CAPITOLO 20

Risolvere il problema sociale

Da 0-3 anni, il bambino crea l’uomo, poi va nel mondo e dimentica i suoi primi anni. A 3 anni, i bambini hanno bisogno della società degli altri bambini. A questa età, i bambini imitano i più grandi. Dai 3 ai 6 anni, i difetti diventano più stabili. Ogni acquisizione viene sviluppata e perfezionata, per esempio l’assorbimento del linguaggio. Gli insegnanti devono prestare attenzione al linguaggio corretto. La comprensione non è un’idea astratta; deve svilupparsi durante i periodi di formazione dell’uomo. La comprensione, la fratellanza, ecc. arrivano presto ai bambini di 0-3 anni e possono essere fissati nei bambini di 3-6 anni, ma non negli adulti.

21 ottobre 1946


Ricordate le fasi dello sviluppo infantile e il grafico che illustrava i tre diversi periodi? Il primo andava dalla nascita ai sei anni e si tratta di un momento caratterizzato da una grande crescita fisica e sviluppo. È anche l’età dello sviluppo psichico, l’età in cui si forma la personalità individuale. Questa fase è divisa in due parti: la prima va dalla nascita a tre anni, la seconda dai tre a sei anni. In seguito, tutto diventa molto più facile. L’essere umano non ha memoria dei suoi primi tre anni di vita perché solo dai tre anni inizia a ricordare: tutto lo sforzo fatto per costruire la propria personalità quindi viene dimenticato. Il bambino ha sviluppato un corpo perfetto, un bel sorriso, dei capelli adorabili, dei piedini fatti apposta per correre, l’abilità di parlare e di usare le proprie mani. È grazie all’attività se è riuscito a sviluppare tutte queste capacità, creando un uomo, anche se ora ha dimenticato questa parte della propria vita. Forse non riusciamo a capire questo primo periodo proprio perché non riusciamo a ricordarcelo. Se definisco “uomo” un bambino di soli tre anni è perché scelgo di guardare ai suoi meriti, e non alla sua statura. Ha acquisito una notevole indipendenza e riesce a fare molte cose da solo, come mangiare, parlare e camminare. È come se la natura fosse d’accordo e dicesse alla madre: “Ti sei presa molta cura di tuo figlio, portandolo con te quando andavi a lavorare, quando andavi a trovare i tuoi amici e quando restavi tranquillamente a casa. Ora il bambino è troppo grande per portato in giro. È vero che il piccolo può andare lontano, ma tu non hai il tempo di camminare al suo passo, quindi è giusto che ora siate entrambi indipendenti e vi separiate”. A quest’età, i bambini hanno bisogno della compagnia di altri bambini, per giocare insieme all’aria aperta, per strada o in giardino, oltre a iniziare ad andare a scuola. In questo periodo, i piccoli hanno delle speciali caratteristiche in merito alla tendenza all’imitazione e al gioco: i più piccoli imitano i più grandi, mentre quest’ultimi se ne lamentano.


Si tratta di un fenomeno naturale e universale, per cui è chiaro che debba svolgere un ruolo importante nello sviluppo: il bambino si può adattare all’ambiente solo copiando gli altri. Se così non fosse, ognuno fonderebbe un proprio tipo di civiltà e non ci sarebbe alcuna continuità. Questo concetto quindi non si basa sull’ereditarietà, bensì sull’imitazione. Tutti i bambini giocano. Anche senza conoscere ovviamente tutte le lingue del mondo, sono convinta che tutti abbiano una parola per intendere il gioco. Proviamo quindi ad adottare un nuovo punto di vista. La prima metà di questa prima fase della vita è caratterizzata da crescita e creazione. La seconda, dai tre ai sei anni, ne è la continuazione, eppure si tratta solo di un perfezionamento delle capacità precedentemente acquisite. Parlo di “perfezionamento”, ma è bene riflettere sul significato di questa parola: se nella fase della creazione ci sono stati difetti, saranno questi a ingrandirsi e giungere a compimento. Non scompaiono magicamente non appena il bambino compie tre anni, ma persistono e diventano parte della sua personalità. A sei anni, tutto ciò che è stato acquisito si è ormai fissato: timidezza, paura, disordine, la tendenza ad avere movimenti scoordinati o ad attaccarsi in modo ansioso. Si tratta di caratteristiche poco piacevoli che rischiano di durare per sempre. Si fissa nella nostra personalità, infatti, tutto ciò che acquisiamo: linguaggio, movimento, indipendenza. Tutto si sviluppa e si perfeziona.


Il linguaggio è una delle capacità che continuano a svilupparsi: si tratta di uno sviluppo naturale, la creazione del linguaggio è inconscia perché i bambini hanno una specie di istinto, una sensibilità speciale che li esorta ad acquisire nuove parole, in particolare tra i tre e i cinque anni. C’è una grande differenza tra chi in questa fase vive in mezzo a degli adulti dotati di un vocabolario limitato e chi invece vive in un ambiente colto (che ovviamente accetti la compagnia del bambino e non lo releghi alle cure dell’asilo nido e della tata quando gli adulti chiacchierano). Se il piccolo si mescola a persone colte che discutono di argomenti scientifici e nobili, ne assorbirà il lessico, anche i termini tecnici più complicati. Un bambino può assorbire migliaia di parole: gli psicologi hanno calcolato che un bambino di cinque anni, se posto in un ambiente colto, può conoscere fino a cinquemila parole. Chi vive in una famiglia standard in genere arriva ad avere un vocabolario di millecinquecento parole. Un bambino può acquisire solo le parole che sente dire intorno a lui, per cui non si tratta di insegnargliele ma di fargliele assorbire. Per sua natura è affamato di parole; ama quelle più strane e lunghe, come i nomi di dinosauri e costellazioni. Assorbe questi termini senza comprenderne il significato, poiché la sua mente sta ancora assorbendo il linguaggio in modo inconscio (e questo fa sì che la capacità resti sua per sempre). Se il piccolo riesce ad acquisire un gran numero di parole a questa età si tratterà di un vero tesoro che gli apparterrà per tutta la vita, mentre se ne acquisisce poche dovrà poi imparare tutte le altre a scuola. Quindi perché abbiamo così paura di usare termini lunghi e complicati con i bambini? Una volta cresciuti non avranno più lo stesso interesse, perché nei primissimi anni non avranno assorbito spontaneamente il vocabolario necessario. A cinque anni un bambino si può avere un vocabolario molto ricco. La natura è logica. Le regole grammaticali e le costruzioni del linguaggio sono fisse e tutte le parole sono disposte in un certo ordine. Il bambino acquisisce queste strutture e continua a sviluppare il proprio linguaggio, inserito in questa forma mentis. Assorbe la lingua e la parla, migliorando la propria pronuncia ed esercitandosi.


Questo processo di perfezionamento si basa su un meccanismo ed è connesso all’ambiente: se il bambino è circondato da persone che parlano in dialetto o usano l’accento locale, il bambino farà lo stesso. L’accento caratterizzerà in modo fisso il suo processo di costruzione inconscia del linguaggio. Non è l’ideale, perché il piccolo dai tre ai sei anni assorbirà tutti i difetti linguistici che sentirà intorno a sé e poi non potremo farci nulla. Il dialetto, se assorbito e fissato a questa età, resterà per sempre, come se fosse stato inciso nella pietra. Ne copierà l’intonazione e la userà per sempre. Potrebbe persino diventare un professore e studiare lingua e retorica: la sua grammatica potrà essere ottima, ma il suo accento tradirà sempre da quale parte del paese viene. L’istruzione non può porvi rimedio, per cui se desideriamo aiutare lo sviluppo infantile in quest’età dobbiamo ricordare che qualsiasi difetto di lingua che non viene sanato tra i tre e i sei anni rimarrà per sempre. Dobbiamo renderci conto dell’importanza di avere una pronuncia corretta, soprattutto se siamo insegnanti. Non è così importante che un insegnante sappia tutto sull’astronomia e la biologia, perché si tratta di nozioni che possono essere apprese in seguito, mentre qualsiasi imperfezione nel linguaggio rimarrà per sempre. Se in casa si parla un dialetto, allora a scuola si deve fare particolare attenzione alla lingua e all’uso della giusta pronuncia, perché il modo in cui i bambini si esprimeranno in futuro è responsabilità degli insegnanti. La correttezza del linguaggio è l’unica caratteristica veramente importante per il corpo docente, perché se si esprime bene ai bambini resterà qualcosa di buono.


Alcuni accenti sono considerati segni di inferiorità. Se una persona brillante fa qualcosa di straordinario dal punto di vista intellettivo e lo spiega in un dialetto regionale, la gente la riterrà comunque inferiore. È come avere il nome della nostra famiglia scritto sulla fronte, lo stigma può restare per sempre. Questo difetto non deriva dalla natura, ma dalla società: ne siamo noi responsabili. Chi proviene da una famiglia aristocratica è colto. In Italia diciamo: “Chi di gallina nasce convien che razzoli”: in questa fase il piccolo crea qualcosa di analogo alle condizioni in cui vive e lo perfeziona. Non sempre si perfezionano per forza caratteristiche desiderabili, eppure i piccoli obbediscono solo alle leggi della natura e a quell’età la loro sensibilità nell’assorbire la lingua che viene parlata nel loro ambiente è notevole, tanto da renderli in grado di apprendere delle lingue straniere. In Europa è una consapevolezza diffusa, per questo molte famiglie hanno delle tate inglesi. I bambini hanno questa tendenza ad assorbire il linguaggio e a fissare ciò che hanno acquisito, così come accade per il movimento fisico: hanno l’istinto di imitare non soltanto le azioni ma anche i manierismi. Si tratta di un’imitazione inconscia caratteristica di questo periodo di sviluppo. I bambini fanno propri gli atteggiamenti delle persone che hanno intorno, cominciano a costruire il proprio adattamento all’ambiente e le caratteristiche tipiche della loro cultura. Mettiamo il caso che il piccolo viva tra gente rude, ignorante, che non si è mai curata di perfezionare il proprio modo di muoversi e non conosca le buone maniere: il bambino imparerebbe da queste persone, modellando su di loro il proprio comportamento e facendolo suo, e non potrebbe disimpararlo in seguito. Dal suo modo di fare saremmo in grado di dedurre il suo ceto sociale, perché possiamo individuare una persona semplice dal suo atteggiamento e dal suo accento.

La vera differenza fra caste non deriva dalla posizione sociale ma dalla formazione interiore: le diverse caste non si capiscono29. Ognuno ama stare con chi trova più simile a se stesso: le persone semplici non sono felici di trascorrere del tempo con chi ha una vita più complicata e viceversa, per cui è difficile che fra due diversi tipi di persone si crei un autentico senso di fratellanza, che si potrebbe tentare di realizzare solo attraverso un’elevata filosofia, ma non si tratta di una tendenza naturale. La regina e il contadino possono avere il desiderio di comprendersi, apprezzare le virtù dell’altro e andare d’accordo per un po’, ma non possono vivere l’uno la vita dell’altro. Il contadino a corte sarebbe infelice, della stessa infelicità che proviamo quando non stiamo con il nostro gruppo. Siamo felici quando c’è uniformità.

Quando trattiamo della questione sociale della fratellanza dobbiamo tenere a mente che l’unica soluzione è di prendere tutti i bambini appartenenti a questa fascia d’età e di diversa classe sociale e impartire loro la stessa educazione. Se vogliamo che le diverse classi siano in armonia, dobbiamo fare sì che a quest’età i bambini passino del tempo insieme, solo così culture diverse riusciranno a capirsi e a essere solidali tra di loro. La comprensione dell’altro non è un concetto astratto, ma è qualcosa di vitale che deve essere instillato nelle nostre vite in profondità. È un sentimento che deve svilupparsi durante il periodo della formazione dell’uomo.


Non possiamo dire che una persona sia migliore di un’altra. Non possiamo dire che una regina è migliore di un contadino perché non possiamo esprimere un giudizio. Possiamo solo riconoscere che sono diversi e in virtù di questa diversità non possono stabilire un legame. Per creare un senso di empatia tra le diverse classi sociali e tra le diverse culture dobbiamo unire bambini di diverso ceto e di diversa cultura. Viaggiare è sempre più semplice, quindi non bisogna precludersi quella possibilità: è la chiave della questione sociale. Una volta che ci siamo lasciati alle spalle l’infanzia, è molto difficile cambiare.


Diamo molto valore al senso di fratellanza ed empatia tra diversi paesi, ma guardate quanto funziona. Pensate alle relazioni tra la Germania e l’Inghilterra, tra la Russia e gli Stati Uniti. Basta leggere un quotidiano.


I bambini hanno una mente assorbente che permette loro di assorbire delle conoscenze dall’ambiente che li circonda. Si tratta di un dono di Dio. In questa fase della vita possiamo fare qualcosa per migliorare l’umanità e rendere più profondo il senso di fratellanza.


Persone di culture diverse non riescono a capirsi per via delle loro lingue. Il bambino fa proprie le caratteristiche del proprio gruppo, sviluppandole e consolidandole nel periodo che va dai tre ai sei anni. In questo processo, si consolida tutto ciò che separa i diversi gruppi sociali.


Per questo è essenziale riflettere sul modo di educare i bambini dai tre anni ai sei anni, perché non ne va solo della loro istruzione ma anche del modo di gestire questa necessità sociale. Per poter progredire verso un’umanità più unita in questo periodo formativo ci servono le scuole, perché questa unità non può essere raggiunta dagli adulti. La fratellanza per l’adulto è una virtù, uno sforzo, un’astrazione, ma se instilliamo questo concetto – insieme al concetto di comprensione – nella vita dei più piccoli nel momento in cui costruiscono la propria personalità, li renderemo dei tratti caratteristici di ognuno di loro e non ci sarà bisogno in seguito di impartirglieli ricorrendo a elevate teorie filosofiche.


Con il tempo gli adulti si rendono conto della necessità di provare empatia e comprendere gli altri, ma è troppo tardi: le barriere che hanno alzato non possono più essere abbattute. Mentre fino ai tre anni è facile comprendere, così come, tra i tre e i sei anni, ci si può abituare a farlo.


Maria Montessori era appena tornata dall’India, dove aveva avuto modo di vedere come le caste dividono la società.

Lezioni da Londra 1946
Lezioni da Londra 1946
Maria Montessori
Raccolta delle lezioni tenute a Londra nel 1946 diventate le basi dei corsi 3-6 dell’Association Montessori Internationale. Una pietra miliare nel mondo della pedagogia. Quello del 1946 fu il primo corso di formazione tenuto in Europa da Maria Montessori, dopo il suo lungo esilio in India durante la Seconda guerra mondiale.Lezioni da Londra 1946 raccoglie le lezioni, appunto, tenute a Londra sei anni prima della sua morte, in cui la famosa pedagogista parla con la saggezza di chi ha trascorso una vita a studiare non solo la prima infanzia, ma l’intero sviluppo dell’essere umano.Queste conferenze rappresentano una pietra miliare nel mondo della pedagogia, essendo diventate le basi dei corsi 3-6 dell’AMI, l’Association Montessori Internationale. State attenti – l’animo di un bambino è come uno specchio brillante sul quale ogni respiro può creare un’ombra.Maria Montessori L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Maria Montessori è stata un’educatrice, pedagogista, filosofa, medico, neuropsichiatra infantile e scienziata italiana, internazionalmente nota per il metodo educativo che prende il suo nome, adottato in migliaia di scuole materne, primarie, secondarie e superiori in tutto il mondo.