Ela Eckert

Membro del consiglio della German Montessori Society

Educazione montessoriana nei Tibetan Children’s Villages (TCV)

Oggi vi parlerò dell’educazione montessoriana nei Tibetan Children’s Villages (TCV) e proseguo, quindi, parlando dell’Asia. Io e mio marito andammo a Dharamsala per la prima volta nel 2003 dopo aver sentito che il Metodo Montessori era in uso presso il TCV. Leggendo l’autobiografia di Jetsun Pema “Tibet, my story”14, capii che avevo bisogno di viaggiare e vedere con i miei occhi il mondo da lei descritto. Posso raccontare come rimasi sopraffatta dai bambini che incontrammo, dal loro lavoro così entusiasta, dalla loro concentrazione, dai loro diversi interessi e dalla loro capacità di aiutarsi e darsi sostegno a vicenda. Erano molto aperti e gentili.
Guardando la mappa (fig. 1), potete farvi un’idea di dove sia situato il TCV, nella parte più settentrionale dell’India. Questo comprende diversi alloggi, la Casa dei Bambini, la scuola per gli studenti più grandi.

Nella Casa di Dharamsala ho visto 90 bambini tra i due anni e mezzo e i cinque anni in una sola grande stanza che lavoravano insieme.

Con loro c’erano sei o sette adulti che li aiutavano. Non avevo mai visto tanti bambini tutti insieme in una stanza, provai una bellissima sensazione.

“L’empatia - come dice il Dalai Lama - sta alla base della convivenza tra gli uomini. Credo fortemente che lo sviluppo umano affondi le sue radici nella cooperazione e non nella competizione.”

Come tanti di voi forse ricordano, nel 1959 sua santità il Dalai Lama dovette abbandonare il suo Paese e si stanziò nel nord dell’India. Insieme a lui, 30.000 tibetani fuggirono in l’India e negli anni seguenti altre 100.000 persone attraversarono il confine partendo dalla zona dell’Himalaya per raggiungere il nord dell’India. Essi si stanziarono in una località chiamata Dharamsala che, al tempo della dominazione britannica, si chiamava Hill Station. Quando, però, i britannici se ne andarono, questa fu abbandonata ed in seguito assegnata al Dalai Lama e ai rifugiati come zona in cui stabilirsi. Inizialmente, era quasi una città fantasma, d’altronde era stata abbandonata per anni, ma con il passare del tempo l’idea di raccogliere i tibetani in questa zona divenne un vantaggio. All’inizio, la sorella minore del Dalai Lama, Jetsun Pema, descrisse questa zona come segue: “Tre edifici, un solo negozio e tende dappertutto. I tibetani erano vestiti di stracci, i bambini piangevano e tremavano per il freddo e le donne sembravano paralizzate dalla loro malasorte. Chissà quanto hanno sofferto prima ancora di arrivare in questa triste cittadina! La mia famiglia viveva in un vecchio bungalow in stile coloniale… Gli uffici e i ministeri del governo in esilio erano sparpagliati per il paese. Con il passare del tempo e in maniera graduale si capì che Dharamsala era una zona con grandi vantaggi.” 

Nel primo periodo i tibetani e gli indiani dovettero lavorare sodo alla costruzione delle strade; vivere nel cantiere era per i bambini una situazione estremamente difficile. Nei primi anni Sessanta il Dalai Lama ricevette un messaggio e decise di portare i bambini a Dharamsala e di aprire una nursery per loro. In principio, il numero di bambini era molto basso, ma in brevissimo tempo arrivarono mille bambini. Vivevano nella Children’s Nursery per rifugiati tibetani. La situazione era davvero dura sotto ogni punto di vista, vi era carenza di vestiti, mobili, coperte e cibo. La novità che aveva aperto una nuova nursery per i bambini si diffuse tra i tibetani e tantissimi mandarono i loro figli, seguirono i monaci aldilà dei confini e la situazione divenne ancora più ingestibile. Più di mille bambini vivevano in una casa che era adibita ad ospitarne solo la metà. A volte sei o sette bambini dormivano nello stesso letto. L’altra sorella del Dalai Lama, Tsering Dolma, si assunse l’incarico di lavorare con i bambini aiutandoli in questa situazione critica. Purtroppo, però, morì improvvisamente nel 1964, quindi fu chiesto alla sorella, Jetsun Pema, di assumere la responsabilità di guidare la Children’s Nursery ed accettò. A metà degli anni Sessanta, la fase più critica era stata superata, ma divenne chiaro che la condizione di esilio sarebbe proseguita per lungo tempo. Questo accese la volontà di convertire la Children’s Nursery temporanea in un villaggio permanente in cui i bambini potevano crescere, circondati da un’atmosfera familiare. 

Si decise di seguire il modello dell’SOS Children’s Village International e grazie alle donazioni provenienti da tanti Paesi stranieri, si costruirono scuole, laboratori per attività manuali e Case. Ciascuna casa poteva ospitare 30 bambini di diverse età. Nel 1971 la Children’s Nursery tibetana divenne ufficialmente il Tibetan Children’s Village (TCV). Un anno dopo il TCV di Dharamsala prese parte all’organizzazione internazionale SOS Villaggi dei Bambini.

Nel 1975 si contavano 29 Case e nel 1980 venne costruita una Baby Home. Tanti Villaggi dei Bambini sorsero lungo il confine tra l’India del nord e il Tibet, che a quel tempo faceva già parte della Cina.

Osservando questa situazione, è chiaro che dapprima l’istruzione non era il problema principale. Nonostante ciò, si capì presto che vi era bisogno di dare priorità a questo argomento perché prendersi cura del benessere fisico non era sufficiente. “Dobbiamo anche supportare lo sviluppo intellettuale ed emozionale”, disse uno dei primi lavoratori del TCV. Tutti concordavano sul fatto che il programma scolastico dovesse includere lo studio dell’eredità culturale del Tibet, ma che si dovesse anche integrare scienze e tecnologia, elementi base della civiltà occidentale, che non erano mai entrati nel sistema tradizionale scolastico tibetano. C’era bisogno di un nuovo metodo educativo che potesse sviluppare il potenziale dei bambini e dei ragazzi attraverso il training volontario di tutti i sensi stimolando la curiosità e il pensiero creativo, soprattutto promuovendo l’autosufficienza e l’indipendenza. 

È proprio a questo punto che incontriamo una figura, Wanda Dynowska, una donna di origine polacca, che visse in India per tanti anni. All’inizio non sapevo molto sul suo conto. Sapevo, però, che era totalmente coinvolta nella questione del destino dei tibetani e che li aiutò in svariati modi.15

Ricevette una chiamata per andare a Dharamsala nel 1961, durante il primo anno della Tibetan nursery. Fu il Dalai Lama stesso a chiamarla, dopo averla conosciuta presso la Società Teosofica di Adyar (oggi Chennai). Fu qui che a Wanda Dynowska venne attribuito il nome di Umadevi16, lo stesso della dott.ssa Montessori. Arrivata al TCV, Umadevi lo descrisse come segue: “La cortesia e gentilezza nelle relazioni reciproche sono stupende e sono segno di grande cultura. Osservando i bambini si può capire che non è una cultura che viene acquisita, ma una caratteristica innata dei tibetani.” Ed è qui che vediamo le sue similitudini con la dott.ssa Montessori: si assunse una grande responsabilità alla stessa età della dott.ssa Montessori - circa settant’anni - quando quest’ultima arrivò in India.

Wanda Dynowska era nata a San Pietroburgo da famiglia polacca, parlava correntemente diverse lingue e provò sulla propria pelle l’esperienza di dover abbandonare il Paese natale, a causa della rivoluzione bolscevica. Dovette andarsene da San Pietroburgo e visse per qualche anno in Crimea. Quando la Polonia divenne indipendente, si trasferì a Varsavia e fondò la sezione polacca della Società Teosofica. In seguito, invitò in Polonia i membri dirigenti di altri Paesi perché discutessero di Teosofia e tra questi vi erano due persone molto influenti, provenienti dalla sede teosofica di Adyar. Furono proprio loro ad invitare la dott.ssa Montessori presso la Società alcuni anni dopo. Wanda Dynowska arrivò ad Adyar nel 1935. La dott.ssa Montessori e il figlio Mario arrivarono nel 1939. L’India divenne per Wanda Dynowska il luogo in cui avrebbe vissuto il resto della sua vita lavorando come curatrice ed editrice raccontando la situazione polacca e scrivendo di quella indiana per i giornali polacchi. Pubblicò molti lavori durante gli anni trascorsi in India e ancora prima che il Dalai Lama lasciasse il suo Paese, lei si mise in contatto con lui e con i tibetani. Dato che Wanda Dynowska visse per un periodo nello stesso centro in cui si trovava la dott.ssa Montessori, possiamo immaginare che Wanda avesse familiarizzato molto con il Metodo montessoriano. Nonostante non sappiamo se le due donne si siano effettivamente incontrate, possiamo affermare che Wanda conoscesse questo approccio educativo e che fosse convinta della sua efficienza. Nel 1961 Wanda si recò per la prima volta a Dharamsala e si interrogò su quale fosse il sistema educativo più adeguato per l’apprendimento da parte di bambini in una situazione del tutto particolare. 

Abbiamo esplorato, durante il bellissimo discorso di Rama Reddy, il significato di non-violenza nei Paesi Orientali ascoltando le parole di Ghandi, appoggiato anche dal Dalai Lama. Riporto qui alcune citazioni per mostrarvi l’affinità e le similitudini tra il suo pensiero e quello della dott.ssa Maria Montessori. 

“Tutti nasciamo con la tendenza all’etica, l’empatia e il comportamento sociale”. 

“Dobbiamo imparare tutti che l’umanità è una sola famiglia. Fisicamente, mentalmente e a livello affettivo, siamo fratelli e sorelle. Nonostante ciò, focalizziamo troppo la nostra attenzione sulle differenze, anziché vedere ciò che ci unisce.” 

“L’egoismo, il nazionalismo e la violenza sono già in principio, la strada errata da perseguire. La domanda fondamentale per la creazione di un mondo migliore è: come possiamo servire gli altri? Dobbiamo concentrare la nostra coscienza in questa direzione.” 

“Nel secolo precedente abbiamo fatti grandi passi avanti, cosa molto positiva… Ora, nel XXI secolo, dobbiamo imparare a conoscere, coltivare e usare i nostri valori interiori su tutti i livelli.” 

“Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui agli scolari vengono insegnati i princìpi di non-violenza e di risoluzione pacifica dei conflitti.” 

Correva il 1968 quando Umadevi (nome indiano assegnato da Ghandi stesso a Wanda) riuscì finalmente a trovare due donne indiane con preparazione montessoriana che avevano studiato e lavorato negli Stati Uniti. Le invitò a recarsi a Dharamsala per insegnare ai bambini in età pre-scolastica. Ttrovarono un’enorme differenza tra ciò cui erano abituate e le dure condizioni di Dharamsala: c’era una sola grande stanza, mancavano le finestre, non vi era materiale né supporto da parte di altre insegnanti, poiché queste ultime non credevano in ciò che le due donne volevano portare avanti. Le due donne pensavano che i bambini tibetani fossero sporchi, immaturi e non proprio intelligenti.

Bhatia Trivedi e Chandara Bhatia iniziarono a lavorare nello stesso anno e, in principio, erano abbastanza scettiche, credevano che non avrebbero potuto raggiungere buoni risultati in condizioni così povere. In brevissimo tempo, tuttavia, i bambini tibetani risposero in maniera estremamente positiva a questo nuovo metodo educativo. Vennero tutti colti da stupore grazie al loro rapido sviluppo intellettuale, non soltanto le due maestre. Bhatia Trivedi e Chandara Bhatia pensavano che i bambini avessero quasi una terza dimensione e imparassero con la totalità della loro personalità. Le due donne scrissero, qualche anno dopo, su un giornale: “I bambini trasformarono ogni lezione in una piena esperienza interiore. Ad esempio, quando uno di noi presentava un esperimento durante la lezione di scienze, i bambini non solo imparavano il contenuto stesso della lezione, ma valutavano anche le nostre personalità, atteggiamenti, il tipo di materiale che usavamo, la maniera in cui ci sedevamo, e così via. Quindi, attraverso l’associazione, consolidavano l’esperienza.”17

La ricettività dei bambini, a detta delle due maestre, rese l’insegnamento di tutto ciò che potevano insegnare un grande piacere. In breve tempo passarono dallo scetticismo alla gioia dell’insegnare. 

Come potete immaginare, mancava materiale in generale e materiale montessoriano in particolare, non c’erano altri insegnanti che avessero ricevuto una formazione seguendo i princìpi montessoriani. Per questa ragione, crearono loro il materiale da utilizzare e Bhatia Trivedi e Chandara Bhatia tennero dei workshops in cui insegnavano psicologia del bambino, psicologia montessoriana, teoria dell’educazione e davano presentazioni dettagliate del loro materiale didattico. Questo è un esempio di ciò che più tardi venne chiamato educateur sans frontières e Lynn Lawrence ci ha dato tanti altri esempi di questo fenomeno. 

Nel vedere la risposta dei bambini tibetani all’insegnamento, sempre più educatori si convinsero che “in tutte le culture, l’amore e il rispetto verso l’insegnante sono una delle caratteristiche più difficili da apprendere. La dedizione a questa bellissima tradizione li rende cari a chiunque venga a sapere di loro. Noi ci auguriamo che manterranno salda la loro tradizione, dal momento che questa li proteggerà da atteggiamenti ed imitazioni sbagliati.”18


Quando mio marito ed io andammo a Dharamsala molti anni dopo - nel 2003 - avemmo entrambi la stessa impressione: avevano portato avanti la loro tradizione. I bambini, del tutto rispettosi, ma senza alcuna timidezza, ci approcciarono e osservarono con attenzione cosa mostravano e spiegavamo loro. Si dedicarono con facilità e, tuttavia, in maniera molto seria, ai vari compiti. Vedere i bambini andare d’accordo tra loro e rispettare i princìpi montessoriani ci riempiva di gioia.

Nel Dharamsala nursery e nel TCV poi, il Metodo Montessori continuò nel suo sviluppo nella vita dei rifugiati tibetani in esilio. Oggi è diffuso in tutte le scuole tibetane per esiliati, ma sono rimaste confinate all’educazione dei bambini in età pre-scolastica, che sembra essere abbastanza comune nell’educazione montessoriana in India.
Alcuni importanti dati sulla situazione attuale: 
  • Oggi sono più di 100.000 i rifugiati tibetani che vivono in India in più di 50 insediamenti. Tante persone appartenenti alla generazione precedente sono ancora analfabeti, mentre la maggior parte dei giovani tibetani ha un bagaglio formativo. 
  • La gran parte degli insediamenti tibetani in India si trovano nella parte settentrionale, lungo il confine con Sikkim, Nepal e Bhutan, ma ce ne sono di grandi anche nella zona meridionale. 
  • I TCV si prendono cura di circa 16.000 bambini. 
  • In ogni TCV vivono tra i 2.000 e 3.000 bambini, tra baby-homes, case famiglia e ostelli per gli adolescenti. 
  • Il TCV di Dharamsala è il TCV più grande e più vecchio. Divenne un modello per villaggi simili a questo che vennero fondati in seguito. Circa 2.700 bambini e adolescenti vivono nel TCV di Dharamsala. 
  • L’educazione montessoriana venne stabilita nel TCV di Dharamsala alla fine degli anni Sessanta per i bambini in età prescolastica. È tuttora essenziale in tutti i TCV per i bambini sotto i 6 anni di età. Sono circa 250 i pedagoghi montessoriani che lavorano con questi bambini. 
  • Fino alla quinta elementare l’unica lingua d’insegnamento è quella tibetana e poi si studiano principalmente l’inglese e l’hindi.
    Vorrei chiudere il mio intervento con una citazione del Dalai Lama:
    “Sono profondamente convinto che la maggior parte dei conflitti umani debba essere risolta con dialogo sincero. È questa la strategia della non-violenza e del rispetto per tutti gli esseri viventi che è il regalo del Tibet al mondo.”
    Grazie per l’attenzione.

Maria Montessori: educazione e pace
Maria Montessori: educazione e pace
AA.VV.
Raccolta degli Atti del Convegno del 3 ottobre 2015. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Carolina Montessori, bisnipote di Maria Montessori e archivista presso AMI Association Montessori Internationale Rama Reddy, insegnante di scuola elementare e Trainer presso l’Istituto indiano di studi Montessori Lynn Lawrence, direttore esecutivo AMI Ela Eckert, membro del consiglio della German Montessori Society Paola Trabalzini, docente universitaria presso la LUMSA di Roma e formatrice dell’Opera Nazionale Montessori David Connolly, responsabile del Programma di Prevenzione dei Conflitti presso The Hague Institute for Global Justice Don Fabio Corazzina, parroco di Santa Maria in Silva di Brescia