CAPITOLO 11

Tecnologia e salute

Oggi la mania di cercare sintomi o un consiglio medico in rete crea grossi problemi a una diagnosi medica seria. Non c’è quindi da sorprendersi che abbia fatto sensazione un cartello comparso all’Istituto dei Tumori di Milano verso la fine del 2017: “Coloro che si sono già diagnosticati da soli tramite Google, ma desiderano un secondo parere, per cortesia controllino su yahoo.com”. Certo, l’importanza dell’accesso alle informazioni online, anche a quelle riguardanti la salute, sicuramente non può essere messo in discussione. Ciò che è discutibile è invece l’uso che si fa delle nozioni così acquisite. Soprattutto in questo campo, in cui ne va di mezzo la nostra salute, serve una consapevolezza attenta riguardo alla cultura della rete, serve comprendere che, se anche si possiedono conoscenze mediche e anche se riteniamo che la fonte delle informazioni sia assolutamente affidabile, il ricorso ai professionisti è imprescindibile, non foss’altro per adattare l’informazione generica ricuperata in rete al caso clinico specifico.


In questo breve capitolo non mi sostituirò quindi ai professionisti medici, voglio solo ricordare alcuni effetti della tecnologia sulla salute dei nostri giovani in modo che possiamo vigilare. Se vogliamo un’analisi più approfondita, in rete le informazioni non mancano, come, per esempio, il documento della Società Italiana di Pediatria1 sui bambini in età prescolare e i dispositivi elettronici. Ribadisco quanto già detto: queste risorse vanno bene come linee guida, non vanno bene per fare una diagnosi in proprio.

Il sonno

Una ricerca condotta ad Amsterdam ha analizzato le conseguenze di un utilizzo eccessivo dei dispositivi digitali prima di andare a dormire, in particolare nei giovani e in particolare in riferimento alla qualità del sonno2 . Secondo lo studio i giovani che passano quattro ore o più a contatto oculare diretto con il proprio cellulare finiscono per addormentarsi circa mezz’ora dopo i loro coetanei che davanti a quel cellulare rimangono appena un’ora. Non è tutto, nei più dipendenti dall’uso degli smartphone si sono riscontrate lunghe pause nella fase REM del sonno e innumerevoli segnali di mancanza di riposo durante il giorno successivo.


Non tutti sono d’accordo con i risultati di questo studio, citando soprattutto problemi metodologici piuttosto che sostanziali, ma le conclusioni sono allineate alla nostra intuizione. Quello che possiamo fare quindi è insegnare ai nostri giovani a staccarsi dallo smartphone prima di andare a dormire. Vogliamo terrorizzare? Sono stati segnalati vari casi con esito infausto di esplosioni della batteria del telefono tenuto sotto il cuscino. Non c’è modo di verificare se sono successe veramente, ma sono plausibili. E poi, perché ci dovrebbe chiamare qualcuno di notte? Mia nonna diceva che se squilla il telefono quando sei a letto è solo per annunciare la morte di qualcuno e i morti non hanno fretta. Sì, certo, ci sono anche usi legittimi, come usare la sveglia del telefono, ma dobbiamo valutare la comodità rispetto alla dipendenza.


Un altro problema è dato dalla luce blu emanata dallo schermo che interferisce con i segnali che arrivano all’encefalo riguardo ai cicli notte-giorno e ai momenti del risveglio e del prendere sonno. La causa di tutto ciò è una proteina prodotta all’interno della retina dell’occhio chiamata melanopsina che è in grado di misurare l’intensità della luce incidente e quindi di comprendere se sia giorno o notte. Questa proteina è sensibile a una ristretta banda di luci blu e, guarda caso, proprio qui cade la luce prodotta in maggior quantità dagli schermi. La conseguenza è che la luce proveniente dallo schermo inganna il cervello facendogli credere che è ancora giorno rendendo così difficile l’addormentarsi.


Questo problema è facilmente risolvibile impostando il “filtro luce blu” offerto da tanti smartphone o utilizzando una delle applicazioni che in maniera più sofisticata fanno le stesse cose, per esempio l’App Twilight3 per Android. I sistemi operativi per laptop e PC offrono già di default il passaggio a un’illuminazione notturna, ma è meno probabile vengano utilizzati a letto.

Ricapitolando, stabiliamo un periodo “demilitarizzato” prima di andare a letto in cui non si usano i dispositivi digitali o la televisione e cerchiamo di rispettarlo noi per primi.

La vista

L’occhio di fronte a uno schermo sbatte le palpebre più raramente ed è la secchezza oculare il primo problema derivante da un’esposizione prolungata agli schermi. A peggiorare la situazione c’è la luminosità eccessiva a cui spesso vengono regolati e la brutta abitudine di guardare lo schermo al buio. Tutto questo non fa certamente bene agli occhi perché li sforza eccessivamente e non fa bene soprattutto a chi è ancora in una fase di sviluppo. Per questi giovani gli schermi celano un’altra insidia. Il bambino dovrebbe avere la possibilità di mettere a fuoco oggetti a distanze differenti fino agli otto anni perché questo è un periodo critico per lo sviluppo delle capacità visive innate e soprattutto per l’acquisizione della visione stereoscopica4 .


Che cosa possiamo fare per combattere questi due problemi? Per aiutare l’occhio secco si possono utilizzare le lacrime artificiali, ma per un bambino questa mi sembra la soluzione sbagliata, meglio educarlo a prendersi delle pause e a non stare davanti agli schermi per troppo tempo di seguito. Anche un esercizio per la convergenza degli occhi da fare ogni venti-trenta minuti aiuta. Questo esercizio consiste nell’alzare lo sguardo dallo schermo e spostarlo su un oggetto piccolo posto a 5-6 metri di distanza.


Non vorrei gettare benzina sul fuoco, ma i videogiochi d’azione sono stati utilizzati per la riabilitazione di pazienti affetti da ambliopia, un deficit della vista del periodo dello sviluppo chiamato anche “sindrome dell’occhio pigro”5 . Ne è affetto il 5% dei bambini, ma serve una visita specialistica per riconoscere se vostro figlio rientra in questo gruppo.


In conclusione, direi che prima di considerare i problemi medici guardiamo ai problemi educativi. Mettere paletti e regole è nostro compito, prima di arrivare a problemi di vista che i figli si porteranno dietro tutta la vita.

La postura

Sono ben conosciuti gli effetti insani di una vita sedentaria, come l’obesità, a cui ora si aggiungono i problemi al collo dovuti all’uso dello smartphone: la testa che casca in avanti e le spalle che si piegano. Il problema è che questa postura interferisce con la respirazione6 e può portare a una condizione che viene chiamata “collo tecnologico” (tech neck) in cui i muscoli posteriori del collo vengono sollecitati molto al di sopra del normale. La conseguenza inaspettata è che i giovani si abituano a camminare guardando a terra anche quando non hanno uno schermo tra le mani, rendendo difficile così l’attenzione al mondo intorno a loro e i rapporti interpersonali perché come fanno a guardare gli altri negli occhi se hanno la testa rivolta alle scarpe?


Dell’importanza del movimento abbiamo già parlato, nello specifico invece possiamo insegnare a tenere il dispositivo a livello degli occhi, a guardare in basso con gli occhi e non con la testa, a fare una pausa di tre minuti ogni 15-20 minuti trascorsi sul dispositivo e soprattutto a essere consapevoli – anche qui! – della propria postura quando si utilizzano dispositivi digitali.


Per il discorso più ampio della sedentarietà che porta anche i bambini a essere obesi, basterebbe un po’ di buonsenso, i suggerimenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità7 e quelli del proprio pediatra.

Disturbi comportamentali

È un campo molto complesso, ma tutti gli studi concordano sui problemi generati dal troppo tempo passato di fronte a uno schermo da parte di bambini piccoli e in particolare sul pericolo che questi corrono di sviluppare il disturbo da deficit d’attenzione (ADHD). Una di queste ricerche, pubblicata dall’Università dell’Alberta in Canada8 , sostiene che basterebbero appena due ore al giorno davanti a uno schermo perché aumenti la possibilità che i più piccoli soffrano di problemi comportamentali. In particolare, secondo gli scienziati canadesi, sono i bambini sotto i cinque anni a rischiare di più, addirittura cinque volte di più rispetto a chi di fronte allo schermo ci sta meno di trenta minuti al giorno. Simili allarmi li ha lanciati la Società Italiana di Pediatria9 .


L’uso diffuso di tecnologie digitali da parte dei giovani ha instillato l’idea che il loro uso regolare abbia un impatto negativo sul loro benessere psicologico, anzi, che sfoci necessariamente nella depressione. Studi recenti10,11 hanno però dimostrato che la correlazione tra uso della tecnologia digitale e il benessere degli adolescenti c’è ma è piccola, spiegando nemmeno mezzo punto percentuale della variazione di benessere. Insomma, un effetto c’è, ma è troppo piccolo per giustificare interventi mirati.


Per i più grandi non ci sono solo problemi legati alle tecnologie, ci sono tutte le richieste della nostra società che è molto più complicata ed esigente di quella in cui siamo cresciuti noi. Lo sintetizza Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute per la Svizzera Italiana: “Ai nostri ragazzi la società chiede elasticità, competitività, capacità di reinventarsi. Tutto questo in parallelo genera stress, pressione, aspettative eccessive. Non tutti i giovani sono in grado di reggere questi ritmi”. Un altro appello per puntare a rafforzare la personalità dei nostri figli prima ancora di preoccuparsi delle tecnologie o di un qualche futuro.

La dipendenza dai videogiochi

Un caso limite riguarda la dipendenza da videogiochi in cui il giovane perde il controllo sul gioco, a cui viene data priorità a scapito di altri interessi di vita e attività quotidiane.


L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ufficialmente riconosciuto il “Disturbo del gioco, prevalentemente online” come una malattia e perciò lo ha incluso nell’undicesima revisione del suo classificatore delle patologie, il corposo e autorevole “International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems” (ICD-11) a fianco del “disturbo del gioco d’azzardo”, entrambi classificati come “disturbi dovuti a comportamenti di dipendenza”12 .


Nello sfortunato caso che si arrivasse a questo punto, credo sia importante ripensare a cosa si è trascurato nel lavoro educativo, perché non è una condizione che nasce dall’oggi al domani – l’OMS parla di almeno dodici mesi perché si possa diagnosticarlo con sicurezza – ed è fondamentale rivolgersi subito a uno specialista. Vietare il gioco e basta, a questo punto della malattia, non credo serva a nulla se non a peggiorare le cose. Puntualizziamo e ripetiamo però una cosa e cioè che i videogiochi non sono da condannare in blocco. Quello che è da condannare e correggere è la carenza di attenzione all’educazione dei figli in questo campo.


Una nota di colore in una problematica di per sé seria l’ha data l’industria dei videogiochi che si è opposta all’inclusione nella lista dei disturbi dei problemi generati dai videogame sostenendo che le prove a favore rimangono altamente contestate e inconcludenti e che questa inclusione creerebbe implicazioni ingiustificate per i sistemi sanitari nazionali in tutto il mondo. Mi sembra invece che fossero preoccupati solamente del loro business.

Hikikomori: stare in disparte, isolarsi

Avremo sicuramente sentito parlare dell’inquietante fenomeno del Hikikomori, termine giapponese usato per riferirsi a quegli adolescenti che non vogliono uscire dalla loro camera per mesi, a volte anche per anni e che sono completamente dipendenti dalla connessione internet. È un fenomeno di disagio che nasce in Giappone, ma sta dilagando anche alle nostre latitudini. Le stime parlano di trentamila casi ma potrebbero essere di più. Non è un fenomeno specifico dei ragazzi perché tentativi di fuga nel ciberspazio sono compiuti anche da donne e uomini demoralizzati o delusi. Costoro si creano una falsa identità più gratificante di quella che devono offrire ogni giorno alla famiglia e al prossimo e finché sono connessi dimenticano le loro frustrazioni.


Per lo psicoterapeuta Antonio Piotti13 la causa di questa autoreclusione è la vergogna: “Si vive come un fallimento la distanza tra il mondo che si è immaginato e previsto per sé e quella che invece è la realtà: tanto più grande è la distanza tra la realtà che si era idealizzata e quella vera, tanto più grande sarà la vergogna che si prova”. Anche qui la tecnologia è una conseguenza, non la causa. Fra le cause possiamo invece annoverare la competizione che ci viene instillata già a scuola, la paura del rifiuto da parte di persone dell’altro sesso esasperata dai modelli di vita e di successo che ci propina la pubblicità e il confronto e le aspettative che arrivano, spesso, attraverso i genitori. E allora il problema più che tecnologico è ancora una volta educativo e si può prevenire cercando di trasmettere quei valori che vogliamo i nostri giovani incarnino non attraverso lezioni teoriche, ma nella pratica.

Smartphone e cervello

Un motivo in più per non dare a cuor leggero lo smartphone ai nostri piccoli ce lo offre uno studio, ammetto un po’ vecchiotto, che mostra come le microonde generate da un telefonino appoggiato all’orecchio penetrino nel cervello riscaldandolo14 . Nulla di preoccupante in un adulto o in un adolescente, ma il discorso cambia per i piccoli in cui, a causa del cervello più piccolo, il riscaldamento si estende a buona parte dei suoi tessuti e si attiva il sistema naturale di termoregolazione del loro organismo. Quando queste esposizioni sono prolungate possono comportare la morte delle cellule perché il sistema di regolazione non ce la fa ad abbassarne la temperatura. Oltre a questo meccanismo ovvio, non è ancora chiaro l’effetto di questo fenomeno su un cervello in crescita.

Famiglie con bambini speciali

In queste famiglie il discorso degli effetti della tecnologia sulla salute cambia radicalmente, perché la tecnologia può dare un aiuto immenso a questi bambini e ragazzi.


Per chi si occupa di disabilità esistono tre tipologie di tecnologia digitale15 : quelle standard, che tutti noi utilizziamo nella nostra quotidianità; quelle assistive, che sono dispositivi adattivi che permettono alle persone con bisogni speciali di accedere a diversi prodotti e servizi tecnici; infine le tecnologie compensative, che sollevano queste persone da una prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo.


Le tecnologie di cui parliamo coprono un amplissimo spettro che comprende non solo software, tablet o PC, ma soprattutto una serie di dispositivi hardware specializzati come tastiere personalizzate, sistemi di riconoscimento vocale, schermi in braille e sistemi di sottotitolazione per la TV.


Che tecnologie considerare, come impiegarle e a quali aspetti porre attenzione lo lascio agli esperti.

Pratica!

1. Rivolgersi agli specialisti. Non fare diagnosi in proprio e insegnare a non prendere l’abitudine di fidarsi sempre e comunque delle diagnosi online. In ogni caso non diventare assillanti, non qualsiasi manifestazione fuori dal (nostro) ordinario è segno di un problema di salute dei figli.


2. Diversificare i tempi. Non vietare, ma limitare i tempi di uso e aggiungere del movimento ed esercizio fisico.


3. Salvaguardare il sonno. Forse il punto più importante. Iniziamo noi per primi a non portare a letto lo smartphone ed esigiamolo dai nostri figli.

Le tecnologie digitali in famiglia
Le tecnologie digitali in famiglia
Mario Valle
Nemiche o alleate? Un approccio Montessori.Come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato dei dispositivi tecnologici? Il mondo dei nostri figli è dominato dalla tecnologia: tablet, smartphone e computer costituiscono ormai parte integrante della loro vita; compito di noi genitori è quello di “prepararli al futuro” e educarli all’uso delle nuove tecnologie. Ma come?Mario Valle, esperto di supercomputer, nel libro Le tecnologie digitali in famiglia si rifà al pensiero di Maria Montessori (grande ammiratrice delle tecnologie del suo tempo e profonda conoscitrice della mente del bambino) per provare a delineare questo futuro: come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato di questi dispositivi?Non si tratta, quindi, di demonizzare o idolatrare la tecnologia, ma di analizzare il presente per prepararsi al futuro. A questo punto si impone una riflessione: la civiltà ha dato all’uomo, per mezzo delle macchine, un potere molto superiore a quello che gli era proprio ma, perché l’opera della civiltà si sviluppi, bisogna anche che l’uomo si sviluppi. Il male che affligge la nostra epoca viene dallo squilibrio originato dalla differenza di ritmo secondo il quale si sono evoluti l’uomo e la macchina: la macchina è andata avanti con grande velocità mentre l’uomo è rimasto indietro. Così l’uomo vive sotto la dipendenza della macchina, mentre dovrebbe essere lui a dominarla.Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.