Dicono i religiosi che Dio segna nell’eternità tutte le colpe grandi e piccole che noi dovremo pagare, e segna pure tutte le grandi e piccole virtù delle quali saremo compensati. Ebbene, ecco la vita eterna, il libro grande dove sono segnate tutte le opere nostre: la nostra posterità. L’antropologia pedagogica tratta oggi ancora dell’uomo medio: il grande progresso della biometria che si è svolta in questi ultimi tempi specialmente in Inghilterra, ma anche in Italia per opera di illustri scienziati, ha permesso di ricostruire su leggi matematiche l’uomo il quale fosse eventualmente procreato in un ambiente privo di colpa secondo la natura pura, senza peccato. Ebbene, le misure, le proporzioni stabilite corrispondono precisamente a quelle che l’arte greca ha immortalato nelle sue statue. Noi potremmo dunque divenire dei grandi artisti nel mondo futuro, plasmatori di bellezze umane perfette, non in marmo, ma in carne viva: e questo tipo di uomo medio, essendosi svolto in un ambiente puro, sarebbe anche il perfetto dell’animo umano, e costituirebbe quasi l’ideale dell’etica sessuale, il simbolo del perfezionamento della nostra specie, il Cristo che tutti dobbiamo guardare per potere, nei tempi indefiniti, imitare e raggiungere.
Quando si svolgono queste lezioni nella scolaresca, è manifesto un interesse speciale: sparisce il professore, sparisce quasi lo stesso contenuto scientifico, innanzi alla nascita della coscienza di quelli che ascoltano, la quale risorge in una responsabilità verso la specie, prima non intravista, e in un sentimento di orrore per la leggerezza con cui l’umanità cammina sopra questa grande responsabilità. Tale impressione ci dice che gli spiriti dei giovani sono maturi e che qualche cosa di assai grande è venuto crescendo in fondo alle anime umane. Così molteplici manifestazioni nazionali e individuali ci rivelano assai chiaramente che la società civile sente come necessità una moralità nuova e quindi una nuova educazione.
Certamente su tale argomento molto possiamo con l’educazione. È noto che esistono sull’efficacia educativa due opposte teorie: una ammette l’educazione onnipotente a trasformare l’individuo, l’altra le nega tale potenza trasformatrice. In vero, l’educazione può perfezionare e guidare, ma non trasformare l’individuo creato: quale educazione potrebbe rendere intelligente l’imbecille, veggente un cieco, uomo normale e utile un pazzo morale? Un individuo è sostanzialmente determinato nella sua personalità fino dal concepimento in quella cellula ovo invisibile, microscopica, ma che contiene tutto l’individuo.
Supponiamo un uomo alcoolista che nello stato di ebbrezza fecondi e poi fugga, dimentichi la madre, il fanciullo; egli avrà dato nella materia una cellula infinitesima, nel tempo un attimo fuggevole, ma ciò è bastato per dare all’umanità un individuo criminale e un epilettico sul quale poco o nulla potrà l’educazione. Sembrerà un paradosso, ma l’educazione è veramente onnipotente quando agisce per coloro i quali ancora non esistono, quando si atteggia a sovrana, a dirigente del divenire biologico della specie.
Ebbene, noi non possiamo concepire niente di più spirituale, di più moralmente alto, di più fine che questa contemplazione degli esseri che ancora non sono nati e per i quali vogliamo proporci una difficile via di fortezza, di perfezionamento di virtù.
Molto dobbiamo sperare dall’educazione nella morale sessuale; ma come praticamente impartirla? Ecco una questione enormemente vasta che è ben difficile a trattare e che mi propongo di tratteggiare sotto forma di parabola. Scelgo delle parabole dovute a donne illustri le quali ci hanno lasciato delle eloquenti sintesi che riassumono in modo semplice, ma pur profondamente efficace, quest’alta questione, specialmente in ciò che riguarda l’opera materna nell’educazione dei figli.
Madame de Héricourt, una femminista dell’antica maniera, nel suo libro «La femme affranchie» espone un credo che tutte le donne dovrebbero meditare.
In esso, così si rivolge alle madri: «Voi ammonite il bambino: – Non dire «bugie, perché questa è cosa indegna d’una persona che si rispetti. – Non rubare: ti piacerebbe forse che rubassero le cose tue? questa è un’azione disonesta. – Non opprimere i compagni che vedi più deboli di te e non essere scortese con essi, perché sarebbe una viltà. – Eccellenti principii. Ma quando poi il bambino è diventato un adolescente, la madre dice: – Bisogna che un giovane si sfoghi e sfogarsi vuol dire sedurre, essere adultero, frequentare il lupanare. Come! È quella madre che diceva al fanciullo – Non mentire – la stessa che oggi permette all’uomo di tradire una donna come lei. È quella che insegnava al bambino di non rubare un giocattolo, che oggi trova lecito al figlio di rubare la vita, l’onore d’una donna come lei. È quella che gli raccomandava di non opprimere i deboli, che oggi gli permette di schierarsi tra gli oppressori d’un individuo umano, che la società ha fatto schiavo!» – Ma non vedete, soggiunge Madame di Héricourt, che voi non siete solidali nè con la donna, nè con l’uomo, poiché gli permettete di discendere. Voi siete solidali solo col fatto degradante che travolge tutta l’umanità.
Questa madre, che così profondamente si contraddice, è una schiava. La schiavitù sessuale non è soltanto quella che noi siamo usi a considerare, non è quella sola della donna perduta che vogliamo salvare: sempre quando una orrenda schiavitù fa parte di una forma di civiltà, tutta l’umanità che vi appartiene ne risente ed è con essa schiava. Così oggi è schiava quella madre che non può più seguire il figlio suo, quello che essa sollevò nella salute del corpo con tanta cura e che allevò nella gentilezza morale con tutta la passione del suo cuore: è schiava quando quel figlio le è strappato per andare forse nella morte o nella rovina della salute fisica e per discendere nella degradazione morale; mentre essa non può far altro che fissarlo silenziosa e immobile. Ella dice per iscusarsi che la dignità e la purità non permettono alla madre di seguire il figlio in questo cammino. – Ma non sentite – esclama Madame di Héricourt – che sarebbe solo degna e pura quella donna capace di educare un tale figlio che non avesse mai niente di obbrobrioso da confessare a sua madre? Non dignità e fortezza può invocare a sua scusa la madre, poiché in questo è anzi della madre l’annientamento. Della vera madre abbiamo tipi grandiosi nell’antichità: è madre per noi Veturia, la donna forte, che passa le mura della città e le frontiere del nemico per andare ad affrontare un figlio possente il quale non è certo il giovinetto di oggi, che per diventare giovinastro disdegna l’autorità materna. Ella procede incontro a quel figlio grande condottiero degli eserciti, per domandargli se è un traditore della patria. E il grande condottiero vittorioso, innanzi all’ammonimento della madre, sacrifica la parola data, e la vita. La vera madre dovrebbe nei nostri tempi essere simile a questa, dovrebbe poter sorpassare le muraglie del pregiudizio e le frontiere della schiavitù, e avere tanta dignità da poterlo arrestare dicendogli: – Figlio, tu non sarai un traditore dell’umanità! – Ma per assurgere a tanta altezza, la madre deve trasformarsi, non può essere questa onnipossente e grandiosa figura di donna, la madre di oggi, che è semplice tutrice del fanciullo, o come si dice, educatrice del bambino. Chi educa deve farsi simile, per quanto è possibile, all’individuo da educare: ecco, infatti, la madre di oggi che limitata al compito di educatrice del bambino, è ridotta artificialmente a rimanere essa stessa bambina, ignara della vita e delle sue lotte, infantile, rimpicciolita, nel pensiero e nella coscienza. Ma la donna che vuol seguire l’uomo ed esser madre dell’uomo, deve farsi virile, essere come lui lottatrice dell’ambiente sociale: deve possedere la sapienza che scaturisce dall’esperienza personale, sia pur dolorosa: ma è l’esperienza sua che la renderà protettrice del figlio, e salvatrice e amica fedele dell’uomo.
Tolgo un’altra parabola dagli scritti di un’illustre donna che scrive sotto il nome di Nelly ed è considerata come una delle più brillanti e fortemente educatrici del Belgio: ella ha composto un raccontino per bimbi così eloquente da costituire una grande sintesi sull’educazione materna delle verità sessuali verso il fanciullo.
Il figliuoletto chiede a sua madre: «Mamma di dove vengono i bambini?». La madre risponde: Li porta la cicogna. «E la cicogna dove li prende?» – Li prende in un pozzo; lì racconta una storia. Il giorno dopo il bambino va a scuola e il maestro racconta la storia commovente di un nido di cicogne che è andato a fuoco – e la madre non potendo trasportare a salvamento i suoi piccoli preferisce morire bruciata con essi. Il bambino protesta: «Come! non può trasportare i suoi piccini, la cicogna che trasporta i bambini?». Grande ilarità generale – Il bambino grida: «Ma sì, è vero, me lo ha detto mia madre!». – Intanto incomincia a scuotersi quella fede cieca che aveva di sua madre e tornato a casa le chiede: «Perché mi hai ingannato, e mi hai fatto deridere da tutta la scolaresca?». La madre potrebbe cogliere quest’occasione per rivelare il segreto, ma non lo vuole e dice «Non mi seccare». Il fanciullo va a scuola pieno di curiosità, i suoi compagni lo illuminano troppo minutamente e più di quello che sarebbe stato decoroso e necessario per un fanciullo, tanto che questi vede raccolta quella madre che lo ha ingannato in una specie di nube d’impurità ed allora quasi una barriera si erige tra questi due esseri che pure erano così buoni e fatti per aiutarsi l’uno con l’altro.
Un altro bambino domanda a sua madre la stessa cosa. La madre che aveva preso un preventivo accordo con suo marito spiega:
«Figlio mio, come le frutta dolci si maturano sugli alberi, così il figlio si matura nel corpo di sua madre».
Dice il bambino: «Sì, ma poi come ne esce?» «Ma, quando il bambino è maturo così che possa vivere anche separato dal corpo della madre, la madre si fende, si apre, ed il fanciullo esce». Dice il bambino: «Ma dovrà soffrire un grande dolore».
«Sì, piccino mio, un grande dolore, ma quando la madre vede il suo piccino, sente una tale tenerezza, una tale dolcezza che dimentica tutti i dolori sofferti». Il fanciullo rimane colpito, afflitto, ed anche la sera prima di andare a letto se ne ricorda e dice alla madre: «Lascia che ti baci, lascia che ti consoli» e quella che soltanto amava diventa per lui la venerabile. Egli si confidò sempre con sua madre, si fidò sempre di lei, perché ella gli aveva rivelato la verità e non ebbe bisogno di chiedere spiegazione ad alcuno: così miracolosamente sfuggì la corruzione dell’ambiente.
Ora questo eloquentissimo racconto di Nelly potrebbe condurre ad una riflessione: la madre si è confidata col marito, si è consigliata col marito per una confidenza così semplice? Ma nei paesi cattolici i fanciulli hanno come preghiera della purità una preghiera che inneggia alla maternità e fa ripetere alle labbra infantili: «Benedetto il frutto del tuo ventre». Adunque non solo è rivelato il segreto, ma è ripetuto mattina e sera come la sublime poesia della purità. Dunque non è il fatto in sé che preoccupa. Esiste una specie di tacita proibizione per la donna, sia pur madre, d’impacciarsi in qualsiasi maniera della questione sessuale. E questa falsa purità è quella che forma la schiavitù morale. Per intendere come possa essersi usato questo malinteso del pudore così interpretato, bisogna riflettere ed illustrare un principio che pure richiederebbe molto tempo e molte parole per essere completamente svolto e che più che dimostrare bisogna limitarsi ad enunciare.
Si tratta di un fenomeno della psicologia della società ed anche dell’individuo umano, fenomeno per il quale l’individuo primitivo nell’età o nel progresso sociale si ferma più alle cose piccole che alle grandi, alle cose materiali che alle spirituali, donde viene una fatale confusione del mezzo col fine. Fatale confusione o, se vogliamo chiamarla così, fatale peccato: peccato di origine per cui l’uomo perde la visione di tutto quanto è grande. Il concetto della specie può illustrare bene questa idea; la creazione degli esseri vivi, la vita eternata nella sua meravigliosa varietà, ecco il grande, ecco il fiume: il concepimento, la cellula del concepimento, il pulviscolo infimo, il nulla, ecco il mezzo. Chi perde il fine e si fissa al mezzo si rimpicciolisce e necessariamente si degrada. Questo peccato originale è proprio un peccato d’interpretazione di scienza: non è un peccato sessuale, esso infatti può applicarsi a tutto, ma specialmente all’alimentazione, con molta analogia a ciò che avviene nella vita sessuale.
Anche qui, in tempo passato, l’uomo ha confuso il mezzo, la gola, col fine, la nutrizione, il mantenimento dell’individuo. Concetto alto questo della nutrizione: la vita è in ciò: che la materia continuamente fugge da noi e si rinnova. E si potrebbe dire: se la materia di continuo fugge, che cosa è l’uomo, che cosa sono le creature vive? Questa materia che fuggendo, tuttavia, è eterna, come eterna è la vita, sicché sembra che la natura rappresenti un bacio rinnovantesi ad ogni secondo di due eternità, questa è la materia nella vita. Quanto altamente spirituale, quanto grandioso e poetico! e l’uomo confonde ciò col piacere del gusto quando mangia, confonde il nutrimento della vita coll’alimento del vizio, ed allora avviene quello stato caratteristico di qualche secolo fa.
Da una parte la crapula, il tuffarsi senza freno in questi godimenti della gola, e dall’altra i digiunatori del deserto i quali volevano ammonire i crapuloni con l’esempio della loro astinenza. E mentre tali erano le cose, non si doveva parlare di alimentazione, perché era un argomento volgare, basso.
I poeti specialmente trattavano argomenti elevati, ma non dovevano parlare mai di mangiare, per mantenersi sempre alti nelle cose dello spirito.
Una giovane volendo sembrare attraente cercava far dimenticare che era pure una creatura che mangia. Sembrava che l’umanità si vergognasse di questo sublime atto della nutrizione ed in verità aveva ragione di vergognarsi! Si vergognava di quel peccato originale, di quella confusione che aveva fatto del mezzo col fine, e ne provava il pudore. Quando la scienza riuscì a porre nei suoi veri e giusti limiti la questione, allora l’ambiente si trasformò completamente; tutti gli individui oggi debbono mangiare quel tanto che basti per mantenere la vita sana; nessuno ora vorrebbe prendere una indigestione; si sa bene che il banchetto dei ricchi deve essere elegante, i pranzi vi sono gustosi, ma limitati; e nel tempo stesso si è difeso un grande principio: che tutti gli uomini indistintamente hanno diritto a nutrirsi in modo sufficiente e adatto a rimanere sani. Ai nostri giorni i digiunatori non sono considerati come virtuosi: chi digiuna per il digiuno, sarà oggi come Succi che si espone nei cinematografi. No, non sono più virtuosi coloro che fanno l’enorme sacrificio di digiunare perché ciò sia di ammonizione ai corrotti della crapula che più non esiste; oggi noi conosciamo una sola virtù: la virtù di mantenersi sani e forti per potere con tutte queste forze, con tutta questa salute e con tutto il potere dell’anima e dell’intelligenza che ne deriva, lavorare al perfezionamento dell’umanità.
Ebbene, qualche cosa di simile possiamo ripetere per la vita sessuale. Rispetto a tale questione noi siamo oggi all’epoca dei crapuloni, siamo nella pienezza del peccato originale, nella grande confusione del mezzo col fine, e ce lo dicono gli errori sociali che si manifestano nella seduzione, nella prostituzione, nell’incoscienza verso i diritti della specie, nel disprezzo col quale qualche volta si può ravvolgere la maternità ed il frutto della maternità. E dall’altro lato, consideriamo ancora come virtù la verginità famelica ed inconscia che passa avendo in sé la virtù sola di ammonire col suo esempio puro, quelli che hanno dimenticato sé stessi, i diritti umani, l’altezza del nostro fine. Rimessa nei propri limiti giusti, anche per questa questione dovrebbe succedere qualche cosa di analogo a ciò che è avvenuto nella trasformazione del concetto dell’alimentazione: dovrebbero, cioè, scomparire tutti gli errori; ed allora non ci sarebbe più bisogno, od almeno non sarebbe più ammirevole, quella verginità inconscia che non ha altra virtù che di essere in sé stessa. Quest’oggi, o il futuro certamente, non potrà impedire la verginità, ma non sarà la verginità in sé stessa che formerà la virtù degli uomini, ma l’eroismo dell’individuo che lotta per essere libero della sua vita, per essere puro innanzi a sé stesso, affinché questa sua personalità esaltata possa compiere qualche grande missione sopra la società intera.
Ed allora, quando la questione fosse riportata nei suoi veri termini (noi non ne abbiamo nemmeno l’idea) ma quanto tempo risparmiato, quante forze, quante vite umane! Veramente noi due grandi colpe commettiamo: il peccato di origine e la perdita di tempo – e come non è nostra la vita perché data agli altri, così non è nostro il tempo perché lo dobbiamo utilizzare al bene.
Dobbiamo riconquistare le nostre forze, il nostro tempo; dobbiamo riconquistarli in una libertà virtuosa, e pura che innalzi tutta la civiltà di un altro gradino. Allora non sentiremo il pudore, come oggi lo sentiamo; oggi sentiamo vergogna ed abbiamo ragione: nessuno potrebbe dire mai che è ingiustificata la nostra vergogna! ma dobbiamo vergognarci di avere così brutalmente e così colpevolmente scambiato il mezzo col fine, perché non è la cosa in sé che può farci vergognare.
Chi è credente in Dio creatore, quale maggiore bestemmia potrebbe pronunciare contro il suo Dio, che quella di aver creato cose delle quali il solo accenno deve far salire il rossore alla fronte? Dobbiamo vergognarci di avere deturpato così quest’opera creatrice da doverne arrossire, ed in questo caso è troppo poco il rossore che salisce alla fronte. L’uomo nuovo dovrà vergognarsene con tutte le forze dell’anima per depurare il mondo da questo peccato. Ora è questo concetto che deve informare i principî della nostra educazione di morale sessuale. Lo scopo profondo e supremo deve essere quello di allontanare l’attenzione dei nuovi uomini che si formano, di allontanarla dal mezzo per riconcentrarla alla grandiosità del fine; onde riparare e proteggere individui dal pericolo della caduta; circondare il fanciullo di un tale splendore grandioso di quel fine mirabile che conduce alla creazione e alla eternità della vita, che egli non debba mai sentirsi toccare e ferire da tutto quanto la vita riguarda. Che se noi non avessimo questo concetto e credessimo che l’educazione sessuale nel fanciullo e nell’adolescente dovesse limitarsi ad insegnare alcune norme che si riferiscono al mezzo di questo grande fine, noi saremmo corruttori ed immorali.
Ad una opera di tanta importanza debbono collaborare insieme la madre e la scuola, perché non è soltanto un interesse dignitoso e religioso della famiglia, ma un interesse di utilità umana e sociale, anzi di utilità supersociale, perché si spinge al di là dell’ambiente verso il perfezionamento della specie futura. La madre potrebbe avere il compito di illustrare, santificandolo nella famiglia tra l’azione materna e le dolci cure affettuose della casa, tutto quanto è doveroso, semplice, atto a essere spiegato al fanciullo riguardo al mezzo del grande fine.
Per esempio, per la rivelazione dei fenomeni della maternità non c’è bisogno della parabola di Nelly; basterebbe che il fanciullo vedesse la sua madre gestante, che essa non si ammantasse, per celare in modo assoluto questo suo stato, ma lo lasciasse intravedere al fanciullo. Quante volte succede che il piccolo bambino rimane quasi in un’estasi deliziosa davanti al corpo della madre gestante e cerca di sentire con le piccole mani i nuovi sentimenti di quello che sarà suo fratello, più piccolo, più debole di lui, debolissimo, col quale dividerà l’infanzia, le carezze di sua madre; di quell’individuo verso il quale sente sviluppare un senso di dignità alta di protettore. Niente di più dolcemente educativo di questa verità svelata nel modo più naturale e più sacro che sia possibile.
Qui si potrebbe limitare l’educazione materna: e alla scuola riserbare il grande problema di dar l’idea grandiosa del fine della creazione, con metodo, con studio, con scienza; ben misurando e ben sapendo lo scopo che si prefigge. E questo spetta alla scuola non perché alla madre ciò sia impedito, ma perché quando diciamo madre, dobbiamo intendere non soltanto le madri borghesi, ma tutte le madri. Ci sono le madri proletarie le quali non potranno fare di più e di meglio che presentare al proprio figlio la loro vita, il loro esempio di lavoratrici dell’ambiente.
Ora, dunque, si tratterebbe di svolgere un nuovo programma nelle scuole. Sarebbe pretenzioso progettarlo in modo definito, come sarebbe pretenzioso il voler prevedere tutto quello che bisogna fare, che bisognerebbe fare per raggiungere lo scopo d’innalzamento e purificazione nella vita della specie. Nelle grandi trasformazioni sociali sono gli avvenimenti che insegnano e tanto più qui, dovranno essere gli avvenimenti: questo sarà il modo con cui l’umanità risolverà da se stessa il più grande problema umano sociale; quello che si ricorda del divenire del perfezionamento della specie. Intanto possiamo farci il programma che ci serva quasi di guida per poter insieme incamminarci su una strada lunga che non conosciamo ne’ suoi particolari, ma che sappiamo dove conduce; lontano, verso un grande regno di pace divina. L’idea del modo pratico come insegnare ai piccoli fanciulli la grandiosità del problema della creazione mi è stata ispirata dalla gentile amica Olga Lodi, la quale si è accorta che una sua bambina di sei anni molto intelligente prendeva una grande passione al racconto dei fenomeni che avvengono nell’amore dei fiori. Mi diceva la mia amica: «Io voglio scrivere un libro che sostituisca il libro dei racconti delle fate, e questo libro deve essere l’esposizione un poco fantastica dei grandi fenomeni della natura vegetale. Difatti il bambino che ama il meraviglioso sentirà il meraviglioso della natura. Che cosa è la fata che si avanza con la bacchetta e che fa sorgere un grande palazzo luminoso, che cosa è in confronto al polline, al pulviscolo d’oro divino che vola sulle ali del vento e che contiene in sé le quercie, i palmizi, il grano che nutrisce l’uomo, i fiori più meravigliosi di colore e di profumo che abbia la terra? Su questa bacchetta magica dell’universo, su questa bacchetta divina dovrebbe il fanciullo rivolgere la sua fantasia, deliziandosi alla contemplazione della vita che si svolge. Dare il racconto fantastico dell’amore dei fiori, come quello, per esempio, della pianta acquatica di Maeterlinek, il cui fiore femminile ha grandi petali bianchi e sta sulla superficie dell’acqua come una bella donna dormiente, leggiera, avvolta in veli e che si sdraia sul velo delle acque al bacio continuo del sole; ed il fiorellino che sta in fondo alla fontana, piccolo, che aspira all’alto, e che nelle generazioni attraverso ai secoli ha imparato a tesoreggiare le piccole bollicine di aria ed a farne una bolla grande che lo aiuterà ad innalzarsi verso la superficie e s’innalzerà lentamente fino a baciare la bella donna sdraiata al sole; e dopo ciò muore: ma no, non muore; poiché in quel bacio ha avuto l’eternità. Mentre i grandi monumenti cadono, mentre la memoria dei grandi sparisce nei secoli, è sempre là quel fiore della fontana con la sua donna sdraiata al sole e col piccolo fiore che aspira eternamente ad innalzarsi. – Quando i fanciulli fossero un poco cresciuti, si potrebbe passare alla zoologia, prendendo per esempio a considerare gli insetti che sono individui tanto lontani da noi da essere certamente insospettati sotto certi punti di vista. Ci sono degli studi sorprendenti in proposito. Basti citare un recente lavoro che tratta della psicologia di un ragno. Questo ragno lavora un piccolo sacco dove depone le uova, poi dentro questo sacco si racchiude esso stesso quasi custode immediato del suo tesoro, della specie, e sta lì all’interno a difendere questo sacco, anche dopo che i piccoli sono nati: e qualunque lesione avvenisse dal di fuori il ragno si affretta a ripararla. Togliendo il ragno da questo sacco, e mettendolo da esso lontano e lasciandolo lì anche 20 giorni, non cessa mai il ragno di tentare la fuga, di agitarsi e quando si conduce vicino al suo sacco, vi si precipita, chè così enorme lontananza di tempo non era valsa a far perdere in esso la memoria di questa grande maternità. E se si toglie la vera madre dal sacco e vi si mette un altro ragno, questa diventa madre adottiva, e si affeziona talmente che lotta con gran valore contro chi tenta avvicinarsi. Ma all’appressarsi della vera madre il ragno fugge spaventato, come innanzi a una forza invincibile, e la madre entra così tranquilla nel suo piccolo sacco. Ma se poi artificialmente e crudelmente si apriva lacerandolo il sacco, allora quella madre come se fosse fulminata moriva sulla distruzione della sua specie. Che cosa è questa appassionata maternità? dove risiede? il piccolo ragno, non ha carne, non ha sangue, non ha un cuore, non ha cervello, sono due millimetri cubi di una sostanza molliccia e nerastra. L’amore materno non è nel cuore della madre, l’amore materno è qualche cosa di più grande ancora, la madre è quella creatura che incarna questa cosa così grande che è la maternità, è la forma che assume la vita per proteggere e conservare se stessa, cosa grandiosa al di là delle creature, che sembra toccare la sua origine nella stessa eternità. «Non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita».
Si potrebbe ancora insegnare ai fanciulli qualche cosa sopra la teoria della evoluzione che oggi ha alquanto cambiato nella interpretazione primitiva riguardo alla lotta ed alla vittoria della specie. Oggi non si considerano più come vittoriosi gli animali che hanno grandi difese, come le fitte pelliccie, le robuste zanne, gli scudi, gli aculei, perché questi animali prima di diventare così forti e robusti sono stati in principio una cellula microscopica e poi un tenero e debole animale infantile: e durante tale epoca non avevano armi ed avrebbero dovuto scomparire, se non li avesse difesi la maternità.
In ultimo, si potrebbe insegnare agli adolescenti l’antropologia, e qui la scienza illustra la questione, ed è abbastanza netta, perché sia il caso di fermarvisi.
Il fatto stesso che il peccato sessuale possa condurre noi a divenire i genitori infelici di infelici creature, basta in sé a dare la coscienza nuova, se non altro nell’egoismo, la coscienza nuova della responsabilità verso la specie. Ma è anche educativo far contemplare lo sviluppo dell’uomo, farlo contemplare a tutti come qualche cosa di gioioso nella coltura intellettuale a cui tutti gli uomini hanno diritto. Far meditare sopra questo fatto meraviglioso: l’uomo, così complesso che l’anatomico non riesce a ricordare in tutte le sue parti, che il fisiologo non riesce a ricordare in tutte le sue funzioni: questo uomo si svolge da solo, e può diventare un eroe, un genio, un Dante Alighieri, un Raffaello Sanzio; può diventare il condottiero delle genti verso il nuovo tempo: ed è sempre lo stesso fenomeno, lo stesso miracolo della natura. Fino adesso non abbiamo mai meditato su questa cosa grandiosa che esorbita dai limiti della nostra gente, anche perché non avevamo la forza di soffermarci su questo argomento, come non sappiamo soffermare la mente nella interpretazione meravigliosa degli astri sospesi nell’universo. – Io avevo uno zio che, quando cercavo spiegargli l’opera sublime dello spontaneo sviluppo dell’uomo, mi diceva: «Non mi raccontare queste cose, perché io sento d’impazzire». E veramente questo sarebbe l’unico pericolo se volessimo riguardare la verità grandiosa dei fenomeni della specie; il timore d’impazzire nella meditazione di un fenomeno così grande.
Un’ultima parola sopra un particolare dell’educazione della fanciulla e della giovinetta a questa sua grande, nuova missione di madre cosciente.
Da quello che si è detto fin qui, risulta che noi in questa visione del futuro chiediamo all’uomo dei sacrifici ed una fortezza alla quale finora non è abituato; sacrificio e fortezza che non chiediamo alla donna perché non ce n’è di bisogno essendo stata questa appunto la virtù che la caratterizzava e l’innalzava a salvatrice della specie; pure anche ad essa dobbiamo chiedere, per giustizia, qualche sacrificio che suoni nuova fortezza. Bisogna che la donna impari a vincere quel sentimento che per esso solo la conduce ad accettare l’uomo. Bisogna che impari, senza badare al suo sentimento, a respingere l’uomo che è indegno di procreare, affinché ella non diventi mai la madre inconscia dell’individuo degenerato, dell’epilettico, dell’idiota, del pazzo morale. – E per dare questa nuova coscienza alle giovani donne, bisognerebbe ricorrere più che alla scuola, alla letteratura; ove il romanzo e la poesia cominciassero a ricavarne nuove figure di donne forti. Ho creduto di interpretare in questo senso una delle più note opere di Gabriele D’Annunzio, la Figlia di Iorio. Si vede nella scena la donna antica rimpicciolita, arida, muta, che sta lì in quella casa dormiente da secoli; dice Aligi: dormii settecent’anni. Donna imbelle che non sa difendere se stessa ed ha bisogno di mura massiccie, delle cure virili di chi la circonda per mantenersi pura nel corpo: e sulla porta, affinché la casa non sia invasa dall’uomo, contro cui non saprebbe difendersi, sta la croce. Questo ambiente è invaso ad un tratto dalla donna nuova, la quale da sé si difende dall’incanata e con tanto vigore che contro lei non può nemmeno la croce sulla porta. Ed ella conduce con sé l’uomo verso l’alto, alla cima del monte, dove lei sola sarà a difendersi da lui come uomo sessuale e ad innalzarlo come uomo morale. Donna che ci dà l’esempio della nuova forma dell’amore. Non è più quell’amore arido, sterile della donna fatta bambina, è l’amore grandioso finora sconosciuto alla donna d’oggi, l’amore che solo godrà l’uomo futuro quando saprà meritarselo: un amore fatto di tutte le forze della maternità e di tutte le forze dell’umano eroismo. Dinanzi alla colpa dell’uomo è lei che assume tutta la responsabilità per liberarlo dal martirio, è lei che compatisce fino all’estremo le sue miserie, e le donne che la vedono allontanarsi verso il rogo, le gridano dietro in voce di pianto: «Io bacio i tuoi piedi che vanno verso l’avvenire». E lei risponde: «La fiamma è bella!… bella è la fiamma del martirio che brucia il passato e dalla quale come fenice verrà la donna rinnovata».
Anche Federico Nietzsche nella sua grande opera di Zaratustra accenna a questo tipo di donna forte e rinnovata nella sua coscienza, la madre del superuomo, quando le fa dire all’uomo che le chiede amore: «Sei tu degno?… Sei tu l’uomo forte, robusto, vittorioso di te, padrone della propria anima? Sei tu l’uomo che ha voluto essere l’uomo sano e l’uomo forte? Oppure ti conduce a me la fame della bestia od il folle terrore della solitudine della vecchiaia? In questo caso vai lungi da me! Pensa che chiedi un monumento vivente della tua forza e della tua virtù! Io chiamo Imene; quella che riunisce due individui i quali vogliono creare un uomo più perfetto di quelli che l’hanno creato».
Veramente questa nuova forma di donna noi la possiamo figurare come la trionfatrice del definitivo e alto progresso dell’umanità: Ella si erige sulle lotte sociali come una madre forte. Possiamo simboleggiarla come una donna bellissima la quale ha perduto tutti i monili che erano serviti per attrarre l’uomo, ed è tutta ammantata nel manto di giustizia. Sotto il suo piede nudo come la verità, schiaccia il serpe dell’antica miseria morale; sembra l’incarnazione stessa della purezza; ma questa purezza è fatta tutti di concepimento e di maternità.
Da lei si irradia un tale splendore d’amore materno che sembra diffondersi in tutto il genere umano. Ha il volto dolce, soffuso di tutte le delizie, perché è la donna che è ascesa trionfante dal deserto della vita.