CAPITOLO 8

Immagini, immaginazione e creatività

La nostra è una società fortemente basata sulle immagini e i nostri giovani preferiscono sempre più i filmati di YouTube e le immagini di Instagram alle parole e ai libri. Ma perché le immagini hanno questo potere così straordinario di catturare l’attenzione? È una questione che risale alla notte dei tempi, quando era vitale per sopravvivere individuare i predatori distinguendo a colpo d’occhio le ombre degli arbusti dalle macchie del manto di un felino. Oggi non dobbiamo più sfuggire questi pericoli, ma ci è rimasta questa potente capacità di cogliere istantaneamente, con un solo sguardo, strutture, schemi e regolarità attorno a noi senza sforzo e soprattutto senza doverci pensare consciamente. Così, attraverso questo canale, la comunicazione e la comprensione divengono immediate e non devono passare attraverso una fase di elaborazione razionale, come invece ha bisogno la comunicazione verbale. Pensate, per esempio, all’esperienza comune di guardare la foto di un monumento o leggerne la descrizione su una guida turistica. Nel primo caso cogliamo l’opera nel suo complesso con tanti particolari magari omessi per brevità nel testo scritto. Certo, una foto da sola non ci dice che quel palazzo è del tale secolo, ma ci aiuta a collocarlo nel contesto di quella zona della città e a legarlo assieme alle altre mete che vogliamo visitare.


Al CSCS usiamo immagini e modelli tridimensionali per comprendere i dati prodotti in quantità dai nostri supercomputer. Vediamo il perché. Una tabella può mostrare una serie di numeri con grande precisione, ma guardandola è difficile rispondere a una qualsiasi domanda che vada oltre il trovare il minimo e il massimo valore. Se invece li rappresentiamo in forma visiva, se, per esempio, li visualizziamo sotto forma di un grafico, cogliamo subito correlazioni, regolarità, tendenze e divengono rapidamente visibili gli outlier, i valori anomali. Con l’aiuto della vista possiamo quindi trasformare meri fatti rappresentati dai numeri in informazione su cui possiamo ragionare. Per avere un’idea della potenza che la visualizzazione dei dati ci mette a disposizione, lasciatevi affascinare dalle statistiche sullo stato del mondo, grafiche e animate, di Hans Rosling1 . Guardare le sue presentazioni – niente scuse, hanno i sottotitoli in italiano – è come ricevere un’iniezione di adrenalina. Per trasmetterci il suo messaggio, Rosling utilizza sia strumenti digitali, sia corde e scatole dell’IKEA. Non importa il mezzo tecnologico, importa rendere numeri e proiezioni statistiche qualcosa che possa entrare attraverso gli occhi.

Using Vision to Think”, usare la vista per pensare, recita il sottotitolo di un fondamentale libro sulla visualizzazione delle informazioni2 . Le immagini, oltre a essere essenziali per la comprensione dei dati scientifici, possono essere utilizzate per comprendere e riassumere un testo, per organizzare le conoscenze e per aiutare la nascita di nuove idee, in definitiva per pensare. Guardate la tecnica delle MindMap che ho citato già molte volte. Tutti gli elementi che compongono una mappa sono ricchi di colori, linee e immagini, per stimolare, attraverso i nostri meccanismi visivi di riconoscimento di schemi e correlazioni, l’associazione mentale, l’evocazione di memorie e la creatività. Inoltre, una MindMap usa poche parole chiave e non lunghe frasi, così da lasciare spazio a nuove associazioni e a possibili integrazioni e intuizioni. Se poi lasciamo un elemento grafico incompleto, come un ramo senza una parola associata, il nostro cervello si sforzerà di completarlo creando magari qualcosa di nuovo, in altre parole lo aiutiamo a pensare.

Tutto questo dovrebbe tranquillizzarci almeno un po’ quando vediamo i nostri figli sprofondati su Instagram o YouTube. La difficoltà è mettere assieme le loro capacità visive con l’apprendimento e con la sempre più necessaria creatività, senza tralasciare di risvegliare le capacità visive di noi adulti che siamo cresciuti a pane e testi scritti. Abituarci a usare le mappe mentali, o a fare schizzi, o anche solo a scarabocchiare può essere un mezzo molto concreto per allenare la parte visiva nostra e dei nostri figli. Nonostante questo, ci sono alcuni aspetti della cultura dell’immagine che non ci lasciano tranquilli.


Le immagini e il messaggio che trasmettono sono per loro natura unidirezionali e la loro fruizione è troppo spesso passiva. L’esempio più eclatante è la televisione, anche se oggi è scavalcata da YouTube, TikTok e simili mezzi. Il messaggio televisivo ha per fine proprio la passività dell’utente, per mettere a segno il fine propagandistico dei suoi messaggi, non molto diverso dalle pubblicità che ormai costellano ogni filmato di YouTube. Con i nostri figli dobbiamo, quindi, parlare anche di pubblicità, delle tecniche che utilizzano per convincerci a comprare. Dobbiamo insegnare loro a essere consapevoli dei sottili meccanismi di persuasione veicolati dalle immagini.

Se ora allarghiamo l’orizzonte dalla sola comunicazione pubblicitaria alla comunicazione visiva in generale, vediamo che questo è un processo asimmetrico: è facile capire un’immagine, il difficile è crearla. I bambini spendono otto anni per imparare a lavorare con le parole, mentre ne spendono molti meno per una alfabetizzazione visuale, anche perché la scuola relega spesso le capacità visive e grafiche in secondo piano o le incanala in maniera sbagliata. La scuola, ma prima ancora i genitori, dovrebbero invece educare all’uso dei media, non solo tecnologicamente. Si pensi al computer e alla videocamera del cellulare, che sono ormai mezzi di espressione alla portata di tutti, ma che sono utilizzati senza una competenza adeguata sull’uso di questi media. Per Jacques Derrida3 , invece, solo un mondo di produttori, che conoscano ed esercitino la lingua dei media, potrà far nascere una umanità alfabetizzata ai mezzi visivi, poco disposta a lasciarsi impressionare dall’uso che ne fanno i professionisti della persuasione. Come lo scrivere insegna i trucchi della lettura, il testo mediale si capisce producendolo.


Le immagini attirano e polarizzano l’attenzione, ma spesso mentono. Lo sappiamo, ma ci caschiamo lo stesso perché a livello inconscio tendiamo a credere sempre e comunque alle immagini: “L’immagine è bella, perciò è vera” e non c’è testo che tenga per convincerci altrimenti. Più che demonizzarle, però, dovremmo domandarci perché non educhiamo i nostri giovani a guardare, non solo i quadri di grandi artisti, ma anche la pubblicità o le foto enormemente ritoccate delle star. Nel mio campo, molti anni fa, girava un filmato di un sorvolo della superficie di Venere, ottenuto mostrando in 3D i dati acquisiti dalle sonde, in cui le altitudini erano state moltiplicate 22 volte, trasmettendo così un’idea falsata della topografia del pianeta, ma certamente più suggestiva. In un altro caso una frode scientifica è stata scoperta perché dei grafici erano “troppo” perfetti e sospettosamente simili fra loro4 e gli esempi potrebbero continuare.


Senza arrivare a simili livelli di contraffazione delle immagini, dobbiamo pensare che ogni visione è comunque frutto di una selezione. Un fotografo decide che cosa lasciar fuori dalla foto che sta scattando, un pittore decide che cosa enfatizzare. “Qualunque tecnologia, persino gli occhiali, ha le sue distorsioni, e ogni percezione presenta un’intrinseca incompletezza; quello della visione, hanno scoperto gli scienziati, è un balletto tra consumo avido e filtraggio intelligente. Non c’è visione senza selezione”5 . Oltre a questo c’è la contraffazione delle immagini operata dal nostro stesso cervello, in un certo senso per aiutarci. Quante volte abbiamo visto nuvole a forma di elefante o macchie sul muro che sembrano un volto umano? Quante volte il nostro occhio completa un’immagine in maniera totalmente differente dalla realtà? La prima si chiama pareidolia che è l’illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili dalla forma casuale. La seconda deriva da un meccanismo studiato dalla psicologia della Gestalt, secondo il quale il cervello cerca di aiutare la percezione mettendo assieme elementi isolati dando loro una struttura, anche se questa non esiste nella realtà. Proprio per questo l’astronoma protagonista del romanzo Contact6 rimugina su come si riesca a scovare un segnale intelligente proveniente dallo spazio in mezzo al rumore di fondo: “Sapeva che gli uomini sono bravi a percepire tenui schemi che ci sono davvero, ma anche a immaginarli quando sono completamente assenti”. Volgendola in positivo, questo vedere ciò che non c’è “là fuori”, vedere attingendo non dagli occhi, ma dalla memoria, è alla base dell’immaginazione.

L’immaginazione

Sfogliando l’enciclopedia Treccani troviamo che per immaginazione si intende “una particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, soprattutto visiva”. In parole più semplici, l’immaginazione è la capacità di formare immagini mentali non partendo da ciò che esiste attorno a noi, ma da quello che abbiamo immagazzinato in memoria, eventualmente elaborato e ricombinato. Insomma una visione che funziona al contrario, che parte dalla memoria e non dall’occhio e che si serve di almeno alcune delle stesse vie neurali usate dalla percezione visiva, come ha dimostrato negli anni Novanta Stephen Kosslyn7 . Se continuiamo a guardare all’immaginazione col freddo sguardo del neuroscienziato vediamo che questa mostra due aspetti per me sorprendenti.

Il primo aspetto è che si può apprendere anche solo immaginando. Lo ha mostrato un esperimento di Pascual-Leone8 in cui i volontari dovevano imparare un passaggio al pianoforte con la sola mano destra. Il risultato strabiliante è stato che anche in chi ha solo immaginato di farlo si è sviluppata l’area cerebrale che controlla le dita, quasi quanto quella di chi si è esercitato davvero. Il secondo aspetto, che conferma la similitudine fra visione e immaginazione, è che il sistema di navigazione che abbiamo nel cervello, che ci aiuta a muoverci nel mondo9 , funziona anche quando stiamo immaginando qualcosa10 . Anticipare il futuro simulando mentalmente cosa potrebbe accadere è uno dei compiti chiave del cervello in cui il sistema di navigazione gioca un ruolo centrale, perché non solo ci muoviamo in ambienti fisici immaginati, ma mentre pensiamo ci muoviamo fra concetti e idee, come ha scoperto Jacob Bellmund e il suo gruppo11 . Già queste scoperte delle neuroscienze ci fanno capire quanto sia importante e utile coltivare l’immaginazione e alimentarla col movimento e l’azione sull’ambiente fisico che ci circonda.


Questa nostra capacità di immaginare ciò che non è davanti ai nostri occhi, la capacità di vedere eventi futuri e costruirli nella mente integra la parte razionale che da sola non basta perché “senza l’immaginazione, la realtà è uno spettacolo noioso che l’intelligenza esamina e classifica”, come scriveva il filosofo Nicolás Gómez Dávila. Per Einstein: “L’immaginazione è più importante della conoscenza, perché la conoscenza è limitata, mentre l’immaginazione abbraccia il mondo intero, stimolando il progresso, dando vita all’evoluzione”. Per lui “il vero segno dell’intelligenza non è la conoscenza, ma l’immaginazione”. Detto da Einstein c’è da fidarsi, lui che a sedici anni si chiedeva: “Che cosa succederebbe se cavalcassi un raggio di luce?” dando così avvio alla catena di pensieri che lo ha portato a formulare la teoria della relatività. Anche nel pieno della sua maturità scientifica Einstein era famoso per i suoi Gedankenexperimente, i suoi esperimenti mentali con cui letteralmente guardava da tutti gli angoli il problema fisico e solo dopo passava a scrivere formule ed enunciare leggi. Osservava che “le entità psichiche che sembrano servire da elementi del pensiero sono piuttosto alcuni segni e immagini più o meno chiare che possono essere riprodotti e combinati ‘volontariamente’ […] Gli elementi sopra menzionati sono, nel mio caso, di tipo visivo e a volte muscolare”. Questo uso dell’immaginazione è così importante per la scienza che Richard Feynman una volta osservò che tutta la grande opera di Einstein era venuta a finire perché questi “aveva smesso di pensare in termini di concrete immagini fisiche ed era diventato un manipolatore di equazioni”12 .

L’immaginazione non è importante solo per la scienza, è importante per ogni impresa che ci avvicini al futuro. Per questo il saggista Marty Neumeier elenca il sognare, inteso come immaginazione applicata, fra i cinque talenti a suo giudizio necessari nell’era robotica13 , che poi è dove vivranno i nostri figli. L’autore cita il biografo Walter Isaacson per darci in Steve Jobs un esempio di cosa significhi sognare per il futuro: “Intelligente Jobs? No, non in modo eccezionale. Piuttosto un genio. I suoi scatti d’immaginazione hanno a che fare con l’istinto, con la sorpresa, talvolta con la magia 14 e i risultati di questi “sogni” sono sotto gli occhi di tutti.


Rimanendo in tema di innovazione permettetemi una deviazione nel mondo degli adulti. Un ingrediente chiave del rivoluzionare il presente è il processo in cui si immaginano nuove opportunità viaggiando verso il futuro, qualcosa in cui la letteratura fantascientifica eccelle. Possiamo farlo anche noi, possiamo provare a viaggiare nel tempo verso una data futura immaginando poi come potrebbe essere il mondo, come sarebbe una routine quotidiana in diverse parti del mondo, quali esperienze potrebbero incontrare i nostri sé futuri. Se ora torniamo indietro e riflettiamo su come siamo arrivati lì, forse troveremo quell’idea, quell’ispirazione che, perché no, potrà cambiare il mondo. Perché un gioco del genere non lo proviamo assieme ai nostri campioni di immaginazione, i nostri figli?


Tutto quanto detto sull’immaginazione a maggior ragione vale per gli educatori. Montessori, parlando delle qualità che devono avere le sue maestre, scriveva: “Il primo passo è l’auto-preparazione dell’immaginazione, perché la maestra montessoriana” – e io aggiungo, ogni genitore, ogni educatore – “deve vedere un bambino che non esiste ancora, materialmente parlando, deve aver fede nel bambino che si rivelerà per mezzo del lavoro”15 .


Questo atteggiamento è fondamentale perché l’immaginazione è la più grande potenza di bambini e adolescenti. Scrive ancora Montessori: “Può la mente del bambino limitarsi a ciò ch’egli vede? No: il bimbo ha un tipo di mente che va oltre i limiti del concreto: ha il potere di immaginare molte cose. Questo potere di vedere cose che non sono presenti ai suoi occhi rivela un tipo superiore di mente; se la mente dell’uomo fosse limitata a quanto egli può vedere, sarebbe molto ristretta”16 . Da cosa nasce questa forza? In modo spiritoso Sam Levenson ci dà una traccia: “Una delle virtù dell’essere molto giovani è che non lasci che i fatti interferiscano con la tua immaginazione”. E così, “per certi versi, la nostra audacia nell’immaginare aiuta a spostare i confini del possibile” come spiega l’ex bambina prodigio Adora Svitak17 in una bella presentazione su che cosa gli adulti possono imparare dai bambini. Il nostro problema come adulti è che abbiamo l’immaginazione così paralizzata dalla paura di sbagliare, che corre rapidamente dietro a schemi facili e a ciò che già conosce credendo per tutto il tempo di essere super-originale.

Affinché il potere dell’immaginazione si realizzi, che cosa possiamo fare? Un suggerimento lo troviamo ne l’“Autoeducazione” di Maria Montessori: “Occorre preparare i bambini a saper esattamente percepire le cose dell’ambiente per poter assicurare loro il materiale dell’immaginazione”18 . Poi suscitarne la curiosità e la meraviglia: “Ciò che [il bambino] apprende deve essere interessante, deve affascinarlo. Bisogna offrirgli cose grandiose: per cominciare, offriamogli il Mondo”19 . Anzi, diamogli l’universo intero, perché è qui che si svolge la sua vita ed è l’universo stesso che può fornire tutto il materiale da costruzione di cui i bambini hanno bisogno per immaginare e così capire la realtà e se stessi, perché ogni creazione dell’immaginazione prende spunto dalla realtà e non c’è creazione dal nulla. Quanto più ricca sarà l’esperienza dell’individuo, tanto più abbondante sarà il materiale a disposizione dell’immaginazione. Invece, se non ci sono materiali da assemblare in immagini e modelli, sarà difficile immaginare qualcosa di nuovo. A questo Montessori aggiunge un ingrediente fondamentale: “…e arricchire la sua mente di conoscenza e di esperienza fatta sulla realtà. E avendogli dato ciò, lasciarlo maturare nella libertà. È dalla libertà dello sviluppo, che noi possiamo attendere le manifestazioni della sua immaginazione”20 . Ecco che una famiglia dove i genitori sono delle guide, dove il bambino è libero di domandare senza essere giudicato, aiuta la sua immaginazione ancor prima di qualsiasi contributo della tecnologia. Ma allora, in questo compito di arricchimento culturale, ci possiamo far aiutare dal mondo digitale? Se lo vediamo come un mezzo per accedere a più informazioni possibili, sì. Non dimentichiamo però che è un mezzo, che come tale non ci aiuta a porre le domande giuste e a essere ricettivi agli stimoli e alle idee, ma fornisce solo l’accesso a un’enorme messe di dati che potrebbe alla fine travolgerci. Un problema che Picasso sintetizzava affermando che “i computer sono inutili. Possono solo darti risposte”.


Montessori ci dà anche un’altra idea: “Ora, cos’è che colpisce l’immaginazione? Prima di tutto, la grandiosità, e poi il mistero”21 . Il senso di mistero che oggi abbiamo perso perché le nuove generazioni danno tutto per scontato, perdendo così la capacità di meravigliarsi e di stupirsi, due potenti propulsori della curiosità e della creatività. Perché poi dobbiamo affascinarlo? Perché le emozioni non sono separate dalla ragione e sono le sue fondamenta, perché le dicono a cosa dare valore. “Offrendo invece al bambino la storia dell’universo, noi gli diamo da ricostruire con la fantasia qualche cosa che è mille volte più stimolante e misterioso di qualsiasi fiaba”22 . Una bella storia la vediamo nella nostra mente. Una bella storia cattura l’interesse, specialmente dei più piccoli. Sappiamo raccontare delle storie così? Abbiamo un hobby o una passione intellettuale che possiamo trasformare in un racconto avvincente?


Sul lato dell’esperienza, della grandiosità e del mistero, la tecnologia mostra i suoi limiti. La tecnologia fa quello che le diciamo di fare. Non c’è ambiguità: faccio una domanda, ottengo una risposta. Se non sono allenato a vedere ciò che si nasconde dietro le parole o ad allargare la vista più in là di quello che avviene sullo schermo di un computer, non riuscirò mai a immaginare nulla di nuovo, come invece accade quando ci perdiamo nel mondo del romanzo che stiamo leggendo, ma anche quando una nuova idea affiora da una pagina web di cui non sospettavamo l’esistenza. Ho letto in rete un simpatico aneddoto: “Ieri come regalo per il suo primo giorno di seconda elementare ho portato a casa una penna gel cancellabile per il mio bambino di sei anni esperto di iPhone. Dopo una breve dimostrazione, mi ha abbracciato di getto: «Ho aspettato questa penna per tutta la vita!»” Li copriamo di tecnologia, invece magari anelano a una penna cancellabile, a qualcosa che li riempia di meraviglia. Pensiamoci.


Un articolo in cui mi sono imbattuto qualche tempo fa aveva per sottotitolo: “Non abbiamo bisogno di insegnare ai nostri figli a programmare, dobbiamo insegnar loro a sognare”23 . Quale genitore non ha sentito parlare di scuole che propongono un’attività di coding? È interessante, non c’è dubbio, ma non è il primo progetto che chiederei per i miei giovani. Troverei più utile per la preparazione al futuro qualcosa che gli aiuti a stimolare l’immaginazione. Che cosa me ne faccio di un programmatore che sappia scrivere del codice, ma che non sappia immaginare la struttura del programma su cui sta lavorando o che non riesca a prevedere le implicazioni del suo lavoro? Una persona così rimarrà un operaio del software. Vogliamo formare della manovalanza informatica oppure persone che inventino la nuova “killer app”, una nuova e rivoluzionaria applicazione? Allo stesso modo, avere tutte le informazioni del mondo a portata di click, ma senza la curiosità per esplorarle o l’immaginazione per andare oltre la superficie di quello che leggo e vedo, le rende a mio avviso completamente inutili.


L’immaginazione è quindi una facoltà umana estremamente importante da coltivare nei nostri figli e in noi stessi e non deve quindi essere considerata al pari di una “fantasticheria” che porta ad astrarsi dalla realtà per soddisfare desideri e spinte affettive in maniera irreale. “L’immaginazione non è stata data all’uomo per il semplice piacere di immaginare cose meravigliose; così come le quattro caratteristiche comuni agli uomini (lingua, religione, culto dei morti ed arte) non sono state date loro per farli vivere in contemplazione. L’immaginazione diventa grande solo quando l’uomo, grazie al coraggio e allo sforzo, la usa per creare; altrimenti, essa si rivolge solo a uno spirito che vaga nel vuoto”24 . Per Montessori l’immaginazione sana è l’immaginazione “creativa” che permette di generalizzare i concetti, di progettare soluzioni e di afferrare la struttura invisibile delle cose creando e manipolando modelli nella mente. Tutto questo ci porta a toccare il tema della creatività.

La creatività

Di solito consideriamo l’immaginazione come sinonimo di fantasia e creatività, ma non è così. Il poliedrico designer Bruno Munari ha scritto un intero libro per chiarire la differenza tra fantasia, invenzione, creatività e immaginazione perché per lui “l’immaginazione è il mezzo per visualizzare, per rendere visibile ciò che la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano”25 . La differenza fra questi impropri sinonimi è che: “Mentre la fantasia, l’invenzione e la creatività producono qualcosa che prima non c’era, l’immaginazione può immaginare anche qualcosa che già esiste ma che al momento non è tra noi. L’immaginazione non è necessariamente creativa”26 , basti pensare che possiamo immaginare il pranzo di ieri che è già esistito. In comune con l’immaginazione, la creatività ha la capacità di generare nuove idee combinando, modificando o riapplicando idee esistenti creando relazioni fra ciò che è già conosciuto. Come non possiamo far nascere immagini mentali dal nulla, così non possiamo creare dal nulla, dacché non è possibile stabilire relazioni con ciò che ci è sconosciuto. Non sottovalutiamo perciò la semplice concatenazione verbale degli avvenimenti quando parliamo a un bambino piccolo perché così lo abituiamo ad associare le idee, a estrapolarne le conseguenze e quindi a immaginare il futuro. Invece di limitarsi a enunciare un fatto come “Non uscire”, accompagniamolo da una spiegazione causale: “Non uscire perché fa freddo”, o meglio “Non uscire perché fa freddo e sei senza maglione”.


In un recente studio oltre la metà dei dirigenti delle più grandi aziende del mondo ha detto che la creatività è l’abilità più importante di cui avranno bisogno nei prossimi decenni, mostrando però in modo piuttosto preoccupante che non sanno che cosa fare per essere più creativi e soprattutto non sanno davvero perché vogliano essere più creativi. Certo, mettere in pratica le idee è importante, ma l’esecuzione senza creatività trasforma i dipendenti in robot.


Ognuno di noi ha una notevole capacità creativa, convinciamoci. Guardate come sono creativi i bambini. Negli adulti, la creatività è stata spesso soppressa attraverso l’educazione, ma è ancora lì e può essere risvegliata. Spesso tutto ciò che serve per essere creativi è la capacità di accettare il cambiamento e la novità, la volontà di giocare con idee e possibilità, una flessibilità di visione e soprattutto aver scelto la curiosità rispetto alla paura di sbagliare. La creatività individuale, quindi, piuttosto che essere un dono innato, è più il risultato delle nostre abitudini, rituali e routine. E questo vale per adulti e ragazzi.


L’educazione formale enfatizza le abilità dell’analisi insegnando agli studenti come capire le affermazioni, seguire o creare un argomento logico, capire la risposta, eliminare i percorsi errati e concentrarsi su quello corretto. Tuttavia esiste un altro tipo di pensiero, uno che si concentra sull’esplorazione delle idee, sulla generazione di possibilità, sulla ricerca di molte risposte giuste piuttosto che di una sola. E si inizia da molto giovani, anche se troppo spesso, pur con tutte le buone intenzioni, siamo noi che blocchiamo questa dote dei più giovani: “L’individuo in età infantile non deve essere soffocato da imposizioni, costretto in schemi non suoi, spinto a copiare dei modelli. Uno dei modi più diffusi per annullare ogni possibile atto di creatività, sta nel far fare, a questi individui e a questa età, per esempio un disegno su tema, uguale per tutti, da realizzare con strumenti uguali per tutti, pennarelli o colori a tempera”27 . Infanzia e adolescenza sono periodi d’oro per la creatività. I bambini sono molto meno autocritici sulla propria creatività rispetto agli adulti, sperimentano felicemente idee, immagini, disegni e scarabocchi senza preoccuparsi se non sono perfetti al 100% e gli adolescenti sono molto creativi perché non è ancora entrato in funzione il loro censore interno, quello che in noi adulti disprezza i tentativi creativi e ci giudica troppo spesso incapaci.

La tecnologia ci può rendere creativi? I nostri giovani, così versati nell’uso della tecnologia, possono per questo diventare più creativi? Vannevar Bush, nel suo articolo Come potremmo pensare in cui ci apre uno squarcio sul futuro, rende chiaro che cosa aspettarci dalla tecnologia per la creatività: “Per il pensiero maturo non esiste un sostituto meccanico. Pensiero creativo e pensiero essenzialmente ripetitivo sono due cose molto differenti. Per questi ultimi ci sono e ci possono essere potenti aiuti meccanici”28 . In altre parole, nulla. La tecnologia è uno strumento, ma sta a noi usarla in maniera creativa. Facciamo un esempio. Con lo smartphone posso creare filmati, posso filmare il gatto senza nulla di particolare o creare una piccola storia con il gatto protagonista. Posso cercare su Google le date della guerra dei trent’anni per il compito a casa o posso cercare materiale per creare un piccolo saggio o per seguire un’idea balzana. Posso giocare con un videogioco o posso programmarne uno29 . Ecco, a me piace il lavoro che faccio con calcolatori, programmi e problemi sempre nuovi perché il software è una materia infinitamente malleabile che posso piegare ai dettami della mia creatività.


Per i videogiocatori incalliti c’è una bella notizia. I videogiochi che promuovono la libertà creativa possono aumentare la creatività in determinate situazioni, secondo una nuova ricerca sperimentale30 che ha confrontato l’effetto di giocare a Minecraft, con o senza istruzioni, con la visione di un programma TV o con un videogioco di una gara di automobili. Quelli che avevano scelto di giocare a Minecraft senza istruzioni si sono rivelati i più creativi.


Che mezzi abbiamo allora per far crescere le capacità creative nei nostri giovani? Cercando in giro ci sono migliaia di pagine che riportano tecniche per attivare la creatività, non sarò certo io nel poco spazio di questo libro a riportarle. Ci sono tuttavia un paio di suggerimenti interessanti.


Il primo viene da uno studio della Stanford University del 2014 per cui fare una passeggiata ha portato ad avere idee più creative che stando seduti in un laboratorio. Questo miglioramento è rimasto anche dopo la fine della camminata e anche per le passeggiate fatte in un luogo apparentemente non creativo, come su un tapis roulant di fronte a un muro bianco31 . Probabilmente camminare blocca i filtri iper-razionali del nostro censore interno e devia le energie che altrimenti sarebbero dedicate, intenzionalmente o meno, a smorzare il pensiero creativo.


Un altro suggerimento ci viene dai neuroscienziati che consigliano di lasciar vagare la mente liberamente perché hanno dimostrato che, a differenza dell’attività neurale localizzata associata a compiti specifici, il vagabondaggio mentale implica l’attivazione di una gigantesca rete di connessioni che coinvolge molte parti del cervello, la cosiddetta “default network”. Questo coinvolgimento di tutto il cervello di solito riguarda il pensare agli altri e a se stessi, il ricordare il passato e il prevedere il futuro fornendo così il materiale per la creatività. Se vogliamo aiutare i pensieri creativi, un po’ di tempo da soli può essere il modo più efficace affinché il cervello abbia il “permesso” di vagabondare senza meta e senza essere disturbato dagli altri e dalle cose da fare.


Poi dobbiamo spingere a scrivere, scrivere e scrivere e anche a disegnare e scarabocchiare. Ad annotare le idee quando appaiono. Subito. Le idee che annotiamo in sé non sono il punto, l’atto di articolarle lo è. L’azione di muovere la penna sul foglio invia un segnale al cervello che dice che sei creativo, attivo e produttivo. Il successo e la fiducia dipendono sempre dal feedback, dai segnali di ritorno che ricevi riguardo te stesso.


Infine credo che la sfida per noi genitori sia “come presentare una qualsiasi azione a un piccolo bambino, senza al tempo stesso disturbare il suo impulso creativo. L’azione deve parlare di per sé al bambino. Non vogliamo che egli faccia questa o quella azione perché la stiamo facendo noi, o come la facciamo noi, o perché abbiamo comandato di farla. […] se il bambino si sente effettivamente libero, l’applicherà a modo suo, come parte di una vita che si svolge”32 . Creatività fa rima con libertà. “Aiutami a fare da solo”, il famoso motto, ci ricorda ancora una volta che il nostro compito è aiutare i bambini ad aiutare se stessi in modo tale che, abituati ad agire in ogni situazione senza l’aiuto diretto di un adulto, divengano padroni dell’ambiente e consapevoli del loro potere su di esso. Questa libertà ha innescato lo spirito creativo in tanti innovatori, come viene mostrato in un articolo pubblicato sull’“Harvard Business Review”33 : “Crediamo anche che gli imprenditori più innovativi siano stati molto fortunati a essere cresciuti in un’atmosfera dove il porre domande era incoraggiato. Ci hanno colpito le storie dove raccontavano di essere stati sostenuti da persone che avevano a cuore la sperimentazione e l’esplorazione”.

Pratica!

1. Analizzare assieme le pubblicità e le immagini. Perché non sono tristi? Perché esagerano i gesti? Scegliamo una pubblicità e commentiamola assieme ai nostri figli. Se cercate “Photoshop disasters” in rete troverete centinaia di foto malamente ritoccate, soprattutto prese dalle pubblicità. Divertimento assicurato.


2. Usare le MindMap, anche per fare una ricerca. Anche qualcosa di semplice per pianificare un’attività famigliare. Nel capitolo 15 c’è una proposta di attività in cui si combinano le MindMap con la classica ricerca.


3. Abituarsi a spiegare graficamente. Uno schizzo per rispondere all’ennesimo perché del figlio. Non importa sia perfetto.


4. Usare immagini e filmati per raccontare una storia. Proporre di creare un articolo di giornale per documentare qualcosa di particolare nel proprio quartiere, per esempio. Potrebbe addirittura essere pubblicato su un blog o come una serie di immagini in Pinterest.


5. Raccontare grandi storie. La nascita dell’universo, l’estinzione dei dinosauri, quel nostro hobby che ci prende così tanto. Un po’ di atmosfera non guasta. Se vi appassiona la matematica, allora nel romanzo Il teorema del pappagallo34 troverete come si può raccontarla in maniera teatrale.


6. Proporre quiz creativi. Perché non giocare con il classico quiz che viene utilizzato per misurare la creatività: in quante maniere possiamo usare un mattone? Oppure una forbice?


7. Inventare storie. A turno si inventa una storia e la si racconta a tutta la famiglia. Si può aggiungere un po’ di teatro se si vuole.


8. Provare un gioco di costruzioni. Non solo i LEGO o Minecraft, ma anche “Creationary”, con cui bisogna riprodurre con pochi mattoncini LEGO un disegno e farlo indovinare dagli altri giocatori.


9. Muoversi. Potremmo proporre un problema e dire: “Perché non ci pensiamo su mentre facciamo una passeggiata?”


10. Non spegnere i perché. Proviamo a essere quelle “persone che avevano a cuore la sperimentazione e l’esplorazione” che hanno stimolato tanti imprenditori innovativi.


11. Giocare con il futuro. Nel primo capitolo ho raccolto varie proposte pratiche.

Le tecnologie digitali in famiglia
Le tecnologie digitali in famiglia
Mario Valle
Nemiche o alleate? Un approccio Montessori.Come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato dei dispositivi tecnologici? Il mondo dei nostri figli è dominato dalla tecnologia: tablet, smartphone e computer costituiscono ormai parte integrante della loro vita; compito di noi genitori è quello di “prepararli al futuro” e educarli all’uso delle nuove tecnologie. Ma come?Mario Valle, esperto di supercomputer, nel libro Le tecnologie digitali in famiglia si rifà al pensiero di Maria Montessori (grande ammiratrice delle tecnologie del suo tempo e profonda conoscitrice della mente del bambino) per provare a delineare questo futuro: come risponde il cervello di un bambino alle sollecitazioni di un mondo tecnologico e che cosa possiamo fare per consentire un uso appropriato di questi dispositivi?Non si tratta, quindi, di demonizzare o idolatrare la tecnologia, ma di analizzare il presente per prepararsi al futuro. A questo punto si impone una riflessione: la civiltà ha dato all’uomo, per mezzo delle macchine, un potere molto superiore a quello che gli era proprio ma, perché l’opera della civiltà si sviluppi, bisogna anche che l’uomo si sviluppi. Il male che affligge la nostra epoca viene dallo squilibrio originato dalla differenza di ritmo secondo il quale si sono evoluti l’uomo e la macchina: la macchina è andata avanti con grande velocità mentre l’uomo è rimasto indietro. Così l’uomo vive sotto la dipendenza della macchina, mentre dovrebbe essere lui a dominarla.Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.