Appendice

L’educazione dei piccoli degenerati1


La dottoressa Maria Montessori dice sembrarle che sino ad oggi gli oratori tutti abbiano parlato solamente di fanciulli normali; ella, come medichessa, si vuol occupare soprattutto dei fanciulli degenerati, che alle volte sono al disotto delle bestie medesime, che non parlano e non si nutrono non perché loro manchi la facoltà di fare queste cose, ma perché non sanno comprendere che ad ogni azione corrisponde un atto della volontà. Si preoccupa degli imbecilli intellettuali, che molte volte passano per oziosi e sono quindi nelle Scuole ordinarie oppressi dai castighi che ne fanno dei veri martiri; dei degenerati morali, la cui perniciosa influenza subiscono gli stessi fanciulli normali.


Sono questi poveri esseri che il Governo dovrebbe correggere ed educare in speciali Istituti; sono costoro che, abbandonati nella società a loro medesimi, non potendo vivere del proprio lavoro cercano di mantenersi con il lavoro degli altri e diventano delinquenti; questi fanciulli lasciando la Scuola sono destinati a popolare i manicomi, i postriboli, le galere. I degenerati non sono sempre incapaci di educazione; occorrono per essi metodi speciali. Usare per l’educazione di questi disgraziati i metodi ordinari è uno sprecare inutilmente il tempo e la fatica. All’estero vi sono degli Istituti medico-pedagogici ove si isolano i degenerati dalle famiglie degenerate e dai normali della società; sono sorprendenti i risultati di questi Istituti, e infatti, ad una esposizione di Londra i loro allievi, anche dalle persone più intelligenti, non si poterono distinguere dai fanciulli normali accanto a cui erano stati messi a lavorare. Ci sono pure le classi aggiunte ove si raccolgono quei fanciulli che senza essere completamente degenerati, pure disturbano e guastano le classi normali. Ad alcuno potrà sembrare troppo grave la responsabilità che si assume la maestra nel mandare i fanciulli a questi Istituti, a queste classi; ebbene, la maestra dica semplicemente: Questo bambino mi sembra un degenerato, e il medico giudicherà.


L’Istituto medico-pedagogico potrebbe essere annesso, per ora, ai manicomî provinciali. Propone che ai programmi delle Scuole normali vengano unite nozioni di diagnostica e che si dovrebbero istituire corsi speciali di studî per preparare i maestri al metodo medico-pedagogico. A tal proposito dichiara che alcuni professori già fin d’ora si accingerebbero ad aprirne.


Propone il seguente ordine del giorno:

«Il Congresso Pedagogico convinto che la società civile non debba trascurare alcun mezzo per redimere ed educare i bimbi che, per speciali caratteri degenerativi, non possono trarre profitto dalla Scuola comune, fa voti affinché essi vengano educati a parte, da maestri dotati di attitudini e cognizioni particolari, ed a tale scopo chiede che:


«Per l’educazione dei piccoli degenerati, lo Stato provveda legislativamente all’istituzione di classi aggiunte presso le Scuole elementari almeno dei Comuni più importanti e le Provincie creino o sussidino nelle città capoluogo speciali Istituti medico-pedagogici per i casi più gravi e per l’educazione speciale dei maestri, vengano insegnati in ogni Scuola normale i caratteri sintomatici della degenerazione ed i mezzi più acconci a combatterli e lo Stato instituisca un corso speciale universitario per preparare a questo insegnamento i professori di pedagogia delle Scuole normali, per i maestri medicopedagogici, al quale, a titolo di premio, dovrebbero essere ammessi gratuitamente e sussidiati per la durata del corso, i migliori licenziati della Scuola normale».


Aggiunge che se esso sarà approvato, unirà il voto del Congresso alla domanda che il deputato prof. Bonfigli presenterà alla Camera nel prossimo autunno a proposito della istituzione benefica suaccennata.


Il comm. Torraca manifesta il suo vivissimo compiacimento all’oratrice. Aggiunge pure che negli ultimi programmi per le Scuole normali il Ministero ha già mostrato di volersi mettere per la via indicata dalla gentile e dotta oratrice.


Dopo brevi osservazioni di Comelli, l’ordine del giorno della dottoressa Maria Montessori viene approvato per acclamazione.


Fornelli propone che nel futuro Congresso Pedagogico uno dei temi da svolgersi sia quello oggi splendidamente dimostrato dalla dottoressa Montessori.


Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza2

Parte I.

Il rapido e forte impulso che gli studii positivi hanno avuto in questi ultimi tempi, non solo per indagare le cause, ma più per trovare i rimedii dei molti mali che affliggono la società e l’individuo, ha portato alla felice risoluzione d’alcuni dolorosi problemi sociali. Tra questi uno più degli altri è altamente civile; quello che tende alla rigenerazione dei degenerati. La scienza, dopo avere studiato le cause varie delle degenerazioni o degli arresti di sviluppo – e avere scoperto come in alcuni casi fino il delitto possa risultare da tali condizioni di natura, sa ora stender la mano a quegli infelici dal fato condannati alla esistenza più misera, e con meraviglioso studio mantenerli nel consorzio civile.


Gl’istituti speciali pel trattamento dei frenastenici hanno una storia recente, ma brillantissima per la rapida propagazione di queste fondazioni e per gli esempi di uomini eroici per altruismo e profondità nella scienza, i quali consacrano la loro nobile vita a quell’opera generosa che tende alla riabilitazione intellettuale e morale dei fanciulli deficenti. Si sa come alcuni infelici nascono destinati ad avere facoltà intellettuali quasi nulle, tantoché non arrivano da soli a disimpegnare le funzioni più semplici della vita: sono sudici, non distinguono gli oggetti e non ne comprendono l’uso (nemmeno dei cibi!); spesso non sanno camminare. In Italia questi bambini vengono ricoverati nei manicomi, alla rinfusa cogli altri pazzi, senza ricevere altre cure oltre quelle necessarie alla vita vegetativa; e rappresentano nella economia sociale una passività sì pel loro mantenimento, che pel servizio personale che richiedono.


Altri fanciulli giungono al disimpegno delle funzioni vitali, ma sono incapaci di apprendere intellettualmente o moralmente, e perciò, espulsi dalle scuole, finiscono da noi col vagabondare nelle strade, vittime spesso del vizio e dei malvagi. Un altro genere di deficenza è l’imbecillità morale, per cui i fanciulli non giungono a comprendere i sentimenti etici. Sono quelli che la scuola di Lombroso chiama: «Delinquenti congeniti». Per lo più generati da padri alcoolisti ed epilettici, i loro malvagi istinti provengono spesso da uno stato morboso epilettoide. Questi sono in Italia destinati a popolar le galere, e dopo molti anni di carcere, in preda alla pazzia furiosa, a finire i loro giorni nei manicomi.


Così delle donne, nate in queste infelici condizioni fisiche, passano in vita loro dal postribolo al carcere, dove per lo più lo sviluppo d’una pazzia le porta al manicomio. Se nei giorni nostri pensiamo con orrore ai tempi in cui si mettevano in catene i poveri pazzi, dovremmo tutti, popolo e reggitori, meditare profondamente su questi altri infelici che sono pure condannati a catene, rese più pesanti dal disonore e dal disprezzo della società. In Italia fu proclamato per la prima volta al mondo, nello scorso secolo, di torre le catene ai pazzi – ed oggi in Italia, la scuola di diritto penale alza continuamente la voce perché la società si difenda dagli imbecilli morali congeniti e si applichi a loro più che la pena-espiazione, una severa igiene sociale! È pure nella pratica il nostro paese presenta, sotto questo riguardo, uno stato di barbarie che dovrebbe farlo arrossire.

Bastò che il Seguin, nel 1831, scoprisse come l’idiota non è incapace di apprendere, ma solo non arriva a seguire i mezzi comuni di educazione; e che egli svolgesse un nuovo programma per l’educazione degli idioti, affinché contemporaneamente in Francia, in Isvizzera e in Germania sorgessero istituti adatti alla riabilitazione intellettuale e morale dei fanciulli deficenti. La gloriosa opera così inaugurata nel 1842, fu subito seguita dall’Inghilterra e dall’America, e poi quasi tutta Europa, fin nella più nordica Scandinavia, vi si associò rapidamente. E dopo tanto esempio di uomini e d’opere, e dopo le statistiche brillanti di questi istituti, che dimostrano tornati in seno alla società migliaia e migliaia d’esseri umani rigenerati che vivono onestamente del loro lavoro, l’Italia non possiede ancora nessun istituto del genere!


Gl’idioti intellettuali dunque e gl’imbecilli morali sono suscettibili d’educazione, ed hanno istinti che si possono dirigere al bene. Bisogna distinguere vari gradi d’imbecillità che tutti possono essere se non altro migliorati; nei casi non gravissimi si giunge fino a impartire l’istruzione elementare (aritmetica, storia, geografia, ecc. ecc.,) sino all’esercizio di una professione. A Parigi la fanfara composta d’idioti ha partecipato al Congresso del XX circondario vincendo la medaglia di 2° premio. In una esposizione di lavori manuali a Londra, nel ’91, le sue meravigliose scuole per gl’idioti, ognuna delle quali contiene più centinaia di questi infelici, vollero anch’esse concorrere, e furono esposti i lavori degli imbecilli educati accanto a quelli degli uomini normali, che là avevano mandato le loro più perfette produzioni. Nulla faceva distinguere il lavoro dell’idiota da quello dell’uomo normale. Se però il mestiere elevato non è meta per tutti i deficienti, quasi tutti arrivano a disimpegnare lavori semplici come, per esempio, nella fabbricazione di candele, di cordami, di scope, nell’impagliature di seggiole, ecc., nel compito di servitù in famiglie, in latterie; nel lavoro della terra e così via. Anzi a questo proposito si rese notevole nella pratica il vantaggio d’avere un imbecille educato pel disimpegno di certi lavori, i quali richiedono una meccanica sempre uguale, e punto intelligenza. Lavori ai quali l’uomo intelligente non resiste più di due ore senza divagarsi, a danno della produzione; mentre l’imbecille continua invariabilmente finché vengono meno le sue forze fisiche.

Egualmente meravigliosi e commoventi sono i risultati avuti dalla educazione degl’imbecilli morali. Essi vengono lanciati nel mondo per lo più all’età di 18, 20 anni. In principio i risultati furono un poco scoraggianti; qualche giovane cadeva nel vizio, finiva ladro; qualche ragazza entrava ben presto nel postribolo. Ma non è forse pericolosa l’entrata nel mondo dei giovani abbandonati a sé stessi, anche quando sono normali? Ecco dunque la carità di nobili signore costituire comitati per la guida dei primi passi nel mondo di queste nature perverse, corrette dalla scienza dell’uomo. E gentildonne della più alta nascita rimisero sul retto sentiero qualcuno che deviava, e altri sorressero nei pericoli di caduta – facendo da sacerdotesse e da madri a creature che nel secolo scorso (e in questo ancora in alcuni paesi!…) erano condannate alla più bassa ignominia. Sono commoventi le lettere che alcune patronesse mandano continuamente agl’istituti per informare sulla vita dei loro protetti; ed è pure santa la gioia dello psicologo che educò qualche malvagia natura, quando sente dirsi: «Da quindici anni seguo questa ragazza; essa è onesta e guadagna la vita col suo lavoro!»


Gl’istituti classici del genere furono fondati a Parigi ed Vitry dal dotto Bourneville; e francese è il metodo educativo.


Ci sono istituti per fanciulli agiati ed altri per poveri, sorti tutti per iniziativa privata di alcuni medici e per concorso della carità pubblica. Per quanto si concorresse largamente nell’opera benefica, fino a poter mantenere case di mille letti ciascuna; ogni anno era necessario rimandare dei fanciulli per mancanza di posti.

E così imponente fu il numero dei rimandati, che intervenne a proteggerli il Governo a istigazione dei medici dell’Istituto. Così, mentre negli ospizi si raccolgono ora solo i deficienti più gravi, vengono istituite scuole o classi aggiunte alle scuole elementari già esistenti, fin nei piccoli comuni, dove s’impartisce l’educazione col metodo pedagogico speciale adatto ai deficienti. Ci sono classi aggiunte in Francia, Inghilterra, Svizzera, Germania, Austria, ecc., ove un insegnamento speciale prepara le maestre elementari nel nuovo metodo pedagogico, che presuppone in esse una coltura relativamente elevata e la completa cognizione del metodo Fröebeliano. La base su cui si fonda l’opera meravigliosa di educare gli idioti è questo principio: «ricercare ciò che sussiste in loro e utilizzare tutte le risorse, anche minime, per guadagnare il più possibile». Così può dirsi che un idiota isolato non è educabile, bensì lo è «una classe d’idioti» avendo questi il processo d’imitazione molto spiccato, il quale fa sì che in collettività si sommino gli sforzi di tutti. Ed anche è difficile nei casi più miti, impossibile nei casi gravi, affidare l’educazione alla maestra, perché c’è bisogno continuo del medico clinico e dello psichiatra. È quindi necessaria la collettività degl’idioti e perciò l’istituto; è necessario il medico ed il maestro.


Ci sono molte specie d’idiopsia: alcune dovute a malattie embrionali, altre conseguenze di parti difficili, altre prodotte da malattie ereditarie, altre cagionate da lesioni di visceri interni, ecc. La diagnosi tra queste varie idiopsie richiede la scienza di un medico specialista, il quale dirigendo la cura medica fisica adatta, migliorerà le condizioni intellettuali degl’infermi. Inoltre questi, essendo già più deboli dei fanciulli normali, vanno soggetti a malattie (esantemi, anemie, ecc.) che l’oculato medico può prevenire con opportuna igiene, impedendo così un ulteriore indebolimento. Il modo di vivere, la nutrizione, i tonici (bagni, elettricità, ricostituenti, eccitanti) devono variare ed essere assegnati dal medico secondo la sua diagnosi. Così il fisico di questi fanciulli va giornalmente diretto e sorvegliato dal medico; e sono tali cure e tale miglioramento del corpo, che rendono possibile il trattamento pedagogico.


Questo tende prima all’educazione dei sensi, poi all’educazione dell’intelligenza. Nell’una e nell’altra è necessario tenere i fanciulli occupati dalla mattina alla sera senza mai farli minimamente stancare, senza isolarli mai.


Vanno loro insegnate da principio le cose più semplici; il cammino con una meta prefissa, l’uso del sedile, l’uso del cucchiaio, ecc. Poi si tenta di destare l’attenzione loro con l’educazione dei sensi; per esempio, l’educazione della vista e dell’odorato si usa fare conducendo i fanciulli a passeggio tra le aiuole d’un giardino ricco di fiori dalle variopinte e grandi corolle, dai profumi più acuti. L’educazione del senso muscolare richiede una serie d’istrumenti di ginnastica; quello del senso tattile una quantità di graziosi oggetti lisci di metallo, di velluto e di seta, o di sostanze scabre, frutta per lo più, le quali cose abbiano in sé col loro aspetto, la proprietà di attrarre l’attenzione.


Compiuta l’educazione dei sensi ed educata insieme l’attenzione di questi fanciulli, si passa nel campo dell’istruzione. Può presentarsi a questo punto l’alfabeto, che non è da principio un libro, bensì una tavoletta sulla quale stanno le lettere in rilievo, sensibili variamente al tatto e dipinte a varii colori o luccicanti. Questo, il primo passo paziente; poi si progredisce mano mano con grandi precauzioni e lentezza, alternando l’istruzione intellettuale con quella manuale, che formerà l’operaio.


Un’altra parte è l’educazione morale. Ecco il punto culminante dell’opera dello scienziato e del filantropo. È necessario che il medico psicologo e psichiatra sorvegli continuamente l’animo di questi infelici fanciulli, come era necessario di fare al medico clinico per migliorare il loro corpo. Deve in questo caso il medico amare non solo la scienza, ma la creatura; perciò è detto sopra che qui si richiede l’opera non solo dello scienziato, ma del filantropo. Ci vuole dolcezza coi fanciulli di meschino sviluppo mentale; bisogna utilizzare soprattutto lo spirito d’imitazione, e la loro spiccata vanità che può sapientemente trasformarsi in una provvidenziale emulazione capace d’essere diretta al bene. La suggestione morale deve aver lo scopo d’inculcare il principio: «non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso.» E le funzioni religiose con le loro dolci musiche, le luci artificiali, i profumi d’incenso possono beneficamente giovare a tale scopo suggestivo. Qui la religione non solo va d’accordo colla scienza, ma ne è pure il necessario ausilio.


Ecco il programma delle nazioni civili; lo dichiarava recentemente nella Camera uno dei nostri deputati, l’onorevole prof. Bonfigli, direttore del manicomio di Roma (Atti parlamentari, tornata del 23 giugno ’97), tra unanimi applausi; e chi non sente questo programma, non ha diritto di proclamare nel nostro secolo la propria civiltà. Questo è detto in nome della scienza; e non è sentimentalismo rettorico, ma sano ragionamento.

Parte II.

L’Istituto Medico Pedagogico per l’educazione dei fanciulli frenastenici è un portato di sentimentalismo rettorico, o è veramente una grandiosa opera sociale d’incivilimento? Il problema ha la sua facile ed ampia risoluzione sperimentale nell’opera di tante nazioni e negli infiniti studi di sociologia che sull’argomento si fanno. La educazione dei frenastenici non interessa solo il sentimento degli individui, ma il diritto di protezione sociale; esso non è una questione d’Opere pie, ma d’economia politica e di diritto penale. Gl’individui raccolti e protetti da questi istituti, rappresentano in gran parte i degenerati, i deboli del sistema nervoso, e sono conseguenze inevitabili della civilizzazione, che col suo progredire rende sempre più difficile la lotta di adattamento. Il debole è incapace a qualsiasi sforzo prolungato, e non solo ha maggior bisogno di nutrizione ma anche di eccitanti per sollevare la sua vitalità fiacca. Egli dunque, producendo meno, ha più bisogni degli altri, e cade ben presto nella necessità di approfittare del lavoro altrui ricorrendovi o con l’astuzia o con lo sforzo violento; e l’esempio gli apre facilmente la via alla criminalità. Tutti i degenerati sono persone nocevoli; ora essi non meritano né odio né collera, ma la società deve premunirsi contro di loro, mettendoli in grado di non poter nuocere e impedendo per quanto possibile, la loro riproduzione. Gl’idioti e gl’imbecilli intellettuali e morali sono appunto i degenerati nocevoli: i primi perché vivendo consumano una certa quantità di materie utili, ed essendo inerti non possono concorrere alla produzione, quindi essi distruggono, dice il Ferè, come fa un incendio. Gli altri, facilmente portati al crimine sono la continua minaccia alla vita e ai beni degli individui produttivi. I grandi problemi del diritto penale si aggirano attorno a quest’ultima classe di nocevoli, per trovare il modo di eliminarli il più possibile dalla società. Ogni uomo produttivo ha diritto alla protezione contro i criminali, non solo per convenzione tacita fra gli uomini, ma per un fatto reale: cioè che ognuno paga alla società il suo tributo materiale e a volte personale. Ora si è capito che la pena non evita né diminuisce il delitto. Si credeva anticamente che l’esempio della espiazione costituisse un freno, ma il criminale come il folle agisce male perché sente male e ragiona male; e la sua sensibilità certo non sarà modificata da una pena. Essa potrebbe considerarsi come vendetta dell’offeso, ma questa non potrà essere la formula della giustizia; e d’altronde il cittadino leso nei beni o nella persona non è interessato alla pena del colpevole, ma piuttosto il risarcimento dei danni, ciò che non ha quasi mai luogo. E anzi la pena stessa porta alla società una nuova perdita di ricchezze e di energia. Quindi il De-Girardin è spinto a riflettere che almeno la pena di morte è la meno costosa.


L’interesse pubblico potrebbe essere soddisfatto solo con la radicale soppressione del criminale, cercando perciò di stabilire dei caratteri precisi fisici e psichici, che permettessero di distinguere prima del delitto e di sopprimere senza rimorsi, quelli che fossero riconosciuti come criminali. Ma fino ad ora questi caratteri, in gran parte ricercati dall’Antropologia criminale, sono illusori.


Si potrebbe rispondere a tali riflessioni del Ferè che ci sarebbe un mezzo per la facile ricerca di questi caratteri, quando si facesse nel bambino. La sua natura semplice, non modificata ancora dall’ambiente esterno e dalle lotte di adattamento sarebbe facilmente comprensibile a chi fosse educato a comprenderla, poiché nel fanciullo gli sforzi di simulazione o non esistono o sono molto ingenui. Di più i bimbi sono esposti alla continua vigilanza di chi deve guidare i loro primi passi nella vita (maestre e madri). Sarebbe perciò necessario che le madri e le maestre fossero educate a saper raccogliere nel fanciullo tutti quei dati fisici e psichici che indicassero in lui il degenerato. Richiamata così l’attenzione sui futuri nocevoli della società, verso questi dovrebbero esser prese quelle misure preventive che, riguardo alla soppressione del distruttore in genere, l’interesse pubblico richiede. Il mettere alla portata di tutti le nozioni delle cause e degli effetti della degenerazione potrebbe essere anche una misura preventiva non solo del crimine, ma dei criminali stessi, mettendo in guardia ogni individuo per la scelta del matrimonio e per le norme d’una sana generazione.


Ben dice a questo proposito lo Spencer, come sia un’inesplicabile anomalia della società, che la sorte d’una nuova generazione venga abbandonata all’arbitrio d’abitudini irriflessive e d’irragionevoli capricci; e che non si sia mai dato nelle nostre scuole su queste materie la minima istruzione a quelle allieve che domani saranno madri di famiglia ed educatrici dell’infanzia.

Riuscendo più facilmente con questi mezzi al riconoscimento dei degenerati, sarà il caso di sopprimerli senza rimorso, magari ricorrendo al mezzo economico della pena di morte, come dice il De-Girardin? In ogni progresso deve essere considerata soprattutto la civiltà, che tende a rispettare insieme il sentimento e l’interesse dell’individuo. Si osserva in genere come le leggi dell’evoluzione mostrano che gl’individui e le specie incapaci di adattamento all’ambiente, hanno dovuto soccombere, e quindi che i degenerati tendono per sé stessi a sparire perché più facilmente presi e distrutti dalle comuni malattie, perché nelle successive generazioni ben presto giungono alla sterilità. Se quindi, la natura è senza pietà pei degenerati, gli uomini che lavorano a sostegno di essi vanno contro la natura stessa; e poiché a torto si sosterrebbe che la natura è insensibile e immorale bisogna concludere che la sensibilità e la moralità di quegli individui si allontanano dalla natura, cioè sono patologiche. Anzi questa sensibilità morbosa sarebbe già di per sé un primo grado di degenerazione. E difatti: – se la protezione dei degenerati deve consistere nel soccorrerli in danaro affinché possano procacciarsi quell’eccessivo nutrimento e quell’eccitazione di cui hanno bisogno, e che pel loro spossamento non arrivano a procurarsi col lavoro; – se la protezione ai deboli deve consistere nel rispettare la libertà loro come quella d’ogni altro uomo, lasciandoli in grado di riprodursi e di nuocere; – se la pietà verso i degenerati eccitata dallo stato della loro miseria fisiologica che finisce col dare inumano spettacolo quando tubercolosi, rachitide, sifilide, alcool hanno fatto strage di quelle deboli nature; se questa pietà così eccitata spinge i forti a lenire quegli irreparabili effetti, la cui prima causa è loro sfuggita; – allora si può esclamare «che la società a torto incoraggia la produzione dei degenerati con sistemi di carità male intesi, e che bisogna evitare il contagio dell’emozione simpatica in favore dei nocenti, ricordando invece che bisogna preoccuparsi dell’utilità comune, e non di quegli individui che oramai possono solo degenerare sempre più, restando come una causa di sofferenze per l’umanità intera!»


Ma anche quando scoraggiati dalla inutilità dispendiosa di tali sforzi, concludiamo che bisogna distruggere, andiamo contro la natura ove nulla si distrugge, ma tutto viene trasformato: – e più ancora andiamo contro la scienza che non deve dichiararsi mai vinta, ma invece dall’insuccesso attingere la forza e ricavare l’indice per ricerche nuove. Così nel caso dei degenerati, se le ricerche dell’antropologia criminale riuscirono infruttuose quando si rivolsero all’uomo già adulto che in sé portava non solo le stigmate di natura, ma aveva nell’esser suo le infinite complicazioni prodottevi dall’ambiente in cui visse per tanto tempo – da questo insuccesso è portata a rivolgere la sua attenzione al degenerato bambino.


E se il diritto penale cercò invano di correggere il delinquente con l’isolamento cellulare che l’obbligasse alla meditazione; – o col lavoro forzato che lo conducesse alla sana attività; – o con l’istruzione che aumentando il numero delle idee, nel conflitto di queste rendesse il degenerato meno esposto a lasciarsi trascinare da una sola, che se cattiva porta necessariamente al male: e dopo tali infruttuose esperienze concluse che il delinquente è incorreggibile e che quindi si rende necessaria verso di lui la perpetua assistenza; – da questo nuovo insuccesso scaturì la ricerca sulla possibilità di educare il criminale quando è bambino; età ove è utilmente educabile anche l’uomo normale.

Sono rispondenti alla natura insieme e alla civiltà gli ultimi portati della scienza positiva che rendono possibile l’educazione di frenastenici, coi metodi medico pedagogici. Difatti con gl’Istituti pei deficienti si raccolgono i distruttori e i nocevoli quando son bambini isolandoli per tempo dalla società e dalle malsane influenze d’un ambiente familiare spesso adatto a imprimere maggiormente le note degenerative, e sottoponendoli a una educazione che li rende produttivi e onesti. Solo quando l’educazione garantisce di loro, si rilasciano nella società sotto la sorveglianza dei comitati di protezione. Se l’individuo rimane sempre pericoloso continua a vivere nell’istituto, rendendosi utile col suo lavoro. Anzi quasi tutti gl’imbecilli educati tendono a rimanere rinchiusi, trovandosi nell’ambiente adatto, ove non risentono la triste inferiorità; e viene così impedita loro la riproduzione. Qui lavorano: sono agricoltori e giardinieri, falegnami e muratori, sarti e calzolai, servi e infermieri. La loro produzione è tale che ben presto l’Istituto acquista non solo l’autonomia, ma una rendita più o meno cospicua. Così il Bourneville riporta le cifre dell’attivo prodotto dal lavoro di operai idioti al suo Istituto di Parigi:


Laboratorii

Numero operai

Valore mano d’opera

di falegname

25

L.

5386.35

di calzoleria

46

»

3568.75

di sartoria

64

»

5942.50

di fabbro ferraio

15

»

4703.00

di panieri

25

»

2847.35

d’impagliatori

12

»

735.20

di scopette

8

»

4076.40

di stamperie

13

»

6911.00


con questo reddito si pagano: sette maestri di mestieri a L. 6.50 il giorno spendendo circa L. 6000; ne restano più di L. 17.000; pagati gli interessi del capitale impiegato di 200.000 lire al 50,0 resta ancora un avanzo di 7000 lire. Con la rendita si possono accogliere nuovi bambini idioti che vengono così mantenuti nell’infanzia dai loro compagni già educati, e poi a lor volta manterranno nuovi bambini.


Riflettiamo che invece l’idiota non educato è assolutamente passivo e consuma non solo ricchezza, ma energia per la sorveglianza che richiede, tantoché, dice il Fernald: «le cure a domicilio d’un idiota soprattutto invalido consumano i salarii e la capacità delle persone di casa, in modo che una famiglia intera cade nella miseria. L’umanità e una buona politica domandano che le famiglie siano sollevate dal carico di questi infelici».


Ciò senza contare il criminale che consuma e distrugge prima col delitto, poi con la sua stessa pena, ed è noto che la maggior parte dei perversi, delle prostitute, dei vagabondi internati negli stabilimenti penitenziari sono dei deboli di spirito. Ciò che la società e lo Stato economizzano sulla prima educazione di questi fanciulli abbandonati a sé stessi, è più tardi speso dieci volte in polizia, giustizia e prigione. Quindi esclama il Kurella «non v’è campo di economia politica che possa esser coltivato con più profitto per la diminuzione del crimine, del pauperismo e della follia che quello dei fanciulli idioti e imbecilli morali!»

L’educazione dei frenastenici, considerata sotto il punto della protezione sociale dovrebbe essere suddivisa in più modi. Se l’iniziale movimento fu solo verso quegli idioti giacenti nel più basso grado di deficenza mentale, ora il concetto educativo tende ad estendersi ai degenerati più alti, fin quasi all’uomo normale. Gl’istituti medico-pedagogici classici, per quanto fossero grandi sì da contenere fino a 1000 letti ciascuno si riconobbero ben presto insufficienti dal numero enorme degli imbecilli che bisognava rimandare: e la sproporzione tra i rimedi e il male fu resa completamente nota dalle statistiche. Queste dimostrano in Francia che i vari istituti ricoverano circa 7000 deficenti, mentre la Francia intera ne contiene circa 60.000! press’a poco le medesime proporzioni si hanno nelle altre nazioni civili. Ora per rendere un’idea chiara di quanto si è già fatto e di quanto resta a fare nelle nazioni ove s’è cominciata l’educazione de’ frenastenici, farò il paragone con altre due classi di paria della natura: i ciechi e i sordomuti, a favore dei quali anche in Italia si è già fatto tanto. In Francia per 60000 frenastenici vi sono 1000 ciechi e 4000 sordomuti; ora vengono ricoverati nei rispettivi istituti 900 ciechi e 3600 sordomuti; quindi restano senza soccorso 100 ciechi, 400 sordomuti e 53000 deficenti! Queste statistiche lungi dallo scoraggiare hanno spronato i vari governi a provvedere ai frenastenici con mezzi più facilmente attuabili che non siano gl’istituti medico pedagogici. Questi mezzi consistono nelle «Classi Aggiunte» che già cominciano largamente a fondarsi in Francia, in Germania e in Inghilterra. In ogni città, in ogni centro si dovrebbero unire alle comuni scuole elementari delle classi speciali alle quali poter inviare quei fanciulli che nelle classi comuni nocciano al buon andamento generale progressivo o per il modo tardo di apprendere o per l’indisciplina. Così se in una classe comune tre o quattro fanciulli restano indietro agli altri, il maestro non ripete per loro soli a detrimento del progresso comune, ma li manda in una classe aggiunta. E agli atti d’indisciplina o agli atti indecorosi o viziosi di alcuni allievi il maestro non è obbligato a ricorrere a quei castighi che rendendo nota alla classe intera la mancanza di uno scolaro riesce più di stimolo che di freno al vizio, o suscita nei compagni il sentimento non nobile del disprezzo verso il castigato; ma questo viene trasferito nelle classi aggiunte.


Così è tolto ai fanciulli normali ogni impaccio ai progressi intellettuali e ogni esempio di perversione morale. Quando il bambino è passato nelle classi aggiunte si trova in un ambiente più adatto alle sue forze intellettuali e morali, i compagni non si fanno più beffe della sua inferiorità, gli studi insegnati con metodi adatti, rivolgentisi principalmente all’educazione e all’esercizio dei sensi e progredenti con dolce gradazione, non li stancano: così il fanciullo che nella classe comune per l’affaticamento soverchio s’irritava e s’indeboliva sempre più, rifuggendo dal lavoro penoso, qui studia con amore secondo le sue forze. Il deficente rimane tale, ma non si esaurisce e non si scoraggia, e viene condotto per lo più verso l’educazione professionale che farà di lui un operaio laborioso e felice del suo stato. L’allievo che passa nelle classi aggiunte non va solo sotto il maestro preparato secondo i metodi medico-pedagogici, ma va pure sotto la sorveglianza del medico che indaga le cause della sua deficenza, e lo sottopone a una cura atta a rinforzarlo. Inoltre il medico può liberamente affrontare il fanciullo perverso e vizioso (onanismo dei deficenti) e con cure adatte metterlo in grado di non indebolirsi maggiormente. Così viene già compiuta sin dall’infanzia un’utile selezione che permette ai normali il rapido progresso e facilita loro il raggiungimento dei gradi sociali più elevati; mentre dall’altro lato s’impedisce ai deboli di essere vittime e d’esaurirsi invano nelle lotte per l’esistenza.


Da noi in Italia i ragazzi più intelligenti come i più tardi seguono un solo e lento metodo educativo, mentre quelli così deficenti o perversi da essere esclusi dalle pubbliche scuole sono destinati a errare per le vie come Caino, e saranno come Caino fratricidi quando la loro degenerazione non soccorsa li avrà fatti criminali. Così l’unica selezione che avviene forzatamente da noi è non soltanto inutile e inumana, ma anche fatalmente dannosa.


Quando i fanciulli delle classi aggiunte non possono essere utilmente educati nemmeno coi metodi speciali, essi vengono rinchiusi negli istituti medico-pedagogici ove la sorveglianza continua e la continua cura dei medici, giunge almeno a educarli in modo da essere utili come dicemmo nell’istituto stesso che sarà l’ambiente della loro vita.


Tale insieme di riforme che ci sorprende come una favola meravigliosa, poiché ci fa intravedere l’ideale di non aver più né parassiti né criminali in mezzo alla società, ma solo uomini produttivi con grande vantaggio economico, e progresso nella funzione protettiva degli Stati, sono sorte e sviluppate da solo mezzo secolo. Quindi ci troviamo appena all’inizio di un’opera che tende a rendersi universale ed è destinata a crescere insieme alla civiltà. Ogni vero progresso moderno è ora incompatibile economicamente e moralmente nella nazione che non prenda parte a questo movimento di civiltà umana.

Scuole di redenzione3

C’è un articolo di legge che impone l’obbligo della prima scuola, e alla educazione scolastica si attribuiscono poi comunemente gli atti della vita dell’uomo adulto nella società. Così se il delitto infierisce in Italia, se il coltello diventa una forma banale di «persuasione», se la mano regicida appartiene ad uomo vissuto ed educato nel nostro paese – e se in quasi ogni casa di pena da noi si potrebbe oramai affiggere l’atroce cartello: «completo» – lo sguardo critico del pubblico si porta a interrogare la scuola educativa: «Che cosa insegnano i maestri?… sarà il caso di sorvegliarli severamente e di limitare la loro libertà d’insegnamento e magari… la loro libertà di pensiero?». Spesso l’opinione pubblica s’aggira sopra alcuno di questi fatali errori che tendono a diminuire e a reprimere la forza riparatrice. Si rivolga al delinquente l’attenzione; a colui che ebbe «facoltà di delinquere» e non al maestro, la cui azione è ben determinata e limitata dall’indirizzo educativo cui s’ispirò l’unità della patria e dai regolamenti. A proposito dei criminali, sui quali oggi tanto si discute, da molte bocche esce oramai la sentenza: «sono degenerati!». E se questo intuisce lo stesso pubblico, perché qualcuno incolpa la scuola educativa, che è fatta e misurata sui normali? O, se la scienza dimostra che i degenerati vi sono in gran numero e debbono esservi, poiché rappresentano le fatali conseguenze d’un eccessivo sforzo di adattamento alla esistenza portato dalla stessa civiltà; e se dimostra pure che la minore potenzialità psichica ed etica dei degenerati è inaccessibile agli insegnamenti misurati su potenzialità normali, allora cadano le critiche solo sulle scuole educative speciali dei deficenti, e si dica: «riformiamo e perfezioniamo le scuole dei degenerati in Italia». Ma se da tali considerazioni si è portati a contemplare la scuola frenoeducativa, ci accorgiamo che nel nostro paese, a differenza delle altre nazioni civili, questa scuola non solo non esiste, ma vi è quasi sconosciuta!


Per quei fanciulli degenerati che sono i deficenti intellettuali e morali vi è un solo comma regolamentare che suona press’a poco così: «quell’alunno che non potrà per malvolere o per insufficenza mentale seguire il corso regolare degli studi, o quello che per indisciplina disturbi incorreggibilmente la tranquillità della classe, siano espulsi dalle scuole». Se dunque si escludono dalla scuola educativa i futuri nocevoli della società e si abbandonano nell’ambiente degenerato della loro famiglia e in quello non meno corruttore della strada ove andranno vagabondi, come la scuola potrà venire incolpata della crescente delinquenza? E a che si prenderanno misure di rigore verso i maestri e verso l’obbligatorietà della prima istruzione per tutti i fanciulli, quando poi verranno educati solo i normali, che pur lasciati ai loro istinti e alloro ambiente familiare equilibrato, non sarebbero mai divenuti i nocevoli della società? Se la scuola educativa ha una forma di deficenza che sia uno dei fattori del crimine, è quella appunto di trascurare l’educazione dei fanciulli degenerati. Ma ciò non appartiene ai maestri.

Spesso quegli stessi difetti di carattere che portano il criminale a delinquere, sono i soli mezzi che rendono possibile la loro educazione morale. Prendiamo, a esempio, gli autori di delitti clamorosi – che sono per lo più compiuti dai così detti «degenerati riformatori». Essi hanno di caratteristico un concetto enorme dell’io, una varietà smodata che riesce a volte impulsiva, e li spinge a sopprimere personaggi che in qualunque modo rappresentino quello stato di cose ch’essi vogliono riformare. La perversione degli istinti dà la falsa premessa e poi la deficenza critica vi forma sopra un raziocinio sbagliato. Nulla può frenarli quando è risultata la conclusione delittuosa: nemmeno il timore della pena, perché i passi morali hanno pure una sensibilità fisica grandemente inferiore alla normale. Così si credono eroi, salvatori del genere umano, e la loro debolezza vanitosa è piacevolmente eccitata dalla triste notorietà che li fa segno al generale obbrobrio. – Ebbene, l’educazione morale dei così detti delinquenti, si basa tutta appunto sulla loro spiccata vanità, che sapientemente può trasformarsi in emulazione capace d’essere rivolta al bene. I maestri e i medici che negli istituti speciali pei frenastenici, così fiorenti all’estero, si occupano della educazione dei bimbi degenerati, mostrano loro un interessamento appassionato. Li amano, li lodano, li premiano: le «biografie» dei fanciulli sono stampate su appositi libri, ove pure stanno incisi i loro ritratti. I bimbi sanno che finché saran buoni e laboriosi verranno amati, e il mondo si occuperà di loro ammirandoli. Intanto il medico li sottopone a cure ricostituenti, e i più svariati esercizi sportivi agevolano il loro forte sviluppo. – Secondo il grado più o meno profondo di degenerazione morale, si può giungere a qualche grado etico più elevato. Qui entra, necessario ausilio, la religione. Gl’incensi, le dolci e gravi musiche accompagnanti le funzioni religiose sono mezzi potenti di suggestione morale, per questi essere sì facilmente suggestionabili. Il «non fare agli altri ciò che non vorresti fatto a te stesso» – il premio eterno e la gloria del paradiso superiore ad ogni gloria terrena – l’amore immenso del Redentore per tutti gli uomini, il merito che si acquista nel non far sapere alla mano sinistra ciò che la destra fa di bene – ecco tanti gradi di perfezione ai quali si può far lentamente salire le anime perverse, con lunga ed amorosa cura educativa. Tale suggestione morale, l’ambiente sano e rigeneratore dal lato fisico – il lavoro continuo, ma non spossante; – la coscienza d’interessare il pubblico e d’essere amati, ecco la scuola curativa dei pazzi morali. Essi ne escono adulti e «impeccabili» – onesti lavoratori e utili cittadini.

Abbiamo in Italia dei filantropi «dilettanti» che a educare i piccoli delinquenti seguono solo il geniale impulso del cuore, senza metodo scientifico, senza rigorosi studi psicologici; e pure riescono a ricavare da quelle anime chiuse dei tesori di affetti e di gratitudine. Basterebbe leggere le lettere che conserva a Genova Niccolò Garaventa. Questo filantropo raccoglie i piccoli delinquenti e i figli di prostitute nella sua «Nave redenzione» ancorata nel porto di Genova; egli li ama con passione paterna e li tratta come se fosse pienamente fiducioso nella loro onestà. Il passato… si seppellisce in fondo all’immenso cuore di Garaventa! Così oltre 560 uomini onesti: operai, marinai, musicisti, conta l’Italia, redenti da questo filantropo, che li tolse in parte dai tribunali correzionali, in parte dalle prigioni, o che scoprì nell’atto di delinquere. Ebbene, lasciati a sé liberi nel mondo, i garaventini non dimenticano il bene ricevuto; e con una costanza ammirevole, dopo dieci e venti anni continuano, talvolta fin dall’America e dall’Australia, a scrivere al benefattore delle commoventi lettere ove gli raccontano le minuzie della vita, le lotte vinte e la forza acquistata nelle penose circostanze, pensando alla nave Garaventa e al loro padre adottivo.


I piccoli delinquenti sono dunque educabili anche senza metodo scientifico, purché un genio affettivo se ne occupi; sono educabili pure col metodo e senza genio, ciò che è più pratico. All’estero infatti ci sono le scuole speciali pei frenastenici, che danno risultati brillantissimi.


«Tutti gli uomini si possono portare sulla via dell’onestà, ma non con lo stesso metodo educativo». Il metodo usato da noi è sufficiente per normali, che hanno un’etica ereditaria e un’etica assorbita nell’ambiente familiare; ma è inefficace per chi ha da natura perversione degli istinti e dall’ambiente familiare una continua suggestione antietica. Per questi ultimi bisogna aggiungere l’educazione degli istituti e creare un ambiente morale. Tutto ciò può farsi solo negli «Istituti medico-pedagogici».


Quando la legge dice: «l’educazione della prima scuola è obbligatoria per tutti, afferma cosa santa. E quando si spera da ciò il benessere e l’educazione dell’intero paese non si ha torto. Ma disgraziatamente non è questa che un’ideale aspirazione, essendo la legge applicabile solo a una parte dei fanciulli. Infatti il regolamento impone agli allievi la proprietà nel vestire – e ciò esclude le classi miserrime (anche per altre ragioni, come la fame…) – impone loro una certa intelligenza e moralità, ciò che esclude i bambini anormali. Dunque la scuola è in realtà possibile solo ai normali, sì dal lato economico, che da quello fisiologico; – mentre la così detta patologia sociale tanto temuta dagli Stati e che si vorrebbe correggere da noi con la scuola educativa presente, è cagionata dai miserabili e dagli anormali. Quindi il rimedio si rivolga ad altra via: si porti energico aiuto educativo ai fanciulli miseri e agli anormali.


I fanciulli anormali sono di tante varietà come le malattie – ed ogni specie vuole un suo metodo pedagogico speciale, come la malattia il suo rimedio. Tutti conoscono le scuole dei fanciulli ciechi e dei sordomuti: e tutti comprendono com’essi non sarebbero intellettualmente educabili coi comuni metodi, essendo questi basati e misurati sui sensi normali. I ciechi e i sordomuti hanno saputo attrarre la pietà essendo dotati del potere suggestivo sentimentale. Si aveva da loro facilmente la riconoscenza; essi soffrivano visibilmente ed erano visibilmente suscettibili di conforto. Ciò si trasmette da anima ad anima; ed ognuno immaginava l’infelicità di chi non gode la vista meravigliosa della natura e di chi non ode la voce delle persone amate e non può esprimere i propri sentimenti. Sono veramente i nostri simili e sentono come noi; i ciechi hanno la musica e i sordomuti; il sole; ed entrambi, il dolore e il rimpianto per ciò che non possono godere. Noi li sentiamo fratelli nostri.

C’è un’altra classe di fanciulli anormali più di questi infelici, ma sfuggono all’interessamento e alla pietà dei normali, perché quasi nulla di comune hanno con loro, e destano il ribrezzo. Sono i bimbi degenerati: deficienti intellettuali e morali. Tutto ciò, che, abituati a fare coi bimbi sani, rivolgiamo anche a loro, è vano: essi non comprendono, più ciechi e più muti degli altri poiché hanno cieca e muta l’anima. Non affetto, non riconoscenza otteniamo da loro, il cui volto senza espressione resterà sempre impassibile. C’ispirano l’orrore di un corpo umano senz’anima, o con un’anima perversa. Nessuna suggestione essi potevano esercitare sul comune sentimento, perciò restavano ancora abbandonati al loro destino, quando già si era provveduto ai sordomuti e ai ciechi. Non fu il cuore ma la scienza che andò a portare l’aiuto misericordioso a questi disgraziati paria della natura. Un medico francese del principio del secolo, Itard, andando un giorno a caccia trovò un fanciullo «selvaggio» che si arrampicava su un albero. Itard lo prese e fu scosso dallo stato peggio che bestiale in cui una creatura umana poteva languire. Era un credente, il buon medico Itard; egli portò a casa sua, a Parigi, quella immagine di Dio per cercarvi un’anima e fu il primo educatore d’un idiota. Passò tutta la vita nella minuta e appassionata ricerca della intelligenza e del cuore del «selvaggio» – sempre accusando se stesso di non sapere ancora giungere a trovare ciò che doveva esserci. Tuttavia a qualche cosa era riuscito; il selvaggio non tormentava più col suo monotono grido, ma riconosceva e chiamava Itard e sapeva dire: «Dieu, mercì». Aveva appreso a curare la proprietà del suo corpo e a salutare civilmente. Tutto ciò era meraviglioso; l’Europa intera ammirò Itard e lo Czar della Russia gli mandò un prezioso anello, invitando il gran medico a Pietroburgo. Ma Itard amò fedelmente la patria sua e morì a Parigi, lasciando l’idiota in eredità al dottor Séguin, suo allievo carissimo. Egli aveva raccomandato al Séguin di continuare le ricerche da lui cominciate degli idioti, ispirandogli la fede che ogni essere umano deve poter capire ed essere buono perché ha un’anima emanata da Dio. Non vi fu eredità più fruttuosa di quella – e il Séguin riuscì nel gran compito imperfettamente tentato dal suo predecessore – e in un libro che restò classico, espose un metodo pedagogico nuovo che portò il suo nome. Il libro e la scuola del Séguin furono seme fruttuoso che solo mezzo secolo fa si sparse per tutto il mondo civile. Gli studi di psicologia, di psichiatria, di pedagogia si rivolsero ovunque febbrilmente alla meta indicata dal Séguin e sorsero un ramo speciale della medicina e un metodo pedagogico complesso e perfetto: la frenopedagogia. Ovunque, per privata beneficenza si fondarono gli istituti medico-pedagogici, che in tutta Europa (salvo Italia, Spagna, e Turchia che ne formano incivile eccezione) e nell’America settentrionale, nell’Asia meridionale, in Australia, sorsero fiorentissimi. Intanto lo studio dei degenerati deficenti e la loro educazione riuscirono d’inaspettato frutto civile: la redenzione del delinquente e della prostituta. In questo campo esclusivamente scientifico e sociale si aggira da circa dieci anni la questione degli istituti medico-pedagogici, e gli stati tendono ora a proteggerli come misure di polizia.


A che cosa sono destinati i fanciulli deficenti intellettuali e morali quando vengono abbandonati a sé stessi?


I deficenti si considerano per lo più sotto tre tipi i quali passano insensibilmente uno nell’altro e si fondono spesso insieme: gli idioti, gli imbecilli intellettuali e gli imbecilli morali.


Gli idioti sono nel grado più basso di deficenza, al disotto dei bruti. Non camminano, non già perché siano paralitici, ma perché non giunsero a imparar la parola; e si lascerebbero morire di fame perché non capiscono che agli stimoli dello stomaco corrisponderebbe soddisfacimento l’atto del nutrirsi, e non riconoscono i cibi. Non sentono nemmeno il dolore; si racconta di un idiota che a forza di spingere un dito a perpendicolo contro la guancia l’unghia, l’aveva forata completamente giungendo fino ai denti. Questi disgraziatissimi paria della natura sono spesso causa di pauperismo nelle famiglie perché paralizzano l’attività dell’individuo che deve servirli; e spesso finiscono miseramente per dimenticanza dei parenti, o morendo di fame, o cadendo sul fuoco, o restando schiacciati sotto un carro: in piccola parte vegetano nei manicomi.

Gli imbecilli intellettuali sono in grado di deficenza più elevata; arrivano allo spontaneo disimpegno delle funzioni vitali, ma sono incapaci di apprendere intellettualmente sia studio, sia lavoro. Deboli di sistema nervoso, vanno facilmente soggetti a malattie convulsive o mentali che presto li portano al manicomio. Sono deficenti di critica e di attenzione: – testardi, collerici, viziosi, facilmente impulsivi negli improvvisi accessi di furore. Nella scala degli imbecilli se ne trovano alcuni più elevati che capitano nelle comuni scuole in mezzo ai bambini normali. Sono questi le disgraziate vittime dei castighi del maestro che li crede mancanti di «buona volontà di studiare» – e delle beffe dei compagni che si riconoscono superiori. La soverchia fatica loro per comprendere gli studi insegnati con metodi adatti a potenzialità psichiche superiori, e lo scoraggiamento conseguente ai castighi e alle persecuzioni, li portano ad esaurirsi completamente; ed un triste giorno, dopo qualche atto impulsivo che può riuscire pericoloso a chi li avvicina, scoppia la malattia nervosa sotto forma di convulsioni o di delirio. Talvolta, prima d’essere giunti a tale estremo fisico, il fanciullo, più volte rimandato agli esami, è espulso dalla scuola.


Queste creature sono pericolose alla società: la loro deficenza è spesso insieme intellettuale e morale, e sono portati al delitto, senza avere feroce perversità.


Racconta il Delosieuve che l’assassino Didiche, il quale aveva ucciso un compagno a colpi di bastone era l’essere d’apparenza più timida e mite che potesse immaginarsi. Ogni semplice fatto, il chiocciar d’una gallina, il fuggire d’un gatto, il ronzare d’una mosca lo terrorizzava al punto che la sua fisionomia n’era trasformata, e l’infelice nell’angoscia tensione dell’animo, cercava un qualunque mezzo di difesa. Una volta un compagno beffeggiandolo, lo minacciò e Didiche, preso da indicibile terrore, uccise l’imprudente col bastone che teneva in mano. Anche più semplice e dimostrativo è l’altro fatto d’un imbecille che avendo veduto per la prima volta a sgozzare un maiale, pel semplice istinto d’imitazione fece altrettanto al primo uomo che incontrò per via. È facile comprendere come simili persone facilmente riescano passivo strumento dei malvagi: il Delosieuve notava che gran parte delle donne dei postriboli sono imbecilli.


Ancor più pericolosa è la classe dei così detti pazzi o imbecilli morali. Apparentemente d’intelligenza normale, il loro raziocinio colpisce talvolta per la sua giustezza logica, ma le premesse dei ragionamenti sono erronee, falsate, conseguenza della perversione degli istituti e delle sensazioni. «Agiscono male, perché sentono male». Fanciulli, quasi tutti capitano nelle scuole dei normali, propagando la corruzione così facile nella tenera età incosciente e suggestionabile. Sono i ragazzi perversi, bugiardi, delatori, tormentatori crudeli delle bestie e talvolta dei compagni più piccoli, ladri, spesso aggressivi e accoltellatori – e formano a lungo la disperazione dei maestri, che invano adoperano a frenare quei piccoli ribelli disturbatori della classe intera, le misure disciplinari che sono in poter loro. Ai pazzi morali quasi sempre appartengono i così detti «bambini martiri» che tanto commuovono con la loro disgraziata sorte, il cuore del pubblico. Figli perversi di madri degenerate, istigano con la loro cattiva condotta la collera materna, che si spiega con reazione anormale ed esageratamente violenta e crudele a danno del fanciullo. I bimbi trovati a languire in un ributtante bugigattolo, i bimbi feriti, torturati, coperti di lividure e cicatrici sono quasi sempre di istinti perversi. Quelli che giungono all’età adulta sono destinati alle galere, e spesso avviene che dal carcere passano al manicomio, in preda a pazzia furiosa.


Tali sono i deficenti, che sfuggono alla nostra comune scuola educativa e che necessariamente riescono i nocevoli della società. Essi dovrebbero venire educati e sorvegliati rigorosamente come si fa all’estero, negli istituti medico-pedagogici. Con metodi d’insegnamento adatti, che la fisiologia e la psicologia hanno suggerito, possono venire educati ed istruiti in una professione che li renda socialmente utili. Queste scuole speciali pei frenastenici sono un mezzo potente di civiltà che tende a prevenire il delitto. Non v’è omaggio più nobile alla dignità e al sentimento umano; non v’è ritrovato della scienza positiva più socialmente utile di questo; non v’è prudente misura che per la sicurezza degli stati possa uguagliare questa misericordiosa istituzione.

La questione femminile e il Congresso di Londra4

Già in qualche giornale si è parlato dell’ultimo Congresso femminile a Londra, che per le sue proporzioni e per la serietà e molteplicità dei temi trattati poteva reggere al confronto dei migliori Congressi che l’opera maschile abbia offerto all’ammirazione del mondo. Circa tremila donne d’ogni nazionalità d’Europa, d’America, d’Australia e d’Asia erano convenute portando – insieme all’eleganza della moda e alle foggie nazionali di vestiario indiano, sudanese, giapponese, chinese – il racconto delle condizioni civili e morali, e dell’opera della donna, nei rispettivi paesi. Erano donne, nella maggior parte, gentili e belle, con gli occhi brillanti di intelligenza e di entusiasmo – e la storia loro diceva che quasi tutte avevano lasciato in casa una famiglia, marito e figliuoli e nella loro patria le traccie benefiche della propria attività.


Erano donne nuove, ben lungi dal rassomigliare al tipo così poco simpatico che gli uomini, ignoranti del tutto i principii del femminismo, classificarono col nome di terzo sesso: donne cioè piangenti sulla loro sorte: critiche spietate e malevoli dell’uomo; nemiche della famiglia e della patria; zitelle brutte e schizzanti dal cuore sterile il veleno dell’astinenza forzata. «Donne che vanno contro le stesse leggi di natura coi loro principii malsani» come dice il Sergi; – il quale non si degna di discutere il femminismo perché lo considera una «ubbia» e lo prende al più come argomento adatto a una conferenza umoristica.


Erano donne nuove, nel loro senso vero e ammirabile della parola: donne che lavorano al progresso sociale, che contribuiscono all’universale benessere; che si erigono – meta cosciente e forte dell’umanità – a offrire l’opera loro all’altra meta umana per unirsi insieme a completare il benessere comune.


E quale sarà l’opera sociale della donna? Ella potrà fare quanto l’uomo fa ma portandoci la sua nota speciale di bontà materna, che suona amorevole protezione pei deboli, sollievo d’ogni miseria, trionfo della giustizia e pace universale. E intanto mette in pratica un grande principio civile: la solidarietà, la organizzazione. Solo undici anni fa è sorto il loro grido a Washington «Donne di tutto il mondo, unitevi!» e si è sventolata, per chiamarle a raccolta, una bandiera che è quasi, un principio di Cristo modificato secondo i tempi: Fate agli altri ciò che vorreste fatto a voi stesse». Fate, cioè lavorate; – ma lavorate per gli altri, cioè per la società; – e fate il bene altrui con quell’ardore che mettereste nel cercare il vostro proprio bene, cioè: Fate ciò che vorreste fatto a voi stesse. Ed invero è finito il tempo in cui la donna era passiva – in cui bastava ch’ella non facesse il male, in cui ogni sua virtù importava una negazione: sii ignorante della vita; non ti occupare della cosa pubblica; non lavorare; non ti prendere responsabilità pei figliuoli; non ti occupare dell’amministrazione dei tuoi beni; sii passiva, annichila la tua volontà a favore del marito; non vivere per altro che per lui, ma senza occuparti di comprenderlo; pensa solo a non fare il male, e il male consiste nel non fare ciò che piace al marito. – Dal così opprimente negativismo la donna si è scossa ed è passata al moto e all’azione «Lavora! fa’ il bene!» E che cosa potrà fare la donna portando il suo cuore così raffinato nelle delicatezze del sentimento, quando agirà cosciente e con quell’aureo principio innanzi agli occhi, pel bene complessivo dell’umanità?… Che cosa farà, quali opere grandi potrà compiere, quanto bene ne risentirà tutto l’organismo sociale, lo dirà l’avvenire.

Per ora, da 11 anni, si stanno richiamando le donne con propaganda attiva e costante, mirabilmente organizzata, sotto questa bandiera di benefica azione. Lo scopo non è di far produrre grandi opere a un individuo; le discussioni non sorgono sulla possibilità del genio individuale nella donna; se si rileverà, sarà un episodio senza importanza della grande epopea. La méta è questa: uniamoci tutte per il bene universale, ognuna di noi abbia l’ambizione di contribuire col suo lavoro al maggior benessere comune e la speranza di lasciare il mondo migliore di quando vi nacque. Non per questo si dà contro alla famiglia, come dimostra il Credo che va spiegandosi dietro l’aureo principato:


«Noi, donne lavoratrici di tutte le nazioni, crediamo sinceramente che il miglior bene per l’umanità sarà avanzato dalla maggiore unità di pensiero, di simpatia e di proposito: e che un movimento organizzato di donne conserverà meglio il più alto bene della famiglia e dello Stato; e farà avanzare l’applicazione dell’aureo principio nella società intiera, nei suoi costumi e nelle sue leggi».


Dunque le donne lavoratrici credono che l’unione loro nel bene universale conserverà meglio la famiglia. Infatti quando la donna farà il bene, mostrerà all’uomo una intelligenza colta e capace di comprenderlo, un cuore atto a seguirlo nelle sue passioni sociali e politiche, o col lavoro l’aiuterà a mantenere l’agiatezza della famiglia; quando saprà con lo spirito illuminato ben curare lo sviluppo fisico dei figli e il loro svolgimento morale, allora questa donna che sarà insieme fine amante esclusiva di suo marito, sua compagna di lavoro, madre cosciente dei suoi figli, questa donna contribuirà a conservare meglio «il più alto bene della famiglia». Chè se un giorno la famiglia, com’è oggi costituita, dovesse mutarsi per una lenta evoluzione, e se fosse oggi basata su qualche errore che la coscienza illuminata dovrà abbattere, ciò avverrà fatalmente; e la odierna «lavoratrice» non se ne preoccupa. Essa vuol migliorare ciò che esiste, vuol dar vita di attività a ciò che langue, vuol far tesoro di tutto, poiché l’azione della forza è ricchezza. Esaminato le società vediamo che vanno piuttosto distruggendosi verso una insana anarchia, quelle che hanno in seno una donna frivola, inetta, degenerata, la quale contro la famiglia non parla, ma che con le sue azioni l’ha già distrutta. E se evolvendo la società, resterà immobile la donna nel suo stato d’inerzia e di negativismo, questa donna sola dovrà procurare la distruzione vera della famiglia. Mentre l’altra, lavoratrice, che segue il movimento generale dell’evoluzione, porta in sé la salute e la forza e potrà contribuire all’evoluzione della famiglia, mai alla sua distruzione; e la sua figura tenderà ad elevarsi in un grado sempre più alto nella dignità femminile e materna, fino a diventare vera signora e regina della famiglia propria. Il principio generale di femminismo che brillava al Congresso di Londra, non era dunque contrario a nessuna legge sociale o divina; solo tendeva a trasformare queste leggi dal «positivo» all’«attivo» con una méta universalmente benefica. Segnava il risveglio maestoso d’una vita nuova e feconda, della quale i figli dei nostri figli risentiranno dolce e forte benessere.


Quale scopo pratico aveva la riunione imponente di Londra? Forse di eccitare al lavoro le donne che ora si occupano solo della casa e dei figliuoli? E la sua propaganda vuol forse passare di famiglia in famiglia e rimuoverne la giovane madre massaia per obbligarla ad occuparsi di lavori e di questioni sociali?


Non precisamente così. Lo scopo del movimento femminile iniziato dal Congresso è di «organizzare» le attività femminili già esistenti in tutto il mondo; – attività provocate già in gran parte direttamente dal fattore economico, che crea operaie, educatrici, professioniste; in piccola parte dal progresso della civiltà, che moltiplicando i mezzi di coltura e meravigliando con le scoperte nuove, eccita anche nell’animo femminile un interesse e un entusiasmo, che lo spingono all’attività. – Ma il fatto nuovo della donna che entra fatalmente, all’infuori di ogni propaganda femminista nel lavoro materiale, diventando un contribuente d’importanza sempre maggiore nel bilancio economico-sociale, crea uno squilibrio.

Le leggi ed i costumi non sono ancor preparati a questo movimento; – ed ecco seguirne una serie di vittime e d’oppresse e d’incomprese. La donna operaia è mal pagata, e benché porti metà e spesso tutto il pane della famiglia, resta muta vittima della brutalità del marito, come quando era da lui mantenuta: – la maestra che ha quasi due terzi dell’educazione infantile nelle mani è tenuta in un grado inferiore al maestro; non le sono aperte carriere, e le riforme tendenti al miglioramento della classe insegnante, spesso la dimenticano. – La telegrafista, in base al pregiudizio che la donna non sappia tenere i segreti, è condannata ancora in qualche paese, com’era da noi pochi mesi fa, a scegliere tra la famiglia senza pane, o il pane senza famiglia; – la medichessa e l’avvocatessa trovano nel pregiudizio sociale o nelle leggi, un impedimento a compiere con successo la lotta per l’esistenza. – Questi squilibri necessari nell’inizio di ogni gran movimento, si son venuti in parte equilibrando secondo il grado più o meno avanzato di civiltà nelle varie nazioni. Ma intanto ha portato e porta un’altra serie di vittime: le vittime dell’uomo che nella donna uscente per la prima dall’ambiente famigliare, vede una facile preda; mentre la spostata e spesso l’affamata donna, ha con sé tutte le superiorità d’animo e tutte le debolezze che fanno cadere facilmente ne’ lacci della seduzione.


Mentre la scienza sembra distruggere la fede religiosa che era una forza, e il lavoro mal retribuito e l’incuria di certe leggi o la loro insufficenza fan perdere la fede civile, che era una speranza di benessere materiale?


Nulla! Nessuna protezione. – E così nasce lo sconforto, la confusione; e le attività femminili sparse e deboli, gridano di dolore!


Ecco dunque la necessità della organizzazione; così felicemente intuita undici anni fa da alcune valorose donne americane ed inglesi che, unitesi a Washington a Congresso, deliberarono di fondare una immensa Società mondiale tra tutte le donne lavoratrici – per facilitare lo studio delle condizioni della donna in ogni paese e per aiutare col reciproco sostegno e con l’esempio l’avanzarsi fatale di questo movimento di civiltà: «Donne di ogni paese e di ogni condizione, unitevi!».


Unitevi in una solidarietà fraterna affinché la donna sia protetta ed aiutata dalla donna; – organizzatevi prima in Società secondo il vostro ceto, nei vostri rispettivi paesi; operaie con operaie, maestre con maestre, libere professioniste con libere professioniste, dame con dame; e le vostre Società siano autonome, indipendenti; ponete in grado di esporre ognuna i vostri bisogni, le ingiustizie che vi opprimono, i vantaggi che vi siete procurati; – se avete un partito, un’idea politica, coltivatela pure in piena libertà, ma tenetela per voi, nel vostro piccolo seno come una forza propria, isolata, che non esca fuori dal vostro ristretto ambiente. Poi, o Società tra le varie caste sociali, organizzatevi tra voi nel vostro paese e fate un Comitato Nazionale. In esso portate i vostri studi, il vostro lamento, la vostra domanda; ma non mai l’idea politica che vi anima: siate socialiste o monarchiche, siate libere pensatrici o clericali, la vostra idea non conta. Queste sono modalità piccole di partito che non interessano la grande umanità; essa ha un partito solo imponente, maestoso: «il benessere e la pace universale, il progresso assoluto» che può essere raggiunto solo quando l’umanità intiera sarà cosciente dei suoi veri diritti e dei propri doveri, lavorerà compatta per il bene universale.


I Comitati nazionali si dovranno riunire ogni tanto in Congresso nel proprio paese; e qui agirà l’aureo principio! innanzi al bisogno delle singole caste agirà il reciproco aiuto. – L’una all’altra tenderà la mano, dall’operaia alla gran dama, e farà l’una all’altra il bene che si vorrebbe fatto a se stessa. Il lavoro della gran dama sarà tra i più attivi e benefici. Se ella desidera di rimanere sdraiata tra i cuscini di piume, negli ozi malsani, esca dalla Società, dove possono entrare solo le lavoratrici! Ma s’ella vorrà lavorare, quale sterminato campo d’azione è aperto alla sua attività! Non solo potrà ella aiutare le compagne meno potenti di lei a organizzarsi; ma nelle sue mani, e in quelle pure della donna che forma l’aristocrazia intellettuale, starà soprattutto il trionfo politico della questione femminile: a loro in gran parte l’opera di conquistare i privilegi politici e industriali che le varie Società politiche chiedono in nome della giustizia e della umanità. Ed a loro pure il compito di pensare a quelle categorie di donne che non potrebbero organizzarsi, nè essere ammesse nella Società, ma che pure hanno bisogno di misericordia e di aiuto: le donne dei postriboli e delle carceri; e di metter mano ad un’opera santa di rigenerazione e di profilassi sociale.

Tutte le Società nazionali dovranno poi comunicare tra loro, aiutarsi, consigliarsi a vicenda; e si riuniranno ogni cinque anni in un Congresso Internazionale per mettere in confronto le varie classi sociali, e raggruppare i vari tipi intellettuali di tutto il mondo e render pubblico il lavoro compiuto e le vittorie riportate in ogni singolo paese.


Tale era il Congresso di Londra chiusosi nello scorso luglio; era la riunione quinquennale del Concilio Internazionale delle donne. La storia del lavoro compiuto dalle Anglo-Sassoni in questi ultimi anni è davvero quanto di più meraviglioso possa offrire la sana attività femminile: la compiuta organizzazione dei Comitati nazionali è infatti opera colossale d’ingegno e di pazienza che richiede spesso il lavoro di anni intieri. Noterò quello del Canadà, riunito con singolare tatto dalla sua viceregina lady Aberdeen (presidente del Congresso di Londra). Come è noto, nel Canadà si parlano due lingue: francese ed inglese; e la nazione è divisa e suddivisa in piccole provincie che stanno tutte chiuse in se stesse a guardia di interessi particolari. Le donne che parlano francese non hanno la simpatia con le altre e una catena di monti le divide anche geograficamente: gl’interessi provinciali assorbono quasi ogni attività intellettuale. Eppure la contessa di Aberdeen ha saputo compiere una meravigliosa opera di consolidazione: e con la sua potenza quasi di sovrana ha subito conquistato alle Canadesi nuovi diritti industriali e politici.


Immenso lavoro di pazienza costò l’organizzazione del Comitato tedesco, compiutasi nel 1896. Sono pure erette a Comitato nazionale le donne di Svezia e Norvegia, di Finlandia, degli Stati Uniti d’America, d’Inghilterra, di Danimarca, d’Olanda, della Nuova Zelanda, della Nuova Galles del Sud; e sono in via di organizzazione i Comitati d’Italia, di Francia, del Belgio e della Svizzera. – Tutte queste Nazioni avevano mandato a Roma rappresentanti ufficiali, e anche altri paesi, fin dal centro dell’Asia, avevano inviate donne ad ascoltare «la lieta novella».


Presiedeva la contessa di Aberdeen, dama della più alta aristocrazia britannica. Bella e maestosa nell’alta persona che superava quasi di tutta la fronte l’altezza delle altre donne, di una amabilità affascinante quando chinava tutta flessuosa la bella persona e il capo sorridente per parlare con chiunque, fosse pure con una delle sigaraie parigine, accorse qui in discreto numero – lady Aberdeen era sovrana; e da ogni sua movenza si rivelava l’abitudine sapiente di ben regnare. Si comprendeva, vedendola, come ella fosse potuta riuscire a consolidare le donne di tutto il Canadà e a divenire la loro sorella, pur restando insieme loro viceregina. Questa gran dama, una delle più strenue sostenitrici della Società di Temperanza che con tanto successo combattono l’alcoolismo in Inghilterra e hanno fatto discendere di molto la percentuale dei bambini degenerati, nati in questi ultimi anni, è pure dama altamente religiosa – e lealmente faceva, durante il Congresso, pubblica pratica delle sue convinzioni. Ad una colazione mattutina ch’ella ci donò, invitando mille donne, fece sedere alla sua destra il conte di Aberdeen, suo marito – e con disinvoltura amabile continuò innanzi a noi i suoi costumi familiari, come a introdurci nella sua intimità o forse esponendosi a noi come un esempio. Prima di mangiare si alzò in piedi e recitò il «benedicite» - e poi ci passò una squisita, ma leggera colazione, facendoci versare, per unica bevanda… una dolce limonata, che allo stomaco di tutte noi parlava con alta voce della Società di Temperanza, operando una propaganda… dirò così «chimica» internazionale. Ma raccontando pure il sacrificio che quei due grandi e potenti signori s’imponevano per tutta la vita, a fine d’incoraggiare con l’esempio il sacrificio del povero, e salvarlo dalla tremenda piaga dell’alcoolismo. Stava quasi sempre accanto a lady Aberdeen, come sua ombra gentile, la giovane duchessa di Sutherland – una dama tanto bella da fare impazzire, direbbe un uomo; che dette nel suo palazzo incantato la prima soirée in onore delle congressiste. Era meravigliosa, in capo allo scalone dorato, la bellissima duchessa di Sutherland, con la capigliatura bionda inanellata sparsa di stelle di brillanti, quando accoglieva con giovanile sorriso e con parole amabili, pronunciate in cinque lingue diverse, le delegate che la severa contessa di Aberdeen le presentava, facendo scintillare, ai movimenti del capo, il suo diadema di viceregina. Ed io meditava su quella creatura giovane, ornata tanto generosamente da Dio, così nobile e così ricca, meditava sulla duchessa di Sutherland, che è divenuta già la protettrice di tutti i fanciulli deficienti d’Inghilterra; e me la figuravo in abito dimesso avvicinare la sua beltà aristocratica alla bruttezza ripugnante e idiota della infanzia degenerata – raccogliendo gl’innocenti frutti del vizio umano, e cercando condurli verso la rigenerazione!

E mi chiedevo se non è questa veramente la missione dei ricchi sulla terra: questa di sacrificarsi e di lavorare per il bene della umanità intiera e di contribuire, nel passaggio tra civiltà diverse, al trionfo delle cause sante!

Quasi quasi trovavo che le stelle della duchessa e il diadema della viceregina, brillavano sulle loro teste come simbolo di giustizia!


Lasciatemi accennare per sommi capi a queste caratteristiche soirées, che solo un Congresso femminile può presentare.


L’ospitalità più squisita faceva preparare, alle grandi dame inglesi, i loro palazzi con tanta pompa di fiori freschi e tra i palmizi, i loro vestiti da società modesti, o addirittura gli abiti da passeggio – e lasciavano che ciò si riflettesse nei mille specchi tra i bagliori della luce elettrica.


Vorrei aver la penna di Victor Hugo, che incanta, nell’«Homme qui rit,» quando parla dei palazzi principeschi di Londra, e della favolosa ricchezza ch’essi rivelano, per descrivere le soirées di Lady Battersea – una Rotschild; – della contessa di Varwick; – della contessa di Aberdeen; – e il brillantissimo garden party di Lady Leopold Rotschild, che oltre ad offrire con una cortesia perfetta le meraviglie di un parco principesco e del signorile castello, ove giocolieri e cavallerizze celebri dettero spettacolo fino a notte – aveva messo a disposizione delle congressiste treni speciali e vetture dalle magnifiche pariglie per 600 persone!


Oltre allo sfarzo di ricevimenti, che mostravano come il femminismo sia favorito dai «grandi della terra» un’altra nota ha allietato, anzi direi – consacrato – questo nuovo movimento sociale.


Lady Aberdeen, la dama pia e liberale, convinse Chiesa e Stato della santità d’intenzioni nelle donne del partito femminista – e l’aureo principio: «fa’ agli altri quello che vorresti fatto a te stesso» piacque e venne ufficialmente consacrato e benedetto dalla Chiesa Anglicana. Il vescovo di Londra invitò le donne del Congresso a un garden-party nei suoi immensi giardini privati – ed egli stesso, maestoso nella sua barba bianca, con la gran croce d’argento pendente sul petto alla collana vescovile, fece – con la moglie – gli onori di casa.


Aveva per ognuna una parola gentile – e come a me lodava l’utilità sociale della mia professione di medico – certo a tutte avrà dato il suo paterno incoraggiamento pel rispettivo lavoro.


La gran festa solenne fu alla cattedrale di Saint-Paul, la più grande chiesa di Londra, nel dopopranzo della domenica. Vi si celebrava una funzione religiosa in onore delle donne del Congresso. La processione dei preti in cappa e le cento voci infantili, che intonavano gli inni sacri ancor più raddolciti dalle volte del tempio – i profumi acuti dell’incenso, e le mille luci a festa, davano alla bella Chiesa Anglicana una intonazione così solenne e commovente, che il femminismo sembrava uscime benedetto in una apoteosi. Sembrava che la bandiera delle donne di Washington fosse destinata ad attrarre tutto, a tutto trascinare dietro di sé; i partiti politici, le nazionalità più disparate e le fedi religiose – imponendosi come una forza immensa all’umanità intiera: la donna sorge, la donna si riscuote! la donna va alla conquista della giustizia e della pace nel mondo!


Anche la regina Vittoria, quella ottantenne sovrana di regni e di imperi, volle dare il saluto alle femministe e incoraggiarle con parole affettuose nella loro opera sociale – invitandole al suo Castello di Windsor. E sembrava, quella celebre imperatrice, che fu sovrana forte dei popoli e dolce sovrana del marito ch’ella scelse per amore, per un amore lungo quanto la propria lunga vita di moglie e di vedova, che fu madre volontaria e feconda, che fu educatrice vera e liberale dei suoi figli – sembrava in mezzo a noi, lavoratrici di tutto il mondo, il simbolo dell’ideale che ci aveva riunite.

Donne Italiane! in un così trionfale cammino di organizzazione mondiale, qual parte vogliamo prendere noi? Migliaia e migliaia di donne da noi lavorano: – l’industria, il commercio, l’educazione del popolo, sono sostenute da tanta parte femminile; che se domani le donne lavoratrici dovessero a un tratto cessare dalle loro occupazioni, se ne risentirebbe un disagio rovinoso in tutto il paese.


Le leggi sorte a proteggere e a dare nuovi diritti a queste lavoratrici, che contribuiscono al benessere comune, sono quasi nulle, certo insufficienti e lasciano lacune che si risolvono in alti dolori e in gravi miserie.


La questione di proteggere il lavoro delle donne, la sua dignità, merita profondo studio: oggi il passare accanto alle piaghe sociali senza soffermarvisi è cosa contraria alla civiltà: l’esperienza ci racconta come nei paesi più avanzati e più ricchi, dove il benessere delle classi lavoratrici così intellettuali come materiali è maggiore, anche i frutti del lavoro sono più abbondanti e migliori. – E quando poi alla donna si riferiscono queste considerazioni, vi si aggiunge il vantaggio d’una maggiore moralità nel paese, e d’una generazione di bambini più forti e meglio promettenti per l’avvenire.

Che cosa potremo fare, noi donne, per offrire un efficace tributo al miglioramento del nostro paese? L’esempio trionfale dei popoli c’indica la via giusta che dobbiamo tenere: uniamoci, organizziamoci intanto tra noi donne – stringiamoci in una solidarietà mondiale – e facciamo capo tutte insieme in un centro solo – per attingervi la forza, guida e ispirazione a risolvere quelle questioni che riguardano il sacro diritto di «umanità».


E per organizzarci seguiamo una via di giustizia: «lavoriamo, e facciamo agli altri il bene che vorremmo fatto a noi stesse – avendo per ideale non soltanto il nostro proprio perfezionamento, ma anche quello degli altri».


Rispondiamo anche noi, donne italiane, all’appello che da Washington risuonò in tutto il mondo, fino ai più lontani lidi asiatici, che riscosse i cuori femminili sin nelle civiltà più dissimili dalle nostre! E schieriamoci noi pure dolci e forti, con ideali santi di amore e di pace universale, con gli occhi fissi a quel progresso civile che brilla nell’avvenire – uniamoci anche noi sotto le bandiere dell’aureo principio!


Il Comitato Nazionale Italiano è stato promosso e salutato da unanimi auguri al Congresso di Londra, il mondo intiero lo aspetta, ed è stato solennemente iscritto nell’albo mondiale del movimento femminile.


Secondo il completo statuto che per l’ordine (non certo facile a mantenere in una Società internazionale!) è necessario seguire nell’organizzazione, l’accordo tra le donne anglo-sassoni e le italiane era già avvenuto prima dell’epoca del Congresso, per opera della propaganda centrale; e l’inizio d’una federazione tra le varie Società femminili in Italia già era nato con l’accordo e sotto gli auspici del Comitato Internazionale. Sì che il nome della Contessa Taverna, fondatrice e presidente del Comitato provvisorio per la federazione italiana, figurava già a Londra come vicepresidente del Concilio Internazionale (le presidenti dei Comitati Nazionali diventano vicepresidenti nei Congressi Internazionali).


E fu il Comitato provvisorio della Contessa Taverna e il suo Consiglio composto dalla principessa di Venosa, dalla signora Virginia Nathan, da Donna Giacinta Martini, e dalla contessa Pasolini, che m’inviò al Congresso di Londra.

Le gentili dame soprannominate, chiamarono nella loro nuova missione il Consiglio e l’appoggio di un illustre uomo, la cui forza morale e la cui ampiezza di vedute moderne, ha recentemente portato così grande progresso nell’educazione italiana: il ministro Guido Baccelli.


E quale meraviglia?… lo disse Lady Aberdeen nel suo discorso inaugurale: «L’uomo non è destinato a vivere solo, la donna meno ancora. Tutte le associazioni riservate a un sesso o all’altro e separanti le loro vite, non sono conformi nè alle leggi della natura, nè alla volontà di Dio.


«E noi sentiamo che l’intesa corsa tra noi, all’infuori degli uomini» sol perché essi tardano a comprenderci «deve essere ritenuta come misura temporanea applicata ai bisogni del momento, ma non deve restare elemento permanente nella vita sociale!».


«E se per ora è utile e desiderabile avere i nostri circoli e congressi di donne, non dobbiamo dimenticare che essi sono un mezzo per raggiungere il fine. – Mezzo necessario per riunire i nostri sforzi, per ottenere i migliori risultati ed entrare utilmente nel lavoro sociale. Ma la salute dell’umanità potrà compiersi solo dagli uomini e dalle donne con le mani insieme congiunte e facenti causa comune nella lotta per la vita».


Noi dunque lavoriamo sole perché gli uomini non ci comprendono ancora, non ci sentono nella nostra grande missione nuova. Ma se un uomo percorre con la mente i tempi, e alla genialità scientifica unisce anche quella sociale, diviene pure naturale sostegno della causa femminile.


Altri uomini di scienza e di governo si associeranno al movimento femminile; dopo di lui altri uomini grandi resteranno presi e abbagliati dalla sanzione della Chiesa Anglicana e della Imperatrice Regina Vittoria – come molti sono accorsi sotto la bandiera della pace poi che la videro sventolare tra le mani dello Czar.


Ed infatti il Governo francese verrà a schierarsi apertamente sostenitore della causa femminile nel prossimo Congresso del 1900 a Parigi.


Ma Guido Baccelli avrà percorso il movimento che segue al trionfo: egli si è schierato dalla parte della giustizia e del progresso, prima di saperne l’alta vittoria. – E tra i grandi suoi meriti non ultimo sarà questo nell’avvenire, quando i posteri giudicheranno e quando l’uomo e la donna procederanno insieme compagni d’amore e di lavoro, godendo non più diritti di sesso, ma diritti umani.


Guido Baccelli conobbe le nostre dame che sono a capo del Comitato della Taverna e colse da loro la stima profonda per l’opera sociale della donna… non certo negli aristocratici salotti, ma in altri luoghi ove di tanto in tanto s’incontrano sotto altro aspetto – non più brillanti di potere mondano, ma di virtù.


Guido Baccelli, il medico, va qualche volta a visitare un ambulatorio di bambini poveri malati, fondato da una Società della quale è da molti anni presidente la principessa di Venosa, ove questa ammirabile signora, con la Contessa Taverna ed altre dame, seguendo l’altissimo esempio della nostra cara e santa Madre Nadine Helbig – in abito dimesso, con un grembialone bianco innanzi, passano le mattinate intiere a preparare medicine, a sollevare con le loro gentili carezze le sofferenze dei poveri bimbi, aiutando il medico, senza temere nè il tifo, nè la difterite, nè le infezioni, nè le luridezze ripugnanti che offrono la miseria profonda e la malattia. Incontrò, ad ogni suo nobile passo unitario, Virginia Nathan, la signora che sembrò nascere con la divisa di fare del bene attorno a sé – che salva moralmente e aiuta tante ragazze abbandonate e senza lavoro, e che ha recentemente fondato il «Sanatorium» per le donne tubercolose; la protettrice dell’infanzia, che ebbe l’idea delle colonie appennine pei bambini convalescenti e dei ricoveri per l’infanzia abbandonata.


Conobbe Donna Giacinta Martini, quando fondò il laboratorio «Soccorso e lavoro» per le madri povere di buona volontà; e quando col suo consiglio illuminato, consiglio di dama dotata di straordinario ingegno – cercava di stimolare al lavoro della beneficenza moderna e liberale, le donne ricche languenti nelle mollezze e nel pregiudizio.


Conobbe ancora, medico ed educatore, la principessa di Venosa e la contessa Martini, nel recente movimento di così moderna civiltà provocato in Italia della Lega Nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti – della quale il Baccelli è presidente onorario e la principessa di Venosa, come la duchessa di Sutherland, in Inghilterra, siede alla presidenza effettiva.


Ma la divisione che ho qui fatta pecca di gravi inesattezze; perché, in verità, nelle loro opere benefiche, queste dame non si possono separare. – L’idea che sorge nel cuore dell’una, viene subito comunicata alle altre, e tutte insieme si mettono concordemente all’opera – dividendosi il lavoro e il merito.

Qual meraviglia che queste indefesse lavoratrici, la cui fama di donne benefiche, liberali e moderne già da tempo si è sparsa in Italia, abbia finito con l’attrarre pure l’ammirazione della Società Internazionale, che pose nelle loro mani il còmpito d’organizzare in Italia il Comitato Nazionale? Il compito difficile, e che impone a queste potenti signore tanti nuovi doveri di protezione e d’aiuto e un lungo lavoro di tatto e di pazienza, fu generosamente accettato in loro nome dalla contessa Taverna, e il Concilio mondiale l’ha iscritta nell’albo, attendendo l’opera sua.

Il saluto delle donne italiane5

Illustre Signore, che vi incontrate oggi in questo centro della civiltà per unire tutti i progressi fatti dall’umanità per la causa delle donne, io vi porto i saluti delle donne italiane, con i loro migliori auguri, unitamente e quelli di un illustre cittadino di Roma, Guido Baccelli, per la sesta volta Ministro della Pubblica Istruzione in Italia.


Il fatto che un’autorevole rappresentanza del Governo desideri ufficialmente incoraggiare l’attività di giustizia sociale che noi patrociniamo, dirà a voi quanto potrebbe esser fatto in Italia per la causa, se le donne stesse lavorassero seriamente per questa e come sarebbe feconda la vostra cooperazione se prestaste il vostro aiuto al lavoro delle donne nel paese del sole, favorito dalla natura.


Sebbene non ci sia ancora in Italia un fortissimo partito “femminista”, tuttavia si percepisce che l’attività della donna introdotta nel settore dell’economia e delle disposizioni naturali è regolarmente risvegliata.


Sia gli stipendi industriali che agricoli sono relativamente bassi in Italia. Non c’è quasi nessun settore di lavoro pesante a cui la donna non partecipi in grande misura. Da un punto di vista fisiologico non può certamente essere affermato che la donna si affatica meno di un uomo, mentre al contempo non ci sono leggi industriali o del lavoro per la sua protezione.


Ai giorni nostri l’attività delle donne si esplica in molti modi. Abbiamo impiegate al telegrafo e negli uffici telefonici, nelle biblioteche o donne direttrici di molte importanti aziende; l’educazione popolare è almeno per due terzi in mano alle donne, che, specialmente negli ultimi dieci anni, sono aumentate in grande numero nelle facoltà letterarie e scientifici dell’Università.


Nel 1896 le statistiche rilevano 30 donne laureate; nel 1898 il numero si raddoppia; oggi non c’è nessun corso universitario che non sia frequentato dalle donne.


Esse hanno contribuito in un modo che non può essere ignorato alle pubblicazioni scientifiche, per merito delle quali furono elevate al rango di docente universitario ed alcune hanno l’onore della cattedra nelle più autorevoli accademie italiane, come, ad esempio, quella dei Lincei.


Le donne italiane sono state per molto tempo celebrate nelle belle arti, ma oggi uno speciale progresso si è sviluppato nel movimento letterario e la maggior parte della migliore letteratura italiana odierna è dovuta alle donne.

Un notevole progresso è presente anche nel settore della scultura e della pittura; e ultimamente le donne hanno dato buona prova del loro talento anche nel lavoro teatrale. Io ricorderò, incidentalmente, Anima di Amelia Rosselli e un lavoro musicale, il Dramma della vita di Virginia Mariani.


Ma per quanto molte donne italiane possano emergere nel lavoro, esse sono ancora oppresse dal pregiudizio che la virtù femminile consista solo nel restare all’interno della famiglia e così noi assistiamo ad un fatto singolare, di donne illustri che vivono ancora nella modesta sottomissione consacrata dai secoli, preoccupate solo del loro benessere. Gli studi sociali e gli ideali collettivi sono terreni poco battuti dalla donna. Essa, perfino, non difende i suoi stessi diritti. Prendiamo, ad esempio, le donne avvocato che potrebbero avere cause proprie da difendere e che sono rimaste inattive, mentre quest’anno l’esercizio libero delle avvocatesse fu difeso con così tanto successo al Parlamento, che la proposta fu rifiutata da una maggioranza di soli sedici voti.


Le professioni liberali oppongono ancora seri ostacoli alle donne. Per esempio, una dottoressa non può esercitare senza essere chiamata dai mariti; e così essa ha una buona possibilità di lavoro nel meridione dell’Italia, dove la gelosia degli uomini la ricerca come fa un turco con il suo harem; mentre nell’Italia centrale, dove le donne hanno libera scelta, chiamano gli uomini a curarle, così come sono sempre state abituate a fare, e limitano la loro attenzione alla critica della vita privata della professionista, ricacciandola verso i numerosi gruppi del proletariato intellettuale.


Potrebbe essere giustamente affermato che in Italia non sono tanto l’uomo o le leggi che sono contro il progresso della donna quanto la donna stessa.


Infatti ci sono leggi favorevoli alla donna da cui essa non trae vantaggio. Per esempio, potrebbe essere un membro degli importanti consigli di amministrazione degli istituti di carità; ma le signore si limitano a raccogliere denaro durante le feste, affidandone l’amministrazione agli uomini.


Essa potrebbe essere testimone nelle azioni civili, ma è solo un evento eccezionale quando una donna ne approfitta.


Così in Italia, sebbene diverse condizioni economiche e disposizioni naturali possano spingere la donna verso l’attività sociale, essa non è educata alla vita collettiva e rimane ancora sotto il peso del pregiudizio dei secoli. E può essere apprestata una azione per l’unione ed uno studio specifico della condizione delle donne italiane che hanno da lavorare per guadagnarsi da vivere, spesso in condizioni tristissime che solo la sensibilità dell’umanità può alleviare.


L’Associazione per le donne in Italia ha precisamente questo obiettivo di studiare la condizione delle donne italiane, e di promuovere un’azione seria ed efficace sulla base dei fatti reali.

Il lavoro manuale nelle scuole elementari6

Una questione di grande importanza in Italia è quella degli insegnanti elementari. Il numero delle maestre è in Italia quasi doppio di quello dei maestri ed arriva ad oltre 36.000; ma sebbene tutte le autorità scolastiche riconoscano che le donne sono più adatte per l’educazione dei bambini e possiedono a questo riguardo qualità molto superiori a quelle degli uomini, gli stipendi delle maestre sono inferiori a quelli dei maestri.


L’Italia, un paese eminentemente agricolo, ha una gran parte della popolazione disseminata in zone dove le scuole sono distanti dai centri, spesso fuori dal diretto controllo dei comuni e delle leggi che governano le scuole del popolo.


Solo le donne accettano posti di insegnanti a queste scuole e dovrebbero essere remunerate con almeno 500 o 600 lire all’anno, mentre alcune ricevono invece da 250 fino a 100 lire all’anno, nel contempo e gli allievi sono numerosi, all’incirca da 80 a 120.


È facile dedurre quale deve essere il destino di queste sventurate maestre, specialmente nelle zone fredde di montagna. Esse patiscono non solo del disagio materiale, che non sempre può essere alleviato dal loro personale lavoro, visto che l’impegno scolastico assorbe tutta la loro forza ed il loro tempo, ma anche dell’inedia intellettuale.


L’attenzione di tutte le donne italiane, ma specialmente delle maestre, dovrebbe essere seriamente richiamata verso queste sventurate paria della civiltà. Questo è lo scopo della società delle donne, che cerca di studiare la condizione femminile italiana e organizza la propria azione per aumentare la forza del Comitato al fine di proteggere moralmente e di aiutare materialmente nel paese le maestre.


Il ministro Baccelli in una recente legge stabilisce che un appezzamento di terreno dovrebbe essere annesso ad ogni scuola comunale, cosicché gli allievi sotto la direzione dell’insegnante dovrebbero acquisire una essenziale e pratica conoscenza delle attività che essi saranno chiamati a svolgere nella vita.


L’esperimento si è svolto con grande successo. Oltre 6.000 di questi campi, concessi dalla parrocchia o dalla munificenza dei proprietari privati, hanno dato i tradizionali frutti della terra che vengono prodotti con il lavoro dei giovani agricoltori, i quali così entrano nel mestiere forse con maggiore interesse di quanto abbiano fino ad oggi dimostrato per la loro istruzione. Il prodotto di questi terreni fu considerato come un elemento per migliorare le condizioni dei maestri.


Inoltre, chiedendo l’aiuto e la solidarietà dell’insieme del corpo insegnante femminile composto da 36.000 membri, la Società intende pubblicare un periodico che vorrebbe indubbiamente essere uno stimolo intellettuale per quelle maestre che sono frequentemente oltre i confini della “civiltà” e che dovrebbe essere spedito gratuitamente a tutte le maestre troppo povere per procurarsi giornali o libri.


L’Unione Materna invita le maestre di ogni nazione e le donne che, con l’esempio dei loro paesi, potrebbero incoraggiare il movimento che sta così iniziando in Italia, a collaborare a questo periodico.

L’impiego dei bambini nelle miniere e nei lavori pericolosi7

La signorina Montessori, che ha parlato in italiano, ha informato in maniera vivace di una proposta di legge che sta per essere promossa dal suo governo e che proibisce l’impiego di bambini sotto ai 14 anni nelle zolfare o in altre miniere. Essa fa appello a tutti i presenti affinché contribuiscano a far conoscere i contenuti della proposta di legge al popolo inglese, molti rappresentanti del quale hanno influenza in Italia.


Descrive come la cosa più terribile le condizioni in cui, i giovanissimi fanciulli lavorano in queste miniere. Gli orari lunghi, le posizioni disagevoli, il continuo salire e scendere le scale, i pesanti carichi da portare, la mancanza di sufficiente luce e dell’aria ed il salario misero tendono ad allontanare ogni gioia e la buona salute dalle loro giovani vite. Rispondendo alle domande la signorina Montessori afferma che queste condizioni non sono state migliorate – eccetto, forse, che in pochi casi eccezionali – a seguito delle agitazioni che si stanno facendo da alcuni anni contro tale situazione; e sostiene anche che le miniere dirette dai proprietari inglesi non sono migliori delle altre.

Il V congresso di psicologia8

Disse giustamente il De Robertis nel tratteggiare qui su I Diritti con sintesi fortunata il V Congresso di psicologia, tra le sezioni più numerose e battagliere furono quelle di psicologia introspettiva e quella di psicologia sociale, pedagogica e criminale; nell’una per la contesa campale tra la tendenza positiva e la idealistica della psicologia, nell’altra per il fervore più progredito e più pratico della scienza psicologica e per il pensiero dell’infanzia e della scuola, che vi primeggiò. Ma se nell’una fu lo stimolo della lotta tra avversi principi ad animare di vita le sedute, qui fu l’avanzarsi maestoso del progresso scientifico, il quale s’impose con l’esuberanza della sua propria forza vitale.


A cominciar dal discorso d’inaugurazione di questa IV Sezione, discorso detto con sentimento d’improvvisatore dal prof. Ottolenghi della nostra Università, si affermò un principio, del quale sembrarono illustrazioni le più notevoli comunicazioni «Il compito della psicologia odierna è l’applicazione di tutto ciò che la scienza ha scoperto alla vita pratica e al bene degli uomini». La scienza apparve per molto tempo aristocratica, isolata sopra un trono inaccessibile, nascosta agli sguardi profani come un idolo orientale, ma essa preparava là i tesori utili all’umanità, come uno scienziato che solitario nel suo gabinetto prepari un siero curativo. Così la scienza oggi trova il suo scopo lanciando i dettami delle scoperte nel campo pratico e rendendosi utile a tutta la società. Ma ancora non si riesce a modernizzare in questo senso la scienza: uno dei contrasti più salienti dell’ora presente è il dislivello tra ciò che la scienza ha accumulato e ciò che gli uomini hanno applicato. Così, per esempio, dopo gli studi positivi iniziati gloriosamente in Italia da Cesare Lombroso, che ci hanno fatto comprendere i legami tra organismo e psiche, noi sentiamo il profondo abisso tra il vero delinquente che si può con obbiettivismo individuale studiare nelle case di pena o nei riformatori e quello ideale contemplato come un’astrazione dal Codice penale; tra i veri tipi di scolari, di uomini delle generazioni future che noi dovremmo preparare al divenire sociale, e lo scolaro ipotetico, a tipo unico, inesistente, che dobbiamo preparare con metodo unico a un ambiente sociale cristallizzato o anch’esso inesistente. Questo dislivello addita il compito agli scienziati di oggi, che devono colmare tale lacuna rendendo alla pratica utilità umana quelle elaborazioni scientifiche che nacquero e si svilupparono finora in ambienti aristocratici.


Ma quale il campo più direttamente pratico per agire, se non la scuola? In questo senso si fece l’affermazione più solenne che un consesso di forze mondiali abbia mai dato. Riformare la scuola, basare la pedagogia sullo studio dell’individuo da educare: ecco il primo fondamentale passo che necessita muovere sulla via scientifica.


Il De Vincentis con la sua comunicazione su le «Osservazioni psicofisiche sugli alunni dei Convitti nazionali», il prof. Colucci dell’Università di Napoli su «La psicologia ad uso dei corrigendi», il grande maestro di Torino, prof. Marro su «La criminalità nell’epoca prepubere», il Roncoroni su «Le parafrenie rudimentali e loro effetti sociali», ripetono brillantemente la tesi che necessita studiare i tipi nuovi fin dall’età della scuola eseguirli nel loro sviluppo, per evitare mali sociali, pericoli, ingiustizie, sventure collettive e per poter sviluppare le forze umane normali al maggior bene della società. «Il mezzo per raggiungere il gran fine dell’educazione, dice il De Vincentis a proposito dei Convitti nazionali, è quello di studiare l’educando». – «Non è possibile alcun programma di redenzione fino a che permane l’attuale confusionismo di tipi umani diversi», dice il Colucci a proposito dei riformatori ove avviene l’opera corruttrice di pochi sulla massa torpida, fiacca, nevrastenica. Nessuna vigilanza potrà metter barriera tra malvagità consonanti in un miscuglio di deficienze e di bassa istintività, in una folla di disarmonie di tipi che si sommano o che si ripudiano. La cella, ultima ratio del riformatorio, pretenderebbe con l’isolamento, il digiuno, l’ozio, la mancanza di luce, di elevare la psichicità del soggetto a concetti di autocritica e di autoriforma morale, che devono invece trovarsi necessariamente collegati a un insieme di vita biologica e di ambiente superiore. «Si deve indagare dal punto di vista biologico, quali sono i tipi umani, le tendenze e la capacità, che vi sono raccolte, e in quali rapporti stanno queste con un programma completo di educazione correzionale». E il Marro, a proposito della «criminalità prepubere» offre tutto un programma di educazione scientifica che comprende l’individuo concreto in tutta la sua completezza, l’ambiente educativo, e la meta sociale che l’educando potrà raggiungere.

Come dovrà la società difendersi dai pericoli delle «parafrenie rudimentali» dice il Roncoroni, degl’individui che dànno il substratum dei delinquenti occasionali: persone sub-normali che passano inosservate coi loro difetti di egoismo eccessivo, di falso amor proprio, di carattere debole, vile, impulsivo, di apatia, di ciarlataneria, d’inversione sessuale, ecc.; – stati che si aggravano con l’assoluta mancanza di un’educazione adeguata, con la denutrizione, con la pessima igiene; – come dal dilagare di mali provenienti da sì disastrose condizioni potrà difendersi la società? Lasciando libero l’individualismo nella offesa e nella difesa, salvo ad intervenire col Codice penale, come oggi si fa?… no certamente. Nella scuola converrà mettere le radici del rimedio, ove si potranno studiare questi diversi tipi umani sub-normali e correggerli nel loro sviluppo; mentre una educazione collettiva potrà essere atta a riconoscere simili soggetti ed a parare le loro offese.


Troppo lungo sarebbe ripetere, sia pure succintamente, i vari toni su cui le più svariate forze contribuirono ad imporre l’adozione del nuovo principio su cui dovrà ricostruirsi la pedagogia, come già fece trionfalmente la medicina, quando passò dal campo empirico a quello sperimentale.


Allorché il prof. Ottolenghi fece la sua comunicazione sui «600 pregiudicati della provincia di Roma» ch’egli studiò sulla guida di una carta biografica da lui introdotta con assai alta competenza, prese la parola il professor Linacker per fare voto che gli stessi principi sperimentali applicati dall’Ottolenghi vengano ad informare la moderna pedagogia, e sull’esempio della carta biografica Ottolenghi: «La IV Sezione del Congresso di psicologia fa voti che venga normalmente applicato nelle scuole come nelle carceri una cartella biografica antropologica e psicologica individuale».


Nè alla IV Sezione si fermò il voto, ma da tutto il Congresso riunito, con l’intesa delle illustri personalità scientifiche intervenute da ogni parte del mondo, si fece voto che sorga una vera scuola pedagogica la quale sia riforma scientifica alla pedagogia e dia le basi dello studio antropologico e psicologico dell’individuo. E poiché già s’iniziò in Roma e in Italia una scuola pedagogica, la quale, così com’è, non risponde alle esigenze scientifiche riconosciute con un’unanimità mondiale al Congresso, il voto venne così formulato:


«Il V Congresso di psicologia fa voto che in rapporto alla scuola pedagogica istituita recentemente per decreto dal ministro Orlando siano messe in prima linea la psicologia sperimentale e l’antropologia pedagogica in accordo ai principî fondamentali odierni della scienza dell’educazione ed alle idee espresse in varie occasioni dall’on. ministro Bianchi e fissate in un recente voto del Consiglio superiore».


Questo voto verrà subito presentato al Ministro da una Commissione di professori dell’Università, che andranno in nome delle celebri personalità le quali vi apposero la firma.


Ma oggi non dobbiamo tutto attendere dall’alto, come dice Pasquale Rossi nella sua relazione su «La scienza dell’educazione della folla»; una forza nuova sorge nel campo educativo: quella delle masse coscienti che muovono per forza propria alle nuove conquiste organizzandosi per virtù loro. Forza pedagogica che non è più la pedagogia sociale, intesa dal Bergmann, nè è l’ideale del Comte e di Novicow: questa tendenza è nuova e segna un bisogno immanente nella società.


Sono dunque i maestri che dovranno «conquistare» come una realtà pratica il voto scaturito dal consesso mondiale di una élite dell’intelletto. Quella scienza che elaborò principî utili all’umanità essi debbono reclamarla, poiché l’umanità nelle generazioni future è tutta confidata alle loro mani!

In altro articolo dirò degli argomenti di pedagogia emendatrice e di… pedagogia femminista che si svolsero al Congresso di psicologia.

La via e l’orizzonte del femminismo9/10

La via

La donna moderna, per ineluttabile necessità di cose, si avvia a nuove forme di attività, ad una nuova missione, passando dall’ambiente domestico a quello sociale. Non è vero, come si afferma da molti, ch’ella cagioni in tal modo la disintegrazione della famiglia e che sia opportuno perciò limitare il suo passaggio all’ambiente sociale costringendola nella casa. Il volerla ricondurre nella sola ormai ristretta cerchia famigliare significa non comprendere il lato vero, positivo della questione: cioè che le stesse fatalità economiche le quali vennero a disgregare l’antico ordinamento famigliare, spingono oggi la donna fuori delle antiche mura domestiche. La primitiva aggregazione degli individui fu nella famiglia patriarcale; la successiva organizzazione fu in quella sociale, che disgrega a poco a poco la precedente famiglia. Infatti, la divisione del lavoro sociale e lo sviluppo delle industrie offrendo prima l’indipendente economia ai figli, li separarono, dissolvendo le familias in semplici coppie umane; oggi lo sviluppo ancora crescente delle industrie tende a dare l’indipendenza economica anche alla donna, e quindi a scindere la coppia in individui liberi, che formano altrettante unità sociali. D’ora innanzi la famiglia avrà solo legami sentimentali e significato morale: non più legami economici e utilitari. Invece sulla base economica va organizzandosi la gigantesca famiglia sociale.


L’evoluzione della donna e la presente Questione Femminile vanno studiate insieme alle trasformazioni della famiglia. Anticamente la dignità della «Domina» e della «Mater» era in rapporto con la sua missione di lavoratrice nell’ambiente domestico: la donna trasformava la materia prima negli oggetti che servivano a vestire e nutrire tutta l’umanità; e ne aveva alti compensi sentimentali di riconoscenza e rispetto. Ma i progressi della civiltà, la meccanica e le industrie, che portarono tanto benessere alle masse, tendono a riassorbire nell’ambiente sociale tutti i lavori cui poteva applicarsi la donna in seno alla famiglia. La filatura, la tessitura, la magliera, i cuciti, i ricami a macchina; perfino la lavanderia e la stireria meccaniche; le confezioni socializzate nelle grandi città industriali tolgono alla donna tutti i lavori relativi al vestiario. Anche le mansioni di cucina e di pulizia della casa mostrano le stesse tendenze; il pane, il vino, le salsamenterie, i latticini, le conserve, le salse, i dolci ecc. diventano prodotti industriali: – in America le cucine collettive e i «Family Hotel» mostrano che stanno per socializzarsi anche il pranzo e la casa.


Oggi, secondo il grado di progresso industriale nei diversi paesi, esistono varie gradazioni nei relitti di lavoro domestico, che tengono occupata la donna tra le pareti domestiche; ma è vicino il tempo in cui la massaja non avrà più ragione di esistere. Anche l’educazione dei figli va sempre più diventando opera collettiva e missione di Stato: il progresso dell’igiene e della pedagogia impongono oramai una divisione di lavoro nell’opera educativa, che non può più darsi ad una persona sola ed esigono una preparazione, che non può pretendersi dalla generalità delle madri; nè garantirsi in mani private.


La donna, dunque, al dì d’oggi, ove non prenda parte ai lavori sociali, rimane oziosa e cade in una forma pericolosa di parassitismo: la letteratura moderna coglie questi nuovi tipi e li offre o nelle commedie di Ibsen come donne amanti d’un ideale vago di libertà pel quale fuggono la posizione umiliante di parassita e di bambola; o nei romanzi di Bourget, come donna naufragata nella degenerazione morale.


Ma alla nuova emissione della donna socialmente lavoratrice non sono preparate nè la donna stessa, nè l’ambiente. Ella non presenta ancora un tipo nuovo nè le sue forze fisiche, nè quelle intellettuali, nè l’educazione sua sono adeguatamente preparate ai doveri nuovi, cui non corrispondono nè nuovi diritti, nè rinnovate legislazioni. Si sta formando lento l’adattamento con grandi sofferenze di questa donna moderna; la pioniera, che ha perduto i benefizî dell’antica donna e non ha ancora conquistato quelli della nuova. Il movimento femminile si erige sul presente equilibrio, che segue una transizione verso forme sociali più elevate e perfette, e tende a ristabilire un equilibrio, mitigando le dolorose condizioni delle lavoratrici.

L’Orizzonte

Quali saranno le conseguenze dello spostamento sociale di mezza umanità? – e, come sarà la donna nuova che si formerà nell’avvenire?

Chi è costui che si avanza

Come aurora che sorge?


Non è possibile immaginare che l’antica donna sentimentale, tutta composta d’amore e dedicata a custodire la purità, la virtù come un fuoco sacro, debba semplicemente divenire un lavoratore sociale come è l’uomo presente. Anzi ella dovrà portare le sue secolari virtù di sacrificio, d’inibizione, di pietà religiosa – che segnano vittorie interiori – fuori all’aperto, alla luce del gran fuoco sociale. È il suo stemma di nobiltà, che la rende anche oggi degno campione nella lotta: le sue virtù di cuore costituiscono il corrispondente alle virtù intellettuali, alle vittorie esteriori dell’uomo. Ella viene a socializzare anche le virtù domestiche; sarà in società ciò che fu in famiglia: la purificatrice, la consolatrice, la sorgente d’amore e di pace. Anche di questo ha bisogno la società, che geme nella cruda lotta e nelle bassezze morali, mentre rifulgono le vittorie esteriori della scienza e dell’industria: oramai questa grande famiglia sociale sente il bisogno della donna che la ingentilisca nel suo lavoro, della madre che la protegga.


Già con la conquista dell’indipendenza economica, con la esperienza e la coscienza conquistate nelle lotte sociali, la donna non solo sarà libera nella scelta dell’uomo; ma diverrà anche la vera compagna di lui, la collaboratrice, l’amica, la sorella sociale. Il matrimonio, se non avrà più nessun lato utilitario, ne nobiliterà nel vero amore, completo, che unisce intelletto e cuore. La donna, nella sua scelta, vorrà l’«eletto» – colui che le somiglia anche moralmente, il «vittorioso di sé» – il «dominatore dei senti» e sarà guidata dal sentimento materno a scegliere chi potrà con lei procreare il figlio «migliore di quelli che l’hanno creato». – La base morale della famiglia tende a spostarsi dall’egoismo degli sposi all’altruismo verso la prole. La vittoria sociale della donna sarà una vittoria materna, destinata a migliorare, a rendere più forte la specie umana. Ella, dopo essere avanzata alla conquista del lavoro sociale – farà un passo di più: andrà alla conquista del suo lavoro biologico, che è il vero fine del femminismo – alla conquista dei proprî figli; e basta l’umanità, che riposi tra le braccia materne della madre cosciente e libera!


Questa madre futura si può simboleggiare come una regina, una donna vittoriosa, che schiaccia sotto il piede il serpe delle miserie morali e personifica la purità e la fortezza. Ella ha come secreto della sua potenza il figlio che porta tra le braccia, che è suo, ed è più perfetto di lei: all’Eva antica, che visse per l’uomo entro le mura domestiche, si sostituisce la Maria sociale, la purissima e la potentissima, che vive pel figlio e per l’umanità!

La morale sessuale nell’Educazione11

Questo argomento, la morale sessuale nell’educazione, sembra nuovo e arduo, sembra quasi che ci voglia del coraggio ad affrontarlo, ma in verità esso non è nuovo, da molto tempo germoglia nella coscienza individuale di molti uomini, anzi esistono fenomeni atti a dimostrare che già si è iniziata una coscienza nazionale sulla necessità di considerare l’educazione in rapporto alla vita sessuale come un bisogno dei nuovi tempi e come una questione di pubblico interesse.


Recentemente, il Ministro dell’Istruzione Pubblica di Prussia ha diramato una circolare a tutte le scuole del Regno per chiedere come si impartisca la educazione sessuale agli allievi, così in rapporto ai concetti di etica che vi sono collegati, come in rapporto alle norme di profilassi nella vita sessuale fisiologica e nelle malattie sessuali. Altre manifestazioni pratiche abbiamo noi già avute in Italia dove nelle Scuole pedagogiche universitarie, destinate a impartire l’istruzione superiore agli educatori del popolo, fu introdotto l’insegnamento dell’antropologia pedagogica, che può in fondo considerarsi come la scienza dell’igiene e della morale sessuale. Infatti gli studenti vengono iniziati all’indagine sul gentilizio dello scolaro per rilevare se gli individui furono generati normalmente, o se nella loro genesi intervennero cause patologiche o degenerative. Scuola impressionante, perché lì si vedono vivere esseri infantili i quali per se stessi rappresenterebbero l’innocenza e che pur sono votati al dolore, alla debolezza, alla degradazione. Non soltanto le grandi colpe sociali appariscono come causa della nascita di esseri umani inferiori, ma anche piccole colpe, semplici errori, tutto quanto l’uomo fa che non sia perfetto: tutto ciò viene segnato nella specie, come vi restano segnati tutti i trionfi dello spirito umano, tutti i trionfi della nostra fortezza. La degradazione, come la bellezza compiuta e la potenzialità psichica della nostra posterità, è collegata alla vita pratica, alla vita morale che noi sappiamo condurre.

Dicono i religiosi che Dio segna nell’eternità tutte le colpe grandi e piccole che noi dovremo pagare, e segna pure tutte le grandi e piccole virtù delle quali saremo compensati. Ebbene, ecco la vita eterna, il libro grande dove sono segnate tutte le opere nostre: la nostra posterità. L’antropologia pedagogica tratta oggi ancora dell’uomo medio: il grande progresso della biometria che si è svolta in questi ultimi tempi specialmente in Inghilterra, ma anche in Italia per opera di illustri scienziati, ha permesso di ricostruire su leggi matematiche l’uomo il quale fosse eventualmente procreato in un ambiente privo di colpa secondo la natura pura, senza peccato. Ebbene, le misure, le proporzioni stabilite corrispondono precisamente a quelle che l’arte greca ha immortalato nelle sue statue. Noi potremmo dunque divenire dei grandi artisti nel mondo futuro, plasmatori di bellezze umane perfette, non in marmo, ma in carne viva: e questo tipo di uomo medio, essendosi svolto in un ambiente puro, sarebbe anche il perfetto dell’animo umano, e costituirebbe quasi l’ideale dell’etica sessuale, il simbolo del perfezionamento della nostra specie, il Cristo che tutti dobbiamo guardare per potere, nei tempi indefiniti, imitare e raggiungere.


Quando si svolgono queste lezioni nella scolaresca, è manifesto un interesse speciale: sparisce il professore, sparisce quasi lo stesso contenuto scientifico, innanzi alla nascita della coscienza di quelli che ascoltano, la quale risorge in una responsabilità verso la specie, prima non intravista, e in un sentimento di orrore per la leggerezza con cui l’umanità cammina sopra questa grande responsabilità. Tale impressione ci dice che gli spiriti dei giovani sono maturi e che qualche cosa di assai grande è venuto crescendo in fondo alle anime umane. Così molteplici manifestazioni nazionali e individuali ci rivelano assai chiaramente che la società civile sente come necessità una moralità nuova e quindi una nuova educazione.


Certamente su tale argomento molto possiamo con l’educazione. È noto che esistono sull’efficacia educativa due opposte teorie: una ammette l’educazione onnipotente a trasformare l’individuo, l’altra le nega tale potenza trasformatrice. In vero, l’educazione può perfezionare e guidare, ma non trasformare l’individuo creato: quale educazione potrebbe rendere intelligente l’imbecille, veggente un cieco, uomo normale e utile un pazzo morale? Un individuo è sostanzialmente determinato nella sua personalità fino dal concepimento in quella cellula ovo invisibile, microscopica, ma che contiene tutto l’individuo.


Supponiamo un uomo alcoolista che nello stato di ebbrezza fecondi e poi fugga, dimentichi la madre, il fanciullo; egli avrà dato nella materia una cellula infinitesima, nel tempo un attimo fuggevole, ma ciò è bastato per dare all’umanità un individuo criminale e un epilettico sul quale poco o nulla potrà l’educazione. Sembrerà un paradosso, ma l’educazione è veramente onnipotente quando agisce per coloro i quali ancora non esistono, quando si atteggia a sovrana, a dirigente del divenire biologico della specie.


Ebbene, noi non possiamo concepire niente di più spirituale, di più moralmente alto, di più fine che questa contemplazione degli esseri che ancora non sono nati e per i quali vogliamo proporci una difficile via di fortezza, di perfezionamento di virtù.


Molto dobbiamo sperare dall’educazione nella morale sessuale; ma come praticamente impartirla? Ecco una questione enormemente vasta che è ben difficile a trattare e che mi propongo di tratteggiare sotto forma di parabola. Scelgo delle parabole dovute a donne illustri le quali ci hanno lasciato delle eloquenti sintesi che riassumono in modo semplice, ma pur profondamente efficace, quest’alta questione, specialmente in ciò che riguarda l’opera materna nell’educazione dei figli.


Madame de Héricourt, una femminista dell’antica maniera, nel suo libro «La femme affranchie» espone un credo che tutte le donne dovrebbero meditare.

In esso, così si rivolge alle madri: «Voi ammonite il bambino: – Non dire «bugie, perché questa è cosa indegna d’una persona che si rispetti. – Non rubare: ti piacerebbe forse che rubassero le cose tue? questa è un’azione disonesta. – Non opprimere i compagni che vedi più deboli di te e non essere scortese con essi, perché sarebbe una viltà. – Eccellenti principii. Ma quando poi il bambino è diventato un adolescente, la madre dice: – Bisogna che un giovane si sfoghi e sfogarsi vuol dire sedurre, essere adultero, frequentare il lupanare. Come! È quella madre che diceva al fanciullo – Non mentire – la stessa che oggi permette all’uomo di tradire una donna come lei. È quella che insegnava al bambino di non rubare un giocattolo, che oggi trova lecito al figlio di rubare la vita, l’onore d’una donna come lei. È quella che gli raccomandava di non opprimere i deboli, che oggi gli permette di schierarsi tra gli oppressori d’un individuo umano, che la società ha fatto schiavo!» – Ma non vedete, soggiunge Madame di Héricourt, che voi non siete solidali nè con la donna, nè con l’uomo, poiché gli permettete di discendere. Voi siete solidali solo col fatto degradante che travolge tutta l’umanità.


Questa madre, che così profondamente si contraddice, è una schiava. La schiavitù sessuale non è soltanto quella che noi siamo usi a considerare, non è quella sola della donna perduta che vogliamo salvare: sempre quando una orrenda schiavitù fa parte di una forma di civiltà, tutta l’umanità che vi appartiene ne risente ed è con essa schiava. Così oggi è schiava quella madre che non può più seguire il figlio suo, quello che essa sollevò nella salute del corpo con tanta cura e che allevò nella gentilezza morale con tutta la passione del suo cuore: è schiava quando quel figlio le è strappato per andare forse nella morte o nella rovina della salute fisica e per discendere nella degradazione morale; mentre essa non può far altro che fissarlo silenziosa e immobile. Ella dice per iscusarsi che la dignità e la purità non permettono alla madre di seguire il figlio in questo cammino. – Ma non sentite – esclama Madame di Héricourt – che sarebbe solo degna e pura quella donna capace di educare un tale figlio che non avesse mai niente di obbrobrioso da confessare a sua madre? Non dignità e fortezza può invocare a sua scusa la madre, poiché in questo è anzi della madre l’annientamento. Della vera madre abbiamo tipi grandiosi nell’antichità: è madre per noi Veturia, la donna forte, che passa le mura della città e le frontiere del nemico per andare ad affrontare un figlio possente il quale non è certo il giovinetto di oggi, che per diventare giovinastro disdegna l’autorità materna. Ella procede incontro a quel figlio grande condottiero degli eserciti, per domandargli se è un traditore della patria. E il grande condottiero vittorioso, innanzi all’ammonimento della madre, sacrifica la parola data, e la vita. La vera madre dovrebbe nei nostri tempi essere simile a questa, dovrebbe poter sorpassare le muraglie del pregiudizio e le frontiere della schiavitù, e avere tanta dignità da poterlo arrestare dicendogli: – Figlio, tu non sarai un traditore dell’umanità! – Ma per assurgere a tanta altezza, la madre deve trasformarsi, non può essere questa onnipossente e grandiosa figura di donna, la madre di oggi, che è semplice tutrice del fanciullo, o come si dice, educatrice del bambino. Chi educa deve farsi simile, per quanto è possibile, all’individuo da educare: ecco, infatti, la madre di oggi che limitata al compito di educatrice del bambino, è ridotta artificialmente a rimanere essa stessa bambina, ignara della vita e delle sue lotte, infantile, rimpicciolita, nel pensiero e nella coscienza. Ma la donna che vuol seguire l’uomo ed esser madre dell’uomo, deve farsi virile, essere come lui lottatrice dell’ambiente sociale: deve possedere la sapienza che scaturisce dall’esperienza personale, sia pur dolorosa: ma è l’esperienza sua che la renderà protettrice del figlio, e salvatrice e amica fedele dell’uomo.


Tolgo un’altra parabola dagli scritti di un’illustre donna che scrive sotto il nome di Nelly ed è considerata come una delle più brillanti e fortemente educatrici del Belgio: ella ha composto un raccontino per bimbi così eloquente da costituire una grande sintesi sull’educazione materna delle verità sessuali verso il fanciullo.


Il figliuoletto chiede a sua madre: «Mamma di dove vengono i bambini?». La madre risponde: Li porta la cicogna. «E la cicogna dove li prende?» – Li prende in un pozzo; lì racconta una storia. Il giorno dopo il bambino va a scuola e il maestro racconta la storia commovente di un nido di cicogne che è andato a fuoco – e la madre non potendo trasportare a salvamento i suoi piccoli preferisce morire bruciata con essi. Il bambino protesta: «Come! non può trasportare i suoi piccini, la cicogna che trasporta i bambini?». Grande ilarità generale – Il bambino grida: «Ma sì, è vero, me lo ha detto mia madre!». – Intanto incomincia a scuotersi quella fede cieca che aveva di sua madre e tornato a casa le chiede: «Perché mi hai ingannato, e mi hai fatto deridere da tutta la scolaresca?». La madre potrebbe cogliere quest’occasione per rivelare il segreto, ma non lo vuole e dice «Non mi seccare». Il fanciullo va a scuola pieno di curiosità, i suoi compagni lo illuminano troppo minutamente e più di quello che sarebbe stato decoroso e necessario per un fanciullo, tanto che questi vede raccolta quella madre che lo ha ingannato in una specie di nube d’impurità ed allora quasi una barriera si erige tra questi due esseri che pure erano così buoni e fatti per aiutarsi l’uno con l’altro.


Un altro bambino domanda a sua madre la stessa cosa. La madre che aveva preso un preventivo accordo con suo marito spiega:


«Figlio mio, come le frutta dolci si maturano sugli alberi, così il figlio si matura nel corpo di sua madre».


Dice il bambino: «Sì, ma poi come ne esce?» «Ma, quando il bambino è maturo così che possa vivere anche separato dal corpo della madre, la madre si fende, si apre, ed il fanciullo esce». Dice il bambino: «Ma dovrà soffrire un grande dolore».


«Sì, piccino mio, un grande dolore, ma quando la madre vede il suo piccino, sente una tale tenerezza, una tale dolcezza che dimentica tutti i dolori sofferti». Il fanciullo rimane colpito, afflitto, ed anche la sera prima di andare a letto se ne ricorda e dice alla madre: «Lascia che ti baci, lascia che ti consoli» e quella che soltanto amava diventa per lui la venerabile. Egli si confidò sempre con sua madre, si fidò sempre di lei, perché ella gli aveva rivelato la verità e non ebbe bisogno di chiedere spiegazione ad alcuno: così miracolosamente sfuggì la corruzione dell’ambiente.


Ora questo eloquentissimo racconto di Nelly potrebbe condurre ad una riflessione: la madre si è confidata col marito, si è consigliata col marito per una confidenza così semplice? Ma nei paesi cattolici i fanciulli hanno come preghiera della purità una preghiera che inneggia alla maternità e fa ripetere alle labbra infantili: «Benedetto il frutto del tuo ventre». Adunque non solo è rivelato il segreto, ma è ripetuto mattina e sera come la sublime poesia della purità. Dunque non è il fatto in sé che preoccupa. Esiste una specie di tacita proibizione per la donna, sia pur madre, d’impacciarsi in qualsiasi maniera della questione sessuale. E questa falsa purità è quella che forma la schiavitù morale. Per intendere come possa essersi usato questo malinteso del pudore così interpretato, bisogna riflettere ed illustrare un principio che pure richiederebbe molto tempo e molte parole per essere completamente svolto e che più che dimostrare bisogna limitarsi ad enunciare.


Si tratta di un fenomeno della psicologia della società ed anche dell’individuo umano, fenomeno per il quale l’individuo primitivo nell’età o nel progresso sociale si ferma più alle cose piccole che alle grandi, alle cose materiali che alle spirituali, donde viene una fatale confusione del mezzo col fine. Fatale confusione o, se vogliamo chiamarla così, fatale peccato: peccato di origine per cui l’uomo perde la visione di tutto quanto è grande. Il concetto della specie può illustrare bene questa idea; la creazione degli esseri vivi, la vita eternata nella sua meravigliosa varietà, ecco il grande, ecco il fiume: il concepimento, la cellula del concepimento, il pulviscolo infimo, il nulla, ecco il mezzo. Chi perde il fine e si fissa al mezzo si rimpicciolisce e necessariamente si degrada. Questo peccato originale è proprio un peccato d’interpretazione di scienza: non è un peccato sessuale, esso infatti può applicarsi a tutto, ma specialmente all’alimentazione, con molta analogia a ciò che avviene nella vita sessuale.


Anche qui, in tempo passato, l’uomo ha confuso il mezzo, la gola, col fine, la nutrizione, il mantenimento dell’individuo. Concetto alto questo della nutrizione: la vita è in ciò: che la materia continuamente fugge da noi e si rinnova. E si potrebbe dire: se la materia di continuo fugge, che cosa è l’uomo, che cosa sono le creature vive? Questa materia che fuggendo, tuttavia, è eterna, come eterna è la vita, sicché sembra che la natura rappresenti un bacio rinnovantesi ad ogni secondo di due eternità, questa è la materia nella vita. Quanto altamente spirituale, quanto grandioso e poetico! e l’uomo confonde ciò col piacere del gusto quando mangia, confonde il nutrimento della vita coll’alimento del vizio, ed allora avviene quello stato caratteristico di qualche secolo fa.


Da una parte la crapula, il tuffarsi senza freno in questi godimenti della gola, e dall’altra i digiunatori del deserto i quali volevano ammonire i crapuloni con l’esempio della loro astinenza. E mentre tali erano le cose, non si doveva parlare di alimentazione, perché era un argomento volgare, basso.


I poeti specialmente trattavano argomenti elevati, ma non dovevano parlare mai di mangiare, per mantenersi sempre alti nelle cose dello spirito.


Una giovane volendo sembrare attraente cercava far dimenticare che era pure una creatura che mangia. Sembrava che l’umanità si vergognasse di questo sublime atto della nutrizione ed in verità aveva ragione di vergognarsi! Si vergognava di quel peccato originale, di quella confusione che aveva fatto del mezzo col fine, e ne provava il pudore. Quando la scienza riuscì a porre nei suoi veri e giusti limiti la questione, allora l’ambiente si trasformò completamente; tutti gli individui oggi debbono mangiare quel tanto che basti per mantenere la vita sana; nessuno ora vorrebbe prendere una indigestione; si sa bene che il banchetto dei ricchi deve essere elegante, i pranzi vi sono gustosi, ma limitati; e nel tempo stesso si è difeso un grande principio: che tutti gli uomini indistintamente hanno diritto a nutrirsi in modo sufficiente e adatto a rimanere sani. Ai nostri giorni i digiunatori non sono considerati come virtuosi: chi digiuna per il digiuno, sarà oggi come Succi che si espone nei cinematografi. No, non sono più virtuosi coloro che fanno l’enorme sacrificio di digiunare perché ciò sia di ammonizione ai corrotti della crapula che più non esiste; oggi noi conosciamo una sola virtù: la virtù di mantenersi sani e forti per potere con tutte queste forze, con tutta questa salute e con tutto il potere dell’anima e dell’intelligenza che ne deriva, lavorare al perfezionamento dell’umanità.


Ebbene, qualche cosa di simile possiamo ripetere per la vita sessuale. Rispetto a tale questione noi siamo oggi all’epoca dei crapuloni, siamo nella pienezza del peccato originale, nella grande confusione del mezzo col fine, e ce lo dicono gli errori sociali che si manifestano nella seduzione, nella prostituzione, nell’incoscienza verso i diritti della specie, nel disprezzo col quale qualche volta si può ravvolgere la maternità ed il frutto della maternità. E dall’altro lato, consideriamo ancora come virtù la verginità famelica ed inconscia che passa avendo in sé la virtù sola di ammonire col suo esempio puro, quelli che hanno dimenticato sé stessi, i diritti umani, l’altezza del nostro fine. Rimessa nei propri limiti giusti, anche per questa questione dovrebbe succedere qualche cosa di analogo a ciò che è avvenuto nella trasformazione del concetto dell’alimentazione: dovrebbero, cioè, scomparire tutti gli errori; ed allora non ci sarebbe più bisogno, od almeno non sarebbe più ammirevole, quella verginità inconscia che non ha altra virtù che di essere in sé stessa. Quest’oggi, o il futuro certamente, non potrà impedire la verginità, ma non sarà la verginità in sé stessa che formerà la virtù degli uomini, ma l’eroismo dell’individuo che lotta per essere libero della sua vita, per essere puro innanzi a sé stesso, affinché questa sua personalità esaltata possa compiere qualche grande missione sopra la società intera.


Ed allora, quando la questione fosse riportata nei suoi veri termini (noi non ne abbiamo nemmeno l’idea) ma quanto tempo risparmiato, quante forze, quante vite umane! Veramente noi due grandi colpe commettiamo: il peccato di origine e la perdita di tempo – e come non è nostra la vita perché data agli altri, così non è nostro il tempo perché lo dobbiamo utilizzare al bene.


Dobbiamo riconquistare le nostre forze, il nostro tempo; dobbiamo riconquistarli in una libertà virtuosa, e pura che innalzi tutta la civiltà di un altro gradino. Allora non sentiremo il pudore, come oggi lo sentiamo; oggi sentiamo vergogna ed abbiamo ragione: nessuno potrebbe dire mai che è ingiustificata la nostra vergogna! ma dobbiamo vergognarci di avere così brutalmente e così colpevolmente scambiato il mezzo col fine, perché non è la cosa in sé che può farci vergognare.


Chi è credente in Dio creatore, quale maggiore bestemmia potrebbe pronunciare contro il suo Dio, che quella di aver creato cose delle quali il solo accenno deve far salire il rossore alla fronte? Dobbiamo vergognarci di avere deturpato così quest’opera creatrice da doverne arrossire, ed in questo caso è troppo poco il rossore che salisce alla fronte. L’uomo nuovo dovrà vergognarsene con tutte le forze dell’anima per depurare il mondo da questo peccato. Ora è questo concetto che deve informare i principî della nostra educazione di morale sessuale. Lo scopo profondo e supremo deve essere quello di allontanare l’attenzione dei nuovi uomini che si formano, di allontanarla dal mezzo per riconcentrarla alla grandiosità del fine; onde riparare e proteggere individui dal pericolo della caduta; circondare il fanciullo di un tale splendore grandioso di quel fine mirabile che conduce alla creazione e alla eternità della vita, che egli non debba mai sentirsi toccare e ferire da tutto quanto la vita riguarda. Che se noi non avessimo questo concetto e credessimo che l’educazione sessuale nel fanciullo e nell’adolescente dovesse limitarsi ad insegnare alcune norme che si riferiscono al mezzo di questo grande fine, noi saremmo corruttori ed immorali.


Ad una opera di tanta importanza debbono collaborare insieme la madre e la scuola, perché non è soltanto un interesse dignitoso e religioso della famiglia, ma un interesse di utilità umana e sociale, anzi di utilità supersociale, perché si spinge al di là dell’ambiente verso il perfezionamento della specie futura. La madre potrebbe avere il compito di illustrare, santificandolo nella famiglia tra l’azione materna e le dolci cure affettuose della casa, tutto quanto è doveroso, semplice, atto a essere spiegato al fanciullo riguardo al mezzo del grande fine.


Per esempio, per la rivelazione dei fenomeni della maternità non c’è bisogno della parabola di Nelly; basterebbe che il fanciullo vedesse la sua madre gestante, che essa non si ammantasse, per celare in modo assoluto questo suo stato, ma lo lasciasse intravedere al fanciullo. Quante volte succede che il piccolo bambino rimane quasi in un’estasi deliziosa davanti al corpo della madre gestante e cerca di sentire con le piccole mani i nuovi sentimenti di quello che sarà suo fratello, più piccolo, più debole di lui, debolissimo, col quale dividerà l’infanzia, le carezze di sua madre; di quell’individuo verso il quale sente sviluppare un senso di dignità alta di protettore. Niente di più dolcemente educativo di questa verità svelata nel modo più naturale e più sacro che sia possibile.


Qui si potrebbe limitare l’educazione materna: e alla scuola riserbare il grande problema di dar l’idea grandiosa del fine della creazione, con metodo, con studio, con scienza; ben misurando e ben sapendo lo scopo che si prefigge. E questo spetta alla scuola non perché alla madre ciò sia impedito, ma perché quando diciamo madre, dobbiamo intendere non soltanto le madri borghesi, ma tutte le madri. Ci sono le madri proletarie le quali non potranno fare di più e di meglio che presentare al proprio figlio la loro vita, il loro esempio di lavoratrici dell’ambiente.


Ora, dunque, si tratterebbe di svolgere un nuovo programma nelle scuole. Sarebbe pretenzioso progettarlo in modo definito, come sarebbe pretenzioso il voler prevedere tutto quello che bisogna fare, che bisognerebbe fare per raggiungere lo scopo d’innalzamento e purificazione nella vita della specie. Nelle grandi trasformazioni sociali sono gli avvenimenti che insegnano e tanto più qui, dovranno essere gli avvenimenti: questo sarà il modo con cui l’umanità risolverà da se stessa il più grande problema umano sociale; quello che si ricorda del divenire del perfezionamento della specie. Intanto possiamo farci il programma che ci serva quasi di guida per poter insieme incamminarci su una strada lunga che non conosciamo ne’ suoi particolari, ma che sappiamo dove conduce; lontano, verso un grande regno di pace divina. L’idea del modo pratico come insegnare ai piccoli fanciulli la grandiosità del problema della creazione mi è stata ispirata dalla gentile amica Olga Lodi, la quale si è accorta che una sua bambina di sei anni molto intelligente prendeva una grande passione al racconto dei fenomeni che avvengono nell’amore dei fiori. Mi diceva la mia amica: «Io voglio scrivere un libro che sostituisca il libro dei racconti delle fate, e questo libro deve essere l’esposizione un poco fantastica dei grandi fenomeni della natura vegetale. Difatti il bambino che ama il meraviglioso sentirà il meraviglioso della natura. Che cosa è la fata che si avanza con la bacchetta e che fa sorgere un grande palazzo luminoso, che cosa è in confronto al polline, al pulviscolo d’oro divino che vola sulle ali del vento e che contiene in sé le quercie, i palmizi, il grano che nutrisce l’uomo, i fiori più meravigliosi di colore e di profumo che abbia la terra? Su questa bacchetta magica dell’universo, su questa bacchetta divina dovrebbe il fanciullo rivolgere la sua fantasia, deliziandosi alla contemplazione della vita che si svolge. Dare il racconto fantastico dell’amore dei fiori, come quello, per esempio, della pianta acquatica di Maeterlinek, il cui fiore femminile ha grandi petali bianchi e sta sulla superficie dell’acqua come una bella donna dormiente, leggiera, avvolta in veli e che si sdraia sul velo delle acque al bacio continuo del sole; ed il fiorellino che sta in fondo alla fontana, piccolo, che aspira all’alto, e che nelle generazioni attraverso ai secoli ha imparato a tesoreggiare le piccole bollicine di aria ed a farne una bolla grande che lo aiuterà ad innalzarsi verso la superficie e s’innalzerà lentamente fino a baciare la bella donna sdraiata al sole; e dopo ciò muore: ma no, non muore; poiché in quel bacio ha avuto l’eternità. Mentre i grandi monumenti cadono, mentre la memoria dei grandi sparisce nei secoli, è sempre là quel fiore della fontana con la sua donna sdraiata al sole e col piccolo fiore che aspira eternamente ad innalzarsi. – Quando i fanciulli fossero un poco cresciuti, si potrebbe passare alla zoologia, prendendo per esempio a considerare gli insetti che sono individui tanto lontani da noi da essere certamente insospettati sotto certi punti di vista. Ci sono degli studi sorprendenti in proposito. Basti citare un recente lavoro che tratta della psicologia di un ragno. Questo ragno lavora un piccolo sacco dove depone le uova, poi dentro questo sacco si racchiude esso stesso quasi custode immediato del suo tesoro, della specie, e sta lì all’interno a difendere questo sacco, anche dopo che i piccoli sono nati: e qualunque lesione avvenisse dal di fuori il ragno si affretta a ripararla. Togliendo il ragno da questo sacco, e mettendolo da esso lontano e lasciandolo lì anche 20 giorni, non cessa mai il ragno di tentare la fuga, di agitarsi e quando si conduce vicino al suo sacco, vi si precipita, chè così enorme lontananza di tempo non era valsa a far perdere in esso la memoria di questa grande maternità. E se si toglie la vera madre dal sacco e vi si mette un altro ragno, questa diventa madre adottiva, e si affeziona talmente che lotta con gran valore contro chi tenta avvicinarsi. Ma all’appressarsi della vera madre il ragno fugge spaventato, come innanzi a una forza invincibile, e la madre entra così tranquilla nel suo piccolo sacco. Ma se poi artificialmente e crudelmente si apriva lacerandolo il sacco, allora quella madre come se fosse fulminata moriva sulla distruzione della sua specie. Che cosa è questa appassionata maternità? dove risiede? il piccolo ragno, non ha carne, non ha sangue, non ha un cuore, non ha cervello, sono due millimetri cubi di una sostanza molliccia e nerastra. L’amore materno non è nel cuore della madre, l’amore materno è qualche cosa di più grande ancora, la madre è quella creatura che incarna questa cosa così grande che è la maternità, è la forma che assume la vita per proteggere e conservare se stessa, cosa grandiosa al di là delle creature, che sembra toccare la sua origine nella stessa eternità. «Non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita».


Si potrebbe ancora insegnare ai fanciulli qualche cosa sopra la teoria della evoluzione che oggi ha alquanto cambiato nella interpretazione primitiva riguardo alla lotta ed alla vittoria della specie. Oggi non si considerano più come vittoriosi gli animali che hanno grandi difese, come le fitte pelliccie, le robuste zanne, gli scudi, gli aculei, perché questi animali prima di diventare così forti e robusti sono stati in principio una cellula microscopica e poi un tenero e debole animale infantile: e durante tale epoca non avevano armi ed avrebbero dovuto scomparire, se non li avesse difesi la maternità.


In ultimo, si potrebbe insegnare agli adolescenti l’antropologia, e qui la scienza illustra la questione, ed è abbastanza netta, perché sia il caso di fermarvisi.


Il fatto stesso che il peccato sessuale possa condurre noi a divenire i genitori infelici di infelici creature, basta in sé a dare la coscienza nuova, se non altro nell’egoismo, la coscienza nuova della responsabilità verso la specie. Ma è anche educativo far contemplare lo sviluppo dell’uomo, farlo contemplare a tutti come qualche cosa di gioioso nella coltura intellettuale a cui tutti gli uomini hanno diritto. Far meditare sopra questo fatto meraviglioso: l’uomo, così complesso che l’anatomico non riesce a ricordare in tutte le sue parti, che il fisiologo non riesce a ricordare in tutte le sue funzioni: questo uomo si svolge da solo, e può diventare un eroe, un genio, un Dante Alighieri, un Raffaello Sanzio; può diventare il condottiero delle genti verso il nuovo tempo: ed è sempre lo stesso fenomeno, lo stesso miracolo della natura. Fino adesso non abbiamo mai meditato su questa cosa grandiosa che esorbita dai limiti della nostra gente, anche perché non avevamo la forza di soffermarci su questo argomento, come non sappiamo soffermare la mente nella interpretazione meravigliosa degli astri sospesi nell’universo. – Io avevo uno zio che, quando cercavo spiegargli l’opera sublime dello spontaneo sviluppo dell’uomo, mi diceva: «Non mi raccontare queste cose, perché io sento d’impazzire». E veramente questo sarebbe l’unico pericolo se volessimo riguardare la verità grandiosa dei fenomeni della specie; il timore d’impazzire nella meditazione di un fenomeno così grande.


Un’ultima parola sopra un particolare dell’educazione della fanciulla e della giovinetta a questa sua grande, nuova missione di madre cosciente.


Da quello che si è detto fin qui, risulta che noi in questa visione del futuro chiediamo all’uomo dei sacrifici ed una fortezza alla quale finora non è abituato; sacrificio e fortezza che non chiediamo alla donna perché non ce n’è di bisogno essendo stata questa appunto la virtù che la caratterizzava e l’innalzava a salvatrice della specie; pure anche ad essa dobbiamo chiedere, per giustizia, qualche sacrificio che suoni nuova fortezza. Bisogna che la donna impari a vincere quel sentimento che per esso solo la conduce ad accettare l’uomo. Bisogna che impari, senza badare al suo sentimento, a respingere l’uomo che è indegno di procreare, affinché ella non diventi mai la madre inconscia dell’individuo degenerato, dell’epilettico, dell’idiota, del pazzo morale. – E per dare questa nuova coscienza alle giovani donne, bisognerebbe ricorrere più che alla scuola, alla letteratura; ove il romanzo e la poesia cominciassero a ricavarne nuove figure di donne forti. Ho creduto di interpretare in questo senso una delle più note opere di Gabriele D’Annunzio, la Figlia di Iorio. Si vede nella scena la donna antica rimpicciolita, arida, muta, che sta lì in quella casa dormiente da secoli; dice Aligi: dormii settecent’anni. Donna imbelle che non sa difendere se stessa ed ha bisogno di mura massiccie, delle cure virili di chi la circonda per mantenersi pura nel corpo: e sulla porta, affinché la casa non sia invasa dall’uomo, contro cui non saprebbe difendersi, sta la croce. Questo ambiente è invaso ad un tratto dalla donna nuova, la quale da sé si difende dall’incanata e con tanto vigore che contro lei non può nemmeno la croce sulla porta. Ed ella conduce con sé l’uomo verso l’alto, alla cima del monte, dove lei sola sarà a difendersi da lui come uomo sessuale e ad innalzarlo come uomo morale. Donna che ci dà l’esempio della nuova forma dell’amore. Non è più quell’amore arido, sterile della donna fatta bambina, è l’amore grandioso finora sconosciuto alla donna d’oggi, l’amore che solo godrà l’uomo futuro quando saprà meritarselo: un amore fatto di tutte le forze della maternità e di tutte le forze dell’umano eroismo. Dinanzi alla colpa dell’uomo è lei che assume tutta la responsabilità per liberarlo dal martirio, è lei che compatisce fino all’estremo le sue miserie, e le donne che la vedono allontanarsi verso il rogo, le gridano dietro in voce di pianto: «Io bacio i tuoi piedi che vanno verso l’avvenire». E lei risponde: «La fiamma è bella!… bella è la fiamma del martirio che brucia il passato e dalla quale come fenice verrà la donna rinnovata».


Anche Federico Nietzsche nella sua grande opera di Zaratustra accenna a questo tipo di donna forte e rinnovata nella sua coscienza, la madre del superuomo, quando le fa dire all’uomo che le chiede amore: «Sei tu degno?… Sei tu l’uomo forte, robusto, vittorioso di te, padrone della propria anima? Sei tu l’uomo che ha voluto essere l’uomo sano e l’uomo forte? Oppure ti conduce a me la fame della bestia od il folle terrore della solitudine della vecchiaia? In questo caso vai lungi da me! Pensa che chiedi un monumento vivente della tua forza e della tua virtù! Io chiamo Imene; quella che riunisce due individui i quali vogliono creare un uomo più perfetto di quelli che l’hanno creato».


Veramente questa nuova forma di donna noi la possiamo figurare come la trionfatrice del definitivo e alto progresso dell’umanità: Ella si erige sulle lotte sociali come una madre forte. Possiamo simboleggiarla come una donna bellissima la quale ha perduto tutti i monili che erano serviti per attrarre l’uomo, ed è tutta ammantata nel manto di giustizia. Sotto il suo piede nudo come la verità, schiaccia il serpe dell’antica miseria morale; sembra l’incarnazione stessa della purezza; ma questa purezza è fatta tutti di concepimento e di maternità.


Da lei si irradia un tale splendore d’amore materno che sembra diffondersi in tutto il genere umano. Ha il volto dolce, soffuso di tutte le delizie, perché è la donna che è ascesa trionfante dal deserto della vita.

I principî fondamentali del metodo12

Il concetto della libertà è un antico ideale nella pedagogia. Rousseau, Pestalozzi, Froebel, Herbart, ne furono sostenitori. Più modernamente Tolstoi e il filosofo americano Dewey hanno tentato di mettere in pratica questo ideale secondo due concetti che informano tutti gli altri tentativi moderni del genere. Il Tolstoi concepisce la Scuola libera sull’opera del Maestro, il quale, sbarazzato da programmi e da altri legami, può liberamente intendere i bisogni del fanciullo, e assecondarli. E il Dewey affida invece la libertà delle scuole ai fanciulli, fondandosi sul reciproco controllo e quindi sul sentimento di responsabilità degli scolari. Ma anche in questi due fondamentali indirizzi non c’è una determinazione della libertà, in quanto che essa è affidata a attitudini che, sia nel maestro, sia nei fanciulli, potrebbero mancare. Infatti l’anarchia risultata nella scuola del Tolstoi è una prova dell’impossibilità che un maestro possa assumersi il difficile compito di interpretare lì per lì la natura del fanciullo e improvvisare i mezzi per assecondarla.


Quella frase che comunemente si ripete «libertà sì, ma sino a un certo punto», contiene l’intuizione di una profonda verità: cioè che la libertà non consiste soltanto di un fatto passivo di liberazione, ma richiede un’attività che deve accompagnarla e che corrisponde a quel qualche cosa che nell’intuizione del pubblico limita la libertà, ma che in realtà deve determinarla. Infine c’è l’idea di una profonda differenza tra abbandono e libertà: questi due stadi sono gli estremi opposti di una lunga linea, come sono estremi opposti di una linea l’uomo abbandonato dalla società e il cittadino libero di un popolo libero. Fra l’una forma e l’altra corre tutto il progresso di una grande organizzazione.


Gli indirizzi moderni delle scienze positive aprono un’altra era al concetto di libertà dello scolaro. L’igiene e l’antropologia pedagogica e la psicologia sperimentale penetrate nei recinti della scuola hanno fatto impressionanti rivelazioni. Per le condizioni stesse della scuola si producono degli stati anormali degli scolari, che possono riassumersi in tre principali forme di indebolimento organico – la scogliosi degli scolari, cioè la deviazione della colonna vertebrale per il fatto di stare seduti lungamente nel banco – la miopia, per la necessità di sforzi di adattamento dell’organo visivo nel leggere e nello scrivere – e infine uno stato di fatica deprimente di tutto il sistema nervoso, la cui conoscenza si è popolarizzata col nome di surmenage scolaire; le stesse scienze hanno constatato che le maestre acquistano una predisposizione alla tubercolosi polmonare per lo strapazzo dei polmoni nel continuo vociferare, cioè nel far lezione. Queste rivelazioni della scienza portano la questione della libertà su un altro campo, cioè nel campo sociale, perché se le sofferenze di una classe sia degli schiavi, sia dei lavoratori, sia della donna, hanno creato delle questioni sociali, tanto più la sofferenza di tutta intiera la generazione avvenire nel periodo del suo sviluppo.


Oggi perciò la questione della scuola entra a far parte non della idealità di alcuni specialisti, ma del sentimento generalizzato delle popolazioni.


È interessante sentire la risposta della psicologia sperimentale e della cosidetta pedagogia scientifica, oggi imperante, pei possibili rimedi da apportarsi nella scuola. Basti riassumere queste affermazioni del Claparède: «Nella pedagogia moderna dovrebbe imperare il non nuocere, benché sia impossibile istruire senza recare danno». Infatti le riforme moderne, venute dopo i sussidi delle scienze positive alla scuola moderna, consistono nel diminuire le ore di lavoro, nel ridurre i programmi, nell’intercalare lunghe pause di riposi ai brevi periodi di lavoro. Questo è lo stato del momento. Noi intravediamo una specie di rovina delle generazioni future e la loro salvezza ci si presenta solo su delle vie che debbono condurre progressivamente all’ignoranza in un’epoca di civiltà in cui la coltura individuale e l’attitudine al lavoro dovrebbero sempre più intensificarsi per corrispondere alle necessità del nostro ambiente di lavoro e di progresso.


Stato di cose assai grave e dove la libertà dello scolaro non può essere più una questione scolastica da discutere ma diventa un problema scientifico da risolvere praticamente.


E a questo problema pratico ho dato il mio modesto contributo.


Il problema delle libertà include quelle dell’auto-educazione, non considerata nel senso morale e della responsabilità, come comunemente venne sin qui inteso, ma come sviluppo psichico, cioè, intellettuale, fondato sulle attività spontanee dell’individuo. Per ottenere questo scopo, è necessario che il fanciullo abbia a sua disposizione un materiale di sviluppo, cioè una serie di oggetti che corrispondono direttamente ai suoi bisogni di svolgimento intellettuale. Questo materiale non è il materiale didattico per le lezioni oggettive oggi usato nelle scuole, perché non serve alla maestra con oggettivazioni e illustrazioni delle cose che deve insegnare, ma è lasciato al bambino stesso come una libera palestra di ginnastica intellettuale.

Piuttosto potrebbe paragonarsi ai così detti testi che si usano in psicologia sperimentale per studiare le reazioni psichiche individuali. Infatti in questi materiali si ha, da parte del bambino, una reazione caratteristica, cioè la polarizzazione dell’attenzione, la ripetizione dello stesso esercizio per un gran numero di volte che può essere, per un bambino di tre anni e mezzo, 30 o 40 volte, per un bambino di 6 anni, 100 e persino 200: cioè la persistenza intensiva e spontanea nello stesso lavoro passa da mezza ora per un piccolo bambino a due ore e più per un bambino di 6 anni circa. Perché questo si svolga nel bambino è necessario che l’oggetto corrisponda in modo perfetto alle necessità inerenti alla sua età, così, per esempio: quell’oggetto che può far ripetere l’esercizio più di 40 volte al bambino di tre anni e mezzo, fa ripetere solo 8 volte l’esercizio a un bambino di 6 anni, mentre questo bambino di 6 anni quando si trova innanzi all’oggetto adatto alla sua età ha una persistenza di ripetizione di 200 volte, grado a cui mai potrebbe giungere il bambino di 3 anni nei suoi esercizi.


Studiando tante reazioni si può, con pazienti e lunghi esperimenti, venire a determinare nelle loro qualità di colore, forma, dimensione, ecc., gli oggetti relativi allo sviluppo. Per es., dando delle piastrelle di un diametro di circa 3 centimetri a un bambino di 3 anni e mezzo, queste non fissano l’attenzione del bambino e per tentativi si giunge a stabilire che le piastrelle devono avere circa 8 centimetri di diametro perché il bambino possa persistere nell’esercizio.


Un’altra caratteristica di questo materiale è che esso contenga il controllo dell’errore, cioè esso deve rivelare l’errore in modo che sia impossibile che il bambino non possa accorgersene, mentre facilita, per il modo come è costituito, la correzione; quindi ogni errore commesso dal bambino rappresenta un ostacolo alla sua azione, egli ha dinanzi a sé un problema che lo interessa e che egli può risolvere.


Quindi l’esercizio rappresenta uno svolgimento di tutte le facoltà mentali.

Il materiale di esperimento deve essere determinato anche nella quantità, perché l’esperienza ha dimostrato che ad un certo punto di maturità, dopo ripetuti esercizi col materiale, il bambino è capace di una spontanea generalizzazione di idee e anche di astrazioni. Per es., dopo essersi per un certo tempo esercitato col materiale di sviluppo dei sensi, il bambino diventa spontaneamente un osservatore, anzi un esploratore dell’ambiente e ha l’impressione di far delle continue scoperte che lo riempiono di soddisfazione e di gioia. Egli si accorge che il cielo è azzurro, che le finestre sono rettangoli, che il piatto è un circolo ecc. Ovvero, dopo un certo esercizio di numerazione di oggetti, egli, obbedendo spontaneamente alla legge del minimo sforzo, passa di un tratto al calcolo mentale ed eseguisce anche 60 e più operazioni aritmetiche alla volta. Se il materiale è insufficiente a stabilire questa maturità il bambino non va mai spontaneamente alla generalizzazione e alla astrazione, come bene sanno le maestre comuni che debbono con tanta fatica portare i bambini a questo grado. Se invece il materiale è eccessivo, può darsi che il fanciullo sul punto di prendere il volo dalla materia verso più alte attività psichiche, resti attaccato agli oggetti, ed allora come preso in un giro vizioso, ne chiede senza tregua, come chi ha perduto lo scopo elevato della vita, ed è rimasto incatenato alle vanità di cui diventa insaziabile, senza mai sentirsene soddisfatto.


In tal modo viene a stabilirsi un materiale che permette l’auto-educazione del piccolo bambino, andando dal semplice al complesso, e dal concreto all’astratto, secondo vie normali, senza l’intervento diretto della maestra, cioè lasciando il bambino libero nelle sue azioni.


I quadri psichici che risultano sono stati una rivelazione degna di grande interesse, perché dopo la polarizzazione dell’attenzione del bambino, si svolge in lui un’attitudine al lavoro che lo rende come un precoce nello sviluppo intellettuale e nella coltura rispetto agli altri bambini, e si forma con ciò un ordine interno che si manifesta in uno stato di calma e serenità conducenti alla disciplina spontanea, che forma, si può dire, il maggiore successo di questo metodo, di cui un grande scienziato italiano ebbe a dire che conduce i fanciulli alla disciplina attraverso la libertà.

Quando la scienza entrerà nella scuola…13

Ai maestri.

Vi siete mai domandati perché esiste tanta differenza di posizione sociale tra il medico specialista delle malattie dei bambini, e il maestro dei fanciulli?


E pure, chi è il medico? è una persona che si occupa solo di un momento della vita dei bambini: il momento in cui essi sono deboli. E si occupa solo dei loro corpi, quando questi corpi non funzionano bene. Le escrezioni del corpo – le sue miserie – ecco l’oggetto limitato e materiale dello studio del medico.


Invece, chi è il maestro? È la persona che ha in cura l’intera vita del bambino, quand’egli è nella pienezza della salute, e può spiegare tutta la grandiosità delle sue forze. Il corpo sta sotto le cure del maestro; ma più di tutto egli dirige l’anima del fanciullo, svolge le sue forze intellettuali, trae l’uomo realizzato, dal piccolo essere grazioso che ne è la promessa.


La differenza sociale tra medico e maestro non viene dunque dalla loro diversa missione sociale; poiché in tal caso il maestro avrebbe una dignità infinitamente superiore a quella del medico.


Quella differenza sociale sta nella scienza.

Quella scienza positiva, che ha un metodo preciso, conducente a toccare la verità, è essa che ha prodotto il grande progresso sociale, che caratterizza la nostra epoca. Uno degli aspetti più importanti di tale scienza è che essa «appena tocca una verità, procura subito qualche cosa di evidentemente utile alla società». Invece di essere un ornamento intellettuale, come nei tempi antichi, ove essa rappresentava il prodotto astratto del pensiero, la scienza sulle basi positive è essenzialmente una trasformazione dell’ambiente, una benefattrice reale dell’umanità. Per questo essa non resta esclusivamente in un olimpo chiuso nella aristocrazia del pensiero, ma viene in ogni sua scoperta a popolarizzarsi, a trasformare la vita sociale. Se da Aristotile e Keplero – dalla sapienza greca al rinascimento – il contenuto delle scienze lasciò tranquilli e quasi inalterati i popoli ignoranti, oggi la scienza positiva, che giunge alla trasformazione della materia e delle forze, crea industrie, dà il comfort della vita, rimuove tutto, moltiplica gli scambi, permette una facilità favolosa di comunicazioni col telegrafo senza fili, con le promesse dell’areonautica.


La scienza ha oggi come sua caratteristica degli impianti industriali, e l’entusiasmo pubblico, perché essa porta qualche cosa di praticamente utile alla società.


Il medico appartiene a questa scienza. Egli toccò la verità col metodo positivo, toccò la vita dei microbi generatori delle malattie; e benché il microbo, come lo dice la parola, sia qualcosa d’infinitamente piccolo, essa ebbe ugualmente la gloria del successo. Perché la verità non ha dimensioni materiali, e ovunque essa si riveli, porta miracoli come le fate delle antiche favole pei bambini, e il mondo alle sue rivelazioni, freme. Il medico ha cercato i microbi nelle escrezioni del corpo: il minimo, nei rifiuti: l’infinitesimo nel ripugnante. Ed eccolo alzare un vessillo di vittoria: si può salvare la vita. Sì, le statistiche della mortalità calano, come se un Dio, il cui carattere fosse quello di risuscitare i morti, fosse venuto ad abitare tra noi. Specialmente si salvano le vite dei bambini: ecco le madri, a turbe, frementi, gridanti ad alta voce: salvate il mio figlio! allorché fu vinto l’impercettibile microbo della difterite; ecco le madri fatte assorte, studiose dei mezzi di lotta minuziosi, costanti, che, con l’igiene moderna, assicurano la vita dei bambini. Il modo di alimentarsi, il vestiario, la casa, tutto si trasforma: il mondo cambia, la cultura generale si innalza, tutti gli uomini si fanno più attivi e intelligenti cooperatori di una immensa opera di salvazione.


Di qui l’alto seggio a cui la società riconoscente ha elevato il medico.


E il maestro?…


Dunque nella scuola non è ancora penetrata quella scienza che, toccando la verità, solleva i popoli e trasforma il mondo? Ivi tutto giace quasi in un luogo ove la vita languisce. La scuola è lì, chiusa, immobile. Nessun grido di speranza esce da lei ad animare il mondo. Nessuno aspira ad essa come ad una fonte di redenzione e di grandezza.


I bambini vanno a scuola come vittime, e i genitori ne sopportano i pesi. Essa sembra più una condanna a tempo, di cui si agogna la fine come una liberazione, che la sorgente di vita donde l’uomo trae se stesso.


Si studiano le malattie dello scolaro, come le malattie del prigioniero, quasi che quello della scuola fosse un luogo di pena, ove perfino i corpi corrano pericolo.


Come è ciò?


Nessuno potrà pensare che l’uomo stesso nell’età preziosa del suo sviluppo, che il bambino sano, normale, sia qualcosa d’inferiore alle forze brute o a un microscopico batterio. Nessuno potrà pensare che la società, la quale di tutto il progresso s’infiamma, sia solo indifferente a se stessa, all’infanzia dell’umanità. Nè sarà possibile supporre che da tutto può trarsi un progresso sociale fuorché dalla scuola, dove si coltiva l’avvenire stesso degli uomini.


È dunque la scienza, che è mancata.


Sì, quella scienza il cui metodo insegna a toccare il vero, non è ancora penetrata lì, nel sacro luogo ove si coltivano le anime.


Che sarebbe se ciò fosse in un prossimo giorno?


Qualche cosa di straordinario dovrebbe avvenire – quasi un lampo, un fulgore capace di espandersi nel mondo intiero – perché il fuoco spirituale si diffonde più presto dell’elettricità, e non ha bisogno di comunicazioni dirette per passare da anima ad anima.


Forse questa può essere una storia meravigliosa: c’era una volta un piccolo gruppo di bambini in un quartiere miserabile di Roma; i loro genitori erano analfabeti. Essi di un tratto sentirono toccarsi l’anima da qualche cosa che non sapevano bene cosa fosse, ma era la scienza. Allora fecero sentire la loro vera voce; e questa voce infantile fu udita fino alle estremità della terra: dall’America, dall’Australia, dalle Indie, dal Giappone, da tutta l’Europa, gli uomini udirono e vi risposero con una tenerezza piena di speranza, quasi come avessero ascoltato un coro di angeli, che prometteva la pace.


Maestri: perché non dovrà francamente entrare la scienza positiva nella scuola?


Quello che si chiama comunemente il mio metodo di educazione, è in verità un primo germe di scienza positiva, che con i suoi metodi di ricerca, ha toccato il vero là dove si svolgono le anime infantili. Le Case dei Bambini sono i primi laboratori di scienza umana: è per questo che la loro fama ha fulmineamente traversato la terra.


Non è ancora una scienza; ma è il metodo di una scienza che potrebbe svolgersi nell’avvenire, trasformando la scuola, e i maestri e forse rinforzando la vita morale della società.


Pensiamo al prossimo avvenire.


Che cosa ha fatto l’igiene pei bambini? Ha diminuito la mortalità – non solo – ma, aiutando il corpo infantile nel suo naturale svolgimento, ha procurato una infanzia più forte, più bella; quasi l’infanzia di una razza più perfetta di una migliore umanità.


Perché dovrebbe essere finito il compito della scienza?


La caratteristica dell’uomo è quella di possedere una vita assai più alta e complessa della sola vita fisiologica. Il corpo è un substrato del bambino, ma non è tutto il bambino. Ancora un passo. E lo stesso indirizzo scientifico che ha migliorato i corpi, migliorerà le anime. I bambini dovranno entrare in una via naturale non solo per la vita fisica, ma anche per quella interiore, e rinforzare l’intelligenza e il carattere in modo che li renda superiori in equilibrio e in bellezza morale ai fanciulli che oggi conosciamo nelle nostre scuole.


Quel corpo fiorente del bambino cresciuto nella perfetta igiene, aspetta di risvegliare l’anima grande che vi sta tuttora sopita. Se il corpo ebbe bisogno di aria libera e di libero movimento per svilupparsi, anche l’anima ha bisogno di libertà, di una libertà interiore che le è forse ancora sconosciuta, ma necessaria, per raggiungere lo svolgimento dei caratteri latenti nell’uomo.

E quando la scienza sia entrata nella scuola, proclamando la libertà spirituale per tutti gli uomini, allora forse la parola progresso, che ci è venuta fino ad oggi dalla scienza, si cambierà nella parola ascensione.


Quale allora la dignità del maestro? Quasi come Mosè, egli avrà sorpassato la dignità odierna del medico, per avviarsi verso quella più sacra del condottiero delle anime, e divino dittatore dei popoli.

La giovane Montessori
La giovane Montessori
Enzo Catarsi
Dal femminismo scientifico alla scoperta del bambino.Una biografia professionale degli anni giovanili di Maria Montessori che segue il percorso del suo lavoro e lo sviluppo del suo pensiero. La giovane Montessori di Enzo Catarsi è una biografia professionale della giovane dottoressa, che segue il suo percorso di lavoro e lo sviluppo del suo pensiero dopo la laurea in medicina del 1896 fino ai primi anni della sua pedagogia scientifica, concentrandosi sul suo forte impegno sociale. Un libro prezioso e di grande valore per chiunque si interessi agli anni formativi di Maria Montessori. Carolina Montessori Conosci l’autore Enzo Catarsi è stato un importante punto di riferimento per lo sviluppo delle scienze dell’educazione in Italia. Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, con le sue numerose pubblicazioni e il suo forte impegno sociale ha dato un importante contributo nel campo della pedagogia della famiglia e della cultura dell’infanzia.