L’India, però, vive nei villaggi, in scuole come quella di Jiva. Proprio come disse Gandhi al Montessori Training College di Londra, “Era una gioia inesprimibile, per me, osservare che la virtù del silenzio veniva insegnata ai bambini sin dalla loro infanzia. Mi sentii pieno di gioia nel vedere tutti quei bei movimenti ritmici e, mentre osservavo i movimenti di quei bimbi, il mio accorato pensiero andava ai milioni di bambini dei paesi e dei villaggi indiani che soffrono duramente la fame, e mi chiedevo: “È possibile che io riesca a trasmettere a quei bambini queste lezioni e il training che ho ricevuto con il vostro metodo?”
Gandhi mise per iscritto le novità del Metodo rivoluzionario rivolgendosi ai ragazzi e alle ragazze che stavano presso il suo ashram, il suo monastero.
“Oggi vi scrivo riguardo i bambini, studenti di Madame Montessori.
La saggia signora si trovava in Inghilterra proprio quando si teneva un congresso di tutti gli insegnanti che seguivano il suo metodo. M’invitò al congresso e mi spiegò come e cosa veniva insegnato ai bambini.
La cosa più importante è che i bambini non sentivano in alcuna maniera il peso dell’apprendimento mentre imparavano tutto lavorando. Nel programma scolastico veniva dato poco spazio all’apprendimento mnemonico… La cosa che mi è piaciuta di più del loro metodo, è il fatto che ai bambini vengono insegnati il rispetto del silenzio e la concentrazione… Dovreste provarlo anche voi. Vi benedico, Bapu.”
I “semi di speranza” di Montessori raggiunsero anche il fertile suolo indiano attraverso i numerosi articoli pubblicati nel giornale “The Times of India” e quando il primo libro della dottoressa Montessori venne tradotto in inglese e, dopo essere passato di mano in mano, raggiunse Gijubhai Bhadeka, un avvocato professionista, seguace di Gandhi.
Gijubhai Bhadeka era profondamente preoccupato dell’uso della punizione come mezzo di disciplina per i bambini. Trovò in Montessori la libertà e la non-violenza che stava cercando.
Fu, però, l’interesse particolare di Montessori sulla crescita spirituale del bambino che gli diede ispirazione e proprio questo fu ciò che ispirò poi tanti altri insegnanti. Trovò nella sua filosofia l’insegnamento fondamentale del Bhagavad Gita, una delle antiche scritture indiane che afferma che “l’io si sviluppa attraverso l’azione personale. Solo l’individuo può essere responsabile del suo sviluppo e questo ha luogo attraverso il lavoro, lavoro portato avanti senza ricercare i frutti della fatica.” Queste parole, prese da scritture che hanno 5000 anni, sono meravigliosamente riecheggiate dalle parole della dottoressa Montessori.
E così l’esperimento iniziò. “Intellettualmente, psicologicamente, metodologicamente e spiritualmente toccato dal Metodo Montessori”, Gijubhai Bhadeka entrò nella classe di Jiva in una mattina di sole e si presentò come il nuovo insegnante. I bambini erano disinteressati e indisciplinati; alcuni sorridevano e altri scherzavano e si facevano l’occhiolino; i rimanenti erano totalmente noncuranti.
Alla fine dei primi due mesi, difficili e ricchi di storie, giochi, letture, una lezione su come tagliarsi le unghie, lavare i berretti, rammendare i vestiti, lezioni sul rispetto del silenzio, i bambini gioivano nel guardarsi nel piccolo specchio in classe, con le facce pulite e raggianti.
I giochi di grammatica, le lezioni di spelling, di storia, cartografia, una lezione di geografia in riva al fiume, le notti di osservazione delle stelle e l’aritmetica erano accolte a braccia aperte.
Alla festa di fine anno Jiva e i suoi amici erano tutti sorridenti mentre il Direttore Didattico, ospite d’onore, faceva il suo discorso: “Che gioia inesprimibile!” esclamò. “Guardate i bambini. Guardate come sono ordinati, in salute e contenti! Sono testimone del loro sviluppo e della loro crescita.”
Il metodo che funzionò benissimo con i bambini più grandicelli, fu poi utilizzato anche per i più piccini; una nuova scuola venne inaugurata da Kasturba Gandhi, moglie di Gandhi. La “Bal Mandir”, o il tempio dei bambini, era un luogo devoto ai bambini. Le sue porte erano aperte a tutti i bambini, maschi e femmine di tutte le caste.
Proprio qui vennero gettate le fondamenta per l’istruzione prescolastica indiana. Ora c’era bisogno di portare questo dono ai 21.300.000 bambini tra i 3 e i 6 anni dei 700.000 villaggi dell’India. Qui mi riferisco al 1930, quindi potete immaginare i numeri di cui parliamo oggi! Per far ciò, c’era bisogno di una legione di insegnanti appassionati (come sempre, d’altronde!).
“L’universo manda sempre piccoli messaggi e crea coincidenze…”
Quando Gandhi assunse la guida dell’India, la durata di vita media per una donna indiana era di soltanto 27 anni. I matrimoni tra bambini erano molto comuni, così come la vedovanza precoce. Soltanto il 2% delle donne avevano accesso all’istruzione, ma questa era comunque limitata alla cucina di casa loro.
Il credo di Gandhi riguardo l’emancipazione della donna si propagava attraverso i continenti e riecheggiava le parole della dott.ssa Montessori. Con le parole “Se per forza si intende la forza morale, allora la donna è infinitamente superiore all’uomo”, il movimento Gandhiano liberava le donne dalle costrizioni sociali, dando loro la libertà di completare la loro istruzione e di dedicare la loro vita alla causa sociale e, nello specifico, all’istruzione stessa.
Due giovani donne Tarabhai Modak e Anutai Vagh, ispirate dal Metodo Montessori e motivate dai princìpi Gandhiani, intrapresero il lungo e spaventoso percorso che si prefiggeva di portare l’istruzione prescolastica fino agli angoli più remoti dell’India. Con l’aiuto di alcune donne del posto, misero in piedi una piccola scuola nel paese costiero di Bordi. Pitturarono un capanno abbandonato che una volta era destinato alla lavorazione del riso; lo riempirono di interessante materiale Montessori, e si sedettero ad aspettare. Non arrivò nessun bambino.
Vedete, in India i bambini vanno, o per lo meno in passato andavano, a scuola a otto anni. Fino ad allora erano come gattini, giocavano con le gonne delle madri, con i loro sari e se ne stavano a sonnecchiare sulle loro gambe.
Una mattina gli insegnanti fecero come il pifferaio magico, camminarono per le strade del loro paese accompagnando i loro canti con dei cembali. I bambini iniziarono ad avvicinarsi e a cantare con le maestre e raggiunsero tutti insieme la scuola. Gli insegnanti estrassero dell’acqua dal pozzo e si lavarono. I bambini fecero lo stesso. Entrarono tutti nell’atrio e presto furono tutti immersi in qualche attività. C’erano storie, canzoni e poi distribuirono del cocco fresco e un pezzetto di jaggery a ciascuno. I bambini se ne andarono tutti contenti e non vedevano l’ora di farvi ritorno il giorno seguente.
Purtroppo, questo bellissimo lavoro venne interrotto dalla rigida suddivisione in caste tipica dei villaggi e paesi indiani. I genitori appartenenti alle caste più prestigiose non volevano che i loro figli si sedessero vicino a quelli di caste più basse e smisero di mandare i loro figli a scuola. Presto la scuola fu del tutto abbandonata.
Ancora una volta, Montessori, fu un’ispirazione.
Ripensando alle prime Case dei Bambini come parte dell’edificio in cui i bambini vivevano, vicini alle loro famiglie, Tarabhai Modak e Anutai costruirono dei piccoli ambienti nei cortili delle case. Unirono, così, casa e scuola, e trasformarono le case e dissolsero le case in maniera graduale e costante.
Queste scuole, le “scuole cortile” o Anganwadis sono presenti oggi in ogni villaggio, paese e città dell’India. Queste scuole avevano aperto negli angoli più remoti del Paese, in villaggi e borghi tribali; nonostante non avessero un set completo di materiale montessoriano, si basavano tutte sul principio che il bambino è un apprendente attivo ed esploratore.
Il miracolo del Bambino Nuovo, l’accettazione a livello globale, l’apprezzamento del Metodo Montessori e la rivelazione del bambino sia nelle scuole Montessori presenti in città sia in quelle rurali indiane, offrirono speranza e rafforzarono il bisogno nazionale del Metodo e della sua totalità.
Numerosi eminenti ammiratori e sostenitori come Gandhi, Rabindranath Tagore, il primo ministro indiano Pandit Jawaharlal Nehru, il presidente dell’India Dottor Radhakrishnan, i leader della Società Teosofica ed altri, estesero l’invito alla dott.ssa Montessori a visitare l’India per tenere lezioni e corsi di formazione.
La dottoressa Montessori e il figlio Mario Montessori arrivarono in India a novembre del 1939. Vennero ricevuti con l’adorazione e la venerazione che si rivolgono ai guru della tradizione indiana. Come riassunto da Mario Montessori nel suo articolo Impact of India, “Nel mio cuore la luce dell’India scalda costantemente il senso di gratitudine verso questo Paese che ha mostrato grande stima nei confronti della dott.ssa Montessori, circondandola di amicizie e fornendole supporto e collaborazione con studenti devoti ed altruisti.”
E qui mi fermo a riflettere.
Dopo 150 anni di presenza imperialistica, in India prese sempre più piede un movimento patriottico che cercava di liberare il Paese dalla dominazione e dipendenza straniere. Gandhi capeggiava il Movimento di non-cooperazione e il boicottaggio di tutto ciò che non era Swadeshi o indiano. Rese pubblica la sua accanita opposizione all’istruzione occidentale e esigette un’istruzione che corrispondesse alla cultura della terre e delle persone del posto.
Quindi, com’è possibile che il Metodo Montessori, proveniente dal lontano Occidente, fosse accolto a braccia aperte? Cosa permetteva di superare i confini tra Paesi e culture?
“L’infanzia mi ha mostrato che tutta l’umanità è una sola”, disse la dott.ssa Montessori: “Tutti i bambini parlano più o meno alla stessa età, senza differenza di razza o di condizioni sociali, tutti camminano in una determinata epoca della loro vita. Anche nel campo psichico essi sono proprio tutti simili.”
I bambini, in Italia, in India, Iran o in Indonesia sono tutti uguali. Un Metodo che riconosca e serva l’universalità del bambino e dell’umanità supera qualsiasi confine. Trasforma gli adulti in interpreti del bambino.
Quando una madre agitata trascina la sua bimba di sei anni a scuola dicendo: “Rama, non ce la faccio più con Vishal! Guardalo! Oggi si è messo la maglietta al rovescio, con l’etichetta che sbuca sul davanti! Ha lasciato le cose in giro, porta a casa i girini nella scatola del pranzo e litiga sempre con tutti! Che fine ha fatto il mio dolce bambino?” Riesco a vedere Vishal e mi viene da sorridere, “Oh, ti conosco. Benvenuto nella fase successiva!”
Il sorriso raggiante di una bambina di 5 anni mentre leggo con piacere la sua scrittura sgangherata e il tenero gesto di un adolescente quando capisco che ha bisogno di stare da solo sono regali di un Metodo che segue l’universalità del bambino.