Dal concepimento alle prime 6 settimane

Sappiamo che fra i nostri lettori ci potranno essere famiglie molto diverse l’una dall’altra. In passato, il metodo Montessori ha mantenuto una visione abbastanza tradizionalista, incentrata sull’importanza della figura materna nella cura del bambino. Ovviamente oggi non tutti si riconoscono in questo modello. Applicare l’approccio montessoriano è possibile a prescindere da quale membro della famiglia si faccia carico di più responsabilità nell’educazione del piccolo, così come è possibile anche in coppie di genitori che si spartiscono equamente il compito. Lo stesso discorso si applica nei casi di madri che non vogliono o non possono allattare, genitori adottivi che sono entrati nella vita del piccolo dopo la gestazione e talvolta anche molte settimane dopo il parto, e genitori che sono tornati al lavoro poco dopo la nascita del bambino. Vogliamo che questo libro fornisca a tutti gli strumenti necessari per adattare alle proprie esigenze i principi montessoriani, mettendoli in pratica in un modo che sia compatibile con la propria costellazione familiare.


I seguenti paragrafi dovrebbero essere letti da tutti i neogenitori, a prescindere che stiano portando avanti una gravidanza o meno, dal momento che trattano di informazioni utili relative alla gestazione del bambino e all’esperienza vissuta dalla sua madre naturale.

IL CONCEPIMENTO:PREPARARE IL PRIMO AMBIENTE DEL BAMBINO

Il grembo materno è il primo ambiente preparato in cui si troverà il bambino: prima ancora di concepire nostro figlio dobbiamo riflettere sulla sfera fisica ed emotiva in cui lo accoglieremo.


Dal punto di vista fisico, vogliamo essere in forze: possiamo informarci su come preparare il nostro corpo a portare avanti una gravidanza (se saremo la madre naturale del bambino), su come produrre dello sperma sano (se saremo il padre naturale), oltre che capire come prepararci emotivamente ad accogliere il nuovo nato (il che vale anche per i genitori adottivi).


Dobbiamo infatti dare fondo a tutte le nostre riserve di amore e accettazione perché il piccolo si senta amato e desiderato. Per questo stesso motivo, nel caso in cui la gravidanza non fosse frutto di una pianificazione, i genitori dovrebbero venire patti con quest’idea prima della nascita del piccolo. Esercitiamoci a dire al bambino che vogliamo concepire o che è già stato concepito: “Ti vogliamo tantissimo. Ti amiamo tantissimo”.


Creare il giusto clima emotivo significa anche rendersi conto di cosa significhi prendersi cura di un neonato e aiutarlo a crescere. Essere genitori è un lavoro a tempo pieno per cui firmiamo un contratto di almeno diciotto anni, ma ci offre la meravigliosa esperienza di poter creare un legame affettivo con un bambino e aiutarlo a diventare la versione migliore di se stesso. Possiamo informarci leggendo dei saggi, o meglio ancora passando del tempo con qualcuno che ha già un figlio per dargli una mano e nel frattempo renderci conto di cosa significhi essere genitori.


Se siamo in coppia, prima del concepimento e durante la gravidanza possiamo confrontarci con il nostro compagno per capire quali sono i nostri sogni, quale tipo di famiglia vorremmo creare e, cosa ancora più importante, quali valori vogliamo trasmettere. Chi si occuperà del bambino, e in che modo? Perché stiamo portando questa nuova vita nel mondo?


Riflettiamo sulle nostre aspettative e proviamo a prepararci al cambiamento che ci aspetta. Se eravamo abituati ad avere il pieno controllo sulle nostre vite, dovremo iniziare a considerare l’idea di rinunciare a qualcosa, almeno per un po’. Magari dovremo lavorare su noi stessi per raggiungere la serenità interiore – ci sarà utile quando la situazione sembrerà sfuggirci di mano.


Rallentiamo e riflettiamo su noi stessi. Se stiamo cercando di concepire un bambino, dovremo fare spazio per lui nella nostra vita: potremmo fare qualche modifica (riducendo gli impegni, trovando più tempo per noi nel corso della giornata, facendo meditazione o provando degli esercizi di respirazione, ritagliandoci del tempo per riflettere con calma) così da permettere al nostro corpo, alla nostra mente e al nostro cuore di rallentare e prepararsi al concepimento. Prepararsi ad accogliere il bambino.

LA GRAVIDANZA:IL PRIMO AMBIENTE DEL BAMBINO

Come fa un bambino a svilupparsi in modo così perfetto? Come funziona la divisione cellulare, per cui ogni cellula sa esattamente che cosa deve fare? Si può dire che la gravidanza e il parto sono i processi più articolati e naturalmente geniali che avvengono nel nostro corpo.


Oltre a quanto abbiamo imparato in merito al concepimento e alla gravidanza nei nostri corsi Montessori, ci è stato molto utile anche l’apporto di una delle esperte a cui siamo più legate, Pamela Green – educatrice Montessori, doula e assistente levatrice da più di trent’anni (durante il parto una doula fornisce assistenza e sostegno alla madre e al bambino). Le siamo debitrici per aver condiviso con noi le sue esperienze e conoscenze.


Possiamo imparare molto sul bambino anche quando si trova ancora nell’utero. Ecco dieci cose che possiamo fare durante la gravidanza per iniziare a conoscere nostro figlio e prepararci a diventare genitori.

1. Renderci conto che il bambino sta già assorbendo molto

Nel grembo materno il bambino non è passivo, ma sta già assorbendo molto dell’ambiente che lo circonda attraverso i suoi cinque sensi, che sta già iniziando a sviluppare.

La tabella riportata alla pagina seguente – Che cosa percepisce il bambino nel grembo materno – illustra parte di questo sviluppo.

2. Stabilire un legame con il bambino e prepararci ad accoglierlo

Possiamo parlare al piccolo, cantargli una canzone, accarezzarlo attraverso il pancione e creare un legame affettivo con lui. La nostra voce, la musica, il nostro contatto, i nostri movimenti e il ritmo del nostro corpo, oltre a rendere il grembo materno un ambiente sicuro e pieno d’amore, diventeranno per il bambino degli importanti punti di riferimento quando sarà venuto alla luce. Possiamo anche suonare uno strumento, far sentire al piccolo le nostre canzoni preferite, ballare, leggergli una storia e vedere come reagisce.


Il nostro compagno (se ne abbiamo uno) può creare un legame emotivo con il bambino accarezzandoci il pancione e parlando o cantando al piccolo. Con carezze, racconti, storie, battute e canzoni anche gli altri membri della famiglia possono comunicare con il bambino, che reagirà in modo diverso a seconda delle diverse voci.


Se abbiamo altri figli potremmo essere troppo occupate a stare dietro alle loro necessità per ricordarci della gravidanza. Cerchiamo di ritagliarci un momento nel corso della giornata nel quale prestare attenzione al piccolo, magari la sera, coinvolgendo anche gli altri bambini per creare un momento speciale per tutta la famiglia.


Lo yoga prenatale può essere utile perché ci ritagliamo del tempo, in settimana, per riflettere su noi stesse, rallentare, e stabilire un legame emotivo con il bambino.


Man mano che si avvicina la data del parto, possiamo festeggiare l’arrivo del piccolo ballando, creando dei piccoli rituali o facendo una festa in suo onore con i nostri amici.


Se volete approfondire, date un’occhiata ai corsi di canto prenatale ispirati alle teorie di Marie-Louise Aucher. Non solo il canto aiuta a creare un legame emotivo con il bambino, ma ci sono anche benefici dal punto di vista psicologico. Senza contare che questa pratica può essere utile anche durante il travaglio (anticamente si credeva che esistesse una correlazione fra la dilatazione della gola e quella della cervice). Infine, anche dopo il parto il canto può aiutarci a creare un legame affettivo con nostro figlio.

CHE COSA PERCEPISCE IL BAMBINO NEL GREMBO MATERNO

SENSO DEL TATTO

  • A 5 settimane e mezzo, l’embrione ha sensibilità intorno alla bocca e al naso.
  • A 12 settimane, ha sensibilità in tutto il corpo (ad eccezione dell’area sopra e dietro alla testa, che acquista sensibilità solo dopo la nascita).

SISTEMA VESTIBOLARE (SENSO DELL’EQUILIBRIO E DEL MOVIMENTO)

  • A 10 settimane, il bambino muove parte del proprio corpo in risposta a stimoli interni.

SENSO DELL’OLFATTO

  • A 28 settimane, il feto può sentire gli odori, ad esempio del cibo ingerito dalla madre.

SENSO DEL GUSTO

  • Attraverso il liquido amniotico il bambino può sentire i sapori anche nel grembo materno. Alcuni studi hanno dimostrato che a circa 21 settimane può sentire il sapore di quello che mangiamo.

VISTA

  • A 32 settimane, il nervo ottico può essere attraversato da impulsi elettrici, permettendo al feto di vedere qualcosa (ad esempio il cambio luce/buio).
  • Alla nascita, la vista del bambino è molto limitata. Può mettere a fuoco solo gli oggetti che si trovano a meno di 30 cm da lui, che è la distanza a cui si trova dalla madre durante l’allattamento, e non riesce a seguire con lo sguardo.

UDITO

  • A 23 settimane, il bambino riesce a percepire i suoni provenienti dall’esterno del grembo materno (discorsi, canti, musica ecc.).
  • A 30 settimane fino a qualche mese dopo il parto, il sistema uditivo del piccolo può presentare lesioni se prolungatamente esposto a rumori forti.

3. Imparare a osservare il bambino nel grembo materno

Prestiamo attenzione al modo in cui il bambino, che si trova ora nel suo primo ambiente, reagisce agli stimoli: mettiamo per esempio le nostre mani sul pancione e aspettiamo che il piccolo faccia qualche movimento in riposta a questo contatto, per esempio spostandosi verso la nostra mano o muovendosi ancora di più. A volte il bambino può ritrarsi davanti a voci e carezze di persone che ancora non conosce. Cerchiamo anche di capire qual è il suo ritmo sonno-veglia.

Una volta che il bambino sarà nato infatti sarà nostro compito cercare di capire di cosa ha bisogno, così da poter rispondere in modo adeguato: possiamo esercitarci fin d’ora. Basta restare curiosi e con la mente aperta. Se vogliamo possiamo anche prendere nota delle nostre osservazioni.

4. Assicurarci che il bambino nell’utero si trovi in un ambiente sano

Così come sistemiamo le nostre case in modo tale che possano accogliere nel miglior modo possibile il bambino appena nato, allo stesso modo dobbiamo riflettere sull’ambiente in cui si trova il piccolo prima di vedere la luce.


Stiamo mangiando e riposando abbastanza perché il bambino possa crescere e svilupparsi? Stiamo curando la nostra salute dal punto di vista della dieta, dell’esercizio fisico e delle ore di sonno?


Durante la gravidanza il bambino assorbirà le emozioni, positive o negative, che prova la madre: non sempre si riescono a evitare gli sbalzi d’umore, così è la vita. Ma per quanto possibile chi si prenderà cura del piccolo dovrà sforzarsi di mantenere la stabilità emotiva se desidera che il bambino cresca forte e felice.


Prendiamoci cura di noi stesse, lasciamoci dare una mano e non facciamoci problemi a rifiutare un invito se ci sentiamo stanche. Chiediamoci se viviamo male l’idea di accettare un aiuto esterno (si tratti del compagno, di un amico o di un esperto – come un chiropratico, un’ostetrica, una levatrice o una doula).


Se ci sono alti e bassi, rivolgiamoci a un professionista: la salute mentale è importante e a volte la consulenza di un dottore o di uno psicologo prima e dopo il parto possono essere d’aiuto in questo periodo di grandi cambiamenti.

5. Preparare il primo ambiente in cui si troverà fuori dal grembo materno

Ha inizio la fase del nesting, in cui le future mamme iniziano a sistemare la propria casa in vista dell’arrivo del bambino – è il periodo in cui dobbiamo creare per nostro figlio un ambiente caldo, semplice e accogliente, senza cedere alle lusinghe di chi vorrebbe sfruttare la gravidanza come una scusa per venderci sempre più prodotti: ai neonati non serve molto.

Portiamoci avanti il più possibile prima dell’arrivo del bambino: Junnifa per esempio aveva preparato per ogni mese uno scatolone che contenesse abiti per il piccolo e materiali educativi Montessori che aveva acquistato o realizzato da sola. Così dopo il parto, di mese in mese, non ha dovuto fare altro che tirare giù lo scatolone già pronto. All’interno non c’erano soltanto cose che potevano servire al piccolo – come giocattoli, vestiti o piccole posate per quando avrebbe iniziato a mangiare cibi solidi (intorno ai sei mesi) –, ma anche accessori che le sarebbero tornati utili ora che era una neomamma, come le coppette assorbilatte che si usano nei primi mesi.

6. Crearci un gruppo di genitori e una rete di supporto

Circondiamoci di persone che ci sostengono e che vogliono far parte del nostro gruppo di genitori. Alcune scuole Montessori offrono lezioni aperte a future neomamme e futuri neopapà dove possiamo conoscere altre famiglie che condividono i nostri stessi valori.


Probabilmente estranei, amici e familiari continueranno a fornirci i loro consigli non richiesti, ma potremo ribattere con gentilezza se saremo certi delle nostre scelte genitoriali.


Durante la gravidanza dobbiamo anche decidere chi vogliamo al nostro fianco al momento del parto: abbiamo bisogno di persone che ci sostengano e ci tranquillizzino. Possiamo anche scegliere di rivolgerci a una doula – alcune offrono i propri servizi pro-bono alle famiglie meno abbienti.


Unendoci a un gruppo di allattamento avremo l’occasione di imparare da altre neomamme, crearci una rete di conoscenze e farci consigliare dei professionisti in caso ne avessimo bisogno dopo il parto.


Chi si occuperà dei pasti, del bucato e delle pulizie dopo l’arrivo del piccolo? Meglio giocare d’anticipo: probabilmente dopo il parto saremo troppo stanche o impegnate per capire come organizzarci.

7. Soppesare le varie alternative per il parto

Durante la gravidanza possiamo informarci sulle diverse alternative per il parto: anche se è possibile che alcune delle opzioni ci siano precluse per ragioni fisiche o organizzative dobbiamo ricordare che la scelta è nostra. Informiamoci sulle alternative. Sfruttiamole.


Spetta a noi decidere in quale tipo di ambiente, fisico ed emotivo, partoriremo.


Si può scegliere di partorire in casa, in un centro nascita o in ospedale. Decidiamo in base alle nostre esigenze: alcune mamme preferiscono partorire in acqua, altre aiutandosi con una palla. Scegliamo fra le varie alternative chiedendoci in quale posto ci sentiremo più a casa: c’è spazio per muoverci? Quanta libertà ci offre?


Sono invece le persone che scegliamo di avere accanto al momento del parto a creare l’ambiente emotivo.


Spetta a noi decidere come partorire e chi avere al nostro fianco in quel momento così importante: deciderlo in anticipo ci tranquillizza e ci dà la sensazione di avere tutto sotto controllo, anche se ovviamente è impossibile prevedere tutti i possibili sviluppi.


Non accettiamo passivamente che gli altri decidano per noi durante il travaglio: solo noi sappiamo cosa vogliamo, di cosa abbiamo bisogno – ad esempio poter scegliere in che posizione stare – e quali sono le nostre opzioni. Al momento del parto assicuriamoci di avere con noi qualcuno che sia al corrente delle nostre decisioni, così che se serve possa parlare per noi.

8. Prenderci del tempo di scoprire qualcosa di più sul modo in cui siamo nati e cresciuti

Nei suoi corsi preparto, Pamela Green – educatrice montessoriana e doula – dà spazio a discussioni che permettono alle famiglie di condividere le proprie idee in relazione al parto e alla genitorialità. Spesso le nostre ansie derivano da quanto ci è stato raccontato da familiari o amici, ma provare a parlarne è l’unico modo per vincere la paura.


Chiediamo a nostra mamma di raccontarci la sua esperienza con il parto. Se non dovesse essere più in vita, rivolgiamoci a un altro familiare: potrà spiegarci qualcosa di più sul modo in cui siamo venuti al mondo.


CONSIGLIO DI LETTURA


I libri di Ina May Gaskin – La gioia del parto e Spiritual Midwifery – forniscono molti esempi di persone per le quali il parto è stato un’esperienza positiva. Leggere e ascoltare queste storie ci mostra che è possibile vivere questo momento con gioia, ricordandoci che anche se il travaglio dovesse essere doloroso ci permetterà di conoscere finalmente nostro figlio.


Proviamo a incanalare quello che proviamo in un’opera d’arte: possiamo disegnare, dipingere, creare una scultura d’argilla o fare un calco del pancione. Le alternative sono infinite. Perché non creare dei mandala, scrivere una lettera o accendere una candela?


Alcune future mamme trovano utile mettere nero su bianco le esperienze negative che hanno sentito raccontare sul parto, in modo da interiorizzarle e renderle delle storie di coraggio. Vivere serenamente l’avvicinarsi del parto è essenziale perché il bambino sente quello che proviamo.

9. Diventare genitori

Per crescere un bambino serve energia e amore, per questo cerchiamo il più possibile di rallentare e di goderci questo periodo. La gravidanza è un momento di transizione al termine del quale si diventa genitori o si allarga la propria famiglia: questo non significa che dobbiamo focalizzarci solo sul bambino, ma è nostro compito iniziare a conoscerlo quando si trova ancora nel grembo materno, provando a includerlo nella nostra vita quotidiana.


Informiamoci sulle trasformazioni che vivrà il nostro corpo in gravidanza, tenendo a mente che questi cambiamenti non riguardano solo noi, ma anche il piccolo: il parto non sarà che l’ultimo passo nella nostra trasformazione in genitori. Cerchiamo di comprendere meglio nostro figlio e la relazione che instaureremo con lui.

10. Finire le ultime preparazioni

Ci possiamo preparare al parto, per esempio attraverso l’ipnoterapia o seguendo corsi di parto attivo. Nei corsi Montessori ci è stato consigliato di fare training autogeno respiratorio, ovvero esercizi di respirazione e rilassamento che possono ridurre il dolore del parto, in alcuni casi eliminandolo del tutto.


Prima del parto, quando siamo un po’ più libere, possiamo iscriverci a un corso di primo soccorso per bambini e neonati: non soltanto ci fornirà delle informazioni utili, ma ci infonderà anche un forte senso di sicurezza che potremo trasmettere al piccolo.


Il resto del lavoro dobbiamo farlo su noi stesse – superare il nostro passato, stabilire un legame emotivo con il piccolo e prepararci ad accoglierlo con amore, rispetto e comprensione. Ci auguriamo che tutti i bambini del mondo abbiamo la fortuna di nascere in questo clima emotivo.

IL PARTO

Spesso il parto viene considerato una dolorosa e terribile procedura medica che deve essere svolta in ospedale, ma è molto più di questo. Proviamo a pensarlo come il termine di un bellissimo percorso che ci porterà a conoscere finalmente il nostro bambino: inizieremo ad attendere con trepidazione il termine della gravidanza.


Le alternative che possiamo avere per partorire sono diverse, ma non è detto che siano tutte alla nostra portata: tra gli ostacoli più comuni ci possono essere le restrizioni dell’assicurazione sanitaria, la mancanza di copertura assicurativa e i costi elevati, oltre alla difficoltà di farsi accettare in un centro nascita e di trovare informazioni sul parto in casa. Possiamo cercare un dottore o un’ostetrica che ci aiutino a partorire nel modo che desideriamo, ma se questo non fosse possibile dobbiamo ricordarci che stiamo comunque facendo del nostro meglio e che l’importante è che il bambino nasca in salute.


Nel momento del parto, l’ambiente fisico riveste un ruolo essenziale: per sentirsi al sicuro in genere la madre ha bisogno di un luogo caldo e familiare, dove le sia concessa della privacy e abbia modo di dedicarsi all’introspezione. Possiamo ricreare uno spazio sicuro anche in casa nostra: fondamentali luci soffuse e silenzio, in alternativa musica rilassante. Se non scegliamo il parto in casa, possiamo comunque ricreare queste stesse condizioni in un centro nascite o in una stanza d’ospedale, così da creare un ambiente familiare. Volendo possiamo anche portare con noi una palla per partorire, una vasca e altre cose che potrebbero servirci al momento del travaglio. Ogni futura mamma ha un’idea differente del posto in cui vorrebbe partorire, l’importante è che ci si senta al sicuro e libera di scegliere e di muoversi.


Madre e figlio collaborano: il piccolo è un partecipante attivo, che si sposta, ruota e scende, mentre la madre – se lasciata libera di decidere – si alza, urla, canta e cerca il proprio ritmo respiratorio. Se in gravidanza ha fatto esercizi di respirazione o ha provato l’ipnoterapia può sfruttare queste tecniche perché ogni contrazione diventi un istante in cui scavare dentro se stessa, in un processo di resa e accettazione che la porterà a dare il benvenuto a suo figlio.


Durante il parto la madre presta molta attenzione allo spazio in cui si trova: anche se tiene gli occhi chiusi si accorge se qualcuno entra nella stanza, accende le luci o dice qualcosa. Per questo è importante non disturbarla, parlando a bassa voce e muovendosi lentamente, senza intervenire troppo sulle condizioni di luminosità o di temperatura della stanza. Ogni interruzione potrebbe rallentare o addirittura bloccare il travaglio.


Compagni, familiari e personale sanitario (levatrici, ostetriche e doule) contribuiscono a creare parte dell’ambiente in cui la madre partorirà, per questo devono essere disponibili, presenti e attenti, senza rischiare però di essere invadenti per non interrompere la fase del travaglio. Se c’è bisogno della loro assistenza possono intervenire, ma devono farlo in modo silenzioso, rapido e gentile, per poi tornare al proprio posto.


Pamela Green, doula e educatrice Montessori, descrive il parto nei termini di una danza: il personale sanitario si muove in sincrono con la partoriente, svolge il proprio lavoro con delicatezza e si allontana. Un’ostetrica esperta sa che deve concentrarsi sulla madre, più che sui suoi valori: non sta a guardare solo la sua dilatazione, ma ad esempio cerca di capire anche quanto è alto il bambino e come sta scendendo, oltre a studiare un modo per aiutarlo a disporsi nel corretto allineamento.


Nella fase del crowning (affioramento), i genitori possono toccare la testa del bambino, e dopo il parto la neomamma può stringere a sé il piccolo, magari scegliendo di tenerlo sul lato sinistro del proprio petto per fargli sentire il familiare suono del suo battito cardiaco, che il neonato ha imparato a conoscere fin da quando si trovava nell’utero. Il bambino sta passando dalla vita all’interno del grembo materno a quella nel mondo esterno.


Nel migliore dei casi la madre continua a stringere il bambino a sé, pelle contro pelle, fino a quando il cordone ombelicale non smette di pulsare. Se non lo si tocca, di solito si assottiglia tanto da poter essere tagliato.


Sul volto della madre si leggono varie emozioni, dallo stupore all’euforia, alla gioia, al sollievo: il figlio le pare perfetto, riesce già a intravedere il suo carattere e la sua personalità. Se è presente al momento del parto, anche il suo compagno si fa avanti per godere di questo istante speciale, il primo del nucleo familiare appena formatosi: meglio lasciarli soli, una volta che la situazione si sarà stabilizzata.


Una volta che i genitori hanno creato un legame emotivo con il bambino, il personale sanitario può rientrare in camera per pesare il piccolo ed effettuare gli esami necessari. Si tratta del primo contatto del neonato con il mondo esterno, per cui medici, ostetriche e infermiere devono svolgere il proprio lavoro con ottimismo, amore e rispetto, chiedendo al bambino il permesso prima di prenderlo in braccio, guardandolo negli occhi e spiegandogli il procedimento che intendono svolgere, senza avere fretta.


Dopo essere stato pesato, il bambino torna dalla madre per essere allattato per la prima volta, pelle a pelle con lei. Di solito questo momento si verifica entro le prime due ore di vita del piccolo e può essere necessaria l’assistenza di un’ostetrica o di un’infermiera.


Se si scelgono le persone giuste da avere al proprio fianco, si può vivere un’esperienza simile a quella che abbiamo descritto anche in caso di parto in ospedale, dal momento che spesso è concesso il rooming-in (tenere il neonato in camera con la mamma) ed è prevista anche la possibilità che il compagno passi la notte insieme alla mamma.

L’ESPERIENZA DI JUNNIFA

Le tre volte che ho partorito sono state tutte diverse, ma ognuna speciale a modo suo.


Per il mio primo figlio ho scelto il parto in vasca in un meraviglioso centro nascita: ci sono volute sei ore di travaglio e solo due minuti di spinte. È nato in acqua e “en caul”, il che significa che il suo sacco amniotico è rimasto intatto.


COSA MI È RIMASTO IMPRESSO:

  • Ricordo che durante il travaglio potevo percepire con chiarezza tutto lo sforzo che mio figlio stava facendo per venire alla luce: era la prima volta che collaboravamo. Ero in sintonia con i suoi movimenti e mi muovevo di conseguenza. Il nostro fine era lo stesso, ma era lui a guidarmi. Credo che sia stata questa consapevolezza a fare la differenza nel mio travaglio: sapevo che mio figlio ce la stava mettendo tutta.
  • Mi fidavo della mia ostetrica e lei si fidava di me. Ricordo che mi ha detto: “Rilassati, il tuo corpo sa cosa fare”.
  • Mio marito e mia mamma – le mie rocce – sono stati al mio fianco per tutto il percorso e hanno davvero fatto la differenza.

Il mio secondogenito è nato in ospedale, dopo un paio di ore di travaglio in un centro nascite. Tutti mi avevano assicurato che il secondo travaglio sarebbe stato più breve del primo, per cui mi sono preoccupata quando ho capito che nel mio caso non sarebbe affatto stato così.


Senza contare che mia mamma non era con me e avevo lasciato mio figlio ai miei familiari: non vedevo l’ora di tornare da lui. Anche in questo caso ho vissuto il travaglio come un’esperienza bellissima, ma sentivo che c’era un blocco e pensavo fosse meglio andare in ospedale. Durante il tragitto deve essere successo qualcosa, perché una volta scesa dalla macchina mi sono resa conto che era arrivato il momento.


Ricordo che l’ospedale era un ambiente molto diverso rispetto a quello del centro nascite: le luci erano molto intense e il personale sanitario usava un tono di voce piuttosto alto. Ho spiegato a un’infermiera che mio figlio stava per nascere, ma lei mi ha esaminata in modo brusco e mi ha detto che se avessi continuato a spingere mi sarei solo fatta del male. Si trattava di un’esperienza del tutto differente da quel senso di calma e fiducia che avevo provato al centro nascite, circondata dalle mie ostetriche, ma mi sono ricordata quello che mi avevano detto: il mio corpo sapeva cosa fare. Così ho ripetuto che il bambino stava per nascere, e così è stato, due minuti dopo. Non ho lasciato che mi facessero alcuna iniezione post-parto, anche se i dottori erano contrari. Qualche ora dopo, quando sono tornati a vedere come stavamo io e il piccolo, sono rimasti sorpresi da quanto fossimo in forze.


Per il mio terzo parto, il più breve e rapido di tutti, ho scelto una semplice vasca da bagno. Mia figlia è letteralmente sbucata fuori.


COSA HO IMPARATO DALLA MIA ESPERIENZA:

  • Fidati del tuo corpo e del tuo istinto.
  • Se hai altri figli, affidali a persone di cui ti fidi, così sarai più serena durante il travaglio.
  • Trova del personale sanitario (ostetriche e dottori) che abbia i tuoi stessi valori. Devi poterti fidare di loro, e loro di te.
  • Assicurati di avere con te qualcuno che ti fornisca un supporto emotivo.
  • Non è detto che il secondo o il terzo travaglio siano più brevi del primo, anzi. Cerca di accettarlo e tenerlo a mente.
  • A volte, per accelerare il travaglio basta una passeggiata o un tragitto in auto.

Dopo l’esperienza che avevo avuto con il secondo parto, quando ero stata costretta ad andare in ospedale, ero preoccupata: pregavo con tutte le mie forze di avere un travaglio veloce perché non vedevo l’ora di tornare a casa dai miei figli, entrambi ancora molto piccoli. Quel giorno ricordo che ero andata a fare shopping e appena uscita dal negozio avevo visto un enorme doppio arcobaleno: non so perché ma ero rimasta davvero colpita, all’improvviso ero scoppiata a piangere e avevo detto ai miei figli che il loro fratellino sarebbe nato quel giorno. Non ero pronta, ma non potevo ignorare quella sensazione. Quindi tornai a casa, feci il bucato e misi tutti a letto, mentre fuori impazzava il temporale.

Ricordo di aver pensato: “Questa è l’ultima volta che mi addormento con due bambini”.

Mi svegliai qualche ora dopo e scrissi alla mia ostetrica che era arrivato il momento. Lei non mi sembrava convinta e provò a darmi qualche consiglio, ma io le ripetei che volevo raggiungerla perché sentivo che il piccolo stava per nascere.

Una volta giunta da lei rimasi sdraiata per un po’, poi arrivarono la nausea e il mal di pancia. Quaranta minuti dopo, nacque mia figlia.


QUESTA ESPERIENZA È STATA UNA RIPROVA CHE:

  • Il bambino fa la maggior parte del lavoro: osserva, presta attenzione e ascolta.
  • Bisogna fidarsi del proprio corpo e del proprio istinto.
Altre cose da sapere sul parto

Se abbiamo delle preferenze sul modo in cui vogliamo partorire, parliamone con le persone che avremo al nostro fianco così che durante il travaglio possano parlare per noi. Ma allo stesso tempo ricordiamoci che è impossibile prevedere tutti gli sviluppi possibili e che alla fine l’importante è che il bambino nasca in salute.

Nel caso di parto vaginale, ricordiamoci che:

  • il nostro corpo è fatto per partorire;
  • ormoni naturali come l’ossitocina aiutano il nostro corpo durante il travaglio;
  • se pensiamo che ci possa aiutare, muoviamoci o mangiamo qualcosa;
  • ogni parto è diverso, per cui è inutile fare generalizzazioni;
  • durante il primo stadio, cerchiamo di visualizzare la cervice che si dilata e si assottiglia per lasciar passare il bambino;
  • durante il secondo stadio, visualizziamo il bambino che scende ed esce da noi;
  • circondiamoci di persone che ci diano supporto, ci facciano un massaggio, ci diano da mangiare e ci facciano a sentire a nostro agio.

Per alcune madri quella del parto cesareo è una scelta, ma per altre può essere una dolorosa necessità: è del tutto normale provare rimpianto all’idea di non aver avuto un parto differente, ma ci si deve ricordare che l’importante è avere accolto nel mondo un bambino sano. Nelle prime settimane successive a un cesareo è facile che la neomamma non si sia ancora rimessa del tutto in sesto e abbia bisogno di aiuto, ad esempio nel sollevare oggetti pesanti.


Nel parto naturale, il passaggio per il canale vaginale non soltanto aiuta il bambino a espellere il fluido presente nei suoi polmoni, ma rafforza anche le sue difese immunitarie. Per questo motivo, in caso di parto cesareo alcune ostetriche ricorrono al processo della cosiddetta “semina vaginale”, per cui al momento della nascita il piccolo viene esposto ad alcuni batteri raccolti dal canale vaginale della madre.


CONSIGLIO DI LETTURA

Mindfulness in gravidanza. Praticare con mente, corpo e cuore di Nancy Bardacke

SIMBIOSI: LE PRIME 6-8 SETTIMANE CON NOSTRO FIGLIO

“Il neonato è sensibilissimo, incompreso e trattato troppo bruscamente.

I suoi bisogni più profondi sono misconosciuti.

I primi giorni della sua vita sono i più importanti.”

— Adele Costa Gnocchi, Quaderno Montessori, volume 39, 1993

Le prime 6-8 settimane di vita del bambino sono definite di simbiosi, termine che significa “vita condivisa”. È un modo bellissimo di considerare questi primi giorni in cui accogliamo il bambino in casa nostra, impariamo a conoscerlo e ci adattiamo alle sue esigenze, così come lui si adatta alle nostre.


In biologia, si parla di “simbiosi mutualistica” per definire una relazione da cui i due organismi traggano beneficio reciproco, come accade per esempio a coralli e alghe: il corallo protegge le alghe e le alghe, oltre a conferire alla barriera corallina il suo caratteristico colore, le forniscono tutti i nutrimenti di cui ha bisogno.


Fuor di metafora, nelle prime settimane di vita del bambino il rapporto fra madre e figlio è reciprocamente vantaggioso – l’allattamento non serve solo a nutrire il bambino, ma stimola anche una contrazione dell’utero. Stringere a sé il bambino può inoltre aiutare a combattere la sensazione di vuoto che si prova dopo il parto. In questa fase il padre, il compagno della madre o altre persone di fiducia hanno il compito di proteggere la nuova unità familiare, diventando dei veri e propri custodi: possono farsi lasciare dei messaggi, ricevere le telefonate, offrire il proprio supporto pratico proponendosi di andare a comprare quello che serve, fare il bagnetto al piccolo o prendersene cura mentre la madre riposa, oltre ovviamente a rafforzare il proprio legame affettivo con mamma e bambino. Si sta creando una famiglia.


Allattare, cantare, fare il bagnetto al piccolo, accarezzarlo delicatamente e prendersi cura di lui sono tutti momenti che rafforzano il legame emotivo con nostro figlio.


Stringendolo a noi, prendendolo in braccio e rispondendo alle sue esigenze in modo adeguato, lo stiamo aiutando a costruire la propria fiducia nel mondo.


In queste prime settimane, dobbiamo rallentare, riducendo distrazioni e impegni al minimo per prenderci del tempo di stabilire un legame emotivo e una relazione con il nostro nuovo bambino. Dobbiamo imparare a capire cosa vuole dirci. Quindi dedichiamogli parte della nostra giornata: spieghiamogli chi siamo, dove si trova e cosa succede intorno a lui. Lasciamo che gli altri ci diano una mano. In molte culture esistono dei precisi rituali per i primi quaranta giorni successivi al parto, e possiamo crearcene di nostri.


È in questi primi mesi che si crea un attaccamento forte, che costituisce una solida base per i mesi (e gli anni) a venire. Crescendo, il bambino inizierà a vivere sempre più esperienze del mondo che lo circonda, inclusa quella di essere presentato a familiari e amici.


“Sviluppare il giusto tipo di attaccamento durante la fase simbiotica spiana la strada a un distacco naturale e rende possibile una nascita psicologica.”
Dr. Silvana Montanaro, Comprendere i bambini

In questa fase è importante capire come essere d’aiuto ai neogenitori per sostenerli in questo periodo delicato, dal momento che spesso il parto ha un forte impatto fisico ed emotivo. A volte non avvertiamo subito un trasporto affettivo nei confronti del bambino: potrebbe trattarsi di baby blues o di una depressione post-partum. E anche se una neomamma sente già un legame emotivo con suo figlio e non ha avuto un parto difficile si può sentire sopraffatta: con un neonato in casa c’è meno tempo per dormire, prendersi cura di sé o anche semplicemente fare una doccia. I primi tempi sono belli (e brutti) per questo, perché c’è un forte senso di spaesamento. Quindi se ne avete la possibilità, considerate l’idea di farvi aiutare da un familiare, da un amico o da un professionista.

Consigli per la fase simbiotica
1. L’ambiente domestico
  • Nella fase simbiotica, il neonato sta vivendo la transizione dalla vita che aveva nell’utero (dove temperatura e luminosità non erano soggette a variazioni e l’alimentazione era una costante) a quella fuori dal grembo materno (imprevedibile e più rumorosa, spesso anche più fredda e luminosa).
  • Se possibile, nei primi giorni si potrebbe alzare la temperatura all’interno della casa, tenendo contemporaneamente le luci più soffuse. Per limitare il numero di stimolazioni esterne a cui sottoporre il piccolo si dovrebbero ricevere poche visite, ritagliandosi invece il tempo di creare un legame emotivo con il bambino e imparare a conoscerlo.
  • Per i primi mesi molti genitori utilizzano un topponcino, un cuscinetto sottile che serve a facilitare il piccolo in questa fase di transizione nel periodo simbiotico. Questo cuscinetto è in materiale naturale ed è di poco più lungo e più largo del neonato, così che ci si possa sdraiare sopra. Il topponcino non soltanto offre al bambino un morbido strato di protezione, ma diventa per lui anche un punto di riferimento capace di dargli sicurezza, visto che ha un odore familiare (l’odore del bambino, dei suoi genitori, dei suoi fratelli). Il topponcino riduce il rischio di causare nel bambino un riflesso di trasalimento quando viene preso in braccio da persone che non sono i suoi genitori o quando viene messo nel lettino. Chi usa il topponcino dice di portarlo ovunque, anche perché è di semplice reperibilità: potete scegliere di acquistarlo online o realizzarne uno faida-te, seguendo le istruzioni sul sito workman.com/montessori.
  • Se in casa ci sono altri bambini, a volte è difficile riuscire a creare un clima tranquillo e silenzioso durante la fase simbiotica. Il neonato si accorgerà comunque della presenza dei fratellini, adattandosi ai ritmi della famiglia e ritagliandosi un proprio posto.
2. Gli adulti
  • Iniziamo a osservare il neonato, cercando di allinearci ai suoi primi ritmi.
  • Impariamo come dargli da mangiare e metterlo a nanna.
  • Cantiamo e balliamo con lui – il piccolo ha imparato a conoscere il nostro tono di voce e i nostri movimenti quando si trovava nel grembo, per lui sono elementi familiari.
  • Rendiamo speciale il momento del bagnetto.
  • Prendiamoci il tempo necessario per allattarlo – non soltanto è un momento di relax, ma è anche un modo di comunicare con il bambino usando tutto il nostro corpo (senza essere distratte dal cellulare).
  • Ritagliamoci del tempo per stringere il nostro bambino, pelle a pelle – è un momento rilassante sia per il piccolo che per l’adulto, inoltre aiuta a stabilire un legame emotivo, regola il battito cardiaco, la respirazione e la temperatura del neonato, talvolta rende il bambino più interessato all’allattamento e rafforza il sistema immunitario.
  • Mostriamo al bambino quanto è bello il mondo che ci circonda.
  • Capiamo in che modo il nostro compagno (se ne abbiamo uno) può creare un legame emotivo con il piccolo. Il rapporto che si crea di volta in volta è differente, perché questa seconda persona parla al bambino in modo diverso dal modo in cui gli parla la madre, così come ha un diverso modo di fargli il bagnetto, cantare per lui e tenerlo appoggiato sulla spalla.
  • Lasciamo che gli altri ci aiutino offrendosi di cucinare, fare le pulizie e lavare i piatti, così potremo prenderci cura del bambino e riposare. Spesso possono essere gli amici o i familiari a darci una mano, ma se non possiamo contare sul loro aiuto dobbiamo farci venire un’idea e trovare una soluzione prima dell’arrivo del piccolo, perché dopo il parto saremo troppo stanche o impegnate per pensarci. In alcuni Paesi si può usufruire di un servizio di assistenza per le prime due settimane dopo il parto (lasciandosi aiutare dai cosiddetti home visitors), ma in alternativa dobbiamo crearci una rete di persone su cui poter fare affidamento.
  • Non complichiamoci la vita – riduciamo al minimo visite e impegni.
  • Teniamo un diario di queste settimane, per noi stesse e per il piccolo. La fase simbiotica è anche un’occasione di superare il trauma del parto e l’eventuale senso di perdita che si può provare all’idea di non essere più in dolce attesa.
  • Per alcune persone ci vuole un po’ più di tempo per sviluppare il naturale trasporto verso il bambino. È possibile vivere dei baby blues o una depressione post-partum. Se sentite di averne bisogno, per favore rivolgetevi a un medico e lasciatevi aiutare: non si tratta di debolezza, anzi, è un gesto di gentilezza verso il vostro bambino.
  • Per i genitori adottivi, la fase simbiotica può arrivare in un secondo momento, quando si accoglie il piccolo a casa. Possiamo ricreare intenzionalmente questo legame emotivo scegliendo di limitare gli impegni sociali per 6-8 settimane: prendiamoci il tempo di diventare una famiglia, costruire un senso di fiducia e stabilire un legame emotivo, imparando a conoscere il bambino e dandogli la possibilità di conoscere noi.
  • Se il bambino è adottato, possiamo chiedere alla madre naturale i punti di riferimento che il piccolo aveva prima di nascere (per esempio, la musica che gli faceva ascoltare durante la gravidanza, o un messaggio vocale in cui parla al bambino).
3. Il neonato

Il neonato ricorda molto di quello che ha sentito nel grembo materno a livello tattile, uditivo e visuale (anche se la sua vista era molto limitata), per questo nelle prime settimane ha bisogno di provare sensazioni familiari che lo aiutino a orientarsi e stimolino i suoi cinque sensi. Ecco qualche idea per aiutare il bambino ad abituarsi al passaggio dall’utero all’ambiente esterno, durante la fase simbiotica.

Esperienze tattili
  • Evitiamo di coprire le mani del bambino, perché sarà tentato di portarsele alla bocca proprio come faceva nell’utero.
  • Il bambino è molto sensibile al contatto (un’esperienza del tutto nuova), per cui trattiamolo con estrema delicatezza: sforziamoci di fare movimenti calmi e precisi, perché il piccolo possa comprendere appieno ogni attività che lo riguarda, dal momento in cui gli cambiamo il pannolino a quello in cui gli facciamo il bagnetto e lo vestiamo.
  • L’abbigliamento del bambino dovrebbe essere in tessuto morbido e naturale, facile da mettere e togliere possibilmente senza essere sfilato dalla testa. Se riuscite a procurarveli, i pannolini di stoffa hanno il pregio non soltanto di avere un minore impatto ambientale, ma di essere anche morbidi sulla pelle del neonato, che quando espleta le proprie funzioni corporali ha modo di avvertire sulla pelle una sensazione di umido (una sensazione che gli tornerà utile quando dovrà imparare a usare il vasino). Se invece usiamo la variante usa e getta, in alcuni momenti della giornata possiamo togliere il pannolino al bambino, facendolo distendere su una coperta morbida o su un asciugamano.
  • Un topponcino (si veda p. 42) può essere un utile punto di riferimento per il piccolo, oltre a evitare che sia sottoposto a troppe stimolazioni esterne.
  • Nelle poche ore in cui il bambino è sveglio, teniamolo in braccio e diamogli il tempo di sgranchirsi le gambe su un materassino sottile (di circa 2,5 cm di spessore) abbastanza largo perché gambe e braccia possano essere mosse in tutte le direzioni (si veda p. 57 per scoprire di più su come creare un’area per il movimento). All’aperto possiamo creare un’area sicura per il piccolo utilizzando un semplice piumino.
  • Massaggiare con delicatezza il neonato può tranquillizzarlo e instaurare con lui un legame affettivo.
Esperienze uditive
  • Alcuni suoni per il bambino funzionano come punti di riferimento uditivo, perché li conosce fin da quando si trovava ancora nel grembo materno – primo fra tutti la nostra voce, che il piccolo ha ascoltato per tutta la gravidanza. Continuiamo a parlargli e a cantare per lui.
  • Anche il battito cardiaco della madre e i suoni della sua digestione gli saranno familiari – possiamo farglieli ascoltare di nuovo facendolo sdraiare sopra di noi.
  • Il cinguettio degli uccelli di solito piace molto ai neonati.
  • Facciamogli ascoltare della musica (magari la stessa che sentivamo durante la gravidanza), tenendola a un volume molto basso, oppure il suono di un carillon.
Esperienze visive
  • Un bambino appena nato riesce a mettere a fuoco solo quello che si trova a 30 cm di distanza da lui, per cui teniamolo stretto perché riesca a distinguere i nostri tratti del viso. Alcuni studi hanno dimostrato che la sola vista di un volto umano stimola automaticamente nei neonati il meccanismo di suzione. Senza contare che le caratteristiche facciali affascinano i bambini.
  • Mettiamo una mano davanti a una fonte di luce e lasciamo che il bambino ne osservi la silhouette scura, poi muoviamo le dita con estrema lentezza. Capiremo che il piccolo si è stancato del gioco quando distoglierà lo sguardo.
  • Anche le giostrine forniscono delle esperienze visive: scegliamone una molto leggera, così che possa muoversi in base alle correnti d’aria nella stanza. Più avanti nel libro vi mostreremo degli splendidi esempi di giostrine Montessori, da quelle in bianco e nero a quelle colorate, ad altre che rappresentano ballerine o oggetti che volano (si veda p. 134). Ricordiamoci di non appenderle sopra al lettino, bensì in un posto in cui il bambino possa osservarle durante le ore di veglia.
  • Il neonato inizierà a osservare i fratellini: all’inizio non riuscirà a metterli a fuoco ma presterà attenzione ai loro movimenti. Fin dai suoi primi giorni di vita sarà incuriosito da loro, per poi esserne del tutto affascinato, anche per lunghi periodi.

Talvolta il piccolo non vuole essere messo giù, perché ha sviluppato un attaccamento forte e ama essere tenuto in braccio. È normale, perché dopotutto la fase simbiotica serve per coccolare, rassicurare e stringere il piccolo, ma dobbiamo anche offrire al bambino l’opportunità di fare un po’ di movimento sul suo materassino, soprattutto dopo le prime due settimane, quando sarà più attivo.

Posiamo delicatamente il bambino all’interno dell’area per il movimento facendo attenzione a tenere il topponcino sotto di lui. In alternativa, sdraiamoci tenendo il piccolo sopra di noi e spostiamolo solo in un secondo momento sul materassino: in questo modo potrà comunque vederci e sentire la nostra voce e il nostro odore. Se ci sembra che il bambino non sia a suo agio, diamogli una carezza, guardiamolo negli occhi e diciamogli qualche parola di conforto, o cantiamogli una canzone. Giorno dopo giorno, il piccolo si sentirà più sicuro e non avrà più paura di essere posto sul materassino: per farlo abituare, allontaniamoci gradualmente, pochi centimetri per volta. Possiamo usare questa stessa tecnica per far abituare il bambino a dormire nel suo lettino (si veda p. 59).

IN PRATICA

  1. Cosa possiamo fare per prepararci al parto?
    • Curare la preparazione fisica (dieta, riposo ecc.)
    • Organizzare una rete di persone che ci diano una mano
    • Leggere il racconto di persone che hanno avuto un parto sereno
    • Stabilire il piano del parto, esprimendo la nostra preferenza sulle varie alternative possibili
  2. Quali domande farci in vista della fase simbiotica (le prime 6-8 settimane)?
    • Come aiutare il bambino nel passaggio dal grembo all’ambiente esterno?
    • Come sistemare la casa (temperatura, luci ecc.)?
    • Come prepararci (ad esempio a trattare il bebè con calma e delicatezza ecc.)?
    • Quali esperienze tattili, uditive e visive offrire ai sensi del bambino?
    • Come trovare il tempo per conoscere il piccolo e dargli il tempo di conoscerci?

LA VOCE DEL NEONATO: INTERVISTA A KARIN SLABAUGH

In memoria di Grazia Honegger Fresco (30 settembre 2020)


Karin lavora come educatrice per la prima infanzia dal 1992 e si è specializzata nella cura dei neonati, sulle orme dei primi educatori che hanno seguito una formazione montessoriana negli anni Cinquanta. Ha condotto più di 500 ore di osservazione su bambini appena nati, studiando il loro linguaggio comportamentale, il loro modo di comunicare e la loro incredibile recettività, che emerge nel momento in cui si rapportano con l’ambiente e con chi si prende cura di loro.


Cosa significa il principio montessoriano di “educazione fin dalla nascita”?


Significa che dobbiamo eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al naturale sviluppo del bambino e permettergli di auto-regolarsi e svilupparsi in autonomia, fin dal momento in cui viene al mondo.


Puoi spiegarci perché ami così tanto i neonati?


Non esiste una forma di vita umana che sia più pura del neonato, che inizia ad imparare fin dalla nascita, anzi, fin da quando si trova nel grembo materno. Appena nato un bambino è privo di condizionamenti, per lui imparare significa fare esperienze e sfruttarle per creare delle risposte abituali. Per questo, fin da quando viene alla luce, è incredibilmente reattivo: i suoi sensi cominciano ad assorbire tutti questi nuovi stimoli provenienti dal mondo che lo circonda. Il bambino assorbe ogni esperienza e la usa per imparare – che sia un’esperienza positiva, come il sentimento di fiducia o amore, o negativa, come quello di paura o terrore.


Parli spesso della capacità del neonato di guardare le persone dritto negli occhi.


Negli anni Sessanta, lo psicologo dello sviluppo Robert Fantz ha dimostrato che un bambino appena nato non soltanto è in grado di vedere, ma ha anche delle preferenze visive molto chiare, che gli permettono di trovare subito il seno della madre, che è la sua fonte di sostentamento, individuando il cerchio scuro dell’areola. Gli occhi della madre, soprattutto per via del contrasto fra il nero delle pupille e il bianco della sclera, costituiscono quindi un altro bersaglio visivo che fornisce al neonato un importante punto di riferimento su cui concentrare la sue ancora limitate capacità visive. Appena nati, i bambini sono programmati per cercare gli occhi della madre. È così che si crea il primo legame affettivo.


Parlaci del “primo stato di allerta” che hai notato nelle primissime ore di vita dei neonati.


Nella mia ricerca avrò osservato più o meno un centinaio di neonati nella loro prima ora di vita e ho notato che se il parto è stato naturale, l’ambiente non è troppo luminoso e alla madre viene concesso di restare con il bambino e stringerlo a sé, il piccolo è spesso molto reattivo. Essere a contatto con la pelle della sua mamma, sentire il suo odore, il calore del suo corpo, l’odore del suo colostro, ascoltare il battito del suo cuore e il suono della sua voce, guardarla negli occhi ed essere stretto dal suo abbraccio sono tutte sensazioni che possono iniziare a fargli conoscere il mondo esterno. In questo modo, anche se non è più nel grembo materno, prova delle sensazioni molto simili. Una volta che si sarà orientato inizierà ad aprire la bocca, tirare fuori la lingua e girare la testa, tutti riflessi che lo aiuteranno a trovare il seno della madre per attaccarcisi per la prima volta.


Cos’hai provato guardando negli occhi tutti questi bambini?


Nella loro seconda ora di vita, molti dei bambini presenti nelle incubatrici erano davvero vigili e reattivi, così mi mettevo a una trentina di centimetri da loro perché potessero vedermi. Ovviamente cercavano il volto della mamma e mi dispiaceva pensare che invece avrebbero visto il mio, ma ho avuto la sensazione che fosse un privilegio poter incontrare il loro sguardo. Anche semplicemente guardandoli negli occhi, ho sentito che si stava creando un forte legame emotivo.


Quale consiglio daresti ai neogenitori che vogliono capire come trattare il proprio bambino con rispetto e dignità?


La prima cosa che mi viene in mente è che bisogna rispettare i tempi del piccolo, che solo lui (o lei) conosce: non ha mai provato a mangiare né dormire fuori dal grembo materno, per cui ha bisogno di tempo per capire quali sono le sue tempistiche. Non dobbiamo mettergli fretta, se non vogliamo interrompere questo personalissimo processo.


Fin dai primissimi giorni di vita del bambino, noi genitori abbiamo il compito di osservarlo attentamente, per capire che cosa sta cercando di dirci. I neonati comunicano attraverso il linguaggio del corpo e i vocalizzi, per cui il repertorio che dobbiamo imparare a leggere e interpretare è davvero esteso. Si tratta di un linguaggio del tutto diverso dal nostro e, come per tutti i linguaggi, per impararlo occorrono tempo e dedizione. Anche perché non basta saper interpretare i diversi tipi di pianto, serve fare un passo ulteriore: bisogna osservare anche la sfera comportamentale. Pensiamo a un animale domestico, che abbaia o miagola (usando quindi un linguaggio vocale) ma comunica anche con il proprio comportamento, ad esempio restando ad aspettarci dietro a una porta o scodinzolando. Un cane che ha voglia di uscire ha un’aria triste, a volte persino depressa. Con un bambino non è troppo diverso, perché dobbiamo imparare a interpretare anche le sue espressioni e il suo linguaggio del corpo (ovvero le reazioni del sistema nervoso autonomo davanti ai diversi stimoli), non soltanto il suo pianto. Il suo linguaggio del corpo ci fa capire che cosa prova, che cosa gli serve, che cosa preferisce: è questo linguaggio che dobbiamo imparare se vogliamo portargli rispetto.


Come trattare un neonato con dignità, altra domanda spinosa. Vi piacerebbe che durante la vostra degenza ospedaliera vi spostassero da un posto all’altro senza considerarvi minimamente, toccandovi senza chiedervi il permesso e senza spiegarvi cosa sta succedendo? Trattare qualcuno con dignità significa tenere conto delle sue esigenze e dei suoi sentimenti e agire di conseguenza. Riflettiamoci: quanto spesso ci chiediamo di cosa ha davvero bisogno il bambino per elaborare tutte queste sensazioni nuove e sentirsi al sicuro in questo periodo di transizione? Un periodo in cui si trova fuori dal grembo materno, in un mondo che è del tutto diverso da quello in cui ha passato il resto della sua vita.


Qual è il modo migliore per cambiare il pannolino a un neonato senza farlo piangere?


Il neonato piange per esprimere paura, malessere o uno squilibrio fisiologico. È estremamente sensibile agli input sensoriali quali la temperatura, i movimenti bruschi o il contatto dei vestiti sulla pelle. Dobbiamo tenerne conto. Ovviamente poi con il tempo il piccolo si adatta e con il passare dei giorni, delle settimane e dei mesi comincerà a trovare familiari queste azioni e sensazioni. Quindi se fin dall’inizio – fin dai primissimi giorni di vita del bambino – un genitore fa attenzione a cambiargli il pannolino in un modo che non lo faccia piangere e non gli renda sgradevole l’esperienza, sta condizionando il neonato (ovvero sta creando una risposta condizionata) perché capisca che momenti simili rientrano nella quotidianità e non devono essere considerati sgradevoli.


La strategia di molti genitori prevede di cambiare il pannolino nel minor tempo possibile, così che al bambino resti il minor tempo possibile per piangere perché mamma e papà sono subito pronti a consolarlo. Ma si tratta di un errore: ci si deve sforzare a usare dei movimenti che non diano motivo al piccolo di piangere.


Qualche consiglio pratico: rallentate, anche più di quanto non sareste portati a fare. Il trucco con i neonati è muoversi con calma, al 5% della rapidità che usereste normalmente. Non lasciatevi prendere dallo stress e dall’ansia che provate a veder piangere il bambino, ma al contrario restate calmi, così da tranquillizzarlo: la co-regolamentazione funziona così. Spiegategli cosa state per fare, prima di prenderlo in braccio avvisatelo. Prima di compiere qualsiasi movimento, fermatevi e guardate il bambino negli occhi, restando a una distanza di circa 30 cm, e cercate di capire come si sente e cosa sta pensando. Potete guardare l’inizio del documentario di Bernard Martino Loczy: A Place to Grow (lo trovate su internet): nella prima scena si vede come preparare un neonato per il bagnetto. Potrebbe darvi un’idea di quanto sia sensibile il piccolo.


Per i sensi del neonato, il parto è un vero shock, perché improvvisamente smette di essere nel corpo della madre e arriva nel mondo. È per questo che spesso i bambini reagiscono piangendo, ma non è sempre così, come dimostra Frédérick Leboyer. Nei suoi libri e nel suo film Birth without violence, si mostrano parti in cui i bambini vengono alla luce tenendo gli occhi ben aperti, curiosi del mondo in cui si trovano. Neonati che spesso vengono al mondo senza piangere, e si guardano semplicemente attorno nella luce soffusa.


Quindi per il bambino venire alla luce non deve essere per forza un’esperienza spiacevole, così come non deve esserlo nessun’altra esperienza successiva, dal momento in cui gli si cambia il pannolino alle altre attività che lo coinvolgono. Basta tenere sempre presenti i suoi bisogni primari e il risultato sarà molto diverso. Di quanta luce ha bisogno un bambino appena nato? Di quanto rumore ha bisogno un bambino che ha un giorno di vita? Quante volte ha bisogno di essere cambiato un bambino nel suo terzo giorno di vita? Di cosa ha bisogno il bambino: questa è la domanda da farsi.

Il bebè Montessori
Il bebè Montessori
Simone Davies, Junnifa Uzodike
Crescere il bambino nel primo anno di vita con amore, rispetto ed empatia.Una guida scritta a quattro mani in cui teoria e pratica si uniscono in un libro prezioso per tutti i genitori per applicare i principi Montessori nel primo anno di vita del bambino. Dall’autrice Simone Davies del bestseller Il bambino piccolo Montessori, tradotto in più di 25 paesi, arriva Il bebè Montessori, una guida scritta a quattro mani con la collega educatrice Junnifa Uzodike per applicare i principi Montessori nel primo anno di vita del bambino.Teoria e pratica si uniscono in un libro prezioso per tutti i genitori, ricco di suggerimenti per crescere il bebè con amore, rispetto ed empatia, mantenendo un sorprendente senso di calma e pace interiore.Nel libro si troveranno utili consigli per: sviluppare un sicuro senso di attaccamento stabilire confini chiari favorire lo sviluppo motorio e linguistico del bambino scegliere i giocattoli organizzare la casa, ricreando un ambiente calmo, tranquillo e funzionale per tutta la famiglia Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code sul retro di copertina. Tanti consigli per mettere in pratica quell’approccio profondamente rispettoso di crescere il bambino, che è il metodo Montessori.Angeline S. Lillard Conosci l’autore Simone Davies è un’insegnante Montessori dell’AMI (Association Montessori Internationale), ed è anche autrice di The Montessori Notebook, il popolare blog e profilo Instagram in cui offre consigli, risponde a domande e organizza laboratori online per i genitori di tutto il mondo.Nata in Australia, vive ad Amsterdam con la sua famiglia, dove organizza corsi genitori-figli nella sua scuola Montessori, la Jacaranda Tree. Junnifa Uzodike è un’insegnante Montessori dell’AMI.Vive in Nigeria con la sua famiglia, dove ha fondato la scuola Fruitful Orchard Montessori, ed è autrice del blog Nduoma, a good life.