COSA DOBBIAMO SAPERE SUI BAMBINI
In passato, la maggior parte delle persone cresceva in famiglie molto numerose: si viveva con genitori e nonni, cugini e nipoti andavano e venivano e i ragazzini più grandi erano incaricati di prendersi cura dei più piccoli.
Dal momento che Simone era la più piccola dalla famiglia, il primo bambino a cui ha dovuto badare – se si eccettuano quelli a cui ha fatto da babysitter – è stato suo figlio.
Aveva letto dei saggi, seguito dei corsi preparto e delle lezioni di yoga prenatale, eppure sentiva di non essere pronta a prendersi cura di suo figlio. Andava avanti per tentativi ed errori: metterlo a nanna non era semplice e richiedeva una complicata coreografia che prevedeva che cullasse il piccolo mentre cantava per lui, ma per fortuna lo svezzamento andò meglio. Simone si faceva un vanto di portare il proprio bambino con sé ovunque andasse, fin dai primissimi giorni. Gli preparava i pasti mentre dormiva e giocava instancabilmente con lui quando era sveglio. Per non farlo piangere, se nient’altro funzionava, gli dava ancora da mangiare.
Ripensando a quei giorni, si rende conto di aver esagerato. Non aveva ancora imparato a osservare il ritmo naturale di suo figlio, lasciandogli esplorare il mondo da solo e confidando nel fatto che non aveva bisogno della presenza costante di un adulto che lo tenesse occupato.
Questo è ciò che avrebbe voluto sapere:
I bambini assorbono tutto. I bambini possiedono quella che Maria Montessori aveva chiamato la mente assorbente: forse non sono in grado di mettere a fuoco ciò che si trova a più di 30 cm di distanza dai loro occhi, ma assorbono tutte le informazioni visive che possono, oltre agli odori, alla sensazione del contatto fisico e a quello che possono percepire dello spazio che li circonda (se è buio o luminoso, tranquillo o disordinato, caldo o freddo). Prestano ascolto al suono delle nostre vite quotidiane, alle nostre voci, alla musica e ai momenti di silenzio. Assaggiano le proprie dita, il latte e tutto quello che riescono a mettersi in bocca.
Possiamo avere una conversazione con i bambini. E non intendo solo parlare a loro, ma parlare con loro e aspettare che rispondano – anche quando si tratta di un bambino appena nato. La conversazione non deve essere necessariamente verbale: possiamo tenere il bambino fra le braccia, reggendogli la testa con le mani per poterlo guardare in faccia. Possiamo fargli la lingua. Aspettiamo. Osserviamo. Lui proverà ad aprire la bocca e magari tirerà fuori la lingua, rispondiamo mostrandola a nostra volta, e così via.
I bambini hanno bisogno di tempo per muoversi ed esplorare il mondo. Al bambino serve il tempo di distendersi su un tappetino e sgranchirsi. Possiamo mettere in questa posizione anche un neonato, posizionando accanto a lui uno specchio perché possa iniziare a vedere cosa significa muovere i propri arti e interagire con il mondo e gli oggetti che lo circondano. Aiutiamolo il meno possibile, solo quando ne ha davvero bisogno.
I bambini devono essere trattati con delicatezza, ma non sono fragili. Dobbiamo fare attenzione nel guidarli nel passaggio dal grembo materno al mondo esterno (un periodo di simbiosi), trattandoli con delicatezza e rispetto. Allo stesso tempo, evitiamo di avvolgerli in fasce e viziarli troppo: se la casa è calda a sufficienza, i neonati possono restare con mani, piedi e testa scoperti, così da poter avere più libertà nei movimenti. Con le prime settimane di vita, testa e collo si rafforzeranno e ben presto non avranno più bisogno di un supporto extra.
I bambini imparano a fidarsi dell’ambiente esterno, dei propri genitori e di se stessi. Nei primi nove mesi di vita – spesso definiti nei termini di esogestazione o gravidanza esterna – il bambino si sta ancora adattando al nuovo ambiente: è la fase in cui costruisce la propria fiducia nel mondo esterno, nelle proprie capacità e in chi si prende cura di lui.
Nel primo anno di vita, il bambino passa da una fase di dipendenza a una di collaborazione, per giungere poi a una fase di indipendenza. Appena nato, il piccolo ha bisogno degli adulti per nutrirsi, avere un posto in cui stare, vestirsi, essere cambiato ed essere spostato da un luogo all’altro (dipendenza). Crescendo, inizia a essere coinvolto – gli si chiede di alzare le braccia quando viene vestito, gli si spiegano i vari procedimenti quando si cucina, gli si lascia il tempo di toccare ed esplorare il mondo che lo circonda (collaborazione). A circa un anno di vita, il bambino sta già muovendo i primi passi verso la propria indipendenza – talvolta in senso letterale, iniziando a camminare, oppure partecipando attivamente nella scelta del gioco da fare, o provando a esprimersi a gesti e versi, o ancora portandosi il cibo alla bocca, sicuro del proprio posto nel mondo (indipendenza).
Un attaccamento sicuro è essenziale perché il bambino cresca felice. Se gettiamo le basi di un attaccamento forte e sicuro il piccolo sente di poter esplorare il mondo che lo circonda, muovendosi nel frattempo verso la propria indipendenza. Impara ad affidarsi a noi con fiducia, sicuro che gli presteremo ascolto e che se serve gli forniremo aiuto e supporto. Il concetto di attaccamento sicuro prevede che le esigenze di contatto e nutrimento del bambino siano regolarmente soddisfatte: fra il bambino e chi si prende cura di lui si crea quindi un forte legame emotivo, capace di durare nel tempo.
I bambini piangono per comunicare le proprie necessità. Alcuni genitori sono in grado di capire per quale motivo il loro bambino sta piangendo, ma talvolta il pianto sembra sempre lo stesso. A quel punto dobbiamo diventare degli investigatori: proviamo a chiedere a nostro figlio: “cosa stai cercando di dirmi?” e osserviamo la sua reazione. Rispondiamo, invece di reagire. È inutile prendere il piccolo in braccio e dondolarlo perché smetta di piangere: prima dobbiamo capire cosa sta tentando di dirci.
I bambini non hanno bisogno di molte cose. Il principio del “meno è meglio” si applica anche ai neonati. Delle braccia amorevoli, un posto in cui sgranchirsi, uno in cui dormire, cibo a sufficienza e una casa calda e accogliente, tutta da esplorare: solo di questo ha bisogno un bambino. In questo libro suggeriamo alcune attività Montessori, ma possiamo applicare questo metodo anche senza dover comprare nulla. L’approccio montessoriano, infatti, si basa soprattutto sull’osservazione del bambino, sull’accettazione del suo modo di essere, sulla ricerca del modo migliore per soddisfare le sue esigenze e guidarlo nella strada verso l’indipendenza, in un percorso che si snoda dalla prima infanzia all’adolescenza.
I bambini utilizzano i propri punti di riferimento per acquisire sicurezza. Nella scoperta del mondo che lo circonda, il piccolo cercherà dei punti di riferimento, ovvero elementi che nella sua vita quotidiana lo aiuteranno a orientarsi. Possono essere le sue mani, le nostre voci, il posto in cui dorme o in cui gli diamo da mangiare e il ritmo delle nostre giornate, inteso come la routine con cui quotidianamente ripetiamo gli stessi gesti. Questa prevedibilità rassicura il bambino.
I bambini sanno molte cose che noi ancora ignoriamo. Quando guardiamo negli occhi un bambino vediamo che c’è molto da scoprire. È come se il neonato cercasse di dirci: “voglio che tu mi capisca e mi osservi”. L’osservazione diviene quindi una forma di rispetto – prima di agire, prestiamo attenzione a nostro figlio e proviamo a comprenderlo meglio.