CAPITOLO 4

La maestra di Maria Montessori

La letteratura montessoriana ha tradizionalmente prestato poca attenzione alla figura della maestra all’interno della riflessione di Maria Montessori. Una attenta lettura delle opere, al contrario, induce a ritenere che la studiosa marchigiana, pur enfatizzando, talvolta, il carattere indiretto del ruolo dell’adulto, tenga in grandissima considerazione l’intervento dell’insegnante e lo preveda in termini di presenza costante ed organica. Spia eloquente, al proposito, appare la stessa nomenclatura utilizzata, in particolare laddove – in maniera originale e perciò anche più densa di significato – si utilizza il termine di Direttrice per richiamare la figura magistrale. Montessori scrive infatti al riguardo: «Coi miei metodi la maestra insegna poco, osserva molto, e, soprattutto, ha la funzione di dirigere le attività psichiche dei bambini e il loro sviluppo fisiologico. Perciò io ho cambiato il nome di maestra in quello di direttrice. Sui primi tempi questo nome faceva sorridere, perché tutti si chiedevano chi dovesse dirigere quella maestra che non aveva sottoposti e doveva lasciare in libertà i piccoli scolari. Ma la sua direzione è ben più profonda e importante di quella che comunemente s’intende: poiché questa maestra dirige la vita e le anime. Le direttrici delle “Case dei bambini” debbono avere un’idea ben distinta dei due fattori, cioè la guida, che è compito della maestra, e l’esercizio individuale, che è opera del bambino. Solo dopo aver fissato tale concetto esse potranno razionalmente procedere all’applicazione di un metodo per guidare l’educazione spontanea del bambino, e per impartire le nozioni necessarie»1.


Significative appaiono anche le parole che la studiosa marchigiana dedica all’educatrice fin dall’importante discorso dell’aprile 1907, pronunciato in occasione dell’apertura della seconda casa dei bambini, laddove la maestra viene definita – invero un po’ troppo enfaticamente – «vera missionaria e regina morale tra il popolo». Essa infatti si dovrebbe dedicare completamente a questo suo compito educativo, tanto è che è previsto che debba vivere nello stesso casamento dove ha sede la scuola e dove dimorano abitualmente i bambini. «La direttrice è sempre a disposizione delle madri e la sua vita di persona colta e civile è costante esempio agli abitanti della casa, perché essa ha l’“obbligo imprescindibile” di alloggiare nel casamento e di essere quindi la coinquilina delle famiglie di tutti i suoi allievi. Fatto di grande importanza. Tra queste persone, in queste case tra le quali nottetempo nessuno si aggira senza essere armato, va a vivere nella loro stessa vita una gentile donna, di elevata cultura, un’educatrice di professione, che dedica tutto il suo tempo e la sua vita a civilizzare le genti! Vera missionaria, e regina morale tra il popolo: ella, se ha un sufficiente tatto e un sufficiente cuore, coglierà frutti inauditi di bene dalla sua opera sociale!»2.


Maria Montessori è infatti convinta che la maestra debba possedere puntuali competenze tecniche – imprescindibili per poter realizzare una proposta che ha nel corretto uso del materiale il suo fulcro – ma insiste anche sulla necessità che essa si caratterizzi per il suo impegno sociale e per «quell’amore che è necessario al maestro per renderlo veramente educatore dell’umanità». Ed al riguardo sono significative le parole relative all’impegno magistrale, che deve trovare alimento nell’amore e nella sensibilità sociale. «L’amore in sé è il complesso della fecondità che si produce per essere. E l’amore umano deve esplicarsi nel maestro in un’opera, perché si ama appunto per creare qualche cosa. Questa fecondità deve produrre la missione del maestro, che è oggi quella di riformare la scuola e di assumere una grandiosa maternità sociale, destinata a proteggere tutti gli uomini normali ed anormali. Riforma questa non solo della scuola, ma della società intera, poiché per l’opera redentrice e protettrice della pedagogia, scompariranno le più basse espressioni umane delle degenerazioni e dei morbi»3.

Libertà del bambino e ruolo dell’insegnante

Il ruolo della maestra, peraltro, specialmente nei primi lavori, appare molto sfumato, in quanto è sottolineata in particolare la validità dell’intervento indiretto e la necessità di rispettare la libertà del bambino. Quest’ultima, in particolare – che Maria Montessori pone alla base del suo metodo – costituisce elemento essenziale della sua proposta pedagogica, una volta chiarito che il suo concetto di libertà non ha nessuna accentuazione di tipo permissivistico o spontaneistico. Sostiene infatti, con grande chiarezza, che lo sviluppo psichico del bambino, che pure, in qualche misura, si evolve autonomamente, ha comunque bisogno dell’aiuto di stimoli esterni sperimentalmente determinati. «Non si potrebbe concepire libertà di sviluppo – scrive – se per sua natura stessa il bambino non fosse capace di uno spontaneo sviluppo organico, ove la ricerca dello sforzo (espansione delle forze latenti), la conquista dei mezzi necessari a uno svolgimento armonico innato, non esistessero. Per avanzare in tale espansione, il bambino lasciato libero nelle sue attività, deve trovare nell’ambiente qualche cosa di organizzato in rapporto diretto alla sua organizzazione interiore che sta svolgendosi per leggi naturali»4. Il compito dell’educazione, pertanto, è quello di mettere a disposizione quegli strumenti che corrispondono agli stessi impulsi naturali del bambino e che consentono pertanto una evoluzione naturale della personalità infantile. Tali mezzi non debbono essere frutto di scelte casuali ma derivare da studi sperimentali di lunga durata in grado di dare precise garanzie di riuscita.


La libertà del bambino, d’altra parte, è imprescindibile ai fini dello sviluppo della pedagogia scientifica e condizione essenziale per il rinnovamento della stessa pedagogia e della scuola. Essa costituisce per Montessori il significato stesso della vita infantile che deve potersi sviluppare liberamente. Particolarmente appropriata, allora, pare l’interpretazione che della libertà montessoriana fornisce Giovanni Genovesi, quando scrive che essa si presenta come «libertà intesa come conquista […] La libertà si identifica con la vita stessa. Per questo possiamo affermare che il concetto di libertà non resta nella Montessori sul piano della pura astrazione, ma si traduce in concetto-funzione dei processi vitali dell’individuo. È in forza di questa libertà-funzione che il bambino sarà decantato da abiti tradizionalmente scomodi e gli si offriranno infinite aperture sia fisiche che mentali. La libertà montessoriana acquista un enorme valore metodologico proprio perché non sorge da pure esigenze didattiche, ma da imprescindibili bisogni vitali. Essa è libertà non solo al muoversi, al fare, è molto di più: è libertà a vivere, è diritto alla vita»5. La definizione del concetto di libertà costituisce, in effetti, una costante preoccupazione di Maria Montessori, che cerca di approfondirlo in diverse occasioni. In uno dei primi scritti rileva appunto che esso è sempre stato presente nel dibattito pedagogico occidentale e afferma di voler portare il suo “modesto contributo” alla risoluzione di questa grande questione. «Il problema della libertà – scrive – include quello dell’auto-educazione, non considerata nel senso morale e della responsabilità, come comunemente venne sin qui inteso, ma come sviluppo psichico, cioè intellettuale, fondato sulle attività spontanee dell’individuo»6.

A questo riguardo, peraltro, pare di poter rintracciare nel pensiero montessoriano una qualche contraddizione7 o almeno delle affermazioni che ad una prima lettura potrebbero apparire non completamente coerenti. Parlando ancora di questo concetto basilare della sua impalcatura teorica, Montessori rileva infatti come la libertà sia indispensabile alla personalità infantile per evolversi sia psichicamente sia fisicamente. E continua affermando che ciò determina una situazione in cui “l’educatore”, quasi «fosse spinto da un profondo culto alla vita dovrebbe rispettare… lo svolgersi della vita infantile. Ora la vita infantile non è un’astrazione: è la vita dei singoli… (A questa) deve rivolgersi l’educazione, cioè l’aiuto attivo alla normale espansione della vita. Il bambino è un corpo che cresce e un’anima che si svolge». La studiosa cerca di chiarire che cosa intende per libertà del bambino anche riferendo alcuni episodi svoltisi nella Casa dei Bambini. Quando, infatti, ella vide un bambino con i piedi sul tavolo e le dita nel naso ed un altro che spingeva con violenza i compagni, intervenne direttamente per far comprendere alle educatrici quale avrebbe dovuto essere il loro corretto atteggiamento educativo. «Allora dovetti intervenire pazientemente – scrive – per far vedere con quale assoluto rigore occorra impedire, e a poco a poco soffocare, tutti gli atti che non devono compiersi, affinché il bambino abbia un chiaro discernimento tra il bene e il male. Questo è il punto di partenza necessario per la disciplina: e il tempo più faticoso per la maestra. La prima nozione che i fanciulli debbono acquistare per essere attivamente disciplinati è quella del bene e del male: e il compito dell’educatrice sta nell’impedire che il fanciullo confonda il bene con l’immobilità – e il male con l’attività, come avveniva nelle forme dell’antica disciplina. Poiché nostro scopo è di disciplinare all’attività, al lavoro, al bene; non all’immobilità, alla passività, all’obbedienza»8.


Sembra quindi fuori luogo parlare di spontaneismo montessoriano come appare anche più chiaro dal ruolo dell’insegnante, che viene disegnato con precisione e che certo non punta esclusivamente sulla presenza “indiretta” dell’educatrice nel processo educativo. Emblematico, al riguardo, è quanto viene affermato nella prima opera importante di Maria Montessori, laddove è scritto che «l’educatrice deve al massimo punto possibile limitare il suo intervento; senza tuttavia permettere al bambino di stancarsi in uno sforzo eccessivo di autoeducazione. E qui risiede l’oscillazione dei limiti individuali di perfezionamento nella maestra; cioè l’arte che formerà l’individualità della educatrice». La studiosa marchigiana, d’altra parte, tiene a precisare come nell’applicazione del suo metodo il ruolo della maestra cambi sostanzialmente rispetto al passato, poiché «la figura della maestra antica, che tiene faticosamente la disciplina dell’immobilità e consuma i suoi polmoni in una loquela risonante e continua, è scomparsa». E più precisamente: «Alla maestra viene sostituito il materiale didattico, che contiene in sé il controllo dell’errore e permette ai singoli bambini l’autoeducazione. Così la maestra è una dirigente del lavoro spontaneo dei bambini: è una paziente ed una silenziosa».


Ed ancora di seguito: «l bambini sono occupati ciascuno in una cosa diversa – e la direttrice può sorvegliarli facendo osservazioni psicologiche – le quali appunto, raccolte con ordine e con criteri scientifici, potranno ricostruire la psicologia infantile e preparare la pedagogia sperimentale. Io credo di avere stabilito, con mio metodo, le condizioni di studio necessarie a svolgere una pedagogia scientifica»9.

Le competenze osservative e relazionali

La competenza osservativa viene ritenuta giustamente da Montessori elemento fondamentale della professionalità docente e strumento determinante per la costruzione di una scuola rinnovata. «La possibilità di osservare come fenomeni naturali e come reazioni sperimentali lo svolgersi della vita psichica del bambino – scrive – trasforma la scuola stessa in azione, in una specie di gabinetto scientifico per lo studio psicogenetico dell’uomo. Essa – forse in un prossimo avvenire - sarà per eccellenza il campo sperimentale degli psicologi. Preparare una simile scuola in modo perfetto, è perciò non soltanto preparare “un miglior modo di educare i bambini”, ma anche preparare i materiali per una scienza rinnovata». Questo convincimento è ovviamente alla base della concezione di una maestra nuova, le cui caratteristiche divergono in maniera sostanziale da quella del passato. «Già nelle prime prove disorganizzate che ebbero luogo fino ad oggi, si è venuto delineando un nuovo tipo di maestra – scrive infatti la studiosa –: invece della parola essa deve imparare il silenzio; invece d’insegnare deve osservare; invece della dignità orgogliosa di chi voleva apparire infallibile, ella assume una veste di umiltà».


Montessori esalta la prospettiva sperimentale della sua ricerca e sostiene che anche la pedagogia deve caratterizzarsi con il metodo delle scienze sperimentali. Ed al riguardo precisa: «Se la pedagogia deve entrare tra le scienze, il metodo deve caratterizzarla; e col metodo non col contenuto deve prepararsi la maestra». A proposito della formazione della maestra Montessori ha le idee piuttosto chiare ed indica con precisione la competenza che deve contraddistinguerne la professionalità. «La qualità fondamentale è quella di sapere “osservare”, qualità tanto importante, che le scienze positive si chiamarono anche “scienze di osservazione”, denominazione che si è cambiata in “scienze sperimentali” per quelle in cui all’osservazione può unirsi l’esperimento. Per osservare, evidentemente, non basta avere i sensi e non basta avere una conoscenza: è un’attitudine che bisogna sviluppare con l’esercizio». A proposito della competenza osservativa Montessori aggiunge anche: «Per osservare bisogna essere “iniziati”: e questo è il vero avviamento alla scienza. Perché se i fenomeni non si vedono è come se non esistessero: invece l’anima dello scienziato è tutta fatta di un appassionato interesse a ciò che vede. Chi si è iniziato a vedere, comincia ad interessarsi: e tale interesse è la forza motrice che crea lo spirito dello scienziato. Come pel piccolo bambino l’interiore ordinarsi è il punto di cristallizzazione intorno al quale tutta la forma psichica verrà a comporsi, così per la maestra l’interesse al fenomeno osservato, sarà il centro sul quale si formerà da sé tutta la sua personalità nuova».


La maestra deve possedere anche qualità essenziali quali l’umiltà e la pazienza, che le consentano di osservare sistematicamente i bambini per imparare dai loro comportamenti. Pertanto Montessori insiste sulla opportunità di preparare con puntualità le educatrici all’acquisizione della competenza osservativa, proponendo anche forme di tirocinio assai originali. «Io inizierei perciò le maestre alla osservazione delle forme più semplici degli esseri viventi, con tutti quei sussidi che la scienza insegna; ne farei delle microscopiste; le inizierei alla coltivazione e alla osservazione delle piante nella loro fisiologia; le farei osservatrici d’insetti, le farei penetrare nello studio delle leggi generali biologiche. Ma non con la sola teoria, bensì praticando da sé, nei gabinetti e in seno alla libera natura. Né da questa osservazione complessa dovrebbe essere escluso il “bambino fisico”».

Montessori tiene anche a precisare che la competenza osservativa della maestra ha una propria specificità ed a tale scopo si richiama agli scienziati, che osservano le piante e che si limitano a conoscerne morfologia e fisiologia ed anche ai pediatri che si limitano alla patologia dei bambini. La maestra, al contrario, dovrà osservare “la vita interiore dell’uomo”. Ed a tale riguardo, con una prosa che appare ridondante e talvolta misticheggiante, conclude: «Il gabinetto scientifico, il campo naturale ove la maestra s’inizierà a “osservare i fenomeni della vita interiore”, deve essere la scuola ove si svolgono i bambini liberi con l’aiuto del materiale di sviluppo. Sarà allorquando essa si sentirà infiammata d’interesse “vedendo” i fenomeni spirituali dei bambini, e proverà una gioia serena e un desiderio insaziabile nell’osservarli, che dovrà sentirsi “iniziata”. Essa allora comincerà a diventare “maestra”»10.


Montessori tende a chiarire, insomma, che la preparazione del maestro non è solo questione di “nozioni e studio”, poiché a lui si chiedono in primo luogo “precise disposizioni di ordine morale”. In particolare il maestro montessoriano deve conoscersi interiormente ed avere sempre il pieno controllo di se stesso. Evidente, in questa riflessione, appare una qualche influenza psicoanalitica, che indubbiamente è presente nella elaborazione matura di Maria Montessori, che pure non accetta in maniera incondizionata l’apporto psicoanalitico. Nello specifico la studiosa insiste, comunque, sulla necessità che l’insegnante sopprima i propri difetti, in particolare quelli dell’ira e dell’orgoglio, che non consentono di promuovere l’autonomia infantile e che anzi la inducono ad atteggiamenti di sottomissione e passività. «Insistiamo sull’affermazione che il maestro deve prepararsi interiormente – scrive – studiando se stesso con metodica costanza per giungere a sopprimere i propri difetti più radicati, quelli che costituiscono un ostacolo per le sue relazioni con i bambini. Per scoprire codesti difetti nascosti nella coscienza abbiamo bisogno d’un aiuto esterno, d’una certa istruzione; è indispensabile cioè che qualcuno ci indichi quello che dobbiamo vedere in noi».

La competenza relazionale, quindi, costituisce aspetto imprescindibile della professionalità della maestra montessoriana, che deve avere consapevolezza che i propri atteggiamenti condizionano i comportamenti infantili. «Abbiamo di fronte delle creature come i bambini, incapaci di difendersi e di comprenderci – avverte Maria Montessori – e che accettano tutto quanto loro si dice. Non solo accettano le offese, ma persino si sentono colpevoli di tutto ciò di cui li accusiamo». L’atteggiamento dell’adulto, quindi, deve tendere alla comprensione del comportamento infantile ed alla sua valorizzazione. Ciò potrà avvenire solo se l’adulto non farà scelte di tipo impositivo, ma cercherà in ogni occasione di promuovere l’autonomia e l’operosità dei bambini. Quando si assumono posizioni autoritarie si elimina qualsiasi possibilità di dialogo con il bambino, anche se questi nell’immediato può anche non protestare ed accettare supinamente l’ordine. «L’educatore deve riflettere profondamente sugli effetti di cotesta situazione nella vita del bambino. Questi non comprende l’ingiustizia con la ragione, ma la sente nello spirito, e si deprime e si deforma. Le reazioni infantili – timidezza, bugie, capricci, pianti senza causa apparente, insonnie, timori eccessivi – rappresentano un inconscio stato di difesa del bambino stesso […] La preparazione che il nostro metodo esige nel maestro è l’autoesame, la rinuncia alla tirannia. Egli deve espellere dal proprio cuore l’ira e l’orgoglio, deve sapersi umiliare e rivestirsi di carità. Queste sono le disposizioni che il suo spirito deve acquisire, la base essenziale della bilancia, l’indispensabile punto d’appoggio per il suo equilibrio»11.


Nell’illustrare le caratteristiche del lavoro della maestra Montessori chiarisce anche che il suo compito non è certo quello di dare delle cognizioni sulla qualità delle cose per mezzo della presentazione di oggetti, quanto di presentare i materiali ai bambini perché questi, utilizzandoli, possano svilupparsi ed evolvere autonomamente. Il bambino sembra così diventare attore principale del suo processo di crescita intellettuale, aiutato dall’organizzazione dell’ambiente oltre che dalla maestra, la cui figura sembra talvolta defilata, anche per il modo in cui si esprime Montessori, ma che in realtà è una presenza vigile e costante. Certo, il suo ruolo è molto diverso da quello del passato, anche se è comprensibile il disagio mostrato da molte insegnanti a ben capire la lezione montessoriana ed a metterla correttamente in opera. L’apparente contraddittorietà di taluni passaggi montessoriani o per meglio dire, la maniera contraddittoria in cui essi sono stati letti, ha infatti autorizzato interpretazioni estremizzate, che vi hanno voluto rinvenire atteggiamenti di spontaneismo o di direttività che appaiono estranei alla vera lezione montessoriana, che imposta invece in maniera corretta la soluzione del problema della mediazione didattica. Molti equivoci sono stati possibili a causa della interpretazione letterale e riduttiva che è stata data delle indicazioni montessoriane. Emblematica è quella secondo cui “la maestra deve spiegare l’uso del materiale”, per cui, appunto, non è mancato chi ha ritenuto che in ciò dovesse unicamente consistere il lavoro magistrale. «Indubbiamente – scrive a questo riguardo Rosetta Finazzi Sartor – l’illustrazione minuziosa e particolarissima del materiale, può far pensare ad un rito sacro in cui sia stata trasferita la religiosità dell’educazione dall’anima al materiale, tuttavia il solo aspetto della preparazione scientifica, ovvero la conoscenza di una speciale tecnica dell’insegnamento equivale ad un univoco aspetto montessoriano, quello più caduco… L’illustrazione e la conoscenza del complicato materiale, presuppongono nell’insegnante una conoscenza della psicologia del bambino, se non proprio il procedimento attraverso cui è stato elaborato e creato il materiale»12.

La maestra e il materiale

Montessori tiene a precisare il ruolo dinamico del materiale con cui intende stimolare l’autonomia infantile. «La differenza profonda che c’è tra questo metodo e le cosiddette “lezioni oggettive” dei vecchi metodi – scrive – è che gli “oggetti” non sono un aiuto per la maestra che deve spiegare, cioè non sono “mezzi didattici”. Ma sono un aiuto al bambino il quale li sceglie, se li appropria, li usa, e secondo le proprie tendenze e bisogni, secondo l’impulso dell’interesse. Così gli oggetti diventano “mezzi di sviluppo”. Gli oggetti e non l’insegnamento della maestra sono la cosa principale: ed essendo il bambino che li usa, egli, il bambino, è l’entità attiva e non la maestra». Proprio per questa ragione la maestra ha come compito principale quello di spiegare l’uso del materiale, tanto da essere definita “un punto di collegamento” fra il materiale ed il bambino. E proprio per questo essa viene anche paragonata ad un maestro di ginnastica il quale, all’interno della palestra, insegna agli allievi come si utilizzano gli attrezzi che vengono poi usati direttamente. Montessori sostiene che «è difficile preparare “teoricamente” una tale maestra che deve “formare se stessa”, che deve apprendere a osservare, a essere calma, paziente e umile, a trattenere i propri impulsi, e che ha un compito eminentemente pratico nella sua delicata missione». Essenziale, comunque, è che la maestra conosca le modalità di presentazione del materiale ed a tale proposito è determinante l’esperienza che potrà fare, poiché un apprendimento di tale genere potrà essere acquisito solo per mezzo della pratica. «La maestra deve perciò conoscere assai bene il materiale – e tenerlo di continuo presente innanzi alla sua mente – e apprendere con esattezza la tecnica, anch’essa sperimentalmente determinata, nel presentare il materiale, e nel trattar il bambino per guidarlo efficacemente»13.


La maestra deve inoltre mettere il bambino in rapporto con l’ordine nell’ambiente oltre che con il materiale. La categoria dell’ordine costituisce un altro elemento importante nella proposta montessoriana e viene ritenuta fondamentale per educare il carattere del bambino14. Si dovrà educare il piccolo alla consapevolezza che ogni oggetto ha un suo posto preciso, dove deve esser riposto dopo essere stato utilizzato. L’educazione della volontà infantile ha qui largo spazio e le riflessioni che sono rivolte all’argomento fanno capire meglio alcune delle reali posizioni di Maria Montessori, a cominciare dal ruolo dell’adulto, che è certamente “indiretto”, ma che prevede anche una “presenza” costante al fine di taluni apprendimenti comportamentali. «Nessun fanciullo – ella scrive – può finire soltanto con la soddisfazione del proprio impulso; ma deve continuare il lavoro fino alla fine, con uno sforzo volontario per rispetto dell’ambiente e delle regole che lo dirigono. Mai un fanciullo può cedere il suo materiale a un compagno: né quindi prenderlo da lui».

La stessa presentazione del materiale prevede una presenza attiva della maestra, che deve eseguire “essa stessa una o due volte l’esercizio”. Ed ancora più chiara è la posizione di Maria Montessori quando sostiene che la maestra deve impedire al bambino l’uso errato del materiale; «Se la maestra vede usare il materiale in un modo che ne renda inutile lo scopo, cioè che non porti nessun benefizio allo sviluppo della intelligenza infantile, deve impedire di farlo: però con la più grande dolcezza se il bambino è tranquillo e in buona disposizione di animo: invece se il fanciullo dimostra una volontà di disordine, la maestra lo impedirà seccamente e con energica esortazione, non in modo che possa apparire un castigo al chiasso o al disordine, ma una autorevole affermazione della maestra sul bambino. L’autorità, infatti, diventa in tal caso il “sostegno” necessario al bambino che, trovandosi nel disordine per momentaneo squilibrio, ha bisogno di una forza a cui attaccarsi: come chi avesse inciampato ha bisogno di sorreggersi a qualche cosa per rimanere in piedi. L’opera di aiuto è in quel momento “lo stendere la mano amica del forte” verso il “debole”».


Che l’intervento della maestra non sia solo indiretto è confermato anche da altre indicazioni della studiosa, la quale, nel ribadire che il bambino che lavora seriamente si rende personalmente conto dei propri errori, “denunciati” dal materiale stesso, sottolinea come le manifestazioni di disordine e di disinteresse non possano e non debbano essere tollerate. Il chiasso prodotto dai bambini che non si applicano serve a ben poco e gli errori che loro compiono non hanno alcuna potenzialità. «Ecco allora che l’autorità della maestra interverrà a soccorrere la piccola anima pericolante, porgendole ora dolce, ora energico aiuto». Medesimo discorso vale anche per la parte terminale dell’attività del bambino, che deve rimettere a posto il materiale. In tale caso «la maestra, in caso di bisogno, può, anzi deve intervenire affinché il bambino rimetta al suo posto il materiale in modo che ogni cosa ritorni in perfetto ordine».

La presenza della maestra risalta anche nel momento delle “lezioni”, a cominciare da quella per mezzo della quale viene insegnata al bambino una esatta nomenclatura per andare poi a quelle con cui si favorisce l’associazione della percezione sensoriale col nome, il riconoscimento dell’oggetto corrispondente al nome e con cui viene verificata la memorizzazione da parte del bambino del nome corrispondente all’oggetto. La stessa lezione, peraltro, deve essere guidata dall’obiettivo di favorire l’apprendimento autonomo del bambino. Ma a tale riguardo pare anche legittimo rilevare che, se anche Montessori ribadisce la necessità di favorire la spontaneità infantile, si tratta di intendere tale affermazione nel suo reale significato, vista, appunto, la proposta di adozione di una strategia quale la lezione che certo non può fondarsi sull’improvvisazione. «Dato che nella scuola pel regime della libertà gli scolari possano manifestare le loro naturali tendenze – e ammesso di aver preparato a ciò l’ambiente e i soggetti – la maestra non deve limitare l’azione sua all’osservazione; ma anche all’esperimento». E nella prospettiva montessoriana «la lezione corrisponde a un esperimento». Le sue caratteristiche debbono essere in primo luogo quella della brevità ed in secondo quella della semplicità. «La terza qualità della lezione è la sua obiettività – in modo che la personalità della maestra scompaia, e rimanga evidente solo l’oggetto sul quale vuol richiamarsi l’attenzione del bambino. La lezione breve e semplice è per lo più una spiegazione dell’oggetto e dell’uso che il bambino può farne».


«In tali lezioni – aggiunge Montessori – deve poi essere guida fondamentale il metodo dell’osservazione, nel quale è inclusa la libertà del fanciullo. Così la maestra osserverà se il fanciullo s’interessa all’oggetto – come vi si interessi, per quanto tempo, ecc. notando pure la mimica del volto: e avrà cura di non ledere il principio di libertà. Provocando un qualsiasi sforzo, la maestra non saprebbe più quale è la spontanea attività del bambino. Se dunque la lezione preparata rigorosamente nella sua brevità, semplicità e verità non è intesa dal bambino come spiegazione dell’oggetto – la maestra deve avere due avvertenze: 1° di non insistere ripetendo la lezione; 2° di non far capire al bambino che ha sbagliato o che non ha inteso, perché lo sforzerebbe a intendere, e altererebbe lo stato naturale che deve essere utilizzato dalla maestra per le sue osservazioni psicologiche»15. L’intervento della maestra, pertanto, appare autorevole e costante16. Il suo ruolo assume nella proposta montessoriana un significato ben più rilevante di quanto non si affermi comunemente, anche sulla scorta di quanto sostenuto dalla stessa Montessori, che ha sempre messo più in mostra il carattere indiretto dell’intervento dell’adulto, rispetto a quello diretto che pure è previsto con chiarezza.


Nell’illustrare il ruolo magistrale Montessori ribadisce inoltre che la maestra deve insegnare con il proprio esempio e che non otterrà mai un comportamento tranquillo da parte dei bambini se non sarà in grado di mostrare una sua propria tranquilla sicurezza. La studiosa ribadisce che nelle case montessoriane un aspetto importante del ruolo docente è interpretato dallo stesso ambiente. «Negli altri metodi questo non succede mai. Si sente solo comandare […] Noi, al contrario, non crediamo al potere educativo della sola parola e del comando, ma cerchiamo cautamente, e quasi senza che il bambino se ne avveda, di guidare la sua attività naturale». La maestra, d’altra parte, non può pensare di aver esaurito il proprio compito con la presentazione dei materiali. Spetta a lei, infatti, «guidare lo sviluppo dell’anima infantile e perciò la sua osservazione dei bimbi non deve limitarsi al solo scopo d’imparare a conoscerli. Tutte le osservazioni devono mirare (ed hanno solo in questo la loro giustificazione) al fine di poter aiutare i fanciulli». Montessori è peraltro convinta che il compito della maestra è particolarmente difficile e presenta notevoli insidie. Proprio per questo indica alcuni principi che lo dovrebbero orientare. «Prima di tutto essa deve saper riconoscere il polarizzarsi dell’attenzione. Quando il bambino è intento al suo “grande lavoro” la maestra deve rispettare questa concentrazione e non disturbarla né con lodi, né con emendamenti». Ciò non vale, però, quando i bambini non abbiano ancora questa capacità di concentrazione ed utilizzino il materiale in modo disordinato e fra la confusione. In questo caso, infatti, la maestra deve intervenire direttamente per riportare il piccolo al suo impegno. «Il rispetto dell’attività del fanciullo che si esprime col “non intervento” è giustificato solo quando sia già intervenuto nella sua vita un fenomeno sostanziale: quando egli, cioè, abbia acquistato la facoltà di raccogliere tutta la sua attenzione su di un oggetto e di dedicarvisi, una volta che esso abbia risvegliato il suo interesse (non la sua curiosità). Il rispetto non è giustificato quando le buone energie infantili sono disperse nel disordine»17.

La maestra e la disciplina

Montessori ha in effetti chiaro il problema della disciplina ed è convinta che la sua acquisizione da parte del bambino è frutto di un processo complesso che deve vedere l’insegnante in intelligente attesa ed al servizio del piccolo. Quest’ultimo, infatti, avrà acquisito capacità di disciplina quando avrà la forza di concentrarsi sull’oggetto che lo attrae ed quando avrà la possibilità di controllare direttamente l’errore. «Il felice compito dell’insegnante – scrive al riguardo la studiosa – è di mostrare la via alla perfezione, provvedendo i mezzi e rimovendo gli ostacoli, a cominciare da quello che essa stessa può opporre: perché l’insegnante può essere un grandissimo ostacolo. Se la disciplina fosse preesistente, il nostro lavoro non sarebbe necessario; il bambino avrebbe un istinto sicuro che lo renderebbe capace di sorpassare ogni difficoltà». Fin dalle sue prime opere, d’altra parte, Montessori propone una nuova interpretazione dei concetti di “aiuto” e di “servitù” che sono alla base della sua concezione della disciplina. Scrive al proposito: «Chi è servito invece di essere aiutato in certo modo è leso nella sua indipendenza. Questo concetto è il fondamento della dignità degli uomini: “non voglio essere servito perché non sono un impotente, ma dobbiamo aiutarci gli uni gli altri, perché siamo esseri socievoli”; ecco ciò che bisogna conquistare prima di sentirsi veramente liberi (…) Noi serviamo i bambini; e un atto servile verso di loro è non meno fatale di un atto che tenda a soffocare un loro moto spontaneo utile»18.


La studiosa, d’altra parte, è anche consapevole che i bambini sono portati alla confusione e che questa è spesso il frutto dell’imitazione dei più turbolenti da parte dei più calmi. Proprio per questa ragione viene contemplato l’intervento diretto dell’insegnante, demandato alla sua sensibilità e discrezione, proprio in virtù della conoscenza individuale dei bambini che deve avere. Dipingendo una situazione di totale assenza dell’adulto scrive appunto Montessori: «Potrà trovarsi in una situazione d’angoscia l’insegnante che essendo chiamata a dirigere una classe di simili bambini non ha altre armi che l’idea fondamentale di offrire ai bambini i mezzi di sviluppo e di lasciarli esprimere liberamente. Il piccolo inferno che è cominciato a scatenarsi in questi bimbi trascinerà a sé ogni cosa che ne sia alla portata, e l’insegnante, se passiva, sarà sopraffatta da una confusione e da un rumore quasi inconcepibili». La maestra inesperta o mentalmente schematica può pensare che il suo esclusivo compito sia quello di predisporre il materiale, mentre nei bambini sono presenti forze che non sempre sviluppano attività positiva. La stessa Montessori scrive che l’insegnante «deve aiutare a risalire queste creaturine, che stanno correndo a precipizio lungo una via discendente. Deve chiamarle, destando i dormienti con la voce e il pensiero. Un vigoroso e fermo richiamo è solo e vero atto di bontà verso queste piccole anime»19.


Anche in questo caso viene quindi smentito il luogo comune secondo cui Montessori propenderebbe in maniera assoluta per l’educazione indiretta, sottovalutando il ruolo della maestra. Ci pare, in effetti, di aver dimostrato il contrario, convinti come siamo della giustezza e dell’attualità con cui la studiosa risolve il problema della mediazione didattica. Una presenza attenta dell’insegnante, infatti, non è certamente lesiva dell’autonoma capacità di apprendimento del bambino, che, anzi, ha comunque bisogno della guida, distaccata eppur “partecipante”, dell’adulto. Il modo in cui il problema del ruolo magistrale è affrontato da Maria Montesson sottolinea ancora una volta l’attualità di molte parti del suo pensiero, che certamente merita un’attenzione maggiore e più ponderata di quanta non ne abbia avuta nel passato. In questo modo, in effetti, sarà possibile giungere ad una biografia montessoriana che consenta un giudizio più meditato e misurato. Ma già oggi possiamo indubbiamente riconoscere il grande valore della complessiva proposta pedagogica montessoriana, che certo non è esente da limiti e contraddizioni, ma che pure è caratterizzata da grande originalità e può – almeno per alcuni suoi aspetti – ancora essere utile alla qualificazione della scuola dell’infanzia italiana20.

La giovane Montessori
La giovane Montessori
Enzo Catarsi
Dal femminismo scientifico alla scoperta del bambino.Una biografia professionale degli anni giovanili di Maria Montessori che segue il percorso del suo lavoro e lo sviluppo del suo pensiero. La giovane Montessori di Enzo Catarsi è una biografia professionale della giovane dottoressa, che segue il suo percorso di lavoro e lo sviluppo del suo pensiero dopo la laurea in medicina del 1896 fino ai primi anni della sua pedagogia scientifica, concentrandosi sul suo forte impegno sociale. Un libro prezioso e di grande valore per chiunque si interessi agli anni formativi di Maria Montessori. Carolina Montessori Conosci l’autore Enzo Catarsi è stato un importante punto di riferimento per lo sviluppo delle scienze dell’educazione in Italia. Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, con le sue numerose pubblicazioni e il suo forte impegno sociale ha dato un importante contributo nel campo della pedagogia della famiglia e della cultura dell’infanzia.