CAPITOLO 10

Giochi e videogiochi

I videogiochi meriterebbero un libro a parte per la quantità di studi a favore o contro il loro uso. La nostra esperienza di genitori invece si limita a vedere i nostri figli concentrati su un dispositivo digitale, impossibilitati a staccarsi dal proprio videogioco e incuranti di qualsiasi stimolo esterno e di qualsiasi altra possibilità di divertimento. Di conseguenza temiamo che questo legame si trasformi in una sorta di dipendenza e che li isoli dai propri compagni.


Intendiamoci: il problema non sta nell’uso del videogioco in sé, ma nell’abuso che troppo spesso i ragazzi ne fanno e che noi accettiamo senza intervenire. Però non demonizziamoli per partito preso. Certo, giocare in maniera compulsiva può portare a disturbi mentali e può isolare i ragazzi dal mondo esterno, ma d’altra parte lo stesso problema lo hanno i lettori ingordi e i consumatori di serie televisive. Di questi problemi estremi ne parleremo nel prossimo capitolo. Proviamo invece a capire un po’ meglio questo mondo. C’è da dire che molti adulti, soprattutto quelli un “poco” più adulti, non vi si ritrovano perché manca loro l’esperienza oppure perché hanno provato a giocare con un qualche videogioco con risultati deludenti. Non vi racconterò dei miei tentativi di giocare a Flight Simulator1 , molti ma molti anni fa. Mi avevano catturato le ambientazioni, così realistiche per l’epoca. Il risultato è che non sono mai riuscito nemmeno a decollare senza schiantarmi subito a terra e così è terminata sul nascere la mia carriera di videogiocatore.


Proviamo ad analizzare i videogiochi chiedendo aiuto alle neuroscienze. Chi fa ricerca in questo campo si lamenta che i probabili effetti negativi dei videogiochi sono ben discussi nei media, ma gli effetti positivi sono quasi completamente trascurati. Un gruppo di ricerca attivo già da molti anni in questo ambito è quello di Daphné Bavelier dell’Università di Ginevra che, mentre studiava la plasticità cerebrale, in maniera fortuita aveva scoperto che un videogioco, il cui obiettivo era avere la meglio su zombie, alieni e mostri, provocava miglioramenti sorprendenti nell’abilità cognitiva che stavano studiando. Così hanno iniziato a studiare i videogiochi d’azione, mostrando come questi migliorino la flessibilità del cervello e come la violenza che generano dipenda da ben altro che il gioco2,3,4 . Non solo, hanno verificato che i giovani che giocano regolarmente con videogiochi simili – i cosiddetti sparatutto – hanno una maggiore capacità di attenzione rispetto ai loro coetanei che ricorrono a giochi più tranquilli come The Sims o Tetris. I giochi d’azione migliorano anche la percezione dei dettagli visivi e rendono più precisi nell’orientamento spaziale. Inoltre, giocare regolarmente migliora la capacità di reagire a eventi dallo svolgimento rapido e affina le capacità di prendere decisioni corrette sotto pressione. Uno studio5 ha rivelato poi che i chirurghi che operano in laparoscopia e sono anche appassionati di videogiochi – li chiamano “chirurghi Nintendo” – completano gli interventi più rapidamente e con più efficienza, pur conservando la necessaria precisione in sala operatoria.


Scendendo al nostro livello, quali benefici può portare un sano uso dei videogiochi? Il primo aspetto importante è l’interazione attiva che i videogiochi promuovono e che fa sì che il cervello sia attivamente impegnato. Questo li pone in un’altra dimensione rispetto alla TV o al guardare passivamente filmati su YouTube. I videogiochi, poi, possono aiutare a gestire le emozioni fornendo un’arena protetta in cui il giocatore può tranquillamente esercitarsi a controllare o modulare le emozioni negative. In effetti, rivalutare la propria situazione per trovare una soluzione a un problema specifico sembra essere al centro di molti videogiochi ed è un’abilità particolarmente utile che i giocatori possono trasferire al mondo reale. Infine, che siano competitivi o cooperativi, i videogiochi sono un mezzo che consente agli estranei di lavorare insieme e di collegarsi attraverso barriere linguistiche, differenze culturali, divari generazionali e divisioni socioeconomiche. Per questo i giochi multiplayer online, sebbene possano sembrare superficiali e frivoli, promuovono lo spirito di cooperazione e offrono ai giovani l’opportunità di esercitarsi nell’impegno, nella comprensione e nell’empatia digitale.


Come in ogni campo, questi benefici si manifesteranno se i videogiochi vengono utilizzati in maniera equilibrata. Perché ciò avvenga la prima cosa che possiamo fare è essere genuinamente interessati a quel che fanno i nostri figli in questo campo e magari giocare con loro. Specialmente i più piccoli hanno bisogno che i genitori li aiutino a dare un senso alle loro esperienze digitali, per cui dimostriamoci interessati ai giochi che li appassionano, facciamo domande e discutiamo con loro. Meglio ancora se lasciamo che nostro figlio ci mostri i suoi videogiochi preferiti e ci insegni come giocare. Del resto è qualcosa in cui sono molto più abili di noi e li riempie di orgoglio poter insegnare qualcosa a mamma e papà.


La vera sfida per un genitore non sta nel proibire categoricamente i videogiochi ma nello spingere il proprio figlio a bilanciare i propri passatempi, a saper dedicare tempi diversi ad attività diverse e a essere consapevole dell’importanza del tempo che ha a disposizione. La velocità dell’azione, il rapido susseguirsi di situazioni diverse, il divertimento o la suspense generati dall’intreccio narrativo, il realismo o il fascino delle ambientazioni catturano con estrema facilità l’attenzione, specialmente dei più piccoli, spingendoli a dimenticare o ad accantonare tutto il resto. Per questo, i divieti, gli imperativi e i “metodi polizieschi”, come staccare la spina dello schermo, rimuovere i giochi dal computer di casa e simili, non sono particolarmente indicati, in quanto il loro primo effetto non è di distogliere l’attenzione del bambino dal gioco, ma di farlo sentire frustrato. Percependosi come vittima di un’ingiustizia, approfitterà di tutte le occasioni possibili per coltivare “di nascosto” la propria passione per i videogiochi, escogitando anche qualche sotterfugio e imparando ben presto ad aggirare gli ostacoli.

Pratica!

1. Gioca a un videogioco insieme a tuo figlio. Qualunque sia il tuo giudizio sul gioco, avrai dimostrato a tuo figlio che sei aperto alle novità e che non hai preclusioni nei confronti del suo mondo e delle sue scelte. In poche parole, gli starai offrendo un esempio da seguire e sarai più credibile quando gli chiederai di non trascorrere tutto il tempo con i videogiochi e di dedicarsi anche ad altre attività.


2. Prendi nota del tempo trascorso davanti ai videogiochi. Basta una settimana di raccolta dati. Alla fine disegna un piccolo grafico o una qualche rappresentazione grafica a partire da queste registrazioni, per offrire a tuo figlio un’immagine immediatamente comprensibile del tempo che ha speso davanti allo schermo. In questo modo lo aiuterai a quantificare il tempo che spende giocando e avrai dei numeri oggettivi a sostegno delle tue recriminazioni sul trascorrere troppe ore sui videogiochi.


3. Intraprendi con tuo figlio un progetto a lungo termine di sua scelta. I bambini non sono abituati a pensare o ad agire sul lungo periodo, ma scelgono sempre attività che offrono risultati, divertimento e gratificazioni immediate come, per l’appunto, i videogiochi. Provate allora a coinvolgerli in un progetto di lunga durata che sia coerente con il loro carattere e che possa solleticare la loro curiosità. L’obiettivo è anche quello di far comprendere al bambino o ragazzo che il tempo speso a giocare gli impedisce di fare qualcos’altro e che questo “qualcos’altro” potrebbe essere piacevole, appagante e divertente anche più di un videogioco.


4. Riconosci i risultati ottenuti nelle attività “sostitutive” ai videogiochi. I bambini amano essere gratificati: ecco uno dei motivi del successo dei videogiochi, che il più delle volte offrono riconoscimenti immediati. Per questo, quando vostro figlio si impegna in attività diverse dal videogioco, ricordatevi sempre di riconoscere e lodare il suo impegno e sottolineate i suoi risultati, in modo che sia stimolato a perfezionare e migliorare le sue performance.

Le tecnologie digitali in famiglia
Le tecnologie digitali in famiglia
Mario Valle
Nemiche o alleate? Un approccio Montessori.Come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato dei dispositivi tecnologici? Il mondo dei nostri figli è dominato dalla tecnologia: tablet, smartphone e computer costituiscono ormai parte integrante della loro vita; compito di noi genitori è quello di “prepararli al futuro” e educarli all’uso delle nuove tecnologie. Ma come?Mario Valle, esperto di supercomputer, nel libro Le tecnologie digitali in famiglia si rifà al pensiero di Maria Montessori (grande ammiratrice delle tecnologie del suo tempo e profonda conoscitrice della mente del bambino) per provare a delineare questo futuro: come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato di questi dispositivi?Non si tratta, quindi, di demonizzare o idolatrare la tecnologia, ma di analizzare il presente per prepararsi al futuro. A questo punto si impone una riflessione: la civiltà ha dato all’uomo, per mezzo delle macchine, un potere molto superiore a quello che gli era proprio ma, perché l’opera della civiltà si sviluppi, bisogna anche che l’uomo si sviluppi. Il male che affligge la nostra epoca viene dallo squilibrio originato dalla differenza di ritmo secondo il quale si sono evoluti l’uomo e la macchina: la macchina è andata avanti con grande velocità mentre l’uomo è rimasto indietro. Così l’uomo vive sotto la dipendenza della macchina, mentre dovrebbe essere lui a dominarla.Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.