* Il ruolo dell’attenzione nella plasticità del cervello e della memoria
Uso soltanto una frase di Eric Candel: “Alla ricerca della memoria” è un suo libro molto interessante, autobiografico, racconta di lui che fugge dalla Germania sotto il nazismo e l’immagine dell’irruzione delle SS nella sua casa è incancellabile; pensate, un ragazzino che poi diventa il più grande studioso della memoria e che lavora ancora su quel ricordo indelebile, che fu un trauma, perché da quel momento la sua esistenza, quella della sua famiglia, cambiò. Va negli Stati Uniti, si salva la vita, vive da lontano l’Olocausto, il reinserimento, diventa premio Nobel per le neuroscienze e lui scrive: “Perché un ricordo permanga, l’informazione che perviene deve essere lavorata per intero, in maniera profonda, ciò si ottiene prestando attenzione all’informazione, associandola in modo significativo e sistematico alle conoscenze già solidamente fissate in memoria”.
Questo cosa vuol dire? Che io devo elaborare questo processo, come ha fatto quella bambina che ha “elaborato” questa cosa di cui parla Candel, 44 volte ha fatto questa cosa. Cosa succede nel cervello? Si passa dalla memoria di lavoro a breve termine alla memoria a lungo termine; se non gli dai il tempo di fissarlo nella memoria a breve termine, il ricordo se ne va, per cui devi dargli ancora tempo. Addirittura si parla di anni, perché la memoria è la “metafora computazionale”, la memoria non è un computer, in cui la memoria è un
hard disk esterno, mentre nei “cervelloni” sono parti specializzate, dalle quali le informazioni poi passano nella neocorteccia e diventano il pensiero.
Il passaggio è questo: memoria a breve termine, memoria a lungo termine, serbatoio dell’ippocampo e poi dopo anni questa memoria entra dentro la neocorteccia che è il pensiero, e a questo punto memoria e pensiero sono la stessa cosa. E ciò è possibile perché mette in moto tutto l’attenzione prolungata fino a quando non ho finito tutto il processo. E allora non fare fretta, non interrompermi, dammi del materiale su cui polarizzare l’attenzione, il resto lo faccio io. Questo significa avere fiducia nei bambini, perché credo che il bambino abbia delle potenzialità che i neuroscienziati mi fanno vedere; il bambino la sa lunga sull’apprendimento, non sono io a insegnargli a parlare, in tal caso la nostra specie si sarebbe già estinta. Per fortuna i bambini riproducono il linguaggio all’interno e hanno uno schema motorio innato, ma devi dare loro le occasioni, devi creare un ambiente, però lo sviluppo non lo puoi insegnare, lo sviluppo ce lo hanno dentro da sempre. Questa cosa è in viaggio da millenni, il flow viene da lì, la concentrazione di un santo o di uno scienziato viene da lì, bisogna avere fiducia nell’evoluzione della mente. Leggete Merlin Donald, “L’evoluzione della mente”, un libro affascinante, che ti racconta come emerge questa mente da una dimensione episodica in comunicazione con delle macchine esterne che abbiamo creato noi, nuova cultura e coscienza ibrida che in parte sta dentro e in parte sta fuori, però ti dà l’idea del tuo posto nella natura, ti rende orgoglioso e modesto allo stesso tempo.
Ciò che noi ricordiamo o dimentichiamo, la chiave del consolidamento dei ricordi è l’attenzione, di nuovo, perché i ricordi si consolidino e diventino pensiero ci vuole l’attenzione, più è acuta l’attenzione più è acuta la memoria. L’attenzione sembra qualcosa di evanescente, il fantasma nella mente, è molto sfuggente, ma Montessori ha studiato la ricchezza delle connessioni interne, l’atto di connettere cos’è, se non il pensiero? Né più e né meno. Non puoi più distinguere attenzione, memoria e pensiero, sono la stessa cosa. Aveva ragione Goethe, il genio è per tre quarti memoria.
Questa concentrazione può andare perduta, se c’è distrazione e se c’è un eccesso di stimoli. Libertà e disciplina e ordine, non sono nemici: la prima cosa che ho visto fare ad una bravissima formatrice del nido montessoriana, appena arrivata, è mettere fuori dalla scuola dieci sacchi dell’immondizia neri, con tutte le cose che riempivano l’ambiente del nido, perché è un eccesso di stimoli. Paperino in dimensioni giganti a cosa serve? Che immagine abbiamo dei bambini, guardiamoli, cosa fanno, cosa mangiano, è questo che nutre le loro menti, è questo che è cibo per i loro neuroni. La concentrazione è legata alla motivazione, è vero! Il coinvolgimento genera concentrazione. Quando sei molto coinvolto riesci a concentrarti a lungo, ma nel bambino piccolo la concentrazione è legata anche ad una logica interna; solo dopo essere riuscito a concentrarmi mi coinvolgo emotivamente, per cui bisogna stare attenti con il bambino piccolo. L’adulto motivato poi si concentra. Il contrario avviene con il bambino piccolo: devi dargli un’occasione, ecco perché gli oggetti, i materiali. Montessori ha capito questo e da qui ha tratto tutta una serie di conseguenze, anche sui piani dello sviluppo.
E per concentrarsi cosa deve fare il bambino?
Le parole e i gesti sono nati insieme, nel gesto di scheggiare una pietra l’homo habilis ha dialogato con i materiali. I nostri progenitori sono diventati sapiens perché hanno creato un arco riflesso, ce l’ho in mano questo oggetto, ragiono su di lui e lui agisce su di me e allora lo spezzo e viene fuori un’ossidiana tagliente e poi la lego su una lancia e così via. Questo è stato il primo dialogo tra la mano e la mente e, quando si separano queste due, chi ci rimette è sempre la mente. Questo ha capito Montessori: “l’azione assorbe l’intera attenzione e l’energia del bambino, l’uso delle mani porta ad una profonda attenzione, la concentrazione”. La concentrazione fa parte della vita della nostra mente e della sua evoluzione, è rendere omaggio ai nostri antenati ogni volta che ci concentriamo. Un bambino, in 24 mesi, ricapitola una filogenesi lunga 100.000 anni, ma gli vuoi dare tempo? Rendi omaggio, altrimenti sei empio. Il non ricordare da dove si viene… “la concentrazione fa parte della vita, non è la conseguenza di un metodo dell’educazione”, così dice Montessori, dice di non aver scoperto niente ma di aver avuto la fortuna di assistere a questa rivelazione, e non l’ha più mollata. Ecco la normalizzazione del bambino deviato, è arrivare alla concentrazione sul lavoro. Prima salta sui banchi, ha il disordine nella testa, poi si scopre che questo bambino diventa fantastico. È materiale di sviluppo, insieme all’ambiente che è rivelatore, rivela al bambino il viso più luminoso del suo essere, allora lui cambia e cresce e diventerà il fondamento di un uomo migliore.
Queste cose le scopre nel 1907. Quali distrazioni avevano i bambini in quel tempo? San Lorenzo in Roma anche adesso è un posto tranquillo, quindi i bambini non avevano chissà che distrazioni, forse l’uomo che portava il pesce… Oggi i bambini sono inseriti in un contesto che abbonda di “mezzi”; non prendetemi per un luddista, io non saprei vivere senza tecnologia, però i nostri figli nascono e crescono in un ambiente in cui ci sono mezzi di ogni sorta, audio-visivi, media-elettronici, media-digitali, che si ibridano, si parla di macchine che sembra si accoppino tra loro e nascano nuove specie, gli attribuiamo quasi una forza generatrice, sono specie che si evolvono. Queste macchine richiedono tempi di attesa istantanea, attenzione non prolungata, un ecosistema di tecnologie dell’interruzione dell’attenzione. La perenne distrazione caratterizza la vita online, ma il browsing non è la lettura, è vero che tu leggi, ma quanto tempo ci metti a leggere una pagina intera d’Internet? La lettura rapida provoca un apprendimento superficiale. Non dico male di queste macchine, non ne possiamo fare a meno, magari ci salveranno la vita, però ci sono delle controindicazioni: queste macchine sono macchine della distrazione di massa, ci addestrano. Che cosa succede poi alla nostra mente e al nostro corpo mentre sto “smanettando”? Invece, che cosa fa il libro? Il libro ci rivela la coscienza, lo sprofondamento interiore… L’attenzione e il corpo, mentre smanetto, stanno separati e questo non va bene, perché il corpo riacciuffa tutta una serie di capacità mentali, se si muove; ecco perché per ogni malattia ti dicono: “devi passeggiare”, e io credo che sia vero anche per pensare. Se non ci metti le mani sopra… eredi dell’homo habilis, fare le cose con le nostre mani ci rende consapevoli. Perciò anticipare un apprendimento, senza aiutare il bambino a lavorarci da solo, gli impedisce di comprenderlo a fondo. Io temo che l’incapacità nella matematica derivi da questo. “Vedere” come si fanno le addizioni, le sottrazioni, le divisioni con le perline, che sono materiali affascinanti e semplicissimi, è una cosa che penetra attraverso la corteccia muscolare, fa tutto il giro e poi diventa pensiero e i bambini con la matematica ci pensano.
Raccontano che Montessori portò i bambini sul Pincio e un bambino della Casa dei Bambini, guardando giù vide tutta Roma e disse:
“Ma questi sono tutti cubi!”, con una tale consapevolezza sarà arrivato lontano, non so. Perché quel seme della cultura mette radici queste radici sono le reti neurali, sono le strade che le esperienze fanno e quando tu vedi le relazioni nascoste tra le cose, tra le case e i cubi, la tua mente ha fatto il salto del pensiero: il bimbo sa che quello è un cubo! Quindi fare le cose ci rende più consapevoli, le macchine sono fatte apposta per renderci dei telespettatori, ma chi controlla l’attenzione di queste macchine? Non sono un nostalgico, ma chi controlla è il regista, colui che controlla il ritmo; non è la vostra attenzione, è il suo montaggio: ti raccontano una storia in pochi secondi, quell’attenzione non la controlli più tu e tanto meno un bambino, che sprofonda.
Quando i bambini guardano i cartoni, sono robotizzati, non si sentono più; è vero, non si sentono più nemmeno quando fanno i travasi, ma è diverso: sono concentrati e non vanno disturbati, non li dovete nemmeno salutare.
Queste macchine sono fatte apposta per “papparsi” la nostra attenzione, allora. Tasto play o lettere smerigliate? Io non ho dubbi, lavoro con le mani, costruzione di materiali, scuola come laboratorio. Oppure visione d’immagine bidimensionale? più è alta la definizione dello schermo, più è bassa la definizione mentale, c’è poco da fare. La lettera smerigliata ha un lavoro mentale superiore ed ora le neuroscienze te lo fanno vedere: te lo possono dimostrare.
A conclusione voglio sottolineare il rapporto che c’è tra la concentrazione e la contemplazione e la meditazione. La Montessori dice che la maestra deve essere una scienziata e poi una santa. Il processo mentale del santo e dello scienziato, che si concentra per produrre l’astrazione più potente di una teoria, utilizza il medesimo andamento: nascono entrambi dalla concentrazione e dalla contemplazione, la consapevolezza, il flow, e lì ti si rivelano delle cose, senza quei momenti la vita è terribilmente vuota e pesante. Quindi, ai bambini a cui non sarà data la possibilità di fare esperienza, forse vengono gettate le fondamenta per creare una vita d’insignificanza. Le parti più nobili, dal cervello alla mente alla psiche all’anima, sono collegate, c’è relazione tra concentrazione, contemplazione e rivelazione: mi si rivela il senso dell’esistenza, in quello che ha di bello o di orribile. Dipenderà anche dall’esperienza infantile.
Nei primi del Novecento, il nostro ambiente bresciano era prevalentemente rurale, e vi nascevano scuole materne che erano più custodiali che altro, ma che diventarono lo stesso un modo innovativo di fare scuola in tutto il paese. Oggi sembra che portare una LIM, un
tablet in classe e cercare di coinvolgere i bambini in modo multimediale conduca alla strada di Montessori. Perché, come allora erano così innovativi quei materiali Montessori, che erano davvero molto moderni, oggi forse sembra che questi marchingegni ci portino modernità. Io non sono d’accordo. Nei “materiali montessoriani” c’è la purezza dei materiali
creati apposta per portare l’attenzione su un’unica dimensione, tutto il contrario di ciò che viene proposto oggi. E pensate all’aspetto rituale della presentazione del materiale, dallo spirito alla scienza; il bambino impara è attratto da questo. Ci sono dei gesti che hanno un’eloquenza che va al di là delle parole.
Grazie.