Il loro cervello è diverso dal nostro?
Molto è cambiato dai tempi di Maria Montessori, non foss’altro perché la tecnologia digitale oggi è parte integrante del mondo dei bambini. Per questo non manca chi si domanda se il cervello dei giovani non sia forse differente dal nostro e c’è chi decisamente non si ferma qui. Per taluni autori sta addirittura emergendo un nuovo tipo di umano perché dalle loro analisi e interpretazioni i bambini e i giovani di oggi risultano radicalmente differenti da noi, come se, appunto, si trattasse di una nuova specie umana. In particolare Noemi Paymal2
interpreta queste differenze alla luce delle sue convinzioni a priori, invece di analizzare che cosa sia effettivamente cambiato rispetto ai bambini che li hanno preceduti. In maniera simile Giuseppe Longo3 sostiene che l’uso precoce dei dispositivi digitali ha generato connessioni nel cervello differenti da quelle presenti nei giovani abituati a leggere e a comunicare attraverso il linguaggio del corpo – e questo è corretto – ma poi si spinge più in là dichiarando che questi cambiamenti li rendono un tipo differente di umano.
Posizioni così radicali non hanno però basi scientifiche. I bambini, nonostante i cambiamenti esteriori, sono gli stessi di quelli di cento anni fa, quelli con cui lavorava Maria Montessori, perché il cervello non ha fatto in tempo a evolvere per adattarsi ai ritmi e alle esigenze del mondo tecnologico di oggi. Teniamo presente che il primo iPhone viene presentato solo a metà 2007 ed è evidente che in questi pochi anni a malapena fanno in tempo a evolvere i batteri. Andando indietro nel tempo, non possiamo negare che anche l’invenzione della scrittura in Mesopotamia sia recente, poiché risale a circa cinquemila anni fa. A quel tempo, per riuscire in questo nuovo compito così differente da tutto quanto sapeva già fare, il cervello umano non ha creato nuovi circuiti, ma ha formato sofisticate connessioni fra strutture neurali originariamente utilizzate per altri processi, come il riconoscimento delle forme o la comprensione del parlato. Il neuroscienziato Stanislas Dehaene4
chiama questa strategia “riciclo neurale”, una strategia che anche oggi il cervello di ogni bambino deve adottare all’inizio della scuola per imparare a leggere e scrivere. In maniera simile all’acquisizione del linguaggio scritto, non c’è dubbio che qualche tipo di cambiamento sia avvenuto nel cervello dei nostri giovani. È certo che la società odierna abbia modificato le loro abilità cognitive spingendole verso un’intelligenza più utilitaristica, più veloce anche se meno concentrata e analitica. In un certo senso i nostri bambini stanno “evolvendo” verso un’intelligenza fluida5
più adatta a estrarre un significato dalla confusione di informazioni che li bombardano. A parte questo, uno studio intrapreso dal “Gesell Institute of Child Development”6
, in cui si confrontavano i risultati di studi identici portati avanti sin dal 19257,8,9
, conferma che i bambini non sono cambiati e che non c’è stata nessuna mutazione evolutiva del loro cervello.
Non è un’evoluzione del cervello, quindi, ma è certo che questo si modifica con l’esercizio, se no ogni apprendimento sarebbe impossibile. Un buon esempio ce lo dà chi sta imparando a suonare il piano. Man mano che il soggetto si esercita, le aree della corteccia cerebrale preposte al controllo delle dita si ingrandiscono e la materia bianca che isola le connessioni tra neuroni si inspessisce aumentandone la velocità di trasmissione10
. Allo stesso modo l’uso di uno smartphone o di un tablet, con il rapido e frequente movimento delle dita sullo schermo, modifica il cervello nella stessa maniera11
. Ancora una volta stiamo parlando di apprendimento e non di evoluzione o mutazione del cervello.
Nonostante tutti gli argomenti che negano un’evoluzione del cervello, una prova spesso citata a favore è l’effetto Flynn, l’aumento del quoziente intellettivo (QI) medio della popolazione, osservato da James Flynn nel corso degli anni, con una crescita attorno ai tre punti per ogni decennio12
. È un effetto che è stato molto criticato per una serie di incongruenze, come del resto è messo in dubbio il concetto stesso di QI, ma è palese che una tale crescita sia dovuta a una maggiore capacità di risolvere problemi logici e astratti, frequenti nell’ambiente sociale e culturale odierno.
Dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, l’effetto si sta, però, invertendo, come ha scoperto uno studio del 200813
e, ancor peggio, negli stessi anni si è avuto un crollo della creatività14
, per lo meno negli Stati Uniti. Senza indulgere a scenari apocalittici, uno studio recente15
dimostra che questi aumenti e diminuzioni del QI e in definitiva l’effetto Flynn, sono dovuti a normali effetti di apprendimento. Per questo motivo basta una maggiore esposizione ai media oppure un minor tempo che i genitori spendono a casa con i propri figli per spiegare questi cambiamenti positivi o negativi ed escludere una qualche forma di evoluzione del cervello dei nostri giovani.
Da tutto questo che ne deduciamo? Sentiamo quello che rispose Renilde Montessori, la nipote di Maria, quando venne intervistata da Daniele Novara16
: “Molti genitori fanno la stessa domanda, cioè chiedono se i «giocattoli utili» inventati da Maria Montessori all’inizio del secolo non siano un po’ antiquati, a confronto con i progressi che la specie umana sembra aver compiuto da allora. La risposta è no. I materiali e i giocattoli sono il frutto di scelte compiute dai bambini con cui Maria ha lavorato per cinquant’anni, e i bambini non sono cambiati. È molto difficile spiegare ai genitori che la specie umana è immutata da migliaia di anni, e che il bambino universale non cambia, malgrado i cambiamenti esteriori”. Possiamo, perciò, partire da questo “bambino universale” e farci aiutare dalle idee di Maria Montessori per capire come il loro cervello agisce e risponde alle sollecitazioni della nostra civiltà tecnologica.