Don Fabio Corazzina

Parroco di Santa Maria in Silva di Brescia

I CARE: Don Milani educatore

Buon pomeriggio e grazie a tutti per la fiducia accordatami. 

Cerco di dare il mio contributo provando a raccontare alcuni elementi che hanno fatto parte della scommessa pedagogia educativa di don Lorenzo Milani, non staccato da quello che abbiamo sentito e dall’approfondimento su questa donna, Maria Montessori. Un uomo e una donna, dunque, questa diversità che resta sempre un’opportunità su cui poterci giocare. 

Oggi cercherò di leggere un po’ l’intervento per aiutare chi fa la traduzione che ringrazio per avere sempre una grande pazienza, e anche per essere più veloce. 

Il metodo da solo non basta, credo che su questo siamo d’accordo. 

La cosa più importante, che si tratti di scuola Montessori, di un doposcuola in un quartiere, della scuola di Barbiana o di qualsiasi luogo educativo, sono le persone e il loro desiderio di giocarsi in una relazione gratuita di dono e di crescita. 

Allora guardo con stupore questa donna, Maria Montessori, la prima donna italiana a esercitare a professione di medico, che inizialmente applicò le sue idee sui bambini portatori di handicap, sui disabili ma poi estese tutte le sue teorie e le sue applicazioni pedagogiche all’educazione dell’infanzia intera. 

E guardandola gusto il suo metodo educativo basato sulla capacità di autoapprendimento di ogni bambino che deve essere immerso in un ambiente stimolante per la sua creatività. Abbiamo appena ascoltato questo che ci veniva ripetuto, avendo a disposizione materiali poveri, semplici ma in grado di sviluppare le loro abilità manuali tenute in gran conto da tanta pedagogia scientifica, in cui il ruolo dell’adulto è quello del “facilitatore”, facilitare un processo di crescita intellettuale del bambino attraverso degli interventi capaci di valorizzare le sue qualità, le sue pratiche intellettuali. 

E vedo questa donna, Maria Montessori, che lotta con le prospettive pedagogiche di persone come Giovanni Gentile, che diventò ministro dell’educazione nel primo Gabinetto Mussolini e come Giuseppe Lombardo Radice, uomini che propugnavano l’idea fondata sull’autorità del maestro che, in un processo educativo continuo, doveva essere in grado, dicevano, di rispecchiare lo spirito universale infondendolo nel bambino. 

Un’impostazione idealistica che ha preso poi il sopravvento nei giorni tragici dell’era fascista. 

Ciò malgrado, inizialmente l’Opera Nazionale Montessori fu finanziata addirittura dal Regime, finché il Regime riuscì a capire una cosa fondamentale e qui entra in campo la bellezza di questa scelta, finché per il Regime non fu chiaro che l’auto direttività della pedagogia montessoriana, cioè la forza di volontà, la capacità del soggetto di controllare, di regolare e adattare il comportamento in maniera efficace e ottimale per il raggiungimento dei propri obiettivi era indice di maturità e di affidabilità. 

Ecco, quando il mondo fascista si accorse che quest’auto direttività era pericolosa e non era compatibile con le finalità educative e il senso ideologico del fascismo, l’esperienza montessoriana fu bruscamente interrotta in Italia e da qui la partenza di Maria Montessori per l’India e per altre esperienze. 

Fu ripresa pian piano al termine della Seconda Guerra Mondiale e qui entra in campo la figura di Don Lorenzo Milani. Negli anni del dopoguerra, durante i quali il pensiero montessoriano si riaffermava in Italia, don Lorenzo fondava una scuola popolare operaia a San Donato di Calenzano vicino a Firenze, una delle tante che sorsero in quegli anni e fu poi trasferito in un piccolissimo borgo del Mugello, ne parlerò in seguito, a Barbiana. 

Siamo nel 1954 e Lorenzo raduna intorno a sé i figli degli operai, i figli dei contadini con i quali ha sperimentato un metodo educativo fondato su alcuni passaggi: sulla crescita collettiva più che su quella individuale, sul bisogno radicale di relazioni, sull’incontro di persone, di comunità, che univa strettamente finalità didattiche e riscatto sociale. Sul desiderio di cambiare il mondo, almeno quello in cui sei, e ridare dignità alle persone attraverso alcuni metodi di lettura e l’uso del quotidiano, sulla ricerca approfondita come metodo di studio e la ricerca fatta insieme, costruita insieme. 

La valorizzazione delle diversità per cui i più grandi chiamano a sé i più piccoli, quindi questa azione dentro le diversità, l’esperienza interessante della scrittura collettiva. 

In questo particolare contesto nasce quel testo che credo abbiate letto o comunque incrociato che è “Lettera a una professoressa”, scrittura collettiva con i suoi ragazzi, critica puntuale ad un sistema scolastico di classe che espelleva i poveri attraverso l’uso spietato dei voti, e questo è un dato, un sistema scolastico con programmi sterili e nozionistici slegato dalla vita reale e incapace soprattutto di educare dei cittadini consapevoli. La cittadinanza globale non rientrava negli obiettivi, se non teoricamente. 

E dice don Lorenzo in Lettera a una professoressa: “Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione, ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. Solo i figlioli degli altri qualche volta appaiono cretini, i nostri no e neppure svogliati o perlomeno sentiamo che sarà un momento e che gli passerà, che ci deve essere un rimedio. Allora è più onesto dire che tutti ragazzi nascono uguali e se in seguito non lo sono più è colpa nostra e dobbiamo rimediare. È la responsabilità dei processi educativi”. 

Per Maria Montessori si trattava di partire dalla fragilità insita nel fanciullo verso la quale tuttavia noi tutti abbiamo quel diritto-dovere di porre grandi speranze per rigenerare l’umanità pur se fragile. È lì la speranza. 

Diceva fra le due strade possibili nello sviluppo della personalità quella dell’uomo che ama e quella dell’uomo che possiede scegliere la prima, cioè quella dell’uomo che ama è l’unica via per accedere a una convivenza indipendente e armoniosa con gli altri uomini contro i pericoli mortali di un’educazione che privilegia il culto dell’interesse personale e della soddisfazione immediata e materiale dei propri desideri. 

La vera frontiera di difesa contro la guerra è l’uomo stesso e dove l’uomo è socialmente disorganizzato e valorizzato fa breccia il nemico universale che è la violenza 

La notizia che è stata citata stamattina e che diventa ancora più grave, il fatto che è stato bombardato un presidio medico di Medici Senza Frontiere in Afganistan: 9 medici morti e 30 dispersi. 

Mi immagino che dei dispersi sotto un bombardamento aereo si sappia che fine possano aver fatto. 

E la notizia continua con le altre agenzie in cui si dice che per 30 minuti il bombardamento è continuato nonostante fosse stata data informazione alle forze della Nato che stavano bombardando un presidio medico, questo è il dato. 

È una tragica, evidente e purtroppo quotidiana testimonianza dell’incapacità di staccare la logica dell’interesse tuo dalla difesa della vita delle persone evidentemente, dell’essere pronti e disposti a tutto. Per Don Lorenzo Milani la questione decisiva di questo processo di cambiamento globale era dare voce ai poveri. 

L’obiettivo della scuola popolare di San Donato era dare la parola ai poveri, non “parlare ai poveri” e non “parlare dei poveri”, ma dare parola ai piccoli, non “parlare dei piccoli” e “parlare per i piccoli” ma dare loro la possibilità di prendersi per mano, fornire strumenti necessari per far sentire la propria voce ed esprimere il proprio pensiero, che vuol dire il proprio progetto. La scuola diventa una possibilità di condivisione della condizione del povero per instaurare dei processi di cambiamento, di emancipazione in vista di una società più giusta. 

È questa la logica dell’educare alla pace, un’efficace descrizione dell’insegnamento della lingua, così come lo applicava da Lorenzo Milani e tanti altri, lo troviamo in una lettera che fu lui ad inviare il 28 di marzo del 1956 al direttore del giornale Il Mattino e lo descrive così: “… sono 8 anni che faccio scuola ai contadini, agli operai e ho lasciato ormai tutte le materie. Non faccio più che lingua e lingue le lingue. 

Le lingue per comunicare con tutto il mondo e la lingua per potersi dire. Mi fermo sulle parole, gliele seziono, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi. Possedere la parola significa avere la possibilità di esprimersi e comunicare con gli altri ma significa anche entrare in dialogo, diventare condizione essenziale per penetrare il reale nel suo significato più recondito che è quello relazionale.” 

Il 6 dicembre del 1954 Don Milani viene nominato priore parroco e trasferito a Barbiana: una chiesa e poche cascine sparse tra i boschi del Monte Giovi del Mugello. Non era stata una grande nomina-premio, semplicemente volevano toglierselo dai piedi. 

E descrive quell’esperienza con queste parole: “La mia è una parrocchia di montagna, quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare, 5 classi in un’aula sola e i ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa: Così, da undici anni in qua, la più grande parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario: 12 ore al giorno 365 giorni all’anno. Prima che arrivassi io, i ragazzi facevano lo stesso orario, e in più tanta fatica, per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città e ora criticano, nessuno aveva da ridire però! Ora che quell’orario glielo faccio fare a scuola dicono che io li sacrifico. La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapessi che i ragazzi vivono praticamente con me, riceviamo le visite insieme leggiamo insieme i libri, il giornale, la Posta, scriviamo insieme. 

Queste parole le scrive ai giudici nella sua lettera di autodifesa, ne parlerò in seguito, per l’accusa infamante di essere un traditore della patria perché difese degli obiettori di coscienza. 

Don Lorenzo guardava, vedeva i suoi ragazzi e disse in una delle sue lettere: “Ho badato solo a non dire stupidaggini, a non lasciarle dire e a non perdere tempo(guardate quanto è vicino anche alla riflessione che ci faceva prima!!). Poi ho badato a edificare me stesso e a essere io come avrei voluto che diventassero loro.” 

Di fronte alla denuncia per tradimento e insulto alla patria e ai suoi caduti, denuncia tra l’altro fatta da altri amici preti (a volte anche tra noi preti ci si vuole bene, ci si aiuta a crescere… mettiamola così!!… chiusa la parentesi), don Lorenzo aveva difeso 31 giovani carcerati nel carcere militare di Gaeta che erano stati accusati di tradimento per la patria perché obiettori di coscienza al servizio militare e all’uso della violenza e alla guerra come metodo. In quel periodo essere di coscienza e rifiutare la leva voleva dire andare in galera. Scrive la sua autodifesa in una lettera chiamata “Lettera ai giudici” datata 18 ottobre 1965 e dice così: “Io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati avevano appena ho letto la notizia sul giornale: - un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto (era riferito ai giovani in carcere), tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di fare notare queste cose ai miei ragazzi, le avevano già intuite e avevano anche intuito che ormai ero impegnato a dare loro una lezione di vita Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più di tutti gli altri. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto. Dovevo bene insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia come la libertà di parola e di stampa, come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra, come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.” 

Su una parete della scuola ancora oggi c’è, se siete andati o se volete andare a Barbiana, sulla porta della scuola c’è scritto in grande “I CARE”, è il motto intraducibile dei migliori giovani americani “ME NE IMPORTA, MI STA A CUORE” che è il contrario esatto del motto fascista “ME NE FREGO”, questa era la strategia. 

Siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo. Dice ai giudici: “… perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva”. Questa era la tragedia per don Lorenzo, non tanto difendere sé ma sé come maestro. “Mi dicono che io sono un cattivo maestro, un cattivo educatore, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo per amare la legge è obbedirle, bisognerà dunque accordarci su ciò che è “scuola buona”. Quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un obiezione di coscienza, cioè violare la legge di cui si ha coscienza, che è cattiva, e accettare la pena che essa prevede, pagare di persona. 

È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell’imputato ed è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta perlomeno aveva un’idea chiara di come stare dentro il mondo, erano connaturali alla scommessa educativa di don Lorenzo alcune scelte capaci di uno sguardo che io credo prospettico e concreto, per un mondo nuovo, pacificato, meno ingiusto e violento. Ne ricordo alcuni perché fanno parte, devono far parte del nostro impegno comune di educatori. 

Primo: Don Lorenzo era un uomo di parte, stava dalla parte dei piccoli e dei poveri, non era un uomo per tutte le stagioni, è evidente. Il suo schierarsi dalla parte degli ultimi, ignoranti, indigenti, orfani, disabili, persone in difficoltà fu solo evangelico e non politico. Lui si esprimeva concretamente a livello locale ma idealmente aveva uno sguardo ai poveri di tutto il mondo, uno sguardo globale. “Io - diceva in Lettera a una professoressa - mi considero prete soltanto per voi, per le vostre famiglie, per i contadini, per gli analfabeti, per gli operai, per quelli che non vanno in chiesa e per le persone più lontane, per quelli che non hanno istruzione soprattutto, la mia vita la voglio dedicare esclusivamente a loro. Chi sa volare non deve buttare via le ali per solidarietà con i pedoni deve piuttosto insegnare a tutti il volo” È bellissimo questo!! “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”, scrive queste parole commentando il sistema scolastico. 

Secondo elemento: don Lorenzo non solo era un uomo di parte, ma era un uomo che lottava contro ogni ingiustizia sempre, lottò per una giustizia intesa nel senso della frase che ritroviamo dentro “Lettera a una professoressa” che è questa: “Non c’è cosa più ingiusta che fare le parti uguali tra disuguali”. È evidente. 

All’amico comunista Pipetta, che scriveva una lettera nel 1950 (erano gli anni in cui si volevano gli espropri proletari delle proprietà dei ricchi “perché lì ci dobbiamo mettere i poveri”), scrive una lettera con queste parole: “Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco ricordatene Pippetta, non ti fidare di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te, io tornerò nella mia casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Cercare di rispettare la persona dell’avversario, di capire che il bene e il male non sono tutti da una parte, che non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti, che bisogna andare sempre controcorrente e litigare con tutti. E poi il culto dell’onestà, della realtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse.” Questa è la logica. Don Lorenzo era uno che arrivava fino in fondo, insegnava il dovere della responsabilità e dell’impegno sociale, si adoperava per sensibilizzare le coscienze sulla gravità delle colpe di omissione. Ognuno deve sentirsi l’unico responsabile di tutti, in termini pieni, sosteneva che il cristiano impegnato nel sociale doveva essere tanto determinato quanto sereno, senza mai lasciarsi prendere dallo sconforto e dalla disperazione. Diceva nei suoi iscritti “combatti fino all’ultimo sangue a costo di farsi relegare in una parrocchia di 90 anime in montagna e di farsi ritirare i libri dal commercio”. Questo è quello che è capitato don Lorenzo Milani, si tutto ma senza perdere il sorriso sulle labbra e nel cuore e senza un attimo di disperazione o di malinconia o di scoraggiamento o di amarezza Prima di tutto c’è Dio e poi c’è la vita eterna e io sto in piedi e poi ci sono gli anni che passano, gli uomini che sbagliano, invecchiano e muoiono. Quelli che hanno ragione non invecchiano, chi ha avuto questa ragione pedagogica non invecchia, siamo qui a parlarne ancora oggi. Tutto sta dunque nel riuscire ad avere ragione davvero, nel trovare il vero “davvero”. Io dunque non sparo morte né sul cardinale Ottaviani, che l’aveva criticato e attaccato sulla DC del tempo. Mi siedo invece qua su, sul Monte Giovi a Barbiana, penso, studio, scrivo, prego, sorrido bonariamente e con pazienza. Io al mio popolo gli ho tolto la pace, non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposizioni, schieramenti di pensiero. Ho sempre affrontato le anime, le situazioni con la durezza di chi che si addice ad un maestro”. Lui era rigidissimo, era duro perché sapeva che in quel modo provava a chiedere tutto a quei ragazzi. “non ho avuto né educazione, né riguardo, né tatto, mi sono tirato addosso un mucchio di odio, ma non si può negare che tutto questo ha elevato il livello degli argomenti di conversazione, di crescita del mio popolo.” Lo scriveva in un testo intitolato “Esperienze pastorali”, il suo essere uomo in mezzo alla gente. Don Lorenzo era uno che dava valore al tempo e insegnava ad attribuire al tempo un valore sacro in quanto era dono di Dio e non poteva essere sprecato. “Se la vita è un bel dono di Dio - dice in una delle sue lezioni a Barbiana - non va buttata via e buttarla via è peccato. Se un’azione è inutile, è buttar via un bel dono di Dio. Tornare all’essenziale e non sprecare inutilmente né tempo né energia. È un peccato gravissimo, io lo chiamo bestemmia del tempo e mi pare una cosa orribile perché il tempo è poco, quando è passato non torna più. Butti via del tempo dei piccoli, dei bambini che devono crescere e non ritorna più.” Don Lorenzo voleva stare dentro questo mondo con la dignità dell’abitare una comunità, una fraternità umana. Diceva nella “Lettera ai cappellani militari”, quelli che lo avevano denunciato per vilipendio alla patria e alto tradimento perché difendeva gli obiettori, era il febbraio del 1965 diceva queste parole: “Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che nel vostro senso io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria gli altri i miei stranieri e se voi avete il diritto senza essere richiamati dalla Curia di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e devono combattere i ricchi e almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi. Le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere fare orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.” Parlava così ai preti, questa dimensione di democrazia e di cittadinanza fortissima e proprio l’immediatezza del rapporto fra l’idea che hai e la realtà, una delle principali caratteristiche dell’esperienza Milaniana. L’obiettivo è raggiungere una esatta corrispondenza tra ciò che ci si propone idealmente e ciò che si realizza nel concreto. Nell’organizzare la scuola lui rifiutava ogni accorgimento didattico, ogni trascrizione ludica, su questo aveva una diversità radicale rispetto Maria Montessori, aveva dentro questa passione interessante. 

Li avrei visti bene lavorare insieme, avrebbero litigato da mattina a sera ma sarebbero stati una potenza sul piano educativo e umano incredibile. 

Viene esclusa ogni propedeuticità, si mira all’essenzialità senza nulla concedere al divertimento fine a se stesso. 

Vi racconto questa storia personale, faccio una breve parentesi e arrivo alla fine. 

Con un gruppo di giovani andammo a Barbiana, Don Lorenzo era morto ma a Barbiana abitava ancora la Eda, che era la sua perpetua. 

Era estate, agosto. Arriviamo in bicicletta a Barbiana fa un caldo boia. Lui aveva fatto una piscina in cui insegnava i suoi ragazzi a nuotare, ragazzi che abitavano nelle montagne, perché diceva “se sai nuotare puoi salvarti la vita e se serve salvi la vita a qualcun altro”, quindi aveva sempre questa idea che le cose servono a vivere e a far vivere gli altri 

C’erano praticamente 10 cm di acqua perché aveva piovuto in questa piscinetta e i giovani dopo una tirata in bicicletta al caldo entrano nella piscina con i piedi. Esce la perpetua e gli dice “Oh bischeri fuori subito da lì perché il priore quella piscina l’ha fatta per imparare a vivere e non per giocare e divertirsi”…fuori tutti in silenzio davanti alla perpetua del priore. 

Per Don Milani fare posto all’altro attraverso la parola, la comunicazione e l’insegnamento prima di essere generosità era un atto di giustizia. 

E chiudo con questa ultima testimonianza. La porto sempre con me perché quando l’ho scoperta mi ha commosso in un modo incredibile. Muore nel 1967 don Lorenzo, con un cancro, e nell’ultimo periodo stava facendo fatica, non riusciva più a seguire i ragazzi della scuola e scrive il 4 di aprile del 1967 una lettera a Ferruccio, uno dei suoi ragazzi della prima ora, e scrive queste parole, guardate come se la porta dentro questa passione: “Mi spiace caro Ferruccio, profitto del fatto che questa sera sto meglio per scriverti io. Stasera ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino: il priore non riceve perché sta ascoltando un disco (che sarebbe stata una bestemmia per don Lorenzo, prima le persone, i piccoli e quello che non serve ad aiutare a crescere lascialo perdere). Vedo invece che non me ne importa nulla, volevo anche scrivere sulla mia porta I don’t care più, I don’t care più, ma invece me ne care ancora molto, tanto più che domenica mattina quando avevo deciso di chiudere ogni bottega scolastica e parrocchiale Dio mi ha mandato Ferruccio e Enzo e una fila di altri ragazzi di San Donato come per dire che devo seguitare ad amare le creature giorno per giorno come fanno le maestre e le puttane (ve la do come è stata scritta). Guardate questo uomo, non immaginate vedere da questa porta “I don’t care più” ma non ce l’ha fatta proprio. 
E chiudo con questo pensiero legato alla mia piccola esperienza. Marta ha 24 anni e con Sofia, Elena, Maria, Thomas tanti altri e altre giovani e non vivono, loro sono una piccola comunità di giovani che vivono con me in oratorio in parrocchia, condividiamo con loro la scommessa educativa del doposcuola del nostro quartiere, che è un quartiere molto multietnico con decine di nazionalità, culture, religioni, lingue, spiritualità e soprattutto decine di volti, di storie. Nelle nostre scuole del quartiere l’85% dei ragazzi proviene da famiglie straniere, non è una piccola percentuale. Ieri sera poco prima di mezzanotte mi invia un sms semplice ma per me un po’ sconvolgente. Il messaggio era questo “È con 93 bambini e ragazzi che chiudiamo le iscrizioni al doposcuola 2015”. Ogni giorno con centinaia di ragazzi e bambini che arrivano insieme provano giocarsela valutando che tutto è gestito sulla gratuità di giovani adulti che è quotidiano e che io adulto calcolatore non riesco a tirare un uguale a fine giornata non sapendo come sommare bambini, famiglie, desideri di crescita gratuita, sconfitte economie, e ho risposto così a Marta “Impazziti, siamo semplicemente impazziti ma vi voglio un mondo di bene perché mi aiutate non temere, a capire che non possiamo fermarci e che la scommessa educativa è la nostra vita. Che Dio ci dia la forza di fare del nostro meglio con competenza ed imparare ad amare i ragazzi e a stare in mezzo a loro oltre ogni calcolo, giorno dopo giorno. Grazie e ora diamoci da fare.” 

E grazie anche a voi.

Maria Montessori: educazione e pace
Maria Montessori: educazione e pace
AA.VV.
Raccolta degli Atti del Convegno del 3 ottobre 2015. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Carolina Montessori, bisnipote di Maria Montessori e archivista presso AMI Association Montessori Internationale Rama Reddy, insegnante di scuola elementare e Trainer presso l’Istituto indiano di studi Montessori Lynn Lawrence, direttore esecutivo AMI Ela Eckert, membro del consiglio della German Montessori Society Paola Trabalzini, docente universitaria presso la LUMSA di Roma e formatrice dell’Opera Nazionale Montessori David Connolly, responsabile del Programma di Prevenzione dei Conflitti presso The Hague Institute for Global Justice Don Fabio Corazzina, parroco di Santa Maria in Silva di Brescia