CAPITOLO 5

Come si sviluppa il cervello
dei nostri abitanti del futuro?

Veniamo all’aspetto per me più intrigante, l’esplorare quello che succede dietro quegli occhioni che ci guardano amorevoli o quel viso brufoloso e quei capelli arruffati di un adolescente. Non è mio scopo trattare esaurientemente un campo così vasto come quello delle neuroscienze dello sviluppo per cui esistono riferimenti ben più autorevoli. Mi interessa invece toccare quei punti che ci permettono di capire come la tecnologia digitale influenza ed è influenzata dal funzionamento del cervello dei nostri giovani. Fondamentalmente voglio rispondere a tre domande: primo, il loro cervello è diverso dal nostro? Secondo, c’è un’età per introdurre la tecnologia nelle loro vite? Terzo, che cosa è veramente importante nelle varie fasi del loro sviluppo?


In questa esplorazione mi faccio aiutare dalla scienziata Maria Montessori perché una rivelazione per me impagabile è stata scoprire che il suo progetto educativo “funziona perché è così che funziona il cervello umano”, come mi disse un esperto del campo. Un’idea che ho ritrovato nel concreto dei suoi materiali e prassi educative che hanno tutte un solido fondamento scientifico. Se vi incuriosisce, troverete molti dettagli e molte prove scientifiche a sostegno nel mio libro precedente1 . Prima di iniziare voglio farvi notare come queste fondamenta facciano sì che il pensiero di Maria Montessori sia attuale ancor oggi e che questa proposta non sia rigida come alcuni sostengono ma possa, fatti salvi i principi e gli obiettivi, evolvere se cambiano i dati di partenza. Siamo quindi liberi di esplorare, proporre e sperimentare seguendo i dettami del metodo scientifico, soprattutto quando abbiamo a che fare con quelle tecnologie che non esistevano ai tempi di Maria Montessori. Del resto, verso la fine della sua vita, ripeteva: “Io ho solo iniziato il lavoro” e ora tocca a noi continuarlo.


Partendo da queste idee guida, nei prossimi capitoli affronteremo vari aspetti legati al funzionamento del cervello dei nostri giovani, come l’apprendimento, la memoria, l’immaginazione e altro, concentrandoci su quello che ci può servire per capire il ruolo della tecnologia nel loro sviluppo. Cominciamo questa esplorazione cercando di rispondere alla prima domanda posta all’inizio, perché è ovvio che, se i bambini e i giovani di oggi sono differenti da quelli con cui ha lavorato Maria Montessori, le sue idee e osservazioni non si possono applicare nel nostro mondo tecnologico e dovremmo trovare un’altra guida.

Il loro cervello è diverso dal nostro?

Molto è cambiato dai tempi di Maria Montessori, non foss’altro perché la tecnologia digitale oggi è parte integrante del mondo dei bambini. Per questo non manca chi si domanda se il cervello dei giovani non sia forse differente dal nostro e c’è chi decisamente non si ferma qui. Per taluni autori sta addirittura emergendo un nuovo tipo di umano perché dalle loro analisi e interpretazioni i bambini e i giovani di oggi risultano radicalmente differenti da noi, come se, appunto, si trattasse di una nuova specie umana. In particolare Noemi Paymal2 interpreta queste differenze alla luce delle sue convinzioni a priori, invece di analizzare che cosa sia effettivamente cambiato rispetto ai bambini che li hanno preceduti. In maniera simile Giuseppe Longo3 sostiene che l’uso precoce dei dispositivi digitali ha generato connessioni nel cervello differenti da quelle presenti nei giovani abituati a leggere e a comunicare attraverso il linguaggio del corpo – e questo è corretto – ma poi si spinge più in là dichiarando che questi cambiamenti li rendono un tipo differente di umano.


Posizioni così radicali non hanno però basi scientifiche. I bambini, nonostante i cambiamenti esteriori, sono gli stessi di quelli di cento anni fa, quelli con cui lavorava Maria Montessori, perché il cervello non ha fatto in tempo a evolvere per adattarsi ai ritmi e alle esigenze del mondo tecnologico di oggi. Teniamo presente che il primo iPhone viene presentato solo a metà 2007 ed è evidente che in questi pochi anni a malapena fanno in tempo a evolvere i batteri. Andando indietro nel tempo, non possiamo negare che anche l’invenzione della scrittura in Mesopotamia sia recente, poiché risale a circa cinquemila anni fa. A quel tempo, per riuscire in questo nuovo compito così differente da tutto quanto sapeva già fare, il cervello umano non ha creato nuovi circuiti, ma ha formato sofisticate connessioni fra strutture neurali originariamente utilizzate per altri processi, come il riconoscimento delle forme o la comprensione del parlato. Il neuroscienziato Stanislas Dehaene4 chiama questa strategia “riciclo neurale”, una strategia che anche oggi il cervello di ogni bambino deve adottare all’inizio della scuola per imparare a leggere e scrivere. In maniera simile all’acquisizione del linguaggio scritto, non c’è dubbio che qualche tipo di cambiamento sia avvenuto nel cervello dei nostri giovani. È certo che la società odierna abbia modificato le loro abilità cognitive spingendole verso un’intelligenza più utilitaristica, più veloce anche se meno concentrata e analitica. In un certo senso i nostri bambini stanno “evolvendo” verso un’intelligenza fluida5 più adatta a estrarre un significato dalla confusione di informazioni che li bombardano. A parte questo, uno studio intrapreso dal “Gesell Institute of Child Development”6 , in cui si confrontavano i risultati di studi identici portati avanti sin dal 19257,8,9 , conferma che i bambini non sono cambiati e che non c’è stata nessuna mutazione evolutiva del loro cervello.


Non è un’evoluzione del cervello, quindi, ma è certo che questo si modifica con l’esercizio, se no ogni apprendimento sarebbe impossibile. Un buon esempio ce lo dà chi sta imparando a suonare il piano. Man mano che il soggetto si esercita, le aree della corteccia cerebrale preposte al controllo delle dita si ingrandiscono e la materia bianca che isola le connessioni tra neuroni si inspessisce aumentandone la velocità di trasmissione10 . Allo stesso modo l’uso di uno smartphone o di un tablet, con il rapido e frequente movimento delle dita sullo schermo, modifica il cervello nella stessa maniera11 . Ancora una volta stiamo parlando di apprendimento e non di evoluzione o mutazione del cervello.


Nonostante tutti gli argomenti che negano un’evoluzione del cervello, una prova spesso citata a favore è l’effetto Flynn, l’aumento del quoziente intellettivo (QI) medio della popolazione, osservato da James Flynn nel corso degli anni, con una crescita attorno ai tre punti per ogni decennio12 . È un effetto che è stato molto criticato per una serie di incongruenze, come del resto è messo in dubbio il concetto stesso di QI, ma è palese che una tale crescita sia dovuta a una maggiore capacità di risolvere problemi logici e astratti, frequenti nell’ambiente sociale e culturale odierno.


Dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, l’effetto si sta, però, invertendo, come ha scoperto uno studio del 200813 e, ancor peggio, negli stessi anni si è avuto un crollo della creatività14 , per lo meno negli Stati Uniti. Senza indulgere a scenari apocalittici, uno studio recente15 dimostra che questi aumenti e diminuzioni del QI e in definitiva l’effetto Flynn, sono dovuti a normali effetti di apprendimento. Per questo motivo basta una maggiore esposizione ai media oppure un minor tempo che i genitori spendono a casa con i propri figli per spiegare questi cambiamenti positivi o negativi ed escludere una qualche forma di evoluzione del cervello dei nostri giovani.


Da tutto questo che ne deduciamo? Sentiamo quello che rispose Renilde Montessori, la nipote di Maria, quando venne intervistata da Daniele Novara16 : “Molti genitori fanno la stessa domanda, cioè chiedono se i «giocattoli utili» inventati da Maria Montessori all’inizio del secolo non siano un po’ antiquati, a confronto con i progressi che la specie umana sembra aver compiuto da allora. La risposta è no. I materiali e i giocattoli sono il frutto di scelte compiute dai bambini con cui Maria ha lavorato per cinquant’anni, e i bambini non sono cambiati. È molto difficile spiegare ai genitori che la specie umana è immutata da migliaia di anni, e che il bambino universale non cambia, malgrado i cambiamenti esteriori”. Possiamo, perciò, partire da questo “bambino universale” e farci aiutare dalle idee di Maria Montessori per capire come il loro cervello agisce e risponde alle sollecitazioni della nostra civiltà tecnologica.

Le fasi della crescita

Guardando al bambino in generale, la prima cosa che notiamo è che, rispetto ad altri animali, siamo nati con cervelli meno sviluppati che impiegano più tempo a maturare completamente. Addirittura possiamo affermare che “l’umanità ha due periodi embrionali: uno è prenatale, simile a quello degli animali – e uno è postnatale, esclusivo all’uomo. In questo modo s’interpreta quel fenomeno che distingue l’uomo dagli animali: la lunga infanzia”17 . Avere un periodo così lungo di sviluppo del cervello è un vantaggio, perché questo risulta più facilmente modellato dall’ambiente e dall’esperienza, cosa che ci aiuta ad adattarci e prosperare nel nostro habitat così unico.


Dobbiamo, poi, toglierci dalla testa l’idea che il bambino sia solo un adulto in miniatura. Già gli studi di Piaget e ancor di più le osservazioni di Maria Montessori, hanno dimostrato che la differenza tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto è di tipo qualitativo: il bambino, infatti, non usa la mente come un adulto ma di meno, la usa con modalità sue proprie. Un’intuizione che oggi trova conferma nel lavoro di psicologi infantili come Alison Gopnik18 che fa notare, per esempio, come l’attenzione dell’adulto sia simile a un riflettore: si concentra su un punto lasciando tutto il resto nell’ombra, mentre quella del bambino è come una lanterna che illumina tutto, perché per lui tutto può essere occasione di apprendimento.


Quali processi sono attivi nel cervello del bambino che rendono possibile tutto questo? Il processo più importante è la sinaptogenesi, ovvero la creazione di nuove sinapsi, cioè di connessioni tra neuroni, processo che inizia alla quinta settimana di gestazione e che alla nascita raggiunge lo strabiliante ritmo di 40.000 nuove sinapsi al secondo. Poi, attorno ai due anni, inizia il processo di sfoltimento delle sinapsi, o pruning sinaptico, con cui vengono eliminati i circuiti neuronali non utilizzati. Questo processo termina dopo aver rimosso, in maniera dipendente dalle esperienze vissute, il 40% delle sinapsi e si conclude alla fine dell’adolescenza. Questi processi non avvengono in maniera uniforme in tutte le aree della corteccia: nei lobi parietali, che sono un’area preposta al controllo delle emozioni, la crescita di materia grigia continua fino ai 16 anni e solo dopo ha inizio l’opera di eliminazione dei circuiti inutilizzati. L’ultimo importante processo di maturazione del cervello è la mielinizzazione delle fibre nervose che le ricopre con un rivestimento isolante per aumentarne la velocità di trasmissione da 25 centimetri al secondo a 70-80 metri al secondo. Questo processo inizia all’incirca alla ventesima settimana di gestazione e termina a 16-17 anni per le ragazze e a 18 per i ragazzi, ma si può dire completato solo attorno ai 20-25 anni d’età. Attenzione, questo non significa che il cervello da quel momento in poi sarà immutabile. Abbiamo, per fortuna, un cervello plastico che si adatta e soprattutto apprende.


La maturazione non uniforme del cervello ha un profondo impatto sul comportamento degli adolescenti. In questo periodo c’è un diverso tasso di sviluppo e dimensioni dell’amigdala, della corteccia prefrontale e del Nucleus Accumbens. L’amigdala è ritenuta il centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni, la valutazione della pericolosità degli stimoli ed è coinvolta anche nei sistemi della memoria emozionale. La corteccia prefrontale è implicata nella pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi, nell’espressione della personalità, nelle decisioni e nella moderazione della condotta sociale. Infine il Nucleus Accumbens gioca un ruolo importante nei processi dell’avversione, motivazione, ricompensa e nell’elaborazione delle sensazioni di piacere e paura. Ora la complessità dei processi decisionali aumenta man mano che il lobo frontale si sviluppa e crea connessioni con il sistema di controllo delle emozioni (sistema limbico). In contrasto, lo sfasamento fra lo sviluppo completo delle aree citate può portare durante l’adolescenza a una sensibilità esagerata del sistema limbico che favorisce un aumento dell’assunzione di rischi, mentre il sistema di controllo (la corteccia prefrontale) non è ancora arrivato a piena maturazione.

Anche qui, come in tutto quello che sappiamo sullo sviluppo del cervello, serve un po’ di buonsenso. Non siamo macchine, il cervello non segue un rigido programma prestabilito e noi, in quanto adulti responsabili dell’educazione dei nostri giovani, dobbiamo pensare che questi processi richiedono i loro tempi e non possono essere accelerati più di tanto. Quindi è l’equilibrio e la relativa tempistica degli stimoli che proponiamo loro che conta, non le stimolazioni aumentate o “arricchite” con cui pensiamo di farli crescere più in fretta.


Come interagiscono allora le fasi di sinapsificazione, mielinizzazione e pruning sinaptico con quello che vediamo e sperimentiamo dello sviluppo dei nostri piccoli? Queste fasi hanno un qualche effetto o pongono dei vincoli sull’uso e l’esposizione alla tecnologia?


Prima di scendere nei dettagli, vorrei presentare tre fenomeni che Maria Montessori aveva già osservato nei bambini e che ci forniscono un chiaro inquadramento all’esplorazione di questi aspetti della loro crescita. Stiamo parlando dell’esistenza di periodi sensitivi critici per lo sviluppo, dell’educazione come un processo naturale in cui il bambino ubbidisce a un maestro interiore e infine dello sviluppo del bambino per piani e non lungo una linea crescente e continua.

I periodi sensitivi

I processi biologici di maturazione non uniforme del cervello fanno sì che ci siano dei periodi speciali in cui una certa funzionalità si sviluppa. Oggi la scienza ha confermato l’esistenza di questi “periodi critici”, periodi in cui l’azione dell’esperienza si traduce in modificazioni irreversibili dei circuiti e delle funzioni del sistema nervoso. In altre parole sono periodi in cui sono presenti delle temporanee sensibilità o guide interiori che indirizzano il bambino verso taluni segnali, lasciandolo indifferente ad altri. I gesti e l’esperienza modificano quindi la sua biologia, cosa che non accadrà più se non nell’infanzia che diviene così un’opportunità, una finestra critica per far sbocciare il potenziale enorme nascosto nei nostri piccoli.


Maria Montessori, osservando i bambini come sempre faceva, aveva scoperto l’esistenza di questi particolari periodi che lei chiamava “periodi sensitivi”: “Questa struttura cambia durante l’infanzia secondo la direzione di ciò che abbiamo chiamato, secondo il termine di De Vries, periodi sensitivi. Ora, queste strutture, che guidano la crescita e lo sviluppo psichico, cioè la mente assorbente, le nebule e i periodi sensitivi con i loro meccanismi sono ereditari e caratteristici della specie umana. Ma il loro attuarsi può solo compiersi attraverso una libera azione sull’ambiente”19 . Per lei questi momenti sono “un treno che passa a quell’ora” su cui il bambino deve salire attraverso esperienze che può fare liberamente. Se perde il treno, poi sarà molto difficile recuperare appieno quelle funzionalità.


Montessori ha stilato un preciso elenco di questi periodi sensitivi: c’è quello del movimento, quello dell’ordine e quello del linguaggio e poi più tardi quello della cultura. I neuroscienziati li confermano in pieno e ne aggiungono alcuni altri: il periodo sensitivo dell’interesse per i numeri, delle competenze sociali tra pari, della concettualizzazione, del controllo emotivo, della visione e dell’ascolto20 .


Analizziamo ad esempio uno di questi periodi speciali: il periodo sensitivo del linguaggio. Come imparano a parlare i bambini? In questo periodo sono semplicemente immersi in un ambiente saturo di parole e il loro cervello è una spugna che assorbe tutto quanto. Se li osserviamo, spesso scopriamo che hanno gli occhi puntati sulla bocca di chi parla per cercare di imitarne il movimento. Proprio perché nasce incompleto, con un cervello incredibilmente plastico, il bambino costruisce la sua lingua e modifica gli apparati a seconda di qual è il suo ambiente linguistico e di quali suoni compongono il suo linguaggio.


Invece che cosa succede? Quando il bambino è a scuola a sei anni ha meno interesse per il linguaggio perché il periodo sensitivo è ormai terminato, ma deve imparare, è sollecitato a imparare dai familiari, dalle maestre, dai compagni che già sanno scrivere e quindi dall’ambiente. L’interesse, però, non parte dal suo interno e perciò è meno efficace. Questo ci porta al prossimo punto.

Il maestro interiore

“L’osservazione scientifica ha inoltre stabilito che […] l’educazione è un processo naturale che si svolge spontaneamente nell’individuo e si acquisisce non ascoltando le parole degli altri, ma mediante l’esperienza diretta del mondo circostante”21 . In altri termini, l’educazione viene dall’interno del bambino: “Insomma, il bambino ha in sé un maestro scrupoloso e assai esigente, che osserva persino una vera e propria tabella di marcia”22 . Un maestro che lo orienta verso attività ed esperienze capaci di fargli acquisire quanto necessario per crescere. Noi educatori allora che possiamo fare? Per prima cosa dobbiamo imparare a non intralciare questo processo, ma a creare le condizioni affinché il bambino possa fare queste esperienze. Montessori ci suggerisce: “Lo sviluppo del bambino ha le sue leggi e se noi vogliamo aiutarlo a crescere, dobbiamo seguirlo invece di imporci a lui. Il bambino cammina con gli occhi non meno che con le gambe: ciò che lo fa avanzare è la vista delle cose interessanti che sono intorno a lui”23 . Quindi mettere il bambino al centro dell’azione educativa e preparargli un ambiente dove possa vivere esperienze significative e interagire con materiali interessanti è una ricetta che possiamo condividere. La tecnologia è un materiale interessante? È interessante, certo, ma molto parziale perché esclude il bambino da tantissimi altri tipi di esperienze.

I piani di sviluppo

Lo sviluppo del cervello infantile non avviene in maniera uniformemente crescente, ma come per piani o blocchi. Maria Montessori ne individua quattro, scanditi di sei in sei anni dalla nascita all’età adulta. Anche qui ricordiamoci che non stiamo parlando di uno schema rigido e immutabile con delle tappe scandite col cronometro.


Quello che è importante, sul quale Maria Montessori insisteva parecchio, è la differenza fra il suo modello e il sentire comune cristallizzato in tante istituzioni come la scuola, cioè che lo sviluppo e le conoscenze trasmesse all’individuo siano un processo di incremento lineare e continuo.


Anche solo limitandosi all’aspetto fisico, quale genitore non ha visto gli “scatti di crescita” dei propri figli?


Vediamo in breve queste quattro tappe di crescita.

Dalla nascita ai sei anni: il piano dell’infanzia

Aiutami a fare da solo. Il famoso motto della Montessori, conosciuto universalmente, caratterizza questo piano di sviluppo che possiamo identificare come il piano dell’individualità. La necessità cardine del bambino in questo periodo è la ricerca dell’indipendenza fisica, per questo vuole fare da solo.


In questo periodo “il bambino impara attraverso la sua propria attività e se gli viene data l’opportunità di apprendere attivamente, sviluppa anche il suo carattere e la sua personalità”24. È un periodo importantissimo perché a metà strada verranno eliminati i circuiti neurali che il bambino non ha utilizzato vivendo esperienze autentiche nell’ambiente.


È un periodo caratterizzato dal pensiero concreto. Il bambino copia, vede l’esterno e le relazioni tra le cose. Non c’è pensiero critico, non c’è astrazione, non apprende attraverso le parole. Noi adulti e la scuola invece troppo spesso puntiamo subito sui concetti astratti senza prima aver creato un ponte materiale verso di essi, qualcosa che parli alle sue mani e ai suoi sensi.


A quest’età i bambini hanno già tutte le abilità necessarie per essere scienziati geniali: immaginazione, curiosità, perseveranza, adattabilità, passione. Fanno domande, non conoscono la parola “impossibile” e non hanno paura di esplorare e magari fallire. Insomma, sono il dipartimento “Ricerca e Sviluppo” della specie umana, mentre noi adulti siamo relegati al reparto “Produzione”. Questa è la ragione per cui Alison Gopnik25 definisce il bambino “lo scienziato nella culla”, uno scienziato che formula ipotesi e mette in atto strategie per metterle alla prova. Marvin Minsky, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, apriva un seminario al Caltech nel 1977 parlando delle difficoltà che hanno le macchine a battere l’intelligenza umana: “Finalmente ci siamo resi conto che la stragrande maggioranza di ciò che chiamiamo intelligenza è sviluppato entro la fine del primo anno di vita”. Forse è proprio dal bambino piccolo che la tecnologia delle macchine intelligenti potrà trarre ispirazione e non sarà, aggiungo io, il bambino piccolo che apprenderà qualcosa usando delle macchine.

Dai sei ai dodici anni: il piano della fanciullezza

Aiutami a pensare da solo. La prima trasformazione del motto montessoriano identifica il piano della formazione della personalità che ha radici nel piano precedente. Il giovane vuole pensare da solo: cerca l’indipendenza intellettuale e inizia il suo percorso verso l’autonomia.


A quest’età i ragazzini hanno bisogno di attività che non siano solo sensoriali, ma che li mettano in condizione di riflettere e pensare, perché hanno uno sguardo a raggi X che vuole vedere che cosa c’è dietro le cose e i fatti. Hanno un’intensa sete di conoscenza e il desiderio di accostarsi a ogni argomento.


In questa fase avviene la costruzione dell’intelligenza, caratterizzata dello sviluppo del pensiero logico e razionale e sostenuta dall’immaginazione. Il pensiero da concreto inizia a trasformarsi in astratto e proprio per questo motivo il bambino vuole ragionare da solo e trovare risposte ai perché del mondo che lo circonda.


Maria Montessori spende tante parole per chiarire l’importanza di questa fase dello sviluppo. Nel suo libro Dall’infanzia all’adolescenza26 ci racconta che “durante l’esperienza fatta con dei bambini della scuola elementare, abbiamo constatato che è esattamente fra i sei e i dodici anni che sarebbe opportuno porre le basi di tutte le scienze. Esiste psicologicamente un periodo sensibile, che si potrebbe chiamare «il periodo sensitivo della cultura», durante il quale si organizza il piano astratto della mente umana. Questo è il momento in cui tutto deve essere seminato. Si può paragonare questo periodo dell’animo umano al campo dove vengono gettate le sementi, che aspettano la loro stagione per spuntare. Il fine dell’educazione è quello di studiare tutti i mezzi possibili per «gettare queste sementi» all’età più adatta. Questa «semina» non deve interessare soltanto la scuola elementare, ma anche l’Università allo stesso modo che la coltivazione del lino deve interessare il fabbricante di tela. Poiché, se viene a mancare la materia prima, diventa inutile avere dei buoni strumenti per lavorare”.

Dai dodici ai diciott’anni: il piano dell’adolescenza

Aiutami a fare con te. Questo è il piano dello sviluppo sociale, perché il ragazzo vuole sviluppare la sua responsabilità in questo ambito attraverso esperienze pratiche o provando a essere come gli adulti. L’adolescente ha bisogno di relazionarsi con gli altri per definire la propria identità, per sviluppare il pensiero critico e capire come e dove trovare un posto nel mondo dopo essere uscito dal guscio protettivo della famiglia. Il suo sviluppo culturale si consolida e si approfondisce. In questa fase l’adolescente vuole gestire le proprie emozioni da solo: cerca l’indipendenza emotiva.


Montessori chiamava l’adolescente neonato sociale perché, spiega: “Il terzo periodo va dai dodici ai diciotto anni ed è un periodo di tali trasformazioni da ricordare il primo […] Questo periodo è anch’esso caratterizzato da trasformazioni del corpo il quale raggiunge la maturità dello sviluppo”27. Assieme a questi cambiamenti fisici, l’individuo cerca il suo posto nella società. In un certo senso è un neonato in questo, per lui, nuovo mondo popolato dagli altri individui che formano la società.


Invece è troppo facile per gli adulti giudicare questa fase dello sviluppo attraverso il filtro degli stereotipi: “«Cosa? Gli adolescenti hanno un cervello?» Spesso sentiamo deridere così quest’età. Forse parte del motivo è che a volte gli adolescenti si comportano diversamente dagli adulti. Alcuni corrono rischi. Una ricompensa li motiva. Vanno a letto tardi e si alzano tardi. Si rapportano ai loro amici in modo diverso da noi e si fanno influenzare più facilmente dai loro pari”28. Che cosa succede dentro alla loro testa in questo periodo? Abbiamo visto che c’è uno sfasamento tra i tempi necessari alla maturazione del sistema limbico (emozioni) e quelli necessari allo sviluppo completo della corteccia prefrontale (controllo) che sono più lunghi e come questo sfasamento possa portare a un aumento dell’assunzione di rischi e a una emotività fuori controllo. Ma c’è un’altra conseguenza inaspettata: gli adolescenti possono essere molto creativi perché non è ancora del tutto attivo il loro “censore interno”, quella vocina che sentiamo nella testa che, subdola, ci insinua: “Non funzionerà mai”, “Non sei abbastanza bravo per questo” e altri pensieri scoraggianti.


Per esperienza sappiamo che gli adolescenti sono più inclini degli adulti a seguire comportamenti che promettono una ricompensa. Ma se fino ad adesso questa tendenza era stata collegata soprattutto a un rischio più alto di compiere azioni dannose, uno studio29 fornisce una prova importante del suo ruolo adattativo: preferire atteggiamenti che portano a una gratificazione è collegato a risultati migliori nell’apprendimento e nella memoria e potrebbe, anzi, essere una caratteristica essenziale nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Come ha dichiarato Daphna Shohamy, autrice leader dello studio: “Collegando due stimoli che non sono intrinsecamente connessi, il cervello degli adolescenti potrebbe costruire una comprensione più ricca di ciò che lo circonda, durante una fase importante della vita”.

Infine dai diciotto ai ventiquattro anni: il piano della maturità

Aiutami a fare per te. Siamo ormai al piano dell’ingresso nella vita sociale, in cui ci si mette in funzione all’interno della società. L’adulto vuole mantenersi da solo e perciò cerca l’indipendenza finanziaria. Lo sviluppo dell’essere umano e la costruzione del sé consapevole giungono a compimento. In questa fase avviene la definizione del proprio essere, della percezione dei concetti di giusto e sbagliato e si completa la ricerca del proprio posto nel mondo.


È stupefacente osservare come in questo periodo si alteri la loro sensibilità allo scorrere del tempo. L’interesse e i valori dei giovani adulti sono diretti verso il futuro. Questo è lo stadio innato dell’idealismo, di cui la storia ci offre molti esempi di giovani che erano preparati anche a morire per i loro ideali. Più semplicemente si interessano e vogliono conoscere tutto ciò che riguarda la loro vita futura e sono sempre più interessati allo spazio extraterrestre e al loro universo. In questa fase il tempo stesso crea interesse. Cominciano a vedere come il tempo e lo spazio siano collegati e iniziano a capire che il tempo non è regolare e simile a un orologio come erano soliti pensare30 .


Raggiunta la maturità, dopo quest’ultimo piano di sviluppo c’è poco da aggiungere, ma il cervello continua a modificarsi con l’apprendimento. In un certo senso chi si ferma è perduto. Non fanno parte del nostro studio, ma non dimentichiamo che gli anziani molto spesso hanno una notevole familiarità con la tecnologia digitale e, anzi, imparare nuove nozioni e nuovi strumenti ha un benefico effetto sulla loro salute mentale31.

Un’età per la tecnologia

Ripercorrendo le fasi di sviluppo appena viste possiamo mettere dei paletti e delle guide all’uso della tecnologia.


In linea generale darei in mano la tecnologia ai bambini non prima dei 6-8 anni quando avranno avviato in maniera sempre più attiva lo sviluppo del pensiero astratto e assimilato e integrato le basi della loro personalità. Maria Montessori32 sosteneva con molta chiarezza che i primi sei anni di vita sono il momento in cui i bambini esplorano il mondo che li circonda sviluppando una comprensione del loro ambiente attraverso esperienze concrete, sporcandosi le mani, con oggetti reali e utilizzando i sensi per interiorizzarle creando così i fondamenti della loro intelligenza. Perché non solo l’intelligenza, ma l’intera personalità del bambino dipende dalle esperienze vissute e, come abbiamo visto, Montessori ci tiene a ricordarlo appena dopo aver parlato di tecnologie nella scuola33. Non è la sola, perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se per altri motivi, consiglia le stesse cose34,35. Purtroppo varie ricerche, come quella focalizzata sui bambini svizzeri36, mostrano che attorno al 15% dei bambini con meno di quattro anni d’età già navigano nel Web nonostante queste raccomandazioni e che, in questa fascia d’età, solo due bambini su cento non hanno mai interagito con un display touch.


Regole e linee guida sull’età adatta a entrare in contatto con la tecnologia non mancano. C’è, per esempio, la regola semplice e applicabile da tutti formulata dallo psichiatra infantile Serge Tisseron37 , quella del “3-6-9-12”. Pochissimi o (meglio) niente schermi fino ai tre anni. Niente videogame portatili fino ai sei anni. Niente internet fino ai nove. Sulla rete da soli a partire dai dodici anni e comunque con limiti chiari di orario e controllo parentale. Ci sono poi le regole dell’Organizzazione Mondiale della Sanità38 che per la prima volta si esprime apertamente sulle problematiche legate all’esposizione prolungata agli schermi per quanto riguarda i piccolissimi. Le linee guida che hanno pubblicato indicano il divieto assoluto di restare fermi davanti a uno schermo per i bambini da zero a due anni, mentre dai due ai quattro anni i bimbi non dovrebbero essere mai lasciati per più di un’ora a guardare passivamente lo schermo televisivo o di altro genere, come cellulari e tablet. Non è solo una questione di salute, se si parla di bambini molto piccoli è ancor più importante, perché è una questione di imprinting e molti stili di vita si ritroveranno nell’età adulta, nel bene e nel male.


Assieme all’aspetto legato alle esperienze e all’uso passivo della tecnologia c’è l’aspetto, a mio avviso più importante, dell’acquisizione dell’astrazione, una tappa che avviene non prima dei 6–8 anni. Una recente ricerca dal titolo piuttosto buffo “Ehi Google, va bene se ti mangio?”39 esplora come i bambini reagiscono di fronte a un assistente vocale – Alexa o Google Echo, per esempio – mostrando quanto sia importante l’acquisizione di questa capacità di astrazione. La ricerca mostra che per i bambini sotto ai 10 anni l’idea che un assistente vocale sia una macchina non è chiarissima. I bambini tendono a sovrastimare le capacità delle macchine, perché quando vedono un robot capace di fare calcoli in maniera infinitamente più veloce di loro è facile rimanerne impressionati. I più piccoli potrebbero quindi rischiare di farsi influenzare nei loro comportamenti dai consigli di una macchina tanto quanto si farebbero influenzare dai consigli dei genitori.


Più avanti il discorso cambia, la sete di conoscenza che si manifesta nel secondo piano di sviluppo (6-12 anni) trova un potente alleato nella tecnologia digitale. Lo conferma lo studio citato40 che mostra come nella fascia 10-13 anni il 52% dei giovani svizzeri utilizza pesantemente i motori di ricerca. È anche il periodo adatto per discutere e sperimentare assieme ai figli quelle problematiche, come il comportamento da tenere su un social, che quando saranno adolescenti in piena pubertà e alla mercé degli ormoni non si riusciranno più ad affrontare in maniera costruttiva perché in questa fase della vita non fanno altro che ribellarsi a quel che dicono i genitori.

Un’età per la legge

Dal punto di vista legale in Italia, con un decreto entrato in vigore il 20 settembre 2018, l’età minima per iscriversi a un social o a un servizio di messaggistica è di 14 anni. Sì, c’è una certa confusione su che cosa si può fare tra i 13 e i 14 anni, ma per stare sul sicuro diciamo che l’età minima è 14 anni. Per essere precisi, i genitori che vogliono iscrivere ai social i minori di 14 anni (ma maggiori di 13) devono sapere che sono responsabili per gli eventuali danni creati dai loro figli online. L’art. 97 del Codice Penale recita: “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”, ma esiste quella che in termini penali si chiama “culpa in vigilando” ed è in pratica alla base della responsabilità civile dei genitori. Come sempre succede, fatta la legge, trovato l’inganno. Molti genitori iscrivono i figli a qualche rete sociale truffando sull’età, però scordano le loro possibili responsabilità nei confronti della legge.


Veniamo ai cellulari. È consentita la vendita e l’intestazione di SIM card anche a clienti minorenni che abbiano compiuto almeno otto anni d’età. Basta recarsi presso il negozio di un operatore telefonico con un valido documento di identità ed essere accompagnati da un genitore o tutore. Sul pubblico dei più piccoli è in atto tra gli operatori di telefonia mobile un’autentica guerra di tariffe e servizi pensati per la fascia d’età 8-15 anni. Per convincere i genitori a sottoscrivere i loro servizi i gestori offrono spesso l’installazione sui cellulari per bambini di applicazioni che analizzano i messaggi sulle piattaforme social bloccando i messaggi volgari, violenti o con atti di ciberbullismo. Peccato che per legge i bambini dagli otto ai tredici anni non possano iscriversi ai social o alle App di messaggistica nemmeno col consenso degli adulti.

Pratica!

1. Riconoscere i periodi sensitivi. Osservare i nostri piccoli per capire quando arrivano questi momenti speciali e aiutarli senza distrazioni e senza che la tecnologia interferisca con questi periodi così delicati.


2. Creare occasioni di esperienza pratica. Esperienze pratiche nell’ambiente, non lezioni teoriche con troppe parole. Cucinare assieme, riparare assieme qualcosa, uscire nel bosco o a fare la spesa.


3. Evitare gli schermi fino a 6-8 anni. Non limitarsi a dar loro in mano un computer. Offrire loro qualcosa di interessante da fare: costruire qualcosa, cucinare, leggere.


4. Sollecitare curiosità ed entusiasmo. Rispondere alle domande, visitare musei ed enciclopedie non per insegnare, ma per risvegliare lo scienziato che è in loro.


5. Gettare sementi. Parliamo di tutto con i nostri figli. Non pensare subito che “tanto non lo capirebbe”. Stiamo gettando dei semi che chissà germoglieranno dopo molti anni.


6. Esploriamo l’apprendimento per rinforzo. Quando sono adolescenti non dobbiamo ignorare questo modo di apprendere loro proprio. Pensiamo a quali rinforzi possiamo dare: monetari? Tempo per qualcosa di molto desiderato? O anche solo un complimento sincero?


7. Proponiamo incontri con il mondo del lavoro. Per i più grandi cerchiamo di favorire contatti reali e significativi con il mondo del lavoro. Dalla classica giornata in ufficio alla visita a un’officina ai filmati su YouTube, perché no? Nelle aree di cultura tedesca queste visite e contatti sono già molto presenti nei programmi scolastici. Poi, se ci fosse l’occasione per un “lavoretto”, prenderla al volo. Lo so che oggi diventa quasi impossibile fra tutele e sicurezze.

Le tecnologie digitali in famiglia
Le tecnologie digitali in famiglia
Mario Valle
Nemiche o alleate? Un approccio Montessori.Come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato dei dispositivi tecnologici? Il mondo dei nostri figli è dominato dalla tecnologia: tablet, smartphone e computer costituiscono ormai parte integrante della loro vita; compito di noi genitori è quello di “prepararli al futuro” e educarli all’uso delle nuove tecnologie. Ma come?Mario Valle, esperto di supercomputer, nel libro Le tecnologie digitali in famiglia si rifà al pensiero di Maria Montessori (grande ammiratrice delle tecnologie del suo tempo e profonda conoscitrice della mente del bambino) per provare a delineare questo futuro: come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato di questi dispositivi?Non si tratta, quindi, di demonizzare o idolatrare la tecnologia, ma di analizzare il presente per prepararsi al futuro. A questo punto si impone una riflessione: la civiltà ha dato all’uomo, per mezzo delle macchine, un potere molto superiore a quello che gli era proprio ma, perché l’opera della civiltà si sviluppi, bisogna anche che l’uomo si sviluppi. Il male che affligge la nostra epoca viene dallo squilibrio originato dalla differenza di ritmo secondo il quale si sono evoluti l’uomo e la macchina: la macchina è andata avanti con grande velocità mentre l’uomo è rimasto indietro. Così l’uomo vive sotto la dipendenza della macchina, mentre dovrebbe essere lui a dominarla.Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.