LA VOCE DEL NEONATO: INTERVISTA A KARIN SLABAUGH
In memoria di Grazia Honegger Fresco (30 settembre 2020)
Karin lavora come educatrice per la prima infanzia dal 1992 e si è specializzata nella cura dei neonati, sulle orme dei primi educatori che hanno seguito una formazione montessoriana negli anni Cinquanta. Ha condotto più di 500 ore di osservazione su bambini appena nati, studiando il loro linguaggio comportamentale, il loro modo di comunicare e la loro incredibile recettività, che emerge nel momento in cui si rapportano con l’ambiente e con chi si prende cura di loro.
Cosa significa il principio montessoriano di “educazione fin dalla nascita”?
Significa che dobbiamo eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al naturale sviluppo del bambino e permettergli di auto-regolarsi e svilupparsi in autonomia, fin dal momento in cui viene al mondo.
Puoi spiegarci perché ami così tanto i neonati?
Non esiste una forma di vita umana che sia più pura del neonato, che inizia ad imparare fin dalla nascita, anzi, fin da quando si trova nel grembo materno. Appena nato un bambino è privo di condizionamenti, per lui imparare significa fare esperienze e sfruttarle per creare delle risposte abituali. Per questo, fin da quando viene alla luce, è incredibilmente reattivo: i suoi sensi cominciano ad assorbire tutti questi nuovi stimoli provenienti dal mondo che lo circonda. Il bambino assorbe ogni esperienza e la usa per imparare – che sia un’esperienza positiva, come il sentimento di fiducia o amore, o negativa, come quello di paura o terrore.
Parli spesso della capacità del neonato di guardare le persone dritto negli occhi.
Negli anni Sessanta, lo psicologo dello sviluppo Robert Fantz ha dimostrato che un bambino appena nato non soltanto è in grado di vedere, ma ha anche delle preferenze visive molto chiare, che gli permettono di trovare subito il seno della madre, che è la sua fonte di sostentamento, individuando il cerchio scuro dell’areola. Gli occhi della madre, soprattutto per via del contrasto fra il nero delle pupille e il bianco della sclera, costituiscono quindi un altro bersaglio visivo che fornisce al neonato un importante punto di riferimento su cui concentrare la sue ancora limitate capacità visive. Appena nati, i bambini sono programmati per cercare gli occhi della madre. È così che si crea il primo legame affettivo.
Parlaci del “primo stato di allerta” che hai notato nelle primissime ore di vita dei neonati.
Nella mia ricerca avrò osservato più o meno un centinaio di neonati nella loro prima ora di vita e ho notato che se il parto è stato naturale, l’ambiente non è troppo luminoso e alla madre viene concesso di restare con il bambino e stringerlo a sé, il piccolo è spesso molto reattivo. Essere a contatto con la pelle della sua mamma, sentire il suo odore, il calore del suo corpo, l’odore del suo colostro, ascoltare il battito del suo cuore e il suono della sua voce, guardarla negli occhi ed essere stretto dal suo abbraccio sono tutte sensazioni che possono iniziare a fargli conoscere il mondo esterno. In questo modo, anche se non è più nel grembo materno, prova delle sensazioni molto simili. Una volta che si sarà orientato inizierà ad aprire la bocca, tirare fuori la lingua e girare la testa, tutti riflessi che lo aiuteranno a trovare il seno della madre per attaccarcisi per la prima volta.
Cos’hai provato guardando negli occhi tutti questi bambini?
Nella loro seconda ora di vita, molti dei bambini presenti nelle incubatrici erano davvero vigili e reattivi, così mi mettevo a una trentina di centimetri da loro perché potessero vedermi. Ovviamente cercavano il volto della mamma e mi dispiaceva pensare che invece avrebbero visto il mio, ma ho avuto la sensazione che fosse un privilegio poter incontrare il loro sguardo. Anche semplicemente guardandoli negli occhi, ho sentito che si stava creando un forte legame emotivo.
Quale consiglio daresti ai neogenitori che vogliono capire come trattare il proprio bambino con rispetto e dignità?
La prima cosa che mi viene in mente è che bisogna rispettare i tempi del piccolo, che solo lui (o lei) conosce: non ha mai provato a mangiare né dormire fuori dal grembo materno, per cui ha bisogno di tempo per capire quali sono le sue tempistiche. Non dobbiamo mettergli fretta, se non vogliamo interrompere questo personalissimo processo.
Fin dai primissimi giorni di vita del bambino, noi genitori abbiamo il compito di osservarlo attentamente, per capire che cosa sta cercando di dirci. I neonati comunicano attraverso il linguaggio del corpo e i vocalizzi, per cui il repertorio che dobbiamo imparare a leggere e interpretare è davvero esteso. Si tratta di un linguaggio del tutto diverso dal nostro e, come per tutti i linguaggi, per impararlo occorrono tempo e dedizione. Anche perché non basta saper interpretare i diversi tipi di pianto, serve fare un passo ulteriore: bisogna osservare anche la sfera comportamentale. Pensiamo a un animale domestico, che abbaia o miagola (usando quindi un linguaggio vocale) ma comunica anche con il proprio comportamento, ad esempio restando ad aspettarci dietro a una porta o scodinzolando. Un cane che ha voglia di uscire ha un’aria triste, a volte persino depressa. Con un bambino non è troppo diverso, perché dobbiamo imparare a interpretare anche le sue espressioni e il suo linguaggio del corpo (ovvero le reazioni del sistema nervoso autonomo davanti ai diversi stimoli), non soltanto il suo pianto. Il suo linguaggio del corpo ci fa capire che cosa prova, che cosa gli serve, che cosa preferisce: è questo linguaggio che dobbiamo imparare se vogliamo portargli rispetto.
Come trattare un neonato con dignità, altra domanda spinosa. Vi piacerebbe che durante la vostra degenza ospedaliera vi spostassero da un posto all’altro senza considerarvi minimamente, toccandovi senza chiedervi il permesso e senza spiegarvi cosa sta succedendo? Trattare qualcuno con dignità significa tenere conto delle sue esigenze e dei suoi sentimenti e agire di conseguenza. Riflettiamoci: quanto spesso ci chiediamo di cosa ha davvero bisogno il bambino per elaborare tutte queste sensazioni nuove e sentirsi al sicuro in questo periodo di transizione? Un periodo in cui si trova fuori dal grembo materno, in un mondo che è del tutto diverso da quello in cui ha passato il resto della sua vita.
Qual è il modo migliore per cambiare il pannolino a un neonato senza farlo piangere?
Il neonato piange per esprimere paura, malessere o uno squilibrio fisiologico. È estremamente sensibile agli input sensoriali quali la temperatura, i movimenti bruschi o il contatto dei vestiti sulla pelle. Dobbiamo tenerne conto. Ovviamente poi con il tempo il piccolo si adatta e con il passare dei giorni, delle settimane e dei mesi comincerà a trovare familiari queste azioni e sensazioni. Quindi se fin dall’inizio – fin dai primissimi giorni di vita del bambino – un genitore fa attenzione a cambiargli il pannolino in un modo che non lo faccia piangere e non gli renda sgradevole l’esperienza, sta condizionando il neonato (ovvero sta creando una risposta condizionata) perché capisca che momenti simili rientrano nella quotidianità e non devono essere considerati sgradevoli.
La strategia di molti genitori prevede di cambiare il pannolino nel minor tempo possibile, così che al bambino resti il minor tempo possibile per piangere perché mamma e papà sono subito pronti a consolarlo. Ma si tratta di un errore: ci si deve sforzare a usare dei movimenti che non diano motivo al piccolo di piangere.
Qualche consiglio pratico: rallentate, anche più di quanto non sareste portati a fare. Il trucco con i neonati è muoversi con calma, al 5% della rapidità che usereste normalmente. Non lasciatevi prendere dallo stress e dall’ansia che provate a veder piangere il bambino, ma al contrario restate calmi, così da tranquillizzarlo: la co-regolamentazione funziona così. Spiegategli cosa state per fare, prima di prenderlo in braccio avvisatelo. Prima di compiere qualsiasi movimento, fermatevi e guardate il bambino negli occhi, restando a una distanza di circa 30 cm, e cercate di capire come si sente e cosa sta pensando. Potete guardare l’inizio del documentario di Bernard Martino Loczy: A Place to Grow (lo trovate su internet): nella prima scena si vede come preparare un neonato per il bagnetto. Potrebbe darvi un’idea di quanto sia sensibile il piccolo.
Per i sensi del neonato, il parto è un vero shock, perché improvvisamente smette di essere nel corpo della madre e arriva nel mondo. È per questo che spesso i bambini reagiscono piangendo, ma non è sempre così, come dimostra Frédérick Leboyer. Nei suoi libri e nel suo film Birth without violence, si mostrano parti in cui i bambini vengono alla luce tenendo gli occhi ben aperti, curiosi del mondo in cui si trovano. Neonati che spesso vengono al mondo senza piangere, e si guardano semplicemente attorno nella luce soffusa.
Quindi per il bambino venire alla luce non deve essere per forza un’esperienza spiacevole, così come non deve esserlo nessun’altra esperienza successiva, dal momento in cui gli si cambia il pannolino alle altre attività che lo coinvolgono. Basta tenere sempre presenti i suoi bisogni primari e il risultato sarà molto diverso. Di quanta luce ha bisogno un bambino appena nato? Di quanto rumore ha bisogno un bambino che ha un giorno di vita? Quante volte ha bisogno di essere cambiato un bambino nel suo terzo giorno di vita? Di cosa ha bisogno il bambino: questa è la domanda da farsi.