Intervento di Raniero Regni

Professore di Pedagogia Sociale, Dipartimento Scienze Umane Università LUMSA, Roma

PEDAGOGIA DELL’ATTENZIONE E DISTRAZIONE DI MASSA

Su questi argomenti, sul rapporto tra concentrazione e movimento, tra Montessori e neuroscienze, mi pare sia stato detto molto e sicuramente è stato detto l’essenziale. Mi rimane da dire una cosa molto semplice, ma ci ho messo molto tempo prima di capirla e mi scuserete, come dice un mio amico “Dopo tre volte capisci subito”. Sono più o meno trent’anni che mi occupo di Montessori e di questo mondo, partecipo come osservatore alle presentazioni del materiale, ho avuto l’occasione d’incontrare le allieve dirette di Montessori… Insomma la prima affermazione provo a dirla a modo mio: bisogna prendere molto sul serio i bambini - e l’ho capito dopo molto tempo, ho fatto un lungo giro filosofico per arrivare a capire quello che mia nonna sapeva già fin dall’inizio, che bisognerebbe rendere molto sul serio i bambini, e qualcuno ieri sera mi ricordava: “Chi prende sul serio i bambini?” Guardate, so che parlo a delle donne, a degli educatori, a degli uomini che si prendono cure di bambini e ragazzi, ma non li prendiamo ancora sul serio, non li consideriamo; dalla nostra altezza adulta, dalla nostra società impegnata in altre cose, dal nostro metro e ottanta, settanta centimetri d’altezza non vengono presi in considerazione. E la seconda cosa, ancora più terribile per uno come me che ha passato del tempo a studiare Montessori, mi dicevo: è venuto il momento di prenderla sul serio, Montessori, e prenderla sul serio vuol dire prendere sul serio i bambini e prendere sul serio l’uno e l’altro vuol dire che “quando il saggio indica la luna lo stolto guarda la punta del dito”.

La Montessori diceva sempre di non guardare lei e che questo non è il metodo Montessori ma è il metodo del bambino, perché dovete guardare lui. Montessori ci dà un “microscopio” spirituale, come lo chiama lei, e per me prendere sul serio Montessori significa stare molto attento alle parole che lei usa, siccome era un genio, quando sceglie un verbo o un sostantivo non lo prende a caso. Parlare di microscopio vuol dire far riferimento alla scienza e lei diceva che le maestre e i corsi di formazione dovrebbero invitare a guardare l’invisibile grazie ad uno strumento tecnico, il microscopio appunto, che ti aiuti a guardare i bambini. Sono sotto gli occhi di tutti noi da sempre, eppure ci eludono, non li vediamo, sono facili da amare ma difficilissimi da capire, ecco perché il microscopio, ma spirituale. Significa che questo strumento non solo ti fa vedere l’invisibile ma ti fa andare oltre il visibile, rivelandoti un intero mondo ricchissimo e questo vuol dire prendere sul serio Montessori e i bambini, perché la posta in gioco è molto alta; Montessori parla di “salvezza del genere umano”. In una frase lei collega tre dimensioni: la tecnica, la scoperta scientifica e la rivelazione spirituale di quello che c’è dentro ad un bambino, che è il più vicino possibile al cuore della creazione; è uscito un uomo nuovo dalle mani della natura o di Dio, che sono la stessa cosa, ed è un occasione per dire agli esseri umani: “Potete fare qualcosa di grande”. E ne nascono a milioni di bambini e rappresentano un’energia biopsichica in grado di cambiare il modo, perché di cambiare il mondo tanti ne hanno parlato, ma siamo ancora qui a tagliare teste, a fare guerre, a farci del male, a non capirci, a giocare al ribasso con la nostra umanità e quindi c’è bisogno di questa energia. La posta in gioco è per tanto molto alta ed è vedere la relazione tra un piccolo gesto e una cosa grande, come impugnare una piccola brocca di vetro, vera, con dentro l’acqua, per un bambino di tre anni che fin ora a casa si è sentito dire: “Stai attento perché si rompe, sta’ fermo, sta’ buono, sta’ zitto e non toccare niente”, finalmente trova un ambiente in cui può fare questi gesti, piegare le tre dita… le neuroscienze adesso ti fanno vedere cosa si muove dietro queste tre dita, tutta l’attività neuronale celebrale che c’è dietro un piccolo gesto. Allora Montessori che cos’è, se non collegare il micro al macro, la dimensione più piccola alla dimensione più grande, vedendo tutti i passaggi e non si può più dire: “Tanto sei piccolo, tanto non vali niente, tanto devi crescere, tanto poi imparerai”; perché questo modo d’intendere la relazione adulto bambino ci ha portati dove siamo, cioè a correre sul posto. Sostanzialmente pensi di andare molto veloce, ma stai pedalando su una cyclette, non ti muovi di un passo. 

Allora mi piace questo convegno che cerca di superare i limiti delle specializzazioni, che permette a uno come me di vedere degli scienziati leggersi Montessori, prendere le osservazioni sui loro nipoti ed infilarle in una ricerca scientifica, è una occasione interessante per me come ascoltatore. Quindi Montessori è confermata in pieno dalle neuroscienze, lei sarebbe stata molto curiosa e orgogliosa del fatto che la scoperta del bambino continua, che il segreto dell’infanzia trova degli esploratori nuovi che vengono da altre discipline, che contribuiscono a capire e approfondire la conoscenza del bambino. Qualcuno parla di uno sposalizio tra neuro-, psico- e pedagogia e parla di neuroscienze dell’educazione ed io capisco i colleghi pedagogisti che vengono come me da quella che Montessori definisce “ma siamo ancora lì”, solo il presentimento di una scienza! E mi dispiace per chi crede che la pedagogia sia una scienza, è il presentimento di una scienza, allora forse i pedagogisti si sentono nobilitati se lì vicino si mette neuroscienza dell’educazione; però a me piace questo programma di ricerca che va verso l’unificazione del sapere, ma non la sua riduzione, perché io ho l’idea che nel Montessori ci sia qualcosa di più dell’orizzonte che le neuroscienze si prospettano davanti. 

A me è capitato di fare qualche anno fa, a Bolzano, un convegno come questo ed io ero vicino a Edoardo Boncinelli e lui parlava del cervello ed io traducevo in simultanea in “montessoriese” e veniva una traduzione perfetta, le due cose coincidevano punto a punto. Quello che lui diceva sulla lentezza del movimento del bambino, di offrirgli il mondo senza fargli fretta, perfetto! Il cervello, ci diceva che funzionava nella direzione in cui Montessori aveva detto che dovevamo procedere. 

Boncinelli me lo spiattellò lì dicendo che il cervello è una cosa si può persino mangiare. 

Allora che cosa significa riduzionismo? Nella civiltà odierna si è passati dallo studio dell’anima, di cui si occupava la religione, i grandi guru che indicavano all’umanità la salvezza, alla psiche e da qui si è passati in tempi recenti, poco dopo la seconda Guerra mondiale, alla mente, al cognitivismo e così via, e oggi dalla mente si passa al cervello. Allora cosa abbiamo? Una biologizzazione della coscienza? Una naturalizzazione dello spirito? Si ha una riduzione dell’uomo a macchina biologica, semplicemente ridotto a corpo, o è possibile fare il passaggio inverso e far vedere come emergono delle qualità che vadano dal corpo alla mente e dalla mente allo spirito in una forma di trascendenza? Ma senza ripetere l’errore di Cartesio, che Antonio Damásio demolisce, senza ripercorrere la divisione tra mente e corpo. Io mi rifiuto di concepire l’essere umano come semplice corpo, nuda vita, è quell’elemento sacro che c’è dentro l’essere umano. Se i neuropsichiatri studiassero di più i bambini… e lo fanno, in una forma anche crudele, lo stesso Dehaene, per tenere fermo un bambino di sette anni, gli fa vedere il suo cartone animato preferito e, se lui muove la testa leggermente, il cartone animato si interrompe… Eppure i bambini si divertono tantissimo perché vengono responsabilizzati, sono parte di una ricerca, però se si studiassero di più ancora i bambini, come ha fatto Montessori, e meno i topi, forse scopriremmo questa trascendenza che emerge dentro e fa il processo inverso: dal cervello alla mente poi alla psiche e poi verso l’anima di cui parla Montessori, questo elemento spirituale che dava fastidio alla stesso Brunner, che lo dice: “Questo strano miscuglio di scienza e spiritualità”. Il cognitivismo provava imbarazzo quando Montessori parlava di anima e di come il bambino e Dio se la intendono e si capiscono benissimo, quindi Montessori potrebbe aiutarci anche ad evitare l’errore della deriva riduzionistica e “riproblematizzare” dentro la scienza, da scienziata, da osservatrice dei bambini. Vivevo ciò con preoccupazione, nel sentire che il progetto di un neuropsichiatra era di rendere inutile la psicologia, perché nei momenti in cui studierò il cervello, l’hardware che è ciò che mi spiega il software che ci gira dentro, a questo punto il programma non trascende più la macchina perché è già la macchina e a questo punto la psicologia è inutile; e allora c’è una specie di neuro-mania perché questo prefisso neuro rende tutto credibile e immediatamente accettato da un pubblico di non esperti, “Se te lo dice un neuroscienziato, ti fa vedere che si accende il tracciato celebrale, allora ti dici che sarà vero”. Quindi da una parte anche questa è una cosa buona, perché finalmente i neuroscienziati ci aiuteranno a capire che “il bambino è il padre dell’uomo”, che il cervello del bambino è il padre del cervello dell’adolescente, poi dell’adulto. Daranno dimostrazione scientifica di questa continua proclamazione continua di Montessori, che era perfetta sin dall’inizio; dall’altra parte potrebbe verificarsi una forma di degenerazione di quella che viene chiamata la neuromania, rendere credibile ciò che segue che spesso invece non lo è, perché quando parli di cervello… come me, che ne so poco, potrei dire delle stupidaggini.

* La pedagogia dell’attenzione
Montessori è una pedagogista, una scienziata, un genio della psicologia dell’età evolutiva. L’origine della sua scoperta dell’infanzia è proprio nell’osservare il momento che gli studiosi della creatività scientifica identificano come Eureka; dopo che per 10 anni ha lavorato spaccandosi la testa con una serie di problemi e con risposte sbagliate, ecco l’illuminazione, si accende soltanto alle menti ben preparate, a lei si accende osservando una bambina di quattro anni, quindi la fonte della scoperta montessoriana è legata alla polarizzazione dell’attenzione, cioè è legata alla sorpresa di fronte ad una bambina che ripete per più di 40 volte un esercizio. Sprofondando nell’esperienza del flow, del flusso, che è un modo nuovo per dire questa cosa antica che lei aveva scoperto: questa bambina era diventata psichicamente sorda, tentano di disturbarla in qualunque modo, ma lei, imperturbabile, è sprofondata dentro l’attenzione. E Montessori si stupisce, perché non si aspettava che una bambina si potesse concentrare così a lungo, e si stupisce del suo stupore: cosa c’è dietro quell’epifenomeno, quella concentrazione esterna che manifesta qualcosa di interno? qui sta la scoperta scientifica, è una mente molto più potente di quello che sospettavamo, quindi tutta la pedagogia montessoriana è una pedagogia basata sull’attenzione. Tutta la scoperta parte da qui, la fonte è il luogo dove l’acqua è più limpida, ecco perché Montessori torna spesso lì, l’origine è sempre lì, poi viene tutta la ricerca montessoriana. Il valore psichico del movimento: quella bambina non è che facesse dei gesti, era la sua mente prensile, cioè lavorare con la mano significava afferrare con il cervello, quello che la mano sfiora, il cervello se ne impadronisce con forza, la mano afferra e anche il cervello e la concentrazione profonda. Da questo esperimento si origina tutta la ricerca e tutta la proposta pedagogico-didattica parte da lì, dove c’è la rivelazione della portata psichica del movimento: quelli sono pensieri, tu stai pensando con le tue mani, con tutto il tuo corpo che si mobilita insieme alla tua mente, e hai un’esperienza di concentrazione profonda senza sforzo. La bellezza di Montessori è proprio nel fatto che lei ha capito che questa concentrazione, quando c’è, trova un materiale che la interessa su cui lavorare; quindi il materiale e gli oggetti generano una serie di crescite che permettono di far scattare il silenzio, e dentro tale silenzio c’è l’elevazione mentale del bambino, i frutti maturano in silenzio e questo per noi è difficile da capire perché siamo adulti di mille parole, abbiamo troppe parole. Montessori, infatti, dice sempre: “Parlate poco, le tue parole siano contate”, devi sempre far la prova del silenzio, le tue parole valgono di più del silenzio, ecco la soglia dell’intervento. 

La pedagogia di Montessori è una pedagogia dell’attenzione, quindi: fate attenzione. Cosa vuol dire “profondo”? Come diceva un mio docente universitario, significa essere “superficiale”, perché se dici profondo lo devi dimostrare; quindi, non puoi dire: “fai attenzione”, se questa deve essere quest’elemento endogeno, come diceva Rapundel, che viene dall’interno dell’io, automotivato. Viene da se stessi, allora io che faccio, ti do un surrogato d’attenzione? Eppure tutti dicono: fate attenzione. Montessori è una pedagogia dell’attenzione nei confronti dell’attenzione. 

E io capisco la durezza dei corsi Montessori, anche se è una delle cause della difficoltà della diffusione del metodo, perché richiede una conversione: se decidi di prenderla sul serio, significa ascoltare la risonanza che c’è dentro le sue parole, che ti fa cambiare idea. È durissimo mettersi a fare le piegature, le scatoline. È difficilissimo per un adulto corsista, che ha tanti altri pensieri. Cioè è difficile capire il senso di certe cose, e non ci si può limitare a dire: “Tu devi fare così”, ma bisogna spiegare tutto il percorso, ed è mettersi nei panni del bambino; bisogna mettersi in ginocchio, ma in realtà questo significa innalzarsi verso il bambino, calcolando le sue potenzialità, e vedere la portata di ogni gesto. È una sorta di disciplina zen, prima la devi svuotare una tazza di tè per poterla riempire (come dicono i maestri zen, appunto), tutti questi esercizi servono a “svuotare” dentro di te, per poi fare riemergere una gestualità che, quando incontrerà un bambino, diventerà simile alle cose che studi tu, cioè una raffinatezza.

Io spero che dai convegni non venga fuori una neuropedagogia da neuro-mania, ma venga fuori la consapevolezza che ogni gesto ha una portata specifica. I neuroscienziati spiegano che i gesti, cioè l’esperienza, fanno biologia, modificano la materia. Se misurano un’area celebrale ed è modificata dall’esperienza, questo non accade più se non nell’infanzia. Quindi l’infanzia, è fatale, è un’opportunità, è una finestra; non sono solo bambini, sono un potenziale enorme. 

L’attenzione è il più potente strumento della mente, se capite qualcosa lo capite perché fate attenzione. Attenzione, memoria e controllo esecutivo, cioè la capacità di fare tutte le cose che abbiamo visto fare, dal camminare al suonare il violino, sono componenti fondamentali del pensiero, sono il pensiero, come faccio a distinguere la memoria dal pensiero? Ora proveremo a dimostrarlo, sono convinto che lo switching ha un costo, dicono i neuroscienziati: “è come cambiare canale e il cervello si deve spegnere e accendere più volte”, e il cervello diventa molto veloce nel fare questo lavoro, ma la velocità ha un costo, il costo di switching, il costo di spegnimento e accensione rapida. Tutti gli strumenti che noi stiamo usando con i bambini ti pongono questo prezzo, sono interessanti, ma a me spaventa la concentrazione di un bambino di fronte alla televisione, perché i bambini ci cascano dentro e perché questi sono in grado di polarizzare l’attenzione, ma cosa fa la sua mente mentre guarda la televisione, cosa fa la sua mente mentre il suo dito sposta una frase, come si fa in molte scuole in touch screen, e prende parti di frasi e le sposta? e allora, mi chiedo, non saranno meglio le lettere smerigliate? 

I neuroscienziati penso che siano d’accordo su questo, c’è più attività celebrale, più attenzione, più memoria più controllo esecutivo nei movimenti dentro una lettera smerigliata che dentro un touch screen raffinatissimo. Sono disposto a discuterne. L’attenzione collega gli eventi che avvengono simultaneamente nella mente, crea collegamenti ossia reti neurali che si attivano e un’antica legge di un neuroscienziato degli anni Quaranta diceva che i neuroni che si attivano insieme si collegano tra di loro. È un’immagine molto semplificata quella nella mia testa, delle catene che se rimangono isolate non sono delle vie, ma se si collegano, e se poi gli stimoli ripassano sempre su queste cose, allora le vie diventano autostrade e si rafforzano prendendo potenza.
* Il ruolo dell’attenzione nella plasticità del cervello e della memoria
Uso soltanto una frase di Eric Candel: “Alla ricerca della memoria” è un suo libro molto interessante, autobiografico, racconta di lui che fugge dalla Germania sotto il nazismo e l’immagine dell’irruzione delle SS nella sua casa è incancellabile; pensate, un ragazzino che poi diventa il più grande studioso della memoria e che lavora ancora su quel ricordo indelebile, che fu un trauma, perché da quel momento la sua esistenza, quella della sua famiglia, cambiò. Va negli Stati Uniti, si salva la vita, vive da lontano l’Olocausto, il reinserimento, diventa premio Nobel per le neuroscienze e lui scrive: “Perché un ricordo permanga, l’informazione che perviene deve essere lavorata per intero, in maniera profonda, ciò si ottiene prestando attenzione all’informazione, associandola in modo significativo e sistematico alle conoscenze già solidamente fissate in memoria”. 

Questo cosa vuol dire? Che io devo elaborare questo processo, come ha fatto quella bambina che ha “elaborato” questa cosa di cui parla Candel, 44 volte ha fatto questa cosa. Cosa succede nel cervello? Si passa dalla memoria di lavoro a breve termine alla memoria a lungo termine; se non gli dai il tempo di fissarlo nella memoria a breve termine, il ricordo se ne va, per cui devi dargli ancora tempo. Addirittura si parla di anni, perché la memoria è la “metafora computazionale”, la memoria non è un computer, in cui la memoria è un hard disk esterno, mentre nei “cervelloni” sono parti specializzate, dalle quali le informazioni poi passano nella neocorteccia e diventano il pensiero.


Il passaggio è questo: memoria a breve termine, memoria a lungo termine, serbatoio dell’ippocampo e poi dopo anni questa memoria entra dentro la neocorteccia che è il pensiero, e a questo punto memoria e pensiero sono la stessa cosa. E ciò è possibile perché mette in moto tutto l’attenzione prolungata fino a quando non ho finito tutto il processo. E allora non fare fretta, non interrompermi, dammi del materiale su cui polarizzare l’attenzione, il resto lo faccio io. Questo significa avere fiducia nei bambini, perché credo che il bambino abbia delle potenzialità che i neuroscienziati mi fanno vedere; il bambino la sa lunga sull’apprendimento, non sono io a insegnargli a parlare, in tal caso la nostra specie si sarebbe già estinta. Per fortuna i bambini riproducono il linguaggio all’interno e hanno uno schema motorio innato, ma devi dare loro le occasioni, devi creare un ambiente, però lo sviluppo non lo puoi insegnare, lo sviluppo ce lo hanno dentro da sempre. Questa cosa è in viaggio da millenni, il flow viene da lì, la concentrazione di un santo o di uno scienziato viene da lì, bisogna avere fiducia nell’evoluzione della mente. Leggete Merlin Donald, “L’evoluzione della mente”, un libro affascinante, che ti racconta come emerge questa mente da una dimensione episodica in comunicazione con delle macchine esterne che abbiamo creato noi, nuova cultura e coscienza ibrida che in parte sta dentro e in parte sta fuori, però ti dà l’idea del tuo posto nella natura, ti rende orgoglioso e modesto allo stesso tempo. 

Ciò che noi ricordiamo o dimentichiamo, la chiave del consolidamento dei ricordi è l’attenzione, di nuovo, perché i ricordi si consolidino e diventino pensiero ci vuole l’attenzione, più è acuta l’attenzione più è acuta la memoria. L’attenzione sembra qualcosa di evanescente, il fantasma nella mente, è molto sfuggente, ma Montessori ha studiato la ricchezza delle connessioni interne, l’atto di connettere cos’è, se non il pensiero? Né più e né meno. Non puoi più distinguere attenzione, memoria e pensiero, sono la stessa cosa. Aveva ragione Goethe, il genio è per tre quarti memoria.

Questa concentrazione può andare perduta, se c’è distrazione e se c’è un eccesso di stimoli. Libertà e disciplina e ordine, non sono nemici: la prima cosa che ho visto fare ad una bravissima formatrice del nido montessoriana, appena arrivata, è mettere fuori dalla scuola dieci sacchi dell’immondizia neri, con tutte le cose che riempivano l’ambiente del nido, perché è un eccesso di stimoli. Paperino in dimensioni giganti a cosa serve? Che immagine abbiamo dei bambini, guardiamoli, cosa fanno, cosa mangiano, è questo che nutre le loro menti, è questo che è cibo per i loro neuroni. La concentrazione è legata alla motivazione, è vero! Il coinvolgimento genera concentrazione. Quando sei molto coinvolto riesci a concentrarti a lungo, ma nel bambino piccolo la concentrazione è legata anche ad una logica interna; solo dopo essere riuscito a concentrarmi mi coinvolgo emotivamente, per cui bisogna stare attenti con il bambino piccolo. L’adulto motivato poi si concentra. Il contrario avviene con il bambino piccolo: devi dargli un’occasione, ecco perché gli oggetti, i materiali. Montessori ha capito questo e da qui ha tratto tutta una serie di conseguenze, anche sui piani dello sviluppo. 

E per concentrarsi cosa deve fare il bambino? 

Le parole e i gesti sono nati insieme, nel gesto di scheggiare una pietra l’homo habilis ha dialogato con i materiali. I nostri progenitori sono diventati sapiens perché hanno creato un arco riflesso, ce l’ho in mano questo oggetto, ragiono su di lui e lui agisce su di me e allora lo spezzo e viene fuori un’ossidiana tagliente e poi la lego su una lancia e così via. Questo è stato il primo dialogo tra la mano e la mente e, quando si separano queste due, chi ci rimette è sempre la mente. Questo ha capito Montessori: “l’azione assorbe l’intera attenzione e l’energia del bambino, l’uso delle mani porta ad una profonda attenzione, la concentrazione”. La concentrazione fa parte della vita della nostra mente e della sua evoluzione, è rendere omaggio ai nostri antenati ogni volta che ci concentriamo. Un bambino, in 24 mesi, ricapitola una filogenesi lunga 100.000 anni, ma gli vuoi dare tempo? Rendi omaggio, altrimenti sei empio. Il non ricordare da dove si viene… “la concentrazione fa parte della vita, non è la conseguenza di un metodo dell’educazione”, così dice Montessori, dice di non aver scoperto niente ma di aver avuto la fortuna di assistere a questa rivelazione, e non l’ha più mollata. Ecco la normalizzazione del bambino deviato, è arrivare alla concentrazione sul lavoro. Prima salta sui banchi, ha il disordine nella testa, poi si scopre che questo bambino diventa fantastico. È materiale di sviluppo, insieme all’ambiente che è rivelatore, rivela al bambino il viso più luminoso del suo essere, allora lui cambia e cresce e diventerà il fondamento di un uomo migliore. 

Queste cose le scopre nel 1907. Quali distrazioni avevano i bambini in quel tempo? San Lorenzo in Roma anche adesso è un posto tranquillo, quindi i bambini non avevano chissà che distrazioni, forse l’uomo che portava il pesce… Oggi i bambini sono inseriti in un contesto che abbonda di “mezzi”; non prendetemi per un luddista, io non saprei vivere senza tecnologia, però i nostri figli nascono e crescono in un ambiente in cui ci sono mezzi di ogni sorta, audio-visivi, media-elettronici, media-digitali, che si ibridano, si parla di macchine che sembra si accoppino tra loro e nascano nuove specie, gli attribuiamo quasi una forza generatrice, sono specie che si evolvono. Queste macchine richiedono tempi di attesa istantanea, attenzione non prolungata, un ecosistema di tecnologie dell’interruzione dell’attenzione. La perenne distrazione caratterizza la vita online, ma il browsing non è la lettura, è vero che tu leggi, ma quanto tempo ci metti a leggere una pagina intera d’Internet? La lettura rapida provoca un apprendimento superficiale. Non dico male di queste macchine, non ne possiamo fare a meno, magari ci salveranno la vita, però ci sono delle controindicazioni: queste macchine sono macchine della distrazione di massa, ci addestrano. Che cosa succede poi alla nostra mente e al nostro corpo mentre sto “smanettando”? Invece, che cosa fa il libro? Il libro ci rivela la coscienza, lo sprofondamento interiore… L’attenzione e il corpo, mentre smanetto, stanno separati e questo non va bene, perché il corpo riacciuffa tutta una serie di capacità mentali, se si muove; ecco perché per ogni malattia ti dicono: “devi passeggiare”, e io credo che sia vero anche per pensare. Se non ci metti le mani sopra… eredi dell’homo habilis, fare le cose con le nostre mani ci rende consapevoli. Perciò anticipare un apprendimento, senza aiutare il bambino a lavorarci da solo, gli impedisce di comprenderlo a fondo. Io temo che l’incapacità nella matematica derivi da questo. “Vedere” come si fanno le addizioni, le sottrazioni, le divisioni con le perline, che sono materiali affascinanti e semplicissimi, è una cosa che penetra attraverso la corteccia muscolare, fa tutto il giro e poi diventa pensiero e i bambini con la matematica ci pensano. 

Raccontano che Montessori portò i bambini sul Pincio e un bambino della Casa dei Bambini, guardando giù vide tutta Roma e disse: 
“Ma questi sono tutti cubi!”, con una tale consapevolezza sarà arrivato lontano, non so. Perché quel seme della cultura mette radici queste radici sono le reti neurali, sono le strade che le esperienze fanno e quando tu vedi le relazioni nascoste tra le cose, tra le case e i cubi, la tua mente ha fatto il salto del pensiero: il bimbo sa che quello è un cubo! Quindi fare le cose ci rende più consapevoli, le macchine sono fatte apposta per renderci dei telespettatori, ma chi controlla l’attenzione di queste macchine? Non sono un nostalgico, ma chi controlla è il regista, colui che controlla il ritmo; non è la vostra attenzione, è il suo montaggio: ti raccontano una storia in pochi secondi, quell’attenzione non la controlli più tu e tanto meno un bambino, che sprofonda. 

Quando i bambini guardano i cartoni, sono robotizzati, non si sentono più; è vero, non si sentono più nemmeno quando fanno i travasi, ma è diverso: sono concentrati e non vanno disturbati, non li dovete nemmeno salutare.

Queste macchine sono fatte apposta per “papparsi” la nostra attenzione, allora. Tasto play o lettere smerigliate? Io non ho dubbi, lavoro con le mani, costruzione di materiali, scuola come laboratorio. Oppure visione d’immagine bidimensionale? più è alta la definizione dello schermo, più è bassa la definizione mentale, c’è poco da fare. La lettera smerigliata ha un lavoro mentale superiore ed ora le neuroscienze te lo fanno vedere: te lo possono dimostrare. 

A conclusione voglio sottolineare il rapporto che c’è tra la concentrazione e la contemplazione e la meditazione. La Montessori dice che la maestra deve essere una scienziata e poi una santa. Il processo mentale del santo e dello scienziato, che si concentra per produrre l’astrazione più potente di una teoria, utilizza il medesimo andamento: nascono entrambi dalla concentrazione e dalla contemplazione, la consapevolezza, il flow, e lì ti si rivelano delle cose, senza quei momenti la vita è terribilmente vuota e pesante. Quindi, ai bambini a cui non sarà data la possibilità di fare esperienza, forse vengono gettate le fondamenta per creare una vita d’insignificanza. Le parti più nobili, dal cervello alla mente alla psiche all’anima, sono collegate, c’è relazione tra concentrazione, contemplazione e rivelazione: mi si rivela il senso dell’esistenza, in quello che ha di bello o di orribile. Dipenderà anche dall’esperienza infantile. 

Nei primi del Novecento, il nostro ambiente bresciano era prevalentemente rurale, e vi nascevano scuole materne che erano più custodiali che altro, ma che diventarono lo stesso un modo innovativo di fare scuola in tutto il paese. Oggi sembra che portare una LIM, un tablet in classe e cercare di coinvolgere i bambini in modo multimediale conduca alla strada di Montessori. Perché, come allora erano così innovativi quei materiali Montessori, che erano davvero molto moderni, oggi forse sembra che questi marchingegni ci portino modernità. Io non sono d’accordo. Nei “materiali montessoriani” c’è la purezza dei materiali creati apposta per portare l’attenzione su un’unica dimensione, tutto il contrario di ciò che viene proposto oggi. E pensate all’aspetto rituale della presentazione del materiale, dallo spirito alla scienza; il bambino impara è attratto da questo. Ci sono dei gesti che hanno un’eloquenza che va al di là delle parole.

Grazie.

La mente del bambino
La mente del bambino
AA.VV.
Maria Montessori e le Neuroscienze.Raccolta degli Atti del Convegno del 18 ottobre 2014. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Alberto Oliviero, professore emerito di Psicologia all’Università La Sapienza di Roma Grazia Honegger Fresco, pedagogista, scrittrice e allieva di Maria Montessori Kevin R. Rathunde, professore di Dipartimento di Studi su Famiglia e Consumatori all’Università dello Utah – USA Anna Maria Bianconi, docente dei corsi di specializzazione dell’Opera Nazionale Montessori Philiph O’Brien, presidente della Association Montessori Internationale Raniero Regni, professore di Pedagogia Sociale, Dipartimento di Scienze Umane all’Università Lumsa di Roma