farvi comprendere la posizione di un bambino-cosa per via letteraria - Freud diceva che, si sa, i poeti vedono meglio di tutti - e lo farò con le parole di un scrittrice belga di origine italiana, Nicole Malinconi. Il libro non è tradotto in Italia, si chiama Nous Deux, di cui vi propongo la mia traduzione di un brano: “Il bambino occupa tutto il suo tempo. Il suo odore e l’odore del bambino riempiono la casa. La casa è piccola, lungo un fiume. È una donna che per niente al mondo lascerebbe il bambino. Voglio dire, nemmeno per un momento, un’ora. Prende il bambino con lei per fare tutto, per aprire la porta se qualcuno bussa, e anche per lavarsi. Lo prende sulle ginocchia quando fa i suoi bisogni. È il suo bambino, lei lo ha fatto. Al minimo rumore, la notte verifica la sua respirazione. È un bambino inseparabile. La casa è diventata un ventre… Per lei è un amore che la consola della vita intera.”

E qui arriva il punto chiave: “Dopo il bambino, lei non riconosce più l’uomo… Dopo il bambino, lei vede irrimediabilmente l’estraneità dell’uomo. Nelle parole d’amore che lei canta al bambino, dice che questo amore le basta, che non le interessa più, per niente, l’uomo dal sesso straniero.”3

Quante mamme amiche, sorelle, colleghe o anche forse qualcosa della nostra stessa maternità riconosciamo in questo breve ritratto? Il racconto non parla della necessaria simbiosi iniziale della diade madre-bambino, quanto piuttosto del fallimento del momento strutturante della maternità, la separazione. Il bambino inseparabile è quello che manca all’appuntamento con ciò che di cruciale c’è in gioco nella fase dello specchio e che potrebbe, per questo, fallire la sua riuscita come soggetto.

Fase dello Specchio

La fase dello specchio inaugura una prima separazione tra madre e bambino, nel momento in cui la madre dice, con la sua voce, “questo sei tu, Marco, e questa è la mamma”, restituisce al bambino, che prima sentiva le proprie parti sparpagliate e fuse con lei, la sua integrità di individuo. (Per la soggettività ci vorrà un cammino supplementare). Se questa separazione non avviene si resta al di qua dello specchio (schizofrenia, in cui il corpo non si ricompone) o imprigionati nello specchio (psicosi narcisistica, in cui il bambino “vede” che è tutto per la madre).

Se la fase dello specchio e della separazione madre-bambino fallisce, potremmo avere un bambino che si chiederà: cosa vuole mia madre al di là di me? cosa vuole l’Altro al di là di me? Penserà sempre di essere il centro. Oppure penserà che l’Altro che voglia lui, la sua pelle, potrebbe forse arrivare a soffrire di persecuzione paranoica. Ho incontrato un paziente incluso, che non aveva una vita amorosa, che non cercava niente nell’Altro, non era interessato all’amore, nessuna ragazza aveva per lui un dettaglio che potesse condensare il suo godimento: e questo perché lui - immaginariamente - non mancava di nulla, proprio come i bambini che non possono separarsi.

Perché separarsi dalla madre?

La risposta è già nel sottotitolo di un libro su Malanie Klein di di Julia Kristeva: “Del matricidio come dolore e come creatività”. È la perdita che spinge a simbolizzare la cosa perduta, dice Kristeva, è a partire dalla perdita della madre che si organizza la capacità simbolica del soggetto: bisogna staccarsi dalla madre per pensare.

Oggi, al contrario, più che dai figli ci si separa dal partner e l’aumento delle separazioni tra i coniugi sembra inversamente proporzionale alle separazioni madre-figlio: crescono le separazioni dai mariti, mentre diminuiscono quelle dai figli, anche adulti. Una assenza di separazione dal bambino può generare la separazione tra i genitori. Se una madre non resta anche donna, se la sua maternità esaurisce la sua sessualità, se smette di desiderare il proprio coniuge (o un altro adulto) per concentrarsi sul figlio, farà di questo figlio il proprio marito inconscio. Una madre, in quanto donna, occorre che accetti l’incompletezza dell’amore con un partner adulto. Se ciò non avviene, il bambino è alienato al desiderio (incestuoso) della madre.

L’incesto

L’incesto - è doveroso chiarirlo teoricamente - non è solo godimento erotico in senso stretto ma, come ricorda anche lo psicanalista francese Lebrun, l’incesto è, soprattutto, “fare Uno” con la madre. Cosa significa “fare Uno” con la madre? Lo abbiamo visto nel piccolo racconto che ho proposto, ma lo vediamo anche nel dormire con lei, nell’essere allattati ben oltre la dentizione, nel tenersi per mano con la madre ancora nell’età da fidanzati, avere il genitore come referente principale nel corso della vita adulta, o dirsi ti amo o baciarsi sulla bocca tra genitori e figli (pensate a un padre che bacia sulla bocca la sua figliola…lo stesso sconcerto vale se il bacio è della madre).

La legge del desiderio può esistere solo fuori dall’incesto. Il primo tabù, la prima legge è quella che vieta il surplus di godimento tra genitori e figli. Una madre si occupa di un figlio, e lo cura, a partire dalle proprie mancanze, non dalle proprie pienezze. Il suo corpo a portata di mano ogni notte, cioè che non gli si sottrae mai, così come il suo seno sempre offerto, sono una pienezza, un troppo che arriva al bambino come un trauma travestito da godimento.

Una giudice del Tribunale di Milano, il 7 febbraio del 2018, con un provvedimento, ha ammonito una madre separata diffidandola dal dormire nel letto con il figlio di 5 anni, suggerendo alla signora di fare un percorso personale per evitarle conseguenze peggiori. Venendo meno la legge contro l’incesto - che dovrebbe essere inscritta in ogni essere umano - siamo ridotti a sperare, in estrema ratio, che i tribunali e il codice possano, nei casi disastrati, sostituirla.

Il Plusmaterno

Il Plusmaterno è un neologismo che ho introdotto nel libro Mio figlio mi adora4 per descrivere la perturbazione e lo svilimento della funzione materna, che non appare più strutturante per un bambino. Per rendersi conto degli effetti del decadimento della funzione materna basta osservare le scene da folli che si producono al momento dell’inserimento al
nido, o all’entrata nei primi giorni di scuola elementare o nell’esistenza di classi - intere classi, a volte - di bambini iperattivi, bambini che non hanno interiorizzato la separazione dalla madre come un passaggio buono, interessante, che apre al mondo vero, quello che un giorno dovrà vivere in proprio.

Il Plusmaterno è quando una madre si prende, immaginariamente, per La Madre: oggi sul nome della Madre non c’è più distanza, non c’è più ironia, c’è, piuttosto, un culto. Questo produce un vuoto sul piano simbolico e un eccesso di presenza sul piano reale. Il Plusmaterno è quando una madre sembra non sapere che per allevare un figlio occorre farlo a partire dalle assenze, dalle proprie mancanze e insufficienze, piuttosto che dai propri trionfanti pieni. Nel Plusmaterno il desiderio della madre non viene più intercettato da un altro adulto che, così, libererebbe il bambino. Il Plusmaterno è quando il desiderio della madre va verso il bambino, invece che verso un adulto, e non c’è nessuno che metta un freno. Il Plusmaterno è un materno in eccesso che sconvolge il discorso familiare: i genitori non sono più due - o almeno due, come nelle famiglie ricomposte in cui esiste il terzo e quarto genitore - ma ce n’è Uno che fa la legge per tutti. Il Plusmaterno è il fallimento della funzione materna. È la caduta del desiderio della madre. L’iperbole dell’odio che si registra nelle separazioni attuali è di un’entità tanto spropositata perché esse si innestano non raramente sulla formazione sintomatica del desiderio della madre, che ne è spesso il motore.

Il Plusmaterno indebolisce la resilienza nei figli

Se ciò che vuole una madre non fa più enigma, perché è chiaro che la madre vuole il bambino e solo lui, il figlio diventa un figlio incluso, passivo, che si lascia fare dall’altro: non solo dall’altro materno, ma qualunque altro incontrerà della vita potrebbe dominarlo, perché scambierà la sua protezione eccessiva per amore, secondo stesso meccanismo di dipendenza che si incontra nelle donne vittima di violenza domestica.5

Vediamo figli che, nell’età in cui dovrebbero sbocciare, vengono presi da una forma di pigrizia che non è un piacere innocente ma un’accidia (letteralmente, “senza cura”) che rivela la dimenticanza di sé e di un progetto personale così come il disconoscimento di un desiderio soggettivo.

La famiglia Plusmaterna (anche un padre può essere plusmaterno quando indulge nella ipercura dei figli) è quella in cui i figli sono presi in ostaggio, anche se non si tratta di ragazzi ottusi e stupidi. La cattura affettiva dei genitori, che rende i figli del tutto passivi, può essere implacabile anche per menti brillanti. La famiglia Plusmaterna - retta spesso da un genitore Pigmalione - induce nei figli una forma di accidia, di oblio di sé. L’ipotesi che propongo è che questa forma di accidia manifestata da un figlio in ostaggio si trova nel nodo sintomatico di due costellazioni psichiche conosciute: quella di Stoccolma, in cui si finisce per amare il proprio rapitore e quella di Stendhal, in cui l’animo si immerge in uno stato di stupore abissale.6 In entrambe le costellazioni si tratta di un rapimento psichico e quando il rapitore è il genitore, il figlio si abbandona con fiducia al suo sortilegio.

Il Plusmaterno è una perversione della funzione familiare che, con l’apparente dono di una tutela, di un amore incondizionato, di un voto sacrificale nei confronti del figlio, ne mina le inconsce capacità di resilienza.

Contributi per una pedagogia della resilienza
Contributi per una pedagogia della resilienza
AA.VV.
Ripensare l’educazione per ricongiungere l’infanzia alla vita reale.Raccolta degli Atti del Convegno del 3 marzo 2018. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Silvia Vegetti Finzi, psicologa e scrittrice Fulvio Scaparro, psicoterapeuta e scrittore Laura Pigozzi, psicoanalista e scrittrice Alessandro Vaccarelli, professore associato di Pedagogia Generale e Interculturale all’Università dell’Aquila Raffaele Mantegazza, professore associato di Pedagogia Generale e Interculturale all’Università di Milano Bicocca