mettiamo in pratica - PRIMA PARTE

Vita quotidiana

RITMI GIORNALIERI

A volte un bambino non sembra avere dei ritmi quotidiani regolari e può essere difficile interpretare i suoi segnali. Ha ancora fame? È stanco? Non ha dormito bene e dovremmo provare a rimetterlo a letto? Può essere davvero complicato.


Per chiarirci le idee, ricordiamoci che una normale routine si articola così: svegliarsi, mangiare, giocare, dormire. Osservando il bambino possiamo capire quali sono i suoi ritmi e iniziare a notare dei segnali che ci facciano capire quando sta passando da una fase della routine a quella successiva. Dobbiamo trovare insieme a lui un ritmo naturale.


Facciamo attenzione ai segnali che ci indicano che ha voglia di mangiare (come aprire la bocca, fare determinate espressioni o lanciare gridolini di avvertimento), di giocare (come essere sveglio, aver fatto il ruttino ed essere reattivo) o di andare a dormire (distogliere lo sguardo da un gioco, toccarsi le orecchie, innervosirsi, muoversi a scatti o sfregarsi gli occhi).


A volte è difficile distinguere i diversi tipi di pianto. Se il piccolo sembra inquieto e sappiamo che ha già mangiato e giocato a sufficienza possiamo aiutarlo a prendere sonno. Il figlio di Simone aveva finito per sviluppare dei ritmi folli, addormentandosi durante i pasti e risvegliandosi poco dopo piangendo, così la madre gli dava ancora da mangiare, andando avanti per tentativi. Il problema era che anche nelle ore di veglia il piccolo non sembrava davvero sereno. Con la nascita della figlia, Simone ha imparato dai propri sbagli e ha fatto diversamente: invece di darle da mangiare fino a quando non si addormentava, la allattava appena sveglia, giocava un po’ con lei e poi vedeva che era pronta per tornare a dormire. Per aiutarla a prendere sonno, Simone si sedeva accanto a lei e le accarezzava, oppure la faceva giocare per un po’ da sola nella sua cameretta.

  • Un neonato si sveglia, mangia e viene coccolato per un po’, oppure si sgranchisce sul materassino, viene cambiato, gioca ancora e poi è pronto per tornare a dormire.
  • Crescendo, si sveglia, mangia, gioca e viene coccolato un po’ più a lungo, poi viene cambiato e messo a dormire.
  • Dopo qualche mese, vedremo che il bambino non si sveglierà piangendo per la fame. Potrà giocare un po’ e poi tornare al solito ritmo che si articola così: svegliarsi, mangiare, giocare (ed essere cambiato) e dormire.

Si tratta di regole generali, perché è solo con l’osservazione che possiamo capire qual è il ritmo specifico di nostro figlio e riuscire a prevederlo. Non esistono orari fissi: dobbiamo solo seguire la routine del piccolo per aiutarlo a orientarsi e creare un senso di ordine.


Una volta che avremo compreso il suo ritmo, cerchiamo di rispettarlo il più possibile, ad esempio programmando di vedere gli amici solo una volta che il bambino si sarà svegliato oppure decidendo di farlo dormire in auto, nel passeggino o nel marsupio mentre noi portiamo a scuola suo fratello maggiore.


Il ritmo del bambino può essere modificato da vari fattori: scatti di crescita, dentizione, viaggi e cambiamenti nell’ambiente domestico o su più larga scala. Quindi continuiamo a osservarlo e ad apportare le modifiche necessarie: procediamo per gradi, per aiutare il piccolo a vivere più serenamente queste transizioni.


Nel nostro ritmo quotidiano possiamo introdurre dei segnali che aiutino il bambino a riconoscere le varie transizioni: cantare una canzone, dire il nome del piccolo o avere una routine regolare (che preveda ad esempio di fargli sempre il bagnetto prima di metterlo a letto oppure di lavarsi le mani prima dei pasti). Così il bambino potrà prevedere cosa sta per succedere e sapere cosa aspettarsi.


Mantenere sempre la stessa routine nel corso della settimana – e quindi un ritmo settimanale – aiuta il bambino a prevedere passeggiate, bagnetti, momenti trascorsi con la babysitter ecc. Se i genitori lavorano, il piccolo inizierà a conoscere il ritmo della loro settimana, ovvero a capire quando trascorrerà del tempo con loro e quando starà invece con altri adulti. Cerchiamo di coordinarci con loro perché il ritmo quotidiano resti il più possibile invariato, a prescindere dai diversi ambienti in cui si trascorre la giornata. Con il passare dei mesi questa prevedibilità diventerà estremamente importante per il bambino, che svilupperà un forte senso di ordine e comincerà a capire cosa lo aspetta nel corso della giornata e della settimana. Molte ricerche mostrano che i bambini che crescono in famiglie con una routine regolare sono più felici e in salute. Per saperne di più, consigliamo di leggere Montessori: The Science Behind the Genius di Angeline Stoll Lillard.

RITUALI

Non è mai troppo presto per introdurre dei rituali per i momenti più speciali dell’anno, o anche solo della settimana. Queste tradizioni possono anche includere elementi importanti per la nostra famiglia o per la nostra cultura.

  • compleanni, feste – creare addobbi, cucinare, fare gite speciali
  • vacanze annuali
  • rituali ripetuti ogni settimana, come ad esempio andare al parco il venerdì pomeriggio o fare colazione in modo speciale la domenica mattina

Il bambino assorbirà questi rituali e crescendo non vedrà l’ora di celebrarli con noi. È una grande occasione per crearne alcuni propri solo della nostra famiglia e, volendo, anche di trarre spunto da culture diverse.


Il bambino adorerà essere incluso nei rituali della famiglia, soprattutto se in casa ci sono già dei fratellini. Di sicuro con il tempo saprà offrire anche il proprio contributo.

MANGIARE

Nel suo primo anno di vita, il bambino passa dal dipendere completamente dall’adulto per quanto riguarda la sua alimentazione ad avere sempre più autonomia. È il processo che dalla dipendenza passa alla collaborazione e si conclude con le prime forme di indipendenza.


A circa un anno, il piccolo può scegliere qualcosa dal piatto, portarselo alla bocca, masticarlo, ingoiarlo e ripetere il procedimento: ha il controllo della propria alimentazione, ha imparato ad ascoltare i segnali con cui il suo corpo gli comunica che ha fame o che è sazio e ha acquisito la coordinazione fisica necessaria per mangiare da solo (anche se non è del tutto preciso). Oltre a diventare indipendente, sta anche sviluppando un rapporto sano con il cibo.

Allattamento al seno e con il biberon

Tradizionalmente, l’approccio Montessori raccomanda, se possibile, l’allattamento al seno e consiglia alle madri di prendersi cura dell’alimentazione del piccolo personalmente, soprattutto nelle prime settimane. Ma di questi tempi questo compito può essere ricoperto da qualsiasi familiare stretto, che il bambino imparerà a riconoscere come la persona che gli dà da mangiare. All’asilo nido è importante che si tratti sempre della stessa maestra. Quando però si inizia a usare il biberon, l’alimentazione può diventare il compito anche di un eventuale compagno: coinvolgere entrambi i genitori in questa fase serve a creare ulteriori momenti per stabilire un legame emotivo.


La produzione di colostro nei primi giorni successivi al parto e successivamente del latte è uno dei capolavori della biologia umana: il latte è l’alimento perfetto per il neonato, è (quasi) sempre disponibile quando il piccolo ha fame, non è un problema anche se siamo fuori casa e non deve essere addizionato a niente in cucina. Il latte materno ha tutti i nutrimenti che servono al bambino, inclusi importanti anticorpi passati da madre a figlio per aiutarlo a combattere l’insorgere delle malattie.


Ci sono anche dei benefici per la madre: allattare al seno fa contrarre l’utero; secondo molte ricerche è in grado di ridurre il rischio di cancro al seno e alle ovaie, nonché di sviluppare un diabete di tipo 2 e depressione post partum; inoltre stringere il piccolo durante l’allattamento può aiutare ad alleviare il senso di perdita e di vuoto che si vive dopo aver trascorso nove mesi portando il bambino dentro di sé.


Allattare al seno non significa soltanto nutrire il bambino, perché crea un profondo legame emotivo fra madre e figlio.


“Un bambino attaccato al seno della madre non si sta semplicemente nutrendo, ma è profondamente coinvolto in un dialogo biologico dinamico e bidirezionale. È un processo che prevede uno scambio fisico, biochimico, ormonale e psicosociale.”
—Diane Wiessinger, Diana West e Therea Pitman,The Womanly Art of Breastfeeding

Quando allattiamo scegliamo una posizione comoda (reclinata e sorretta da qualche cuscino) e teniamo il bambino sopra di noi, per avere pieno contatto con la sua pancia, le sue gambe e i suoi piedi, così il piccolo potrà stare sdraiato senza avere bisogno di troppo sostegno e questo lo stimolerà ad attaccarsi al seno. Invece di porgergli il capezzolo, pensiamo prima di tutto a trovare la posizione giusta per noi e il bambino. Per ulteriori informazioni, cercate su internet quali sono le posizioni più naturali per allattare al seno.


Alcune donne scelgono di non allattare al seno, mentre per altre si tratta di un compito non privo di difficoltà: ci possono essere dei problemi perché il piccolo non si attacca al seno, per via dell’anchiloglossia (il frenulo linguale è troppo corto per cui la lingua resta attaccata al pavimento orale) o perché la madre non riesce a produrre latte per via dei suoi livelli ormonali, o ancora perché ha pochi dotti galattofori. In questo caso si riesce di solito a risolvere il problema rivolgendosi in tempo a uno specialista.


Le madri che lavorano di solito riescono a continuare ad allattare al seno anche quando sono fuori casa preparando dei biberon di latte materno: ci vuole un impegno ancora maggiore, ma in questo modo si passano al piccolo tutti i benefici di questo alimento e quando si è con il bambino si può continuare ad allattare.


A volte non si riesce ad allattare al seno: in questi casi potremmo provare tristezza all’idea di non essere riuscite ad offrire al piccolo il nostro latte e potremmo pensare di non essere state all’altezza dal punto di vista fisico e di aver deluso il bambino. Non reprimiamo questi sentimenti e magari troviamo qualcuno che ci aiuti a elaborarli e a fare quanto possiamo per il benessere di nostro figlio. A prescindere che abbiamo allattato al seno o meno, possiamo tenere il bambino fra le braccia quando gli diamo da mangiare e guardarlo negli occhi, così da offrirgli – oltre al semplice nutrimento – cure e affetto.


Esistono associazioni che ci mettono in contatto con chi produce latte in grandi quantità e potrebbe donarlo a nostro figlio, senza contare che in commercio ci sono tantissimi nuovi prodotti che si avvicinano molto al latte materno. Che si tratti di allattamento al seno o con il biberon, ricordiamoci di stringere il piccolo, guardarlo negli occhi e creare una comunicazione con lui. I benefici non riguarderanno solo il neonato, ma anche il genitore.

Consigli per l’allattamento al seno o con il biberon
  • Invece di leggere, parlare al telefono o guardare la tv, guardiamo il bambino negli occhi – è il momento perfetto per creare un legame emotivo con lui e fare una pausa.
  • Osserviamo il bambino, per imparare qualcosa di nuovo ogni giorno – che movimenti fa con le mani, la testa e i piedi? Che suoni fa? Che cosa osserva? Come reagisce ai rumori?
  • Mettiamoci in una posizione comoda con una buona postura, perché è così che passeremo moltissime ore nei primi mesi di vita del piccolo – teniamo le spalle rilassate e non stiamo chinate in avanti. Se abbiamo bisogno di un ulteriore supporto, quantomeno all’inizio, usiamo dei cuscini. Oppure adottiamo una delle posizioni reclinate descritte a p. 167.
  • Nei giorni successivi al parto, è possibile che il bambino si addormenti mentre gli stiamo dando da mangiare. All’inizio lasciamolo fare, poi nei giorni successivi cerchiamo di tenerlo sveglio usando una salviettina umida. Se si addormenta mentre mangia, è probabile che si svegli dopo poco volendo finire il pasto e potrebbe sembrare che il bambino mangi in continuazione.
Come capire se il bambino ha fame?

Impareremo a cogliere tutti i segnali per capire se il bambino ha fame, tra cui:

  • apre la bocca
  • piagnucola o fa versi
  • irrigidisce il corpo o la bocca
  • ha il respiro affannoso
  • inizia a piangere.
Ogni quanto dare da mangiare al bambino?

Un bambino appena nato mangia dalle 8 alle 12 volte al giorno, di solito per 30-40 minuti. Con il tempo il piccolo avrà sempre meno difficoltà a mangiare e i tempi si accorceranno.


Dopo averlo allattato, faremo fare il ruttino al piccolo, gli cambieremo il pannolino, lo coccoleremo e lo faremo sgranchire un po’ sul pavimento. Poco dopo inizieremo a notare dei segnali che indicano che è stanco, e sarà ora di iniziare una breve routine del sonno.


Di notte questo ritmo si semplificherà e diventerà: dare da mangiare al piccolo, fargli fare il ruttino, se necessario cambiargli il pannolino e poi tornare a dormire. Teniamo le luci soffuse o usiamo una luce notturna. Ricordiamoci che per il primo anno è normale che il bambino si svegli di notte, anche se non sempre per mangiare.


Se allattiamo a richiesta, con il tempo il piccolo si creerà un proprio ritmo, facendo passare un paio d’ore fra i pasti. Passerà dalla dipendenza alla collaborazione, a una sempre maggiore indipendenza. Il fatto che pianga non significa necessariamente che ha fame: forse ha freddo, o forse sta vivendo qualche altro tipo di disagio, per cui cerchiamo di capire se ha bisogno di qualcosa prima di offrirgli il seno o il biberon.

Il ruttino

Il ruttino serve al bambino per liberarsi del piccolo quantitativo di aria che ha ingerito mentre stava mangiando. Possiamo farglielo fare tenendolo sulla nostra spalla, reggendogli la testa da dietro e strofinandogli la schiena (o dandole dei leggeri colpetti). Ad alcuni bambini viene più facile stando seduti sul nostro grembo: mettiamo un braccio sullo stomaco del piccolo, in verticale, reggendogli il mento con la mano, e con l’altra mano teniamogli il retro della testa mentre gli facciamo passare il braccio sulla schiena, sempre in verticale.


Non bisogna mettere fretta al bambino, ma anzi sfruttare questo momento per creare un legame emotivo con lui.

Alcuni problemi frequenti quando si allatta al seno

Allergie. Le allergie si manifestano spesso sotto forma di diarrea, sedere arrossato, rinorrea, occhi che lacrimano, eruzioni cutanee ed eczema. Il bambino potrebbe anche piangere e non riuscire a dormire. In alcuni casi si tratta di un’intolleranza a una proteina presente nel latte della mucca e i sintomi sono simili a quelli di una colica: affanno, vomito, diarrea, costipazione, sfogo cutaneo, eczema o naso chiuso. Se allattiamo al seno, eliminiamo dalla nostra dieta gli alimenti che possono causare allergia, tenendo però a mente che ci vogliono 21 giorni perché spariscano del tutto dal nostro organismo. Se invece usiamo il biberon, proviamo a cambiare formula.


Morsi durante l’allattamento. All’inizio potrebbe essere uno shock, ma se il bambino ci morde non dobbiamo per forza smettere di allattare. Allontaniamo il piccolo dal nostro petto inserendo un dito pulito (di solito il mignolo) fra il nostro seno e la bocca del neonato per farlo smettere di succhiare. Dobbiamo mandargli il messaggio che ci ha fatto male: “Ahia. Ora ti allontano dal seno. Se mi mordi mi fai male”. In questo modo, dopo un paio di volte, nostro figlio capirà che non deve morderci.


Confusione tra capezzoli e biberon. Meglio aspettare la fine del primo mese prima di offrire al piccolo il biberon, per evitare di confonderlo: il seno della madre e il biberon, infatti, richiedono due tipi diversi di suzione.

Introdurre cibi solidi: l’approccio Montessori

Intorno ai 6 mesi il bambino inizia a mostrare interesse verso il cibo solido, osservandoci attentamente mentre mangiamo. A quest’età la scorta di ferro prenatale si sta esaurendo, il piccolo è in grado di stare seduto (magari con un po’ di aiuto), spuntano i primi dentini, riesce a reggere il peso della propria testa e inizia a produrre l’amilasi salivare (un enzima che attacca i carboidrati complessi): tutti segni che è pronto per mangiare cibo solido. Ad oggi si consiglia di aspettare i 6 mesi e la comparsa degli indizi appena descritti.

Introdurre i cibi solidi è un traguardo importante:

  • il bambino inizia a considerarsi separato dal genitore e impara che il cibo può avere anche un’altra fonte;
  • assaggiare il cibo è una forma di esplorazione. Dai 6 ai 12 mesi non conta tanto l’apporto nutritivo, quanto l’esperienza data da ogni alimento. Teniamolo a mente se iniziamo a preoccuparci di quanto (o quanto poco) stia mangiando il bambino;
  • aiutiamolo a conoscere il cibo nella sua forma naturale. Possiamo mostrargli un frutto e lasciarglielo tenere in mano, così che ne senta consistenza e odore. Poi il bambino vedrà che lo sbucciamo e lo tagliamo per lui e infine potrà assaggiarlo;
  • il piccolo impara come nutrirsi da solo e una volta cresciuto potrà dare una mano nella preparazione del cibo;
  • il suo lessico si amplia fino a includere la sfera culinaria: il nome del cibo, degli utensili, delle azioni che facciamo in cucina.
“Sedersi a tavola crea un cambiamento nell’identità del bambino e l’inizio di un nuovo rapporto umano che si ripresenterà nel corso della vita… inizia a separarsi dal cibo, che diventa l’agente esterno di un processo interno ben più importante: lo sviluppo dell’identità personale. I diversi alimenti e i diversi modi di riceverli sono strettamente correlati ai concetti di distacco, indipendenza e sviluppo dell’identità.”
—Silvana Montanaro, Comprendere i bambini

Non dobbiamo per forza svezzare nostro figlio offrendogli delle sciape creme di riso o dei semplici omogeneizzati di frutta o verdura. Possiamo anche offrirgli un pasto più completo, che risulti invitante anche a noi (ad esempio del riso con contorno di verdure, un po’ di formaggio, olio e condimenti).


Invece di imboccare il bambino facendogli aprire la bocca quando decidiamo noi, possiamo cercare dei modi per farlo mangiare da solo, seguendo un proprio ritmo. Sarà complicato e ci vorrà un po’, mettiamolo in conto, ma incoraggerà il bambino a gestirsi nel modo più indipendente possibile.


Uno svezzamento guidato dal bambino si allinea bene con l’approccio Montessori all’introduzione dei cibi solidi: ogni alimento viene tagliato in pezzi grandi che un neonato di sei mesi possa tenere in mano, portarsi alla bocca e assaggiare. Le verdure non vengono trasformate in puree, ma cotte a lungo perché si sciolgano in bocca. Disporre i bocconi davanti al piccolo è utile anche perché impari a padroneggiare abilità fino-motorie.


Alcuni dei cibi solidi più spesso proposti ai neonati sono:

  • pezzi di carota, broccoli o altre verdure, ben cotti e lunghi circa una decina di centimetri;
  • pezzi di pane tostato;
  • frutta morbida e poi progressivamente più dura, che il bambino possa tenere in mano e mordere;
  • qualsiasi alimento che la famiglia stia mangiando, a patto che sia in una forma che il bambino riesca a gestire da solo.

PREVENIRE IL RISCHIO DI SOFFOCAMENTO

A quest’età i neonati sono dotati del riflesso faringeo, una risposta del corpo quando qualcosa va di traverso, da non confondere con il soffocamento, che è invece caratterizzato dal fatto che il bambino impallidisca e non emetta alcun suono. In tal caso, teniamo il piccolo sul nostro braccio, a pancia in giù, tenendogli il mento con la mano. Usando l’altra mano, colpiamolo fra le scapole usando la parte della mano che è fra il palmo e il polso e vediamo se il bambino sputa qualcosa. Ripetiamo questo movimento quattro volte. Se ancora il boccone non è stato espulso, stringiamo il bambino fra i nostri avambracci (reggendogli sempre gentilmente mento e collo) per girarlo sulla schiena e fargli cinque compressioni toraciche. Iscriviamoci a un corso di pronto soccorso per esercitarci in questa manovra e imparare eventuali aggiornamenti dei protocolli da seguire.

Dove mangiare

Nel metodo Montessori si vuole dare al bambino la sensazione di essere indipendente, per cui invece di usare il seggiolone si preferisce introdurre un tavolino basso e una seggiolina da usare per lo svezzamento: il piccolo riesce a sedersi da solo e a scendere dalla sedia quando ha finito di mangiare e partecipare attivamente al pasto, sentendosi pienamente capace.


Possiamo ricorrere a questa soluzione non appena il piccolo è in grado a stare seduto in modo stabile (intorno ai 6-8 mesi): l’altezza del tavolo e della sedia deve essere tale che i piedi del bambino tocchino terra. Possiamo apparecchiare il tavolino con un vaso di fiori e usare una tovaglietta per mostrare al bambino dove mettere piatto e posate durante i pasti: all’inizio sarà tentato di buttarla per terra, ma continuiamo a rimetterla a posto. Tavolo e seggiolina possono essere usati per far mangiare il bambino o solo per fargli fare merenda.


Per evitare che mangi da solo, il bambino potrà unirsi alla famiglia a tavola usando un seggiolone privo di vassoio: in questo modo non solo imparerà che i pasti sono occasioni sociali, ma sentirà anche meno pressione a mangiare perché l’attenzione non sarà focalizzata solo su di lui e nessuno gli metterà fretta. Inoltre inizierà a cogliere i segnali con cui il suo corpo gli comunica che ha fame o che è sazio.

Cosa usare per mangiare

Si tratta di un’idea piuttosto controversa, ma nel metodo Montessori preferiamo usare piatti, bicchieri e posate vere e non di plastica. Non si tratta solo di una scelta più sostenibile e legata a materiali naturali, ma serve anche a non alterare il sapore di cibo e bevande e far capire al bambino che sì, quando qualcosa cade per terra è possibile che si rompa. Nei primi tempi possiamo usare piatti e bicchieri in materiali resistenti, come ad esempio bambù o smalto.


Iniziamo dalla forchetta, che è la posata più semplice da utilizzare. Su internet si trovano dei bellissimi video di bambini che la usano per mangiare da soli già verso gli 8 mesi.


I genitori infilzano un boccone nella forchetta e la lasciano sul piatto davanti al piccolo, con l’impugnatura rivolta verso di lui. Il bambino sceglie quale mano usare e si porta il cibo alla bocca, poi mamma e papà infilzano un altro boccone e aspettano che il figlio sia pronto a proseguire.


Al bambino serve più coordinazione per tenere il cibo dentro al cucchiaio, per cui all’inizio gli possiamo offrire alimenti dalla consistenza particolarmente densa, come dei fiocchi d’avena o dello yogurt cremoso.


Mentre perfeziona la propria coordinazione relativa ad azioni fino- e grosso-motorie, dobbiamo essere pronti a fornirgli l’aiuto di cui ha bisogno, ad esempio dandogli una mano a reggere il bicchiere quando se lo porta alla bocca. Con il tempo gli offriremo sempre meno aiuto e ci limiteremo a versargli due dita d’acqua.


Non dobbiamo usare biberon o bicchieri salvagoccia: all’inizio il bambino si rovescerà tutto addosso, ma imparerà in fretta. Quando siamo fuori casa, offriamogli una bottiglia con dentro una cannuccia, perché la tettarella dei bicchieri salvagoccia tiene la lingua in una posizione adatta solo alla suzione.


Con questo in mente, cerchiamo posate di metallo abbastanza piccole perché il bambino possa tenerle in mano. Nelle sue classi, Simone usa cucchiaini da tè e forchette da dessert con rebbi non taglienti. Per far bere i bambini, dà loro bicchieri da caffè o cicchetti e ciotole piccole e non troppo fonde perché si servano da soli. Le dimensioni contano, e in questo caso più sono ridotte meglio è.


Imparare a tenere in mano forchetta e bicchiere è la prima attività di vita pratica – ovvero relativa alla vita quotidiana – che proponiamo al bambino. Crescendo, lo coinvolgeremo anche in compiti come preparare, servire e riordinare dopo i pasti, così come spazzare, lavare i vetri, prendersi cura delle piante e di se stesso.


Diamogli una salviettina per pulirsi le mani prima, durante e dopo i pasti: per la prima volta capirà come prendersi cura di se stesso, per cui potrebbe anche essere utile fissare un piccolo specchio vicino all’area preposta alla merenda.


Dopo il pasto dovremo riordinare tutto, ma la pratica rende perfetti. Possiamo anche coinvolgere il piccolo nel momento in cui risistemiamo: un bambino di 8 mesi può passare lo straccio, anche se non alla perfezione, e può sistemare le sue posate in un piccolo cestino posto sulla tavola.

Altri consigli
  1. È l’adulto a decidere cosa, dove e quando far mangiare il piccolo, ma è il piccolo a scegliere quanto mangiare. Fidiamoci che stia imparando ad ascoltare il proprio corpo. Non dobbiamo costringerlo a mangiare ancora, né cercare di convincerlo facendo l’aeroplanino con la forchetta, e neanche provare a distrarlo mettendolo davanti a uno schermo.
  2. Nel metodo Montessori di solito non usiamo il latte o altri alimenti per aiutare un bambino a calmarsi o addormentarsi. Lo consoliamo in altri modi – coccolandolo, ascoltandolo, asciugandogli le lacrime e offrendogli la nostra comprensione.
  3. Il ruolo del padre o del compagno della madre. Ogni tanto possono essere coinvolti nel momento dei pasti per aiutarli a sviluppare un legame emotivo con il bambino. Se la madre allatta al seno, può raccogliere un po’ di latte in un biberon e lasciare che sia il compagno a offrirlo al piccolo.
  4. Si può produrre latte anche senza essere state incinte ed è per questo che alcune madri adottive riescono ad allattare il proprio piccolo. Sono inoltre disponibili dei dispositivi di allattamento supplementare che fanno sì che il bambino possa nutrirsi restando attaccato al seno della madre, stimolandone nel contempo la produzione di latte. E anche qualora non fosse possibile, anche semplicemente stringere a sé il piccolo quando mangia può creare nel caso dei genitori adottivi un senso di attaccamento e un legame emotivo.
  5. Se il bambino lancia il cibo, di solito significa che non ne vuole più. Quando ha fame, si siede a tavola e finisce tutto nel giro di 5-10 minuti. Quando inizia a lanciare il cibo, chiediamogli: “Non ne vuoi più?”. Poi facciamogli vedere come portare il piatto in cucina e offriamoci di aiutarlo a scendere dalla sedia. Presto capirà che il cibo va mangiato.


OSSERVARE

Osserviamo nostro figlio mangiare per imparare a conoscere ogni suo aspetto:

  • Che movimenti fa con le mani, la testa, i piedi?
  • Che suoni fa?
  • Che cosa osserva?
  • Come reagisce ai rumori intorno a lui?
  • Quando mangia? E per quanto tempo?
  • Mangia in modo attivo o passivo?
  • Se lo stiamo allattando, come si stacca dal seno?
  • Come gli presentiamo il cibo? Che cosa mangia?
  • Come lo incoraggiamo a mangiare da solo?
  • Come ci sentiamo quando diamo da mangiare al bambino?C’è qualcosa che ci spaventa in quei momenti?

Da queste osservazioni ci sembra di aver imparato qualcosa? Possiamo attuare delle modifiche o aiutare il bambino in qualche modo? Ci sono ostacoli che possiamo rimuovere, incluso il nostro intervento? Divertiti a osservare!

Svezzare il bambino dopo averlo allattato al seno

Decidere di smettere di allattare può essere una decisione molto personale.


La World Health Organization consiglia per i primi sei mesi di vita del bambino di ricorrere all’allattamento al seno esclusivo (ovvero senza offrire al piccolo acqua o cibi solidi), e poi passare all’alimentazione complementare (dargli anche cibo solido oltre al latte materno) dai 6 ai 24 mesi, e anche più avanti, volendo.


Alcuni testi montessoriani, come Comprendere i bambini della dottoressa Montanaro, consigliano di iniziare lo svezzamento a 10 mesi, quando il piccolo inizia ad avere sempre più indipendenza e a separarsi maggiormente dai genitori gattonando e, ben presto, camminando.


Per altre persone ci possono essere dei motivi personali dietro alla scelta di interrompere l’allattamento nel corso del primo anno: meglio smettere di allattare se non la consideriamo più un’esperienza piacevole, perché il bambino potrebbe assorbire eventuali sentimenti negativi.


Quando scegliamo di svezzare il piccolo dopo averlo allattato al seno, diamogli un preavviso di un paio di settimane. Questi ultimi giorni saranno un periodo speciale che permetterà a noi e al bambino di chiudere serenamente questo capitolo e riconoscere l’unicità dell’esperienza di allattamento vissuta insieme.


CONSIGLIO DI LETTURA

Per altre informazioni sull’allattamento al seno, consigliamo la lettura di The Womanly Art of Breastfeeding de La Leche League International e Breastfeeding Made Simple: Seven Natural Laws for Nursing Mothers di Nancy Mohrbacher.

DORMIRE

Le domande che Simone si sente fare più spesso nelle sue lezioni aperte a genitori e figli riguardano il sonno: imparare a far calmare il bambino secondo il metodo Montessori, gestire i suoi risvegli notturni, utilizzare il letto rasoterra e (soprattutto) capire come riuscire a dormire tutti un po’ di più.


Il problema è che quello che funziona per un bambino non è detto che vada bene per un altro. O per un’altra famiglia.


E quale genitore allo stremo delle forze ha voglia di sentirsi ripetere per l’ennesima volta che serve “prevedibilità”, che bisogna creare una “routine del sonno” e che “è importante assicurarsi che la stanza sia buia”?


Quindi come possiamo dare dei consigli pratici sul sonno che siano in linea con l’approccio Montessori e siano utili per dei genitori esausti?


Il consiglio migliore è sempre basato sul principio dell’osservazione, che ci ha guidato in ogni passo del nostro percorso quando ci siamo trovate a crescere e lavorare su bambini di ogni età.


Ogni bambino è unico. Osserviamo nostro figlio come se fossimo degli scienziati e facciamo caso a quanto ci mette per addormentarsi, cosa mangia, come e perché si sveglia, e tanto altro. Solo in seguito, armati di queste informazioni, potremo aiutarlo a sviluppare un rapporto sano con il sonno, se necessario attuando alcune modifiche.


I seguenti principi Montessori funzionano sia che il piccolo dorma nella nostra stanza, sia che abbia una propria cameretta, sia che abbiamo scelto il co-sleeping.


Ricordiamoci che spetta a noi guidare il bambino: non abbiamo il potere di fargli chiudere gli occhi e di farlo addormentare, ma possiamo fare sì che abbia un sonno sereno osservandolo, rispondendo con prontezza alle sue esigenze e preparando un ambiente sicuro e confortevole.


“Gran parte dell’attività mentale si svolge mentre stiamo dormendo e sognando. Tutte le esperienze quotidiane vengono integrate e tutti i ‘programmi’ personali vengono rivisti sulla base delle nuove informazioni apprese nel corso della giornata.”
—Silvana Montanaro, The Joyful Child di Susan Stephenson

Al sonno si possono applicare i seguenti principi Montessori.

1. Osserviamo nostro figlio e scopriamo qual è il suo ritmo sonno/veglia

Ogni bambino ha dei propri ritmi del sonno. Per venire incontro alle sue esigenze dobbiamo osservarlo per capire:

  • quando ci mostra che è pronto per andare a dormire (segni di stanchezza);
  • di quanto aiuto ha bisogno per addormentarsi (tanto o poco);
  • com’è la sua attività mentre dorme (sì, il bambino è attivo anche mentre dorme);
  • per quanto tempo dorme;
  • come si sveglia.

Può essere difficile distinguere i vari tipi di pianto del piccolo, ma teniamo a mente il suo ritmo: il bambino si sveglia, mangia e poi dorme. Dopo una buona mangiata a volte ha voglia di giocare sul suo materassino per il movimento, magari osservando una giostrina e godendosi un po’ di coccole, sottoposto a un buon numero di stimoli (ma non troppi). E poi grazie all’osservazione saremo in grado di capire quando è stanco, cogliendo segnali come ad esempio:

  • muovere braccia e gambe a scatti;
  • sfregarsi gli occhi o sbadigliare;
  • altri segni specifici di nostro figlio (che possiamo imparare solo attraverso l’osservazione);

Quando vediamo questo tipo di segni possiamo iniziare una lenta routine per metterlo a letto, che potrebbe includere:

  • dire al bambino che lo vediamo stanco e che lo porteremo a letto;
  • aspettare che risponda, ad esempio alzando la testa;
  • tirarlo su, cambiarlo e portarlo a letto con dei movimenti delicati;
  • cantargli una canzone, leggere un libro o fare un’altra attività che crei un legame emotivo;
  • appoggiarlo sulla schiena quando è ancora sveglio, perché possa riposare nel suo solito posto;
  • rassicurarlo dicendogli che se ha bisogno di noi ci siamo.

Godiamoci questo processo e vedremo che sarà molto più rilassante pensare di dover solo osservare il piccolo e non ottemperare al compito di “doverlo mettere a letto”. Ricordiamoci che siamo le sue guide e che nostro figlio in genere sa quando è stanco. Sarà lui a chiudere gli occhi e addormentarsi, noi dobbiamo solo cogliere i segnali, guidarlo e se serve offrirgli il nostro supporto.


Consiglio: i neonati devono ancora abituarsi ai propri ritmi circadiani, quindi nei primi mesi è bene esporli alla luce del sole e all’aria fresca perché inizino ad assestarsi sull’alternanza giorno/notte.


OSSERVIAMO


Tenere traccia delle nostre osservazioni come farebbe uno scienziato può essere utile, perfino affascinante. Annotiamoci:


Quando si stanca:

  • Che segni mostra quando è stanco?
  • Le finestre di veglia si stanno allungando?

Mentre si addormenta:

  • Che movimenti fa con braccia e gambe?
  • Tiene le mani chiuse a pugno o aperte?
  • Emette qualche suono o verso?
  • Qual è la sua espressione?
  • Continua a muoversi fino a quando non si addormenta o prende sonno gradualmente?
  • Di quanto aiuto ha bisogno per addormentarsi? È pronto a passare alla prossima fase, muovendosi dalla dipendenza alla collaborazione all’indipendenza?

Mentre dorme:

  • Qual è la qualità del suo riposo – agitato o tranquillo?
  • In che posizione si mette?
  • Muove la testa o gli arti in qualche modo?
  • Riesce a riassestarsi dal sonno leggero a un sonno più profondo? E se non è così, perché si sveglia? Ci cerca per ricreare le stesse condizioni con cui si era addormentato?

Quando si sveglia:

  • Quanto tempo gli ci vuole per svegliarsi?
  • Di che umore è quando si sveglia?
  • Come comunica con noi per farci sapere che si è svegliato?
  • In che posizione sta?

Ritmo di sonno/veglia:

  • Per quanto tempo resta sveglio fra un sonnellino e l’altro? Quanto dura il sonnellino?
  • Si sta delineando uno schema? (Quanto riesce a rimanere sveglio? Ha un orario in cui va a dormire di solito?)
  • Il fatto che entri luce nella stanza cambia qualcosa?

Da queste osservazioni ci sembra di aver imparato qualcosa? Possiamo attuare delle modifiche o aiutare il bambino in qualche modo? Ci sono ostacoli che possiamo rimuovere, incluso il nostro intervento? Divertiti a osservare!

2. Diamogli il minor aiuto possibile, solo se necessario

Se il bambino sta imparando a gattonare o camminare creiamo un ambiente che lo supporti e lo aiutiamo il meno possibile, solo se necessario, lasciando che impari da solo a padroneggiare queste capacità.


Similmente possiamo creare un ambiente sicuro che aiuti il bambino a prendere sonno, riducendo il nostro intervento al minimo possibile: forse vorrà dire sederci accanto a lui finché non si addormenta, accarezzargli il pancino, fargli un massaggio alla schiena o mettere su della musica rilassante.


Nella fase di transizione verso il sonno forse il bambino farà un po’ di capricci – è normale, e possiamo offrirci di tenergli la mano e dirgli qualche parola di conforto. Se dopo un po’ di tempo (diciamo circa 20 minuti) ancora non si è calmato, offriamogli un altro po’ di latte oppure, se è già grande e ha soltanto sete, diamogli un bicchiere d’acqua.


Capita che talvolta il piccolo non si addormenti – diamogli comunque il tempo di riposarsi mettendolo nel marsupio o portandolo a fare una passeggiata.

3. Dalla dipendenza alla collaborazione, alla sempre maggiore indipendenza

Come abbiamo già detto, nel suo primo anno il bambino passerà da una condizione di dipendenza a una di collaborazione, fino ad arrivare a una sempre maggiore indipendenza. Vale anche per il sonno.


Nei suoi primi giorni, il piccolo dipende dal fatto che capiamo quando è stanco, creiamo per lui una breve routine del sonno che imparerà a riconoscere e lo facciamo dormire sempre nello stesso posto. Impariamo a osservarlo offrendogli il minor aiuto possibile (dipendenza).


Si creerà così uno schema di base da cui il neonato si allontanerà gradualmente nel corso del primo anno. Alcuni bambini quando sono stanchi gattonano fino al loro letto, altri hanno bisogno che i genitori notino i loro segnali di stanchezza, seguano una routine di sonno e vadano a sedersi accanto a loro finché non si addormentano (collaborazione)


Verso la fine del primo anno, il piccolo, che ormai dorme nella propria cameretta, al risveglio verrà a cercarci – a riprova che lo abbiamo aiutato a costruire una buona relazione con il sonno (sempre maggiore indipendenza).


Se il bambino per dormire diventa dipendente da noi, potrebbe diventare indispensabile, per esempio, cullarlo o allattarlo finché non si addormenta: potrebbe essere necessario dedicargli queste attenzioni extra anche per i sonnellini pomeridiani. Noi adulti a volte finiamo in una fase di sonno leggero se il nostro cuscino si muove durante la notte, così ci svegliamo per sistemarlo. Allo stesso modo il piccolo, immerso in una fase di sonno leggero, si sveglierà per cercare le braccia che poco prima lo stavano cullando o il seno che lo stava allattando.


Se al momento siamo abituati a cullare o allattare il bambino finché non si addormenta va bene, ma a un certo punto (quando saremo pronti, noi e il piccolo) dovremo smettere, perché nostro figlio possa addormentarsi e dormire da solo.


Man mano che il bambino cresce potremo continuare a osservarlo per capire di quanto aiuto ha bisogno per dormire. Riusciremo a sederci lontano da lui e poi accanto alla porta, per poi lasciarlo dormire da solo, passando gradualmente dalla dipendenza alla collaborazione, all’indipendenza.

4. Manteniamo la stessa area per dormire, se possibile dotata di letto rasoterra

Come abbiamo detto nel capitolo 3, è importante che l’area preposta al riposo sia sempre la stessa perché diventi uno dei punti di riferimento del piccolo.


Ci piace far dormire il bambino su un letto rasoterra, ovvero su un materasso alto circa 15 centimetri posto direttamente sul pavimento. Così diamo al piccolo la libertà di salire e scendere dal letto in autonomia e vedere la propria cameretta nella sua interezza, senza sbarre di mezzo. Possiamo sederci o sdraiarci accanto a lui aspettando che si abitui al materasso, invece di restare in piedi a osservarlo dentro al lettino.


Fin dai suoi primissimi giorni ci piace far dormire il bambino nella cestina (cesto di Mosè), perché gli dà la sicurezza di trovarsi in un letto più piccolo. La cestina può essere posta sopra al materasso perché il piccolo possa orientarsi e possa considerare il proprio letto un punto di riferimento. Per seguire le raccomandazioni per prevenire il rischio di SIDS, l’area preposta al riposo dovrebbe trovarsi in camera dei genitori.


I lettini sono stati progettati per essere comodi per i genitori, non per i bambini. Può essere difficile abbandonare soluzioni come queste, che in passato sono sempre state utilizzare: se non ci sentiamo a nostro agio a usare un letto rasoterra possiamo usare il lettino fino ai 12-16 mesi e poi spostare il piccolo in un letto per bambini quando sarà in grado di salirvi e scendervi da solo: vivrà l’esperienza del letto rasoterra prima della classica fase del “no”, che di solito si verifica intorno ai due anni.


Nota: è importante ricordare che la stanza deve essere del tutto sicura, perché il bambino presto potrà alzarsi, scendere dal letto e iniziare a esplorare l’intero spazio. Per lasciarlo libero di giocare ma non di uscire dalla stanza da solo possiamo fissare un cancelletto di sicurezza sulla soglia della cameretta.

5. Lasciamolo libero di muoversi

Ci piace lasciare al piccolo quanta più libertà di muoversi possibile, anche quando dorme. Nei suoi corsi Montessori, Simone ha partecipato a 50 ore di osservazione di bambini appena nati (dalle 0 alle 8 settimane). Non riusciva a credere che il loro sonno potesse essere tanto interessante: quando dorme, un neonato muove costantemente le mani, alza e abbassa le braccia, scalcia e allunga le gambe, gira la testa da una parte all’altra e muove anche la bocca.


Scegliamo dei pigiami morbidi, facendo attenzione che abbiano poche etichette e cuciture (che potrebbero irritare la pelle del bambino) e che permettano una certa libertà di movimento. Se ci troviamo in una stagione fredda, facciamo indossare al piccolo dei calzini, al posto di una tutina con i piedi.


Fasciare il bambino a volte significa limitarne i movimenti, ma in alcuni casi può essere utile per dargli una sensazione di sicurezza simile a quella che provava nel grembo materno o evitare che sia spaventato dal riflesso di Moro. Se così fosse fasciamo solo la parte superiore del corpo del piccolo, lasciando libere le gambe.


Da quando l’American Academy of Pediatrics ha sconsigliato di usare coperte fino ai 12-18 mesi, sono diventati popolari sacchi a pelo e sacchi nanna. Queste soluzioni potrebbero limitare la capacità del bambino di gattonare, alzarsi e camminare una volta sveglio, per cui cerchiamone delle versioni che gli lascino libertà di movimento.

6. Il topponcino

Il topponcino è un morbido cuscinetto su cui possiamo far sdraiare il bambino fin dalle sue primissime settimane. Come abbiamo già detto, di solito si usa durante il giorno per limitare gli stimoli a cui è sottoposto il piccolo quando lo teniamo in braccio o lo passiamo a qualcun altro: grazie all’odore familiare e alla temperatura costante, il topponcino diventa per il neonato un importante punto di riferimento.


Può essere utile anche per farlo dormire: immaginiamo di tenere il piccolo in braccio quando ci accorgiamo che ha sonno. A molti bambini non piace il momento di transizione dalle nostre braccia al letto, ma per evitare che si spaventino possiamo tenere il topponcino sotto di loro quando li mettiamo sul materasso o nella cestina, così che temperatura, odore e sensazioni restino gli stessi.


Junnifa amava così tanto il topponcino da portarlo ovunque – da quando andavano a trovare la nonna a quando passavano una giornata fuori – e nei primi mesi lo usava anche per far dormire i piccoli, con cui faceva co-sleeping. Per loro era un punto di riferimento quando venivano spostati nelle loro lettino.

Consideriamo l’idea di lasciar perdere il ciuccio

La maggior parte degli educatori Montessori sconsiglia di usare il ciuccio, in quanto il bambino durante la notte non riesce a rimetterselo in bocca e molti genitori rischiano di abusarne proprio nella fase in cui il neonato cerca di comunicare ciò di cui ha bisogno. Cerchiamo quindi di evitare questa soluzione (altre informazioni a p. 195).


DURATA DELLA VEGLIA E NUMERO DI SONNELLINI

Ogni bambino è diverso, ma può essere utile sapere per quanto tempo in media un bambino resta sveglio fra un sonnellino e un altro, così che possiamo tenere d’occhio i segnali di stanchezza.


0–12 settimane

1–1.5 ore (tanti sonnellini)

3–5 mesi

1.25–2 ore (3–4 sonnellini al giorno)

5–6 mesi

2–3 ore (3–4 sonnellini al giorno)

7–14 mesi

3–4 ore (2–3 sonnellini al giorno)

*Fonte: TakingCaraBabies.com


Intorno ai 12-16 mesi il bambino resterà sveglio tutta la mattina, facendo un sonnellino in mezzo alla giornata, per poi restare sveglio fino all’ora di andare a letto.

Il co-sleeping

Praticare il co-sleeping e applicare il metodo Montessori non sono scelte necessariamente in conflitto.


Alcuni genitori scelgono di fare co-sleeping con il piccolo: le modalità sono una scelta personale, perché ogni famiglia sa cosa funzioni meglio nella sua routine, ma anche in questo caso dobbiamo far dormire il bambino sempre nello stesso posto.


Junnifa ha scelto il co-sleeping per i primi mesi di vita dei suoi figli. Li faceva sdraiare sul letto rasoterra e restava con loro finché non le veniva sonno, a quel punto portava i bambini a letto così da poterli allattare senza difficoltà durante la notte. Per i sonnellini pomeridiani faceva lo stesso e, dopo aver smesso di allattarli, faceva passare ai bambini tutta la notte nella loro cameretta, sul loro letto rasoterra: si era infatti resa conto che la scelta del co-sleeping era più dettata dai suoi desideri che da quelli dei suoi figli, e la transizione era stata serena.


In qualunque modalità la famiglia scelga di passare la notte, ricordiamoci di osservare sempre il piccolo per capire quando è pronto a fare un passo ulteriore nel percorso che dalla dipendenza lo porterà alla collaborazione e alla sempre maggiore indipendenza. Cerchiamo di capire se stiamo scegliendo una soluzione che sia in linea con le sue esigenze o con le nostre.


Nota: si prega di consultare p. 63 per le raccomandazioni per evitare il rischio di SIDS.


COME AIUTARE IL BAMBINO A PRENDERE SONNO

  • Osserviamo il suo ritmo sonno/veglia e vediamo come cambia.
  • Facciamo caso a quanto dobbiamo aiutarlo ad addormentarsi.
  • Scegliamo la prevedibilità e non introduciamo tre cambiamenti tutti nella stessa notte: se facciamo qualche modifica, manteniamola per una settimana e annotiamoci le nostre osservazioni oggettive su un’agenda.
  • Creiamo un’area preposta al riposo che sia sicura e confortevole.
  • Restiamo realistici: la maggior parte dei bambini durante il primo anno di vita non dorme per tutta la notte.
  • Facciamo caso agli elementi che aiutano il bambino ad addormentarsi ed eliminiamoli quando è pronto.
  • Dormiamo quando dorme il bambino: prendiamoci cura del nostro riposo e del nostro benessere, sbrighiamo le faccende quando il piccolo è sveglio così da avere modo di osservarlo, spiegargli cosa stiamo facendo e coinvolgerlo.
DOMANDE FREQUENTI IN MERITO AL SONNO

Quando i genitori ci chiedono come far dormire il piccolo, in genere il primo consiglio che ci sentiamo di dare è ovviamente di osservare il neonato. Ecco però delle risposte più specifiche alle più frequenti domande in merito.

Perché mio figlio si sveglia di notte?
  • Nella fase 0-3 mesi, il bambino si sveglia per mangiare. Il suo corpo si sta ancora abituando ai ritmi circadiani e per abituarlo all’alternanza giorno/notte è importante esporlo alla luce del sole e all’aria fresca. Per dargli da mangiare nelle ore notturne teniamo le luci soffuse e muoviamo il piccolo il meno possibile, magari allattandolo nella stessa stanza in cui dorme. Dopo facciamogli fare il ruttino, cambiamogli eventualmente il pannolino e rimettiamolo a letto.
  • Gli stanno spuntando i dentini o è malato? In tal caso avrà bisogno di maggiori attenzioni. Ma passata questa fase dobbiamo assicurarci che queste cure extra non diventino un’abitudine, altrimenti il bambino non riuscirà a dormire senza.
  • Ha il pannolino sporco o bagnato? C’è rumore? Le lenzuola sgualcite gli danno fastidio? Ha troppo freddo/caldo? Sta vivendo una fase di cambiamento nel suo sviluppo? Vuole controllare che siamo ancora lì con lui?
  • Se il bambino è già grande e non ha problemi legati alla crescita o all’alimentazione, proviamo a offrirgli un bicchiere d’acqua. A volte basta perché torni a letto, e spesso lo aiuta a dormire più a lungo ed essere meno interessato a svegliarsi. Se il piccolo beve da un biberon, possiamo gradualmente annacquare il latte: prima aggiungendo un quarto di acqua a tre quarti di latte, poi facendo metà e metà, poi aggiungendo tre quarti di acqua a un quarto di latte e infine offrendogli solo acqua.
  • Il bambino si sveglia perché sente il profumo del latte della mamma? Se c’è abbastanza spazio possiamo farlo dormire nella sua stanza.
  • Quando abbiamo dei dubbi, prendiamo appunti: fare delle osservazioni oggettive può essere molto utile. A che ora si sveglia? E se piange, quanto a lungo e con quale intensità? Come reagisce quando proviamo a calmarlo? Cosa facciamo quando si sveglia? Succede ogni notte? Se lo portiamo sul nostro letto nel cuore della notte, abbiamo considerato l’idea che sia questo a svegliarlo?
  • Manteniamo una routine – decidiamo un piano di azione (non nel cuore della notte, quando siamo stanchi e non riusciamo a pensare) e mettiamolo in pratica per almeno sette notti prima di attuare delle modifiche. Serve tempo per stabilire uno schema.
Come faccio a far riaddormentare il piccolo quando si sveglia dal suo sonnellino o durante la notte?
  • Il neonato entra in una fase di sonno più leggero quando finisce il proprio ciclo del sonno, di solito dopo 40-45 minuti. Si agita o si sveglia del tutto: in tal caso, cercherà di ricreare le condizioni in cui era prima di addormentarsi, per cui ad esempio vorrà avere il ciuccio, essere cullato o mangiare. Abituiamolo a imparare passo passo come riaddormentarsi nel suo letto, così non avrà più difficoltà: offriamogli solo l’aiuto di cui ha bisogno, il minimo possibile – magari sediamoci accanto a lui, accarezziamogli il pancino o diciamogli qualcosa di dolce.
  • Osserviamo il bambino per capire quando si sveglia. Ricordiamoci l’esperienza raccontata da Junnifa nel capitolo 2, quando spiegava di aver scoperto che suo figlio tendeva a svegliarsi sempre dopo una quarantina di minuti e a guardarsi intorno per cercarla.
Si può svegliare un bambino addormentato?
  • Cerchiamo il più possibile di seguire il suo ritmo. Se va a dormire tardi probabilmente sarà stanco, per cui i genitori dovranno essere flessibili e usare tutta la loro creatività per organizzare la loro vita in base ai suoi sonnellini. In alternativa si può uscire di casa proprio quando il piccolo mostra segni di stanchezza, così che possa dormire nel marsupio, nel passeggino o in auto.
Dovrei usare una luce notturna?
  • La maggior parte dei bambini sotto i 12 mesi non ha ancora paura del buio, per cui è meglio tenere la stanza il più buia possibile.
  • Possiamo ricorrere a una luce notturna quando prepariamo il bambino ad andare a letto o quando gli diamo da mangiare durante la notte.
  • Se vogliamo usare una luce notturna, scegliamone una sui toni del rosso e non del blu o del bianco, che inibiscono la produzione di melatonina e potrebbero rendere difficile al piccolo addormentarsi.
Cosa posso fare se il bambino si sveglia presto?
  • Spesso un bambino che si sveglia presto torna a dormire dopo aver mangiato, ma in alcuni casi potrebbe avere difficoltà a riaddormentarsi perché ha già dormito tanto.
  • Evitiamo che filtri luce dalle tapparelle.
  • Il bambino fa dei lunghi sonnellini durante il giorno? Potremmo ritardare un po’ il suo primo sonnellino?
  • Anche se sembra un controsenso, molti esperti consigliano di anticipare l’ora a cui il bambino va a dormire.
  • Il piccolo associa l’idea di venire nel nostro letto con quella di svegliarsi presto?
Perché il piccolo non si addormenta?
  • Proviamo a portarlo nella sua cameretta, sederci sul suo letto per osservarlo e lasciare che gattoni e lanci gridolini fino a quando non mostra segni di stanchezza (ad esempio sbadigliare o sfregarsi gli occhi). A quel punto mettiamolo a letto. Funziona anche quando il piccolo è sovraffaticato e sembra molto attivo: fasciamolo esplorare finché non si stanca, poi cambiamogli il pannolino e mettiamolo a letto.
  • Nel caso di un bambino più piccolo è molto comune che abbia difficoltà ad addormentarsi nel corso della giornata. Se nel giro di 20 minuti non riesce a prendere sonno, portiamolo a fare una passeggiata o teniamolo nel marsupio mentre sbrighiamo delle faccende domestiche. Anche se non si addormenta almeno si riposerà e potrà iniziare una nuova routine articolata sulle attività di mangiare, giocare e dormire.
Aiuto! Mio figlio sta vivendo una fase di regressione del sonno
  • Si parla di regressione del sonno se il bambino, che finalmente era riuscito a dormire senza problemi, non ci riesce più. In tal caso è chiaro che stia vivendo una forma di transizione, per questo non ci piace parlare di “regressione”: il modo di dormire del piccolo sta cambiando.
  • A circa 4 mesi il bambino diventa più sveglio e reattivo, ha sempre più consapevolezza e può avere più difficoltà ad addormentarsi.
  • A circa 8 mesi il bambino vive grandi cambiamenti nel suo sviluppo: è ora in grado di strisciare e gattonare e a volte perfino alzarsi in piedi. Queste nuove attività lo tengono molto occupato.
  • A circa 12 mesi ha sviluppato più abilità grosso-motorie, come gattonare e alzarsi, e sta iniziando a comprendere meglio la permanenza degli oggetti (può far tornare qualcosa che sembrava scomparso). Questo tipo di cambiamenti fisici lasciano spazio ad altri psicologici. Il bambino può anche passare a fare un sonnellino al giorno.
  • Forse dovremo tornare alla fase di collaborazione fino a quando non sarà finito il periodo di regressione del sonno. Ricordiamoci poi di osservare il piccolo per capire quando è pronto a passare a una sempre maggiore indipendenza.
  • Aspettiamo. Diamogli tempo e riproviamo.
Domande relative al letto rasoterra
  • Si veda il capitolo 4 a p. 64.
Come posso spostare il bambino fuori dalla mia stanza?
  • Se il bambino si è abituato a dormire in camera nostra e siamo pronti a spostarlo, durante il giorno cerchiamo di passare del tempo con lui nella sua cameretta, per farlo abituare all’ambiente.
  • Mettiamolo nella sua cameretta per i sonnellini pomeridiani. Poi potrà iniziare a passarci anche la notte.
  • Presentiamogli il cambiamento in modo fermo: portiamolo sul suo letto, spieghiamogli “Questo è il tuo letto” e lasciamogli solo un numero limitato di alternative, per cui ad esempio gli daremo la possibilità di esplorare in silenzio la stanza finché non sarà stanco. Nel frattempo lo osserveremo, seduti sul suo materasso.
  • Creiamo dei punti di riferimento che gli siano familiari, ad esempio usando un topponcino, oppure sistemando una foto che conosca già o una coperta.
  • Forse dovremo restare con lui finché non si addormenta. Quando si sarà abituato al nuovo ambiente non sarà più necessario.
Che stress, mio figlio non vuole dormire
  • Consideriamo l’idea di lasciar “riposare” il piccolo invece di insistere perché dorma: al bambino basta stare un po’ in pace, senza contare che così non percepirà nessuna pressione da parte nostra e magari si addormenterà da solo.
  • Indaghiamo i nostri timori legati al fatto che il bambino non dorma. Forse abbiamo paura che il giorno dopo sia irritabile e che non reagisca bene alle visite. Cosa potremmo fare a riguardo?
  • Se il piccolo si sveglia di notte, manteniamo le stesse routine del sonno per una settimana, invece di provare ogni volta con una soluzione diversa.
  • Se ci sentiamo sotto stress o privi di energie, rivolgiamoci a una tata per la prima infanzia o un consulente del sonno.
  • Teniamo presente anche le esigenze degli adulti, soprattutto se l’intera famiglia sta subendo le conseguenze delle difficoltà del piccolo a dormire.

CONSIGLIO DI LETTURA

Per scoprire di più sul sonno, consigliamo la lettura di The Sleep Lady’s Good Night, Sleep Tight di Kim West.

SECONDA PARTE - CURA DEL CORPO

ABBIGLIAMENTO

Dare al bambino libertà di movimento riveste un ruolo importante nell’approccio Montessori. Scegliamo per il piccolo dei capi d’abbigliamento che oltre a essere comodi e morbidi sulla pelle gli consentano di muoversi.

Cerchiamo:

  • capi di abbigliamento che siano facili da sfilare dalla testa del neonato – ad esempio fatti a kimono, oppure che abbiamo dei bottoncini sulle spalle per far passare la testa più comodamente;
  • fibre naturali come cotone, seta o lana;
  • capi di abbigliamento che non siano troppo stretti (perché non siano d’ostacolo al movimento) né troppo larghi (perché non siano scomodi quando il bambino è sdraiato e non costituiscano un rischio di inciampo);
  • magliette che siano separate dai pantaloni, che a loro volta non devono avere i piedi per lasciare al bambino più margine di movimento;
  • calzini, se necessario;
  • vestiti più eleganti, jeans e scarpine possono essere tenuti per le occasioni speciali (o non utilizzati affatto).
Vestire il bambino

Vestire nostro figlio è un’occasione perfetta per stabilire un legame emotivo con lui. Trattiamolo con delicatezza, spieghiamogli cosa vogliamo fare e aspettiamo una sua reazione prima di prenderlo in braccio. Parliamogli dei vestiti che vogliamo fargli indossare, chiediamogli di collaborare alzando le braccia o le gambe e facciamogli passare gli abiti per la testa con gesti attenti ma sicuri. Muoviamolo il meno possibile.


Possiamo anche offrirgli delle alternative, anche se è ancora molto piccolo: mostriamogli due magliette di diverso colore e osserviamo quale guarda più a lungo, o quale cerca di afferrare. Con il tempo parteciperà sempre più attivamente a questo processo, infilando il braccio nella manica, magari togliendosi anche i calzini da solo o indicando quale paio di pantaloni vuole indossare.


Simone ricorda ancora che, in una delle sue lezioni, i genitori erano rimasti sbalorditi quando aveva aiutato un bambino a prepararsi mentre sua madre era in bagno: gli aveva chiesto se gli poteva togliere la giacca e il piccolo non aveva obbiettato, per cui gli aveva detto che prima di tutto gliela avrebbe slacciata e lo aveva fatto sedere in modo tale che vedesse i suoi movimenti. Poi gli aveva chiesto di aiutarla a sfilargli dalla manica il braccio sinistro, continuando a chiedergli il permesso prima di compiere ogni movimento e trattandolo con tutta la delicatezza possibile. Era poi passata all’altro braccio e infine gli aveva tolto la giacca.


Gli altri genitori erano sorpresi perché di solito vestiamo e svestiamo i bambini in modo molto diverso, quasi inconsapevole.


Quindi rallentiamo. Rendiamolo un momento speciale in compagnia di nostro figlio. Guardiamolo negli occhi e trattiamolo sempre con rispetto e delicatezza.

CAMBIO DEL PANNOLINO

Invece di cambiare il pannolino di fretta possiamo usare questo momento per parlare con nostro figlio e creare un legame emotivo con lui, sempre mostrandogli rispetto.


Quando cambiamo un pannolino:

  • stiamo attenti a ciò che diciamo e facciamo, evitando ad esempio di arricciare il naso, esclamare “Che puzza!” o reagire in modo negativo. Proviamo invece a dire: “Vedo che hai il pannolino sporco” oppure “Hai fatto la cacca. Andiamo a cambiarci”. Aspettiamo che il bambino risponda prima di prenderlo in braccio;
  • diamo un po’ di privacy al piccolo quando lo cambiamo, se possibile usando un fasciatoio;
  • mentre lo cambiamo, spieghiamogli cosa stiamo facendo: “Adesso ti tolgo il pannolino”. Ancora una volta aspettiamo che il bambino risponda e procediamo poi a cambiarlo, parlandogli e chiedendo il più possibile la sua collaborazione: “Prima questa chiusura e poi l’altra. Ti aiuto ad alzare la gamba”;
  • descriviamo le funzioni corporee e le varie parti del corpo con i loro nomi corretti;
  • quando gli cambiamo il pannolino trattiamo il bambino con delicatezza, alzandogli la gamba con attenzione e rispetto. Fermiamoci e tocchiamolo piano e vedremo che collaborerà, alzando la gamba da solo fin dai primi mesi;
  • cerchiamo di cambiargli il pannolino sempre nello stesso modo e nello stesso posto – i neonati apprezzano la prevedibilità;
  • se il bambino è già in grado di stare in piedi potrebbe opporre qualche resistenza se insistiamo per cambiargli il pannolino facendolo sdraiare: è una posizione che lo fa sentire vulnerabile. Sediamoci quindi su uno sgabello basso e lasciamo che il piccolo stia in piedi, anche se ci vuole un po’ di pratica. Per favorire il movimento intestinale, facciamo stare il bambino leggermente piegato in avanti, magari facendogli appoggiare le mani sul bordo della vasca quando lo puliamo;
  • in generale quando puliamo il bambino dopo avergli cambiato il pannolino facciamolo con un movimento all’indietro: sarà più igienico e servirà a prevenire infezioni, soprattutto nelle bambine.

Anche nei primi 12 mesi stiamo gettando le basi perché il bambino in futuro impari ad andare in bagno da solo: questo non vuole dire che potrà usare il vasino o i sanitari fin da subito, ma:

  • se il bambino indossa dei pannolini di stoffa o dell’intimo spesso (le cosiddette “mutandine di apprendimento”) potrà avere libertà di movimento e si renderà conto con sempre maggiore chiarezza di aver fatto la pipì o la cacca. Al giorno d’oggi i pannolini usa e getta svolgono egregiamente il proprio compito di tenere il bambino asciutto, ma in questo modo lo privano di quella sensazione di bagnato che al piccolo servirà più avanti per imparare ad andare in bagno da solo;
  • usando i termini corretti quando lo cambiamo insegneremo al bebè a non vergognarsi delle proprie funzioni corporee e gli spiegheremo come funziona il suo corpo.
Se il bambino non vuole essere vestito o cambiato

Sono molti i fattori da considerare se il piccolo oppone resistenza quando cerchiamo di vestirlo o cambiargli il pannolino:

  1. forse ci sta dicendo che è pronto a fare un passo avanti, per cui ad esempio un bambino già grande forse vorrà avere più controllo sull’intero procedimento. Un neonato che cerca di strisciare via quando gli cambiamo il pannolino forse vuole stare in piedi o è interessato a usare il vasino;
  2. coinvolgiamolo, diamogli ad esempio il tempo di sfilarsi la maglietta e sceglierne un’altra fra quelle che gli proponiamo, oppure, se già è in grado di camminare, di andare a prendere i pantaloni mentre noi prendiamo il resto;
  3. forse per vestirlo o cambiargli il pannolino lo abbiamo interrotto mentre stava giocando. Diamogli il tempo di finire ciò che stava facendo e avvertiamolo che poi intendiamo cambiarlo;
  4. non sottovalutiamo il potere delle battute e delle canzoncine stupide: non tanto per distrarre il bambino, ma per stabilire un legame emotivo con lui;
  5. cerchiamo di capirlo e di indovinare il suo stato d’animo: “Ti sei innervosito?” o “Non vuoi che ti tocchi?”.


Può capitare che a prescindere dalle resistenze del bambino abbiamo la necessità di vestirlo o cambiarlo perché dobbiamo uscire di casa. In tal caso trattiamolo con tutta la delicatezza di cui siamo capaci. Può essere utile fare una telecronaca, descrivendo ad alta voce e in modo oggettivo cosa stiamo facendo.


Trattandolo con delicatezza, spieghiamogli cosa intendiamo fare e diamogli il tempo di elaborarlo. Cerchiamo di capirlo: “Vedo che ti ritrai, ma è importante che ti metta un pannolino pulito. Non ti piace? Ora ti tiro su, con delicatezza. È stata dura, eh?”.


Il piccolo vede che lo trattiamo con rispetto e delicatezza e ci prendiamo cura delle sue esigenze fisiche, imparando che nella vita dobbiamo sempre essere gentili, soprattutto con chi oppone resistenza.

IL BAGNETTO

Anche in questo caso dobbiamo usare tutta la delicatezza, la calma e la sicurezza di cui siamo capaci e sfruttare questo momento per creare un legame emotivo con il piccolo. Di solito i neonati si rilassano molto durante il bagnetto, che apprezzano tantissimo.


Evitiamo movimenti bruschi, soprattutto con un bambino appena nato: i nostri gesti devono essere attenti e dobbiamo sempre reggere la testa del piccolo. Nei nostri corsi Montessori ci siamo esercitate a fare il bagnetto sempre con la stessa sequenza di gesti, così da acquisire maggiore sicurezza e trattare il bambino con gesti delicati ma efficaci.


Nella stanza in cui facciamo il bagnetto al bambino teniamo una temperatura un po’ più alta: riempiamo la vasca con 5-10 cm di acqua, a temperatura corporea (immergiamo il polso per capire se è abbastanza calda). In questo modo il piccolo potrà galleggiare, mentre noi lo sosterremo. Teniamo a portata di mano tutto quello che ci serve, incluso un asciugamano con cui avvolgerlo.


Quando gli facciamo il bagnetto muoviamoci con lentezza e usando la stessa pressione su tutte le parti del corpo, genitali inclusi, perché il bambino possa formarsi un’idea completa del proprio schema corporeo. Mentre lo laviamo parliamogli, sorridiamo e guardiamolo negli occhi.


La World Health Organization consiglia di aspettare almeno 24 ore prima di fare al bambino il suo primo bagnetto. Ricordiamoci inoltre che non dobbiamo lavare il piccolo ogni giorno – limitiamoci a tre volte a settimana.


VI CONSIGLIAMO DI GUARDARE

Per vedere come fare un bagno a un bambino con delicatezza, si consiglia di guardare online i video di Thalasso Bain Bébé. Ce n’è anche uno con due gemelli che si stringono a vicenda durante il bagnetto.

VIAGGIARE IN AUTO

I seggiolini per auto limitano i movimenti del bambino e gli offrono una visione solo parziale, eppure sono essenziali per un viaggio sicuro, per cui sistemiamoci sopra il piccolo trattandolo con rispetto, comprensione e delicatezza.


Prima di entrare in auto, assicuriamoci che il bambino non abbia fame e non abbia bisogno di essere cambiato. Spieghiamogli che lo metteremo sul seggiolino e facciamoci aiutare il più possibile, ad esempio chiedendogli di alzare un braccio così possiamo sistemargli la cintura di sicurezza.


Essere sicuri di noi è importante anche perché nostro figlio percepisce ogni possibile sensazione di disagio: forse ci sentiremo in ansia se sappiamo che non gli piace viaggiare e lui assorbirà il nostro stato d’animo.


Una volta che lo avremo messo sul seggiolino possiamo dargli qualcosa da osservare, come una lavagnetta su cui avremo attaccato qualche elemento naturale o un libro cartonato che il piccolo possa prendere e guardare. Alcuni bambini trovano rilassante la musica classica o di altro genere, e più avanti potrebbero anche essere interessati agli audiolibri.

PORTARE I PICCOLI

Molti bambini quando vengono tenuti nel marsupio o nella fascia porta bebè si sentono sicuri e cullati, senza contare che amano essere stretti dalle persone che conoscono perché possono sentirne l’odore. Il marsupio è molto versatile se siamo sui mezzi pubblici, al supermercato o se dobbiamo svolgere qualche faccenda in casa: ci possiamo tenere il bambino se ha difficoltà a prendere sonno ma vogliamo comunque che si riposi. Nella fase simbiotica, in particolare, il baby wearing aiuta il piccolo nella transizione dal grembo materno al mondo esterno.


C’è una sempre maggiore varietà di marsupi in commercio, per cui possiamo cercarne uno che ci dia abbastanza sostegno alla schiena e possa modificarsi man mano che il bambino cresce.


Detto questo, ci piace dare ai bambini l’opportunità di muoversi, per cui cerchiamo di lasciare loro anche il tempo di sgranchirsi sul materassino messo per terra. Una volta che il piccolo sarà in grado di gattonare e fare i propri primi passi, lasciamolo libero di muoversi liberamente all’aperto e usiamo il marsupio solo per distanze considerevoli.

LA DENTIZIONE

Ad alcuni bambini non causa nessun problema, ma se il piccolo continua a sbavare, inizia stranamente a svegliarsi di notte, sporca il pannolino in modo diverso e a volte ha il sedere arrossato potrebbe stare mettendo i dentini.


Osserviamolo e cerchiamo di dargli sollievo applicando dell’apposito gel lenitivo naturale (esistono anche delle polveri omeopatiche). Asciughiamogli il mento con una salviettina, da tenere sempre a portata di mano, e facciamogli magari indossare una bandana che asciughi un po’ della sua saliva. Alcuni bambini provano sollievo a succhiare qualcosa di freddo, per cui teniamo nel freezer dei massaggiagengive naturali.


Per fortuna quando finalmente spunta il dentino il piccolo torna ai suoi soliti ritmi (almeno fino al dentino successivo).


Iniziamo a lavargli i denti con una salviettina morbida, o strofinandoglieli con uno spazzolino e un po’ d’acqua.

IL CIUCCIO

La maggior parte degli educatori Montessori sconsiglia di usare il ciuccio, perché se il bambino ha perennemente qualcosa in bocca non riesce a comunicare le proprie esigenze: il pianto significa sempre qualcosa e non dovremmo zittire il piccolo dandogli un ciuccio. Inoltre, all’inizio i bambini non possono metterselo in bocca o toglierselo da soli.


È stato dimostrato che il ciuccio potrebbe ridurre il rischio di SIDS, oltre a servire per calmare e far addormentare il piccolo. In tal caso possiamo usarlo, per un tempo limitato. Teniamolo in una scatola accanto al letto così da non essere tentati di usarlo durante il giorno per avere un po’ di pace.


Prima riusciamo a ridurre l’uso del ciuccio ed eliminarlo del tutto, meno difficoltà avremo. Il bambino non deve sviluppare troppo attaccamento per questo gioco, per cui cerchiamo di toglierglielo entro il primo anno.


Spieghiamogli che sta diventando grande e che lo aiuteremo a trovare altri modi per tranquillizzarsi. Mordere un ciuccio serve anche a rilassare il sistema nervoso, quindi proponiamogli di:

  • stringere forte un libro o un giocattolo
  • usare una bottiglia con la cannuccia
  • farsi dare una bella strofinata con l’asciugamano dopo il bagnetto
  • farsi dare un abbraccio fortissimo
  • stringere dei giochi per il bagnetto
  • farsi fare un lento massaggio alla schiena

Di solito questa transizione non dà particolari problemi, ma mettiamo in conto che per alcuni bambini ci vorrà un po’. Se siamo decisi a eliminare il ciuccio, può essere utile mettere via tutti quelli presenti in casa, così al piccolo sarà chiaro che le cose sono cambiate. Buttiamo via il ciuccio davanti al bambino.


Alcuni genitori si domandano se per il bambino sia meglio succhiarsi il pollice (o un altro dito) al posto del ciuccio: in effetti è preferibile, perché è il piccolo a decidere di metterselo in bocca e ad avere il pieno controllo su quanto spesso farlo. Inoltre possiamo osservarlo per capire quando e perché si succhia il pollice così da venire incontro alle sue esigenze in qualche altro modo. Se ad esempio lo fa quando è annoiato gli possiamo dare un gioco da esplorare con le mani.

CONDIVIDERE

Prima dei 12-16 mesi il bambino spesso non concepisce il concetto di possesso e condivisione dei propri giocattoli. Nel primo anno di vita di solito il suo modo di esplorare prevede di giocare con una cosa e poi lasciarla perdere per passare alla successiva. Se un altro neonato, o un bambino più grande, sembra interessato allo stesso gioco e glielo prende dalle mani, spesso il piccolo cerca qualcos’altro a cui dedicarsi.


Se in casa ci sono dei fratelli più grandi che prendono spesso i suoi giocattoli, il neonato potrebbe imparare a tenerseli stretti senza cederli a nessuno. Facciamogli da interpreti e spieghiamo ai nostri figli: “Sembra che il piccolo voglia prima finire di giocarci”.


In questo modo facciamo passare il messaggio che sia giusto finire di usare un giocattolo e poi condividerlo, facendo a turno.


Se è nostro figlio a rubare i giochi a un altro bambino, mostriamogli che bisogna sempre chiedere il permesso prima di prendere qualcosa: “Ci vuoi giocare tu? Chiediamo all’altro bambino se ha finito”. Se l’altro bambino sembra volerci giocare ancora un po’, spieghiamolo a nostro figlio: “Per ora ci sta giocando lui, ma presto ci potrai giocare tu”. Così il piccolo capirà che deve aspettare che arrivi il suo turno o trovare qualcos’altro con cui divertirsi.

COLICHE E REFLUSSO

Si parla di coliche quando il bambino ha crisi di pianto “frequenti, intense e prolungate” e “fa i capricci” senza apparente motivo. Il reflusso nei bambini “avviene quando il cibo risale dallo stomaco, spingendo il piccolo a sputarlo” (Mayo Clinic).


Coliche e reflusso possono rendere il bambino molto nervoso e in genere si consiglia alle famiglie di tenere duro, perché questi fenomeni si risolvono quando il neonato compie 3-4 mesi, non appena il suo sistema digestivo si sviluppa. Ma questo consiglio non è di grande conforto ai genitori stanchi e stressati che trovano molto difficile stare a guardare mentre il loro bambino piange o soffre.


Come sempre, il metodo Montessori consiglia di osservare: se allattiamo al seno appuntiamoci cosa abbiamo mangiato, altrimenti annotiamoci gli ingredienti del cibo ingerito dal piccolo, a che ora ha iniziato a piangere, per quanto sono durate le crisi di pianto o i sintomi, se si tocca le gambe o ha un’espressione di chiaro disagio, quanto si attacca a noi quando mangia, se è soggetto ad anchiloglossia o labiopalatoschisi, se è troppo stanco o sottoposto a troppi stimoli. Cerchiamo di individuare eventuali schemi così da presentare chiaramente la situazione al nostro medico o pediatra.


Consultiamo un medico per capire se si tratta di un’allergia, di un’intolleranza all’istamina (causata da alimenti come le fragole) o di altri problemi fisici come un blocco intestinale, una sovracrescita batterica, un’ulcera o un restringimento che impedisce al cibo di entrare nell’intestino tenue, o ancora il fatto che lo stomaco preme attraverso il diaframma (è stato dimostrato che un trauma vissuto al momento del parto o un parto podalico possono creare sintomi simili a quelli delle coliche).


La buona notizia è che molti dei genitori che si fidano del proprio intuito e si rendono conto che il pianto e il dolore del piccolo non sono normali riescono poi a individuarne la causa.


Nel frattempo cerchiamo di essere presenti per il bambino, passando del tempo a stretto contatto con lui per farlo sentire il più possibile a suo agio. Spesso una lieve pressione sul suo pancino può aiutare, per cui facciamolo sdraiare a pancia in giù su di noi, oppure su una superficie morbida come un letto o un tappeto. Prendiamoci cura anche di noi stessi e se possibile facciamoci aiutare facendoci sostituire ogni tanto da una seconda persona, perché sentir piangere un neonato per tutta la giornata può essere stancante, dal punto di vista fisico ed emotivo.

TEMPO DAVANTI ALLO SCHERMO

L’approccio Montessori prevede che il bambino faccia esperienza del mondo che lo circonda usando il proprio corpo, le proprie mani e la propria bocca. Nessuno schermo potrà mai replicare questo modo di vivere la realtà, per questo tendiamo a non offrire ai più piccoli cellulari e tablet. Cerchiamo noi stessi di usare questi dispositivi con moderazione e di metterli via davanti al bambino.


Se il piccolo al ristorante si annoia, invece di metterlo di fronte a uno schermo facciamogli fare un giro del locale per mostrargli cosa succede, lasciamo che guardi fuori dalla finestra e proponiamogli di esplorare un paio dei suoi oggetti preferiti, che avremo portato con noi in un astuccio. Se è nervoso evitiamo di distrarlo con uno schermo, ma offriamogli un abbraccio, delle parole di conforto e la nostra pazienza.

TERZA PARTE - DOMANDE FREQUENTI

COSA FARE QUANDO CAMBIA COMPORTAMENTO? (COLPISCE, TIRA, LANCIA O SPINGE)

Alcuni bambini esprimono le proprie preferenze con fermezza fin dalla nascita, mentre altri sembrano abbastanza rilassati (a parte quando vogliono comunicarci che hanno fame o sonno) e poi a 9-12 mesi iniziano a cambiare atteggiamento. Ci colpiscono, lanciano le cose, mordono e a volte arrivano addirittura a spingere noi familiari o qualche altro bambino. Mostrano una volontà forte, e sembrano incapaci di cambiare idea, non importa cosa diciamo o facciamo.


Un neonato ha delle capacità comunicative ancora limitate, ma ciò che ci dice è importante. Invece di considerarlo disobbediente, chiediamoci il motivo del suo comportamento.

  • Se ci colpisce, forse ci vuole dire che non gli piace cosa sta succedendo. Gli abbiamo tolto qualcosa? Come lo stavamo tenendo?
  • Se lancia un giocattolo forse vuol dire che per lui era un’attività troppo semplice, o troppo difficile. Oppure se si sta esercitando a capire come cadono gli oggetti, o ancora sta imparando la relazione di causa ed effetto. Possiamo spiegargli questi concetti in una modalità che non sia pericolosa o distruttiva?
  • Se ci morde, forse significa che ha fame, oppure che qualcosa lo ha innervosito. O ancora che sta vivendo la fase della dentizione.
  • Se spinge noi genitori o un altro bambino, chiediamoci cosa voleva comunicare. Proviamo a dirgli “Cercavi di arrivare qui?” o “Vuoi giocare tu con quel giocattolo?”

Quindi come prima cosa cerchiamo di comprenderlo.


Interpretiamo la sua azione o facciamo un’ipotesi: “Mi stai dicendo che…?”


E poi spieghiamogli in modo chiaro e gentile che non vogliamo che faccia male a se stesso o agli altri, né che se la prenda con l’ambiente che lo circonda. Forse troveremo un altro modo per venire incontro alla sua esigenza, ad esempio proponendogli di colpire un cuscino. Se necessario lo allontaneremo dalla situazione che lo ha turbato o dalla stanza in cui si trovava e ci siederemo con lui fino a quando non si sarà calmato.


Quando il bambino si sarà calmato potremo stabilire un legame emotivo con lui e mostrargli come rimediare, se necessario, chiedendo scusa, offrendo un fazzoletto o una salviettina a chi si è fatto male o rimettendo a posto ciò che è stato lanciato. Man mano che il piccolo crescerà capirà come aiutarci a sistemare tutto.

Primi capricci

Se il bambino non riesce a smettere di piangere non riuscirà a sentirci: offriamogli il nostro affetto e qualche coccola. Se non vuole essere toccato, restiamogli semplicemente vicino. Aiutiamolo a sfogare qualsiasi sentimento provi e solo dopo mostriamogli come ritrovare la calma.


Una volta che il piccolo si sarà calmato, forniamogli una breve spiegazione, appropriata alla sua età, riordiniamo con lui e se necessario mostriamogli come chiedere scusa.


In questo modo gettiamo le basi per quando il bambino crescerà e inizierà a esercitare la propria indipendenza.


Fare i capricci e mostrare una volontà forte sono fasi dello sviluppo importanti, periodi in cui dobbiamo guidare il bambino con tutta la nostra comprensione – prima lasciandogli spazio per sfogarsi, poi aiutandolo a calmarsi e infine mostrandogli come rimediare.

Osservazione

Se questo tipo di atteggiamento persiste, attraverso l’osservazione oggettiva cerchiamo di individuare eventuali fattori scatenanti e proviamo a limitarli: ad esempio potremmo accorgerci che questo genere di comportamento di solito si verifica prima dei pasti in certi ambienti e in compagnia di certi bambini, oppure che avviene in spazi ricchi di stimoli (troppi, per un bambino sensibile).


Quando il bambino mostra un comportamento ostile, osserviamo:

  • Tempo. Quando mostra questo comportamento? È affamato o stanco?
  • Cambiamenti. È in fase di dentizione? C’è qualche cambiamento in famiglia, come ad esempio un trasloco?
  • Attività. Cosa stava facendo o come stava giocando quando è scattato?
  • Altri bambini. Quanti altri bambini c’erano? Erano della stessa età o più grandi?
  • Emozioni espresse. Prima come sembrava? Aveva voglia di giocare? Era nervoso? Confuso?
  • Ambiente. Osserviamo l’ambiente dove il bambino inizia a fare i capricci. È affollato? Molto colorato e troppo pieno di stimoli? Disordinato? Ci sono molti disegni infantili attaccati alle pareti, costituendo un eccesso di stimoli sensoriali? O l’ambiente è tranquillo e sereno?
  • Adulti. Come rispondiamo? Contribuiamo alla situazione aggiungendo anche la nostra ansia?
Prevenire il comportamento

Grazie all’osservazione possiamo individuare degli schemi e capire come aiutare il bambino. Ecco qualche esempio.

  • Prima dei pasti. Diamogli qualcosa di duro da mordere, come ad esempio una mela, perché il bambino non sia troppo affamato (serve anche per rilassare il sistema nervoso).
  • Dentizione. Mettiamo a sua disposizione dei giocattoli da mordere (freddi).
  • Esplorazione. Lasciamo che esplori con la bocca i propri giocattoli.
  • Ambiente. Riduciamo il numero di stimoli per rendere l’ambiente più tranquillo
  • Rumore. Allontaniamo il bambino se notiamo che l’ambiente è diventato troppo rumoroso per lui.
  • Sensibilità al proprio spazio personale. Evitiamo situazioni in cui il bambino si senta accerchiato o non abbia abbastanza spazio personale.
  • Voglia di giocare. Alcuni bambini mordono per giocare o dimostrare affetto, magari perché non hanno capito la differenza fra i morsi e le pernacchie fatte sulla pancia. Mostriamo al piccolo altri modi per essere affettuoso, come farsi le coccole o giocare alla lotta.
  • Imparare le interazioni sociali. Se il piccolo spinge un altro bambino forse vuole chiedergli di giocare. Mostriamogli cosa dire.
  • Controlliamo l’udito e la vista. Un problema legato a questi sensi potrebbe disorientare il bambino, che potrebbe reagire in modo aggressivo.
  • Transizioni. La routine della giornata è abbastanza prevedibile? Il piccolo vive male le transizioni? Diamogli il tempo di finire cosa stava facendo e di giocare in libertà, in modo non strutturato.
  • Rilassarsi. Si veda p. 195 per capire come rilassare il sistema nervoso, ad esempio con massaggi intensi o abbracci molto stretti.

E SE IL BAMBINO È APPICCICOSO E NON VUOLE ESSERE MESSO GIÙ? SE SOFFRE DI ANSIA DA SEPARAZIONE?

Alcuni bambini sono più indipendenti, mentre altri si appiccicano ai genitori; alcuni vogliono giocare con i loro coetanei e altri dipendono dalla nostra abilità di farli divertire. Diventa una combinazione del loro carattere (che non cambia per forza con l’età ma che può acquisire nuove capacità) e di ciò che facciamo noi adulti (fattore che dipende da noi).


Nell’approccio Montessori consideriamo il neonato pieno di capacità, quindi lasciamolo fare: cerchiamo di dargli tempo di vedere qual è il suo effetto sul mondo, dai versi che fa al modo in cui muove braccia e gambe, fino al gesto di allungarsi per toccare o colpire qualcosa.


All’inizio possiamo vedere se siamo un ostacolo al suo sviluppo. Interferiamo quando gioca? Ci adoperiamo troppo perché mangi, dorma e si diverta nelle ore in cui è sveglio?


Cerchiamo invece di osservare il piccolo per capire di quanto aiuto ha bisogno (se ne ha bisogno): cambierà a seconda della settimana, della giornata, del momento del giorno, quindi continuiamo a studiare il suo comportamento.


Se siamo abituati a intrattenere il piccolo, possiamo iniziare semplicemente a passare del tempo con lui? E possiamo poi lasciarci guidare dal bambino?


Se il piccolo vuole stare sempre in braccio, mostriamogli che per brevi periodi di tempo può anche stare per terra a giocare. Sdraiamoci accanto a lui e spostiamoci gradualmente, allontanandoci di una decina di centimetri. Facciamo un salto in cucina a mettere su l’acqua, spiegando al bambino dove stiamo andando e dicendogli che torneremo subito. Lasciamolo libero di scoprire un nuovo interesse, senza interromperlo. In questo modo il bambino inoltre vivrà sulla propria pelle la realtà della permanenza dell’oggetto, ovvero che anche se andiamo via possiamo tornare.


Un neonato è in grado di assorbire la nostra energia: se siamo stanchi di tenerlo sempre in braccio, percepirà il nostro disagio e si stringerà a noi con maggiore forza. Se non siamo del tutto convinti dell’idea che giochi per terra o che qualcun altro si prenda cura di lui, se ne renderà conto e si attaccherà ancora di più. Lavoriamo su noi stessi per aiutare il bambino: mostriamogli che è già pieno di capacità e troviamo il giusto equilibrio fra attaccamento e distacco.


Dai 6 ai 16 mesi, il bambino potrebbe provare ansia da separazione: sta ancora imparando che quando ce ne andiamo possiamo anche tornare, e sente di preferire quando gli stiamo vicino. È dura veder soffrire nostro figlio, ma possiamo aiutarlo a superare questa fase così:

  1. Avvertiamolo verbalmente che ce ne stiamo andando: “Vado in cucina” e dalla cucina gridiamogli “Sono in cucina”. Tornando da lui diciamogli: “Ero in cucina, che bello vederti!”
  2. Manteniamo un tipo di comunicazione positiva quando dobbiamo andarcene, perché il piccolo assorbirà ogni sentimento di preoccupazione o ansia.
  3. Se in futuro ci sarà anche un altro adulto a prendersi cura di lui, invitiamolo a casa così che il bambino possa conoscerlo in nostra presenza: diventerà un nuovo punto di riferimento. Lasciamo questo secondo adulto solo con il piccolo mentre noi siamo in un’altra stanza, così da preparare nostro figlio a quando dovremo stare fuori casa per un tempo più prolungato.
  4. Manteniamo gli altri punti di riferimento: dalla disposizione della stanza al ritmo quotidiano, alla dieta del piccolo ecc.
  5. Se è il primo giorno in un nuovo asilo nido, sediamoci in un angolo tenendo il bambino tra le gambe fino a quando non sarà pronto ad allontanarsi da noi gattonando o camminando per esplorare la stanza.
  6. Lasciamogli vicino qualcosa che abbia il nostro odore.

Se il bambino ha un attaccamento sicuro ed è lasciato alle cure di adulti fidati imparerà ad avere fiducia in se stesso e negli altri. (Per ulteriori informazioni sull’attaccamento sicuro si veda pagina 96, per scoprire come salutare il piccolo si legga p. 235).

COME POSSO IMPEDIRE AL BAMBINO DI TOCCARE TUTTO? QUANDO SMETTERÀ DI METTERE TUTTO IN BOCCA?

Non possiamo impedire a un neonato di toccare le cose e mettersele in bocca: ogni bambino nasce esploratore e ha bisogno di muoversi e di scoprire il mondo che lo circonda. Il miglior modo di farlo sarà sempre di toccare ciò che vede e portarlo nella sua parte del corpo più sensibile: la bocca.


Per permettere al bambino di nutrirsi fin dalla nascita, i nervi presenti nella bocca sono una delle prime parti del corpo a essere mielinizzate (ovvero a trasmettere in modo più efficiente i segnali nervosi). Per questo la bocca è la parte più sensibile del nostro corpo, nonché il modo migliore per il piccolo di esplorare ciò che incontra sulla propria strada.


Alla fine del primo anno fino ai 16 mesi, le mani del bambino acquistano sempre maggiore sensibilità perché la mielinizzazione si estende fino alle parti più periferiche del corpo e la fase orale dello sviluppo di solito si conclude. Se un neonato di 14 mesi si porta una moneta alla bocca possiamo mostrargli che va messa nella fessura del salvadanaio, attività che di solito troverà ancora più interessante.


Se al neonato piace succhiare resterà più a lungo nella fase orale dello sviluppo, come capita ad esempio ai bambini che usano molto il ciuccio o il biberon. Quando questi accessori non saranno più usati, la fase orale si attenuerà.

COSA FARE QUANDO DOBBIAMO SBRIGARE I NOSTRI IMPEGNI QUOTIDIANI?

L’approccio Montessori si concentra sul bambino: lo trattiamo con rispetto e cerchiamo il più possibile di venire incontro alle sue esigenze, ma abbiamo pur sempre faccende da sbrigare, come cucinare, lavare e dedicarci ad altre attività che dobbiamo (o amiamo) fare.


Nella fase simbiotica (prime 6-8 settimane dopo il parto) può essere utile farci aiutare nelle faccende domestiche dal nostro compagno (se ne abbiamo uno) o da qualcun altro (familiari, amici, se fosse possibile una collaboratrice familiare), per avere il tempo di creare un legame emotivo con il piccolo, dargli da mangiare e riposarci. Se siamo molto organizzati possiamo anche tenere in freezer del cibo preparato precedentemente.


Nella fase simbiotica e più avanti, anche con il migliore degli aiuti ci saranno comunque dei momenti in cui, oltre a prenderci cura del bambino, dovremo svolgere delle faccende, come cucinare e lavare. Portiamoci avanti quando il piccolo dorme, anche se è bene utilizzare alcuni di questi momenti per riposare: stiamo tranquilli che gli impegni potranno anche aspettare, mentre questi giorni speciali voleranno via.


Quando il bambino inizierà a passare sempre più ore sveglio, amerà fare propri i vari momenti delle nostre vite quotidiane. L’approccio Montessori consiglia di coinvolgerlo fin dalla nascita, tenendolo vicino mentre sbrighiamo i nostri impegni. All’inizio lo terremo in braccio, lo faremo giocare su una coperta vicino a noi o lo terremo in un marsupio: il piccolo allungherà le braccia per toccare ed esplorare e con il tempo sarà in grado di partecipare attivamente a ciò che facciamo. Qualche esempio:

  • spieghiamo al piccolo cosa stiamo facendo, mostriamogli tutto e lasciamo che tocchi ciò che desidera;
  • cucinare significa preparare un dono per tutta la famiglia: il bambino assorbirà le nostre intenzioni, le nostre parole e il legame emotivo che creiamo;
  • se andiamo a fare la spesa mentre il bambino è sveglio possiamo cercare con lui i vari prodotti, contare ciò che abbiamo messo con carrello e cantare qualche canzoncina.

Impegni e faccende possono diventare momenti in cui stabilire un legame emotivo e non essere solo incombenze da sbrigare di fretta, solo perché siamo costretti.

MONTESSORI “LOW BUDGET”

Spesso si pensa che il metodo Montessori sia sinonimo di acquistare giocattoli di legno costosi, ma non si tratta tanto dei materiali, quanto più di considerare il bambino pieno di capacità e trovare il modo di trattarlo con rispetto, amore e gentilezza.


Coinvolgiamolo nella nostra vita quotidiana e usiamo ciò che già abbiamo – non servono giochi nuovi. Il piccolo sarà felice di stare con noi e magari esplorare cosa c’è nella dispensa della cucina mentre noi prepariamo la cena. Invece di comprare una costosa struttura di arrampicata, facciamolo esercitare sulle scale in veranda; invece di comprare un’altalena, attacchiamo a un ramo un vecchio pneumatico.


Creiamoci da soli dei materiali Montessori, come ad esempio le giostrine, che si possono realizzare comprando l’occorrente in cartoleria o a volte perfino riutilizzando ciò che abbiamo già in casa.


Compriamo oggetti di seconda mano: cerchiamo mercatini dell’usato che vendano giocattoli in legno, ceste e mobili per la cameretta.


Mobili e materiali possono trovare un nuovo utilizzo, una volta che il bambino è cresciuto. Ad esempio, un ripiano basso può essere comodo per sedersi, una sedia a cubo può diventare uno sgabello.


Possiamo prendere in prestito dei giocattoli o comprarli insieme a una comunità, così da condividere i materiali più costosi.


Passiamo del tempo immersi nella natura, portando il bambino a fare una passeggiata in marsupio o sul passeggino. Sdraiamoci su una tovaglia insieme a lui nel bel mezzo di un parco, di una spiaggia o di una foresta e passiamo il tempo a osservare il movimento delle foglie e dei rami.


Imparando i principi del metodo Montessori ci renderemo conto che per applicarlo in casa nostra non serve spendere molto.

QUARTA PARTE - ALTRE SITUAZIONI

FRATELLI

Se in famiglia ci sono dei fratelli più grandi, all’arrivo del piccolo potrebbero sentirsi rimpiazzati o temere di ricevere meno attenzioni e meno affetto.


Nel libro Siblings Without Rivalry, Adele Faber ed Elaine Mazlisg scrivono che l’arrivo di un neonato in famiglia è l’equivalente di sentirci dire dal nostro compagno che ci ama così tanto che si è trovato qualcun altro, e che questa seconda persona dormirà nel nostro vecchio letto e indosserà i nostri vecchi vestiti. A noi il compito di farla sentire la benvenuta e prenderci cura di lei. Non stupisce quindi che per alcuni bambini l’arrivo di un fratellino più piccolo possa essere una transizione non indifferente.

Preparare un fratello più grande

Per preparare un fratello più grande all’arrivo del neonato può essere utile usare libri con figure realistiche che raccontino cosa succederà. Esortiamolo a parlare e cantare al pancione così da creare un legame emotivo, e coinvolgiamolo nell’organizzazione della stanza del neonato. Godiamoci questi ultimi giorni insieme nel nostro solito assetto familiare.


Esortandolo a parlare e cantare al piccolo quando si trova ancora nel grembo materno faremo sì che il neonato possa riconoscere la voce del fratellino fin dai suoi primissimi giorni. Anche il topponcino può essere utile perché il bambino possa tenere in braccio il neonato.


Se il nostro primogenito non era presente al momento del parto gli dovremo presentare il bambino, ma mettiamolo temporaneamente giù quando entra nella stanza: la nostra attenzione deve essere focalizzata solo su di lui. Sarà più facile entrare in camera e non vederci già con il piccolo fra le braccia.


Cerchiamo di semplificare il più possibile le prime settimane a casa e proviamo a chiedere una mano a qualche altro adulto, che potrebbe aiutarci con il piccolo così che possiamo trascorrere del tempo con i nostri altri figli. Talvolta i fratelli più grandi amano essere coinvolti nelle attività che riguardano il neonato, andando ad esempio a prendere un pannolino pulito o del sapone per il bagnetto. Ad altri invece non interesserà, e va bene così.


Quando allattiamo, teniamo vicino a noi una cesta piena di libri e altri giocattoli, così che gli altri bambini abbiano qualcosa da fare mentre diamo da mangiare al neonato.


Quando il piccolo è sveglio, proviamo a descrivergli in cosa consiste il gioco del fratello: il neonato imparerà molto dalla nostra spiegazione e il fratellino più grande apprezzerà essere al centro del discorso.


Non dobbiamo per forza assegnare al nostro primogenito il ruolo di “fratello grande”, perché lo caricheremmo di una grande responsabilità: cerchiamo invece di assegnare delle responsabilità a tutti i familiari, dicendo ad esempio: “Potete tenervi sott’occhio a vicenda mentre io vado in bagno?”


Junnifa faceva passare ai suoi figli l’idea che dovessero prendersi cura l’uno dell’altro: chiedeva ai più grandi di andare a dare un’occhiata al piccolo quando piangeva. In questo modo capivano che dovevano aiutarsi a vicenda non in quanto fratelli maggiori, ma in quanto membri della famiglia.


Nota: per ulteriori informazioni su come sistemare l’ambiente domestico se c’è più di un bambino in casa, si veda p. 66.

Se il fratellino più grande è turbato

Spesso se il nostro primogenito dice di odiare il suo fratellino gli rispondiamo che non è vero, che gli vogliamo tutti bene. Ma in quel momento il bambino ha bisogno di esprimere come si sente.


Proviamo quindi a fare un’ipotesi: “In questo momento sembri davvero arrabbiato/ triste/nervoso per via del piccolo, non è vero?”. Ascoltiamolo o coccoliamolo, così sentirà di essere stato compreso. Poniamo un freno però davanti a ogni attacco fisico rivolto al neonato, come ad esempio colpirlo o morderlo. Accettiamo tutti i sentimenti, ma non tutti i comportamenti.


Poi, in un altro momento neutrale, mostriamo al fratellino più grande come trattare il neonato: “Dobbiamo essere gentili”. E traduciamo: “Il piccolo sta piangendo, quindi forse siamo stati troppo bruschi. Trattiamolo con più delicatezza”.

Trascorrere del tempo speciale con ogni bambino

È importante ritagliarci dei momenti da passare con ognuno dei bambini: se il piccolo sta dormendo e suo fratello più grande invece è sveglio creiamo un legame emotivo con lui facendo qualcosa di speciale insieme. Nel finesettimana, se possiamo contare sull’aiuto del nostro compagno o di un altro familiare, organizziamo con il più grande una gita – possiamo andare al parco giochi, al supermercato o a fare una passeggiata per chiacchierare.


Facendo fare a ogni bambino il pieno di affetto possiamo ridurre le volte in cui chiederà la nostra attenzione nel resto della settimana. Quando sbotta di rabbia perché le cose non vanno come pensava, appuntiamoci cosa avrebbe voluto fare e cerchiamo di recuperare passando del tempo speciale con lui nei giorni seguenti.

Adattarsi a una famiglia più grande

A volte siamo noi genitori a doverci preparare a una famiglia più grande. Ameremo il piccolo tanto quanto il nostro primogenito? Come ci organizzeremo per badare a più di un bambino? Come ci libereremo del senso di colpa di non poter passare con il neonato tanto tempo quanto abbiamo dedicato al nostro primo figlio?


Nel libro Thriving! Micheal Grose suggerisce di crescere i fratelli come se avessimo una famiglia con quattro o anche più figli. In una famiglia molto numerosa i genitori non riescono a risolvere ogni discussione, né a intrattenere ogni bambino. Manteniamo una funzione di guida: gettiamo le fondamenta dei valori familiari e supervisioniamo la rotta.


E l’amore aumenterà proprio come una candela può accendere un’altra candela e altre cinque candele senza perdere la propria luce: potrà comprendere noi, il nostro compagno e tutti i figli che arriveranno. L’amore continua a crescere.


Un’ultima cosa: quando qualcuno ci dirà che dobbiamo essere molto impegnati, rispondiamogli che siamo felici di esserlo. Una risposta gentile può essere utile per non perdere il buonumore quando in effetti saremo sommersi di impegni.

GEMELLI

Sono stati svolti pochi studi Montessori in merito ai gemelli, ma i genitori che si sono presentati con dei gemelli alle lezioni di Simone hanno trovato questo approccio educativo di valore inestimabile, dal momento che il vantaggio maggiore è che i bambini crescendo diventano sempre più indipendenti, ed è importante se i piccoli hanno la stessa età.


Alcuni suggerimenti se si hanno dei gemelli:

  • tenere presente l’unicità di ogni bambino e trattarlo di conseguenza, ad esempio, cercando di capire quali sono le sue particolari esigenze. Importante anche usare i nomi propri dei piccoli, invece chiamarli solo “i gemelli”;
  • organizzare l’ambiente domestico in modo tale che ogni bambino possa esplorare nel modo più indipendente possibile;
  • coinvolgere i bambini nella vita quotidiana e aiutarli ad acquisire delle capacità così che possano svolgere alcuni passaggi da soli;
  • insegnare loro come condividere, invece di comprare due giocattoli uguali: i bambini impareranno a fare a turno o daranno fondo a tutta la propria creatività per trovare un modo di giocare insieme;
  • i gemelli si possono allattare contemporaneamente, ma se non ci riusciamo va bene lo stesso;
  • se ci stiamo occupando di uno dei bambini diciamo all’altro che dopo ci prenderemo cura di lui: si renderà conto che arriverà anche il suo turno;
  • quando i piccoli saranno in grado di stare seduti da soli possiamo farli sedere uno di fronte all’altro al tavolino dello svezzamento: cerchiamo delle seggioline dotate di braccioli, abbastanza basse perché i piedi dei bambini tocchino terra.

CONSIGLIO DI LETTURA

Per ulteriori consigli da parte di chi ha seguito un corso Montessori e lo ha applicato ai propri figli gemelli, si consiglia la lettura di Raising Your Twins: Real Life Tips on Parenting Your Children with Ease di Stephanie Woo.

NEONATI PREMATURI

Possiamo creare un legame emotivo anche con un bambino nato prematuro che ha bisogno di stare in un’incubatrice o in un reparto di terapia intensiva neonatale.


Se possibile, tiriamoci il latte perché il piccolo beva il nostro latte materno e, quando il bambino è sveglio, parliamogli e cantiamo per lui. Presto anche il nostro odore gli sarà familiare. Accarezziamo l’incubatrice e, una volta che il piccolo sarà abbastanza in forze, proviamo la canguro-terapia, tenendo il bambino sopra di noi, pelle contro pelle, in posizione verticale. Possiamo anche imparare uno speciale massaggio, non troppo brusco e pensato apposta per la costituzione delicata dei neonati prematuri: osserviamo il neonato per capire se lo trova piacevole o se è troppo per lui.


Anche se si trova dentro a un’incubatrice, guardiamo nostro figlio negli occhi e facciamogli sentire tutto il nostro amore.

GENITORI ADOTTIVI

Le coppie che adottano hanno un’esperienza diversa: non ci sono nove mesi per abituarsi all’idea di diventare genitori e creare un legame emotivo con il piccolo sfruttando fin dalla gestazione alcuni punti di riferimento (la nostra voce, il nostro battito cardiaco, i nostri movimenti). Il bambino potrebbe arrivare in famiglia dopo un estenuante processo di adozione, e avere qualsiasi età.


Immaginiamo di conoscerlo, per esempio, a 6 mesi. Avrà già iniziato a muoversi, dimenarsi e strisciare. Forse sarà già interessato ai cibi solidi, oltre che al latte, e magari starà vivendo una fase emotiva complicata per via di una situazione familiare difficile.


Il nostro compito, in quanto genitori adottivi, è di diventare il suo sostegno emotivo in un mondo per lui altrimenti molto instabile.


Creiamo una nostra fase simbiotica (si veda il capitolo 3) dalla durata di 6-8 settimane: ritagliamoci un momento in cui limitare gli impegni e concentrarci sul cammino che ci porterà a diventare una famiglia. Creiamo un ambiente familiare sicuro, che abbia ritmi prevedibili e punti di riferimento che possano trasmettere fiducia – delle aree preposte al riposo, ai pasti e al gioco, il nostro odore, le nostre voci e la delicatezza con cui ci prendiamo cura del piccolo.


Come abbiamo già detto nella sezione dedicata all’alimentazione, esistono i dispositivi di allattamento supplementare che permettono alle madri adottive di avere un’esperienza simile a quella dell’allattamento, altrimenti possiamo dare da mangiare al piccolo usando un biberon: per creare un legame forte con nostro figlio, stringiamolo a noi e guardiamolo negli occhi.

DISABILITÀ FISICHE E DIFFERENZE NEUROLOGICHE

Spesso ci viene chiesto se esistono dei saggi Montessori riguardo ai bambini con bisogni speciali o particolarità: in effetti esistono dei corsi appositi. Trattare di questi casi esula dallo scopo di questo libro, però nelle nostre classi abbiamo avuto dei neonati con problemi all’udito o disabilità fisiche come la paralisi cerebrale, altri che soffrivano di mutismo selettivo, deficit di attenzione o autismo. Abbiamo familiari e amici con figli che hanno subito interventi al cuore, che hanno dovuto indossare per i primi dodici mesi un tutore per via di una displasia dell’anca o che hanno avuto bisogno di mettere un casco per la plagiocefalia.


Ogni bambino è unico e deve essere trattato come tale: osserviamolo per capire dove arrivano le sue capacità. Aiutiamolo se ha bisogno, diamogli modo di mettersi alla prova, e guardiamolo negli occhi con lo stesso amore e rispetto con cui guarderemmo ogni altro neonato.


I suoi tempi saranno diversi, ma dovrà comunque essere trattato come il meraviglioso essere umano che è. Prestiamo attenzione alle sue capacità, e non alla sua disabilità.


CONSIGLIO DI LETTURA

Per famiglie con un bambino con differenze neurologiche si raccomanda la lettura di Differently Wired di Deborah Reber, oltre al suo postcast TiLT Parenting.


IN PRATICA

  1. Le nostre giornate hanno un ritmo ben definito per il bambino?
  2. Ci ricordiamo di sfruttare i momenti in cui ce ne prendiamo cura per creare un legame emotivo con lui?
  3. Come possiamo aiutarlo a mangiare e dormire? Possiamo liberarci delle nostre ansie in merito? Possiamo aiutare il bambino solo il minimo necessario?
  4. Vogliamo fare qualche modifica per aiutare il bambino:
    • quando colpisce/morde/lancia/spinge?
    • quando viaggia in auto?
    • quando deve smettere di usare il ciuccio?
    • quando vive la fase della dentizione?
    • quando deve iniziare a imparare come condividere?
  5. Come possiamo aiutare un fratellino più grande a prepararsi all’arrivo del bambino?

Il bebè Montessori
Il bebè Montessori
Simone Davies, Junnifa Uzodike
Crescere il bambino nel primo anno di vita con amore, rispetto ed empatia.Una guida scritta a quattro mani in cui teoria e pratica si uniscono in un libro prezioso per tutti i genitori per applicare i principi Montessori nel primo anno di vita del bambino. Dall’autrice Simone Davies del bestseller Il bambino piccolo Montessori, tradotto in più di 25 paesi, arriva Il bebè Montessori, una guida scritta a quattro mani con la collega educatrice Junnifa Uzodike per applicare i principi Montessori nel primo anno di vita del bambino.Teoria e pratica si uniscono in un libro prezioso per tutti i genitori, ricco di suggerimenti per crescere il bebè con amore, rispetto ed empatia, mantenendo un sorprendente senso di calma e pace interiore.Nel libro si troveranno utili consigli per: sviluppare un sicuro senso di attaccamento stabilire confini chiari favorire lo sviluppo motorio e linguistico del bambino scegliere i giocattoli organizzare la casa, ricreando un ambiente calmo, tranquillo e funzionale per tutta la famiglia Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code sul retro di copertina. Tanti consigli per mettere in pratica quell’approccio profondamente rispettoso di crescere il bambino, che è il metodo Montessori.Angeline S. Lillard Conosci l’autore Simone Davies è un’insegnante Montessori dell’AMI (Association Montessori Internationale), ed è anche autrice di The Montessori Notebook, il popolare blog e profilo Instagram in cui offre consigli, risponde a domande e organizza laboratori online per i genitori di tutto il mondo.Nata in Australia, vive ad Amsterdam con la sua famiglia, dove organizza corsi genitori-figli nella sua scuola Montessori, la Jacaranda Tree. Junnifa Uzodike è un’insegnante Montessori dell’AMI.Vive in Nigeria con la sua famiglia, dove ha fondato la scuola Fruitful Orchard Montessori, ed è autrice del blog Nduoma, a good life.