CAPITOLO 3

Maria Montessori e
l’educazione dei bambini “deficienti”

La questione della educazione e della educabilità dei bambini anormali, come vengono allora definiti, si pone in Italia solo alla fine dell’Ottocento. Prima si erano avute solo iniziative sporadiche, la prima delle quali è rappresentata dall’opera di una commissione incaricata nel 1848 dal re di Sardegna di studiare il problema dell’assistenza al cretinismo. A tale riguardo viene anche creato un Istituto ad Aosta che però non funge mai da centro di ricerche e si limita a configurarsi come ricovero. Il primo vero tentativo è riferibile invece al nome del senatore Vincenzo Tommasini che nel 1884 fonda a Roma un Istituto per educare gli “idioti”. Ma l’esperienza più significativa di questo scorcio di secolo è senza dubbio quella di Antonio Gonnelli Cioni che da maestro elementare del Comune di Firenze diviene poi insegnante in un Istituto per sordomuti e si dedica allo studio del problema della educazione dei frenastenici. Studia in particolare le istituzioni straniere e si convince ben presto che l’educazione fisica, l’educazione dei sensi e particolari esperienze di attività intellettuale sono assai utili per l’educazione dei deficienti. Nel 1889 fonda a Chiavari un “Istituto per fanciulli frenastenici” che due anni dopo trasferisce in Brianza. In questo contesto egli sottolinea come la questione della educazione dei deficienti sia non solo un problema di tipo medico ma anche pedagogico. A tale riguardo propone la utilizzazione a fini educativi del lavoro manuale ed in particolare del lavoro agricolo, che in effetti, in quegli anni, gode di molte simpatie nel mondo pedagogico. Gonelli Cioni ha poi il merito di avere curato una raccolta abbastanza ricca di materiale didattico speciale e di aver fondato la prima rivista italiana che si occupa dei minorati mentali, “L’Ortofrenia”, che comincia ad uscire nel 1894 e che, sebbene di breve durata, costituisce un esempio molto importante nel settore1. Negli ultimi anni dell’Ottocento si hanno anche alcune altre iniziative, che però non assurgono a grande fama e che comunque attendono ancora oggi di essere studiate. La legislazione relativa alla scuola e più specificamente all’obbligo scolastico continua però ad ignorare la questione dei bambini anormali ed occorrerà aspettare il nuovo secolo perché questa divenga più socialmente visibile2.

La proposta dell’Istituto Medico Pedagogico

In questo contesto si sviluppa l’originale riflessione di Maria Montessori riguardo l’educazione dei bambini deficienti, come vengono anche definiti allora i bambini che presentano difficoltà di vario tipo. A tale riguardo è la stessa studiosa a ricordare la prima occasione in cui aveva posto pubblicamente il problema: «Era il 1898: si era indetto in Torino il primo Congresso Pedagogico italiano, al quale erano intervenuti circa tremila educatori. Io, spinta da una passione nuova, come quella che mi faceva intuire la missione e la trasformazione di una eletta classe sociale, avviata verso una redenzione grandiosa: la classe degli educatori – partecipai al congresso. Vi ero allora un’intrusa, perché il felice connubio tra la medicina e la pedagogia rimaneva ancora, nel pensiero dei tempi, insospettato»3. Ricorda anche che durante i lavori giunge la notizia che un italiano aveva assassinato l’imperatrice Elisabetta d’Austria e questo è sufficiente perché i giornali indichino nel fallimento della scuola e dei maestri la causa primaria. Montessori ricorda allora di essere intervenuta per fare ai maestri un discorso molto chiaro: «Voi sarete invano riformatori di metodi per l’educazione morale nella scuola – aveva infatti affermato – se non pensate che esistono individui, quelli appunto capaci di commettere così nefandi delitti, i quali passano nella scuola senza esser tocchi in alcun modo dall’educazione». Questi sono i bambini anormali che spesso non traggono alcun giovamento dalla frequenza della scuola e che vengono spesso lasciati nel più completo abbandono. Per questo aveva anche aggiunto: «È inutile riformare la scuola e i metodi, se a questa scuola e a questi metodi sfuggono appunto coloro che per la difesa sociale più ne sarebbero bisognosi! Qualunque metodo vale a rendere utile e morale un individuo sano e normale. La riforma che s’impone è quella della scuola e della pedagogia, che ci conduca a proteggere nel loro sviluppo tutti i fanciulli, compresi quelli che si dimostrano refrattari all’ambiente della vita sociale»4. Ed ancora sulla scorta del ricordo – con un periodare che esplicita la consapevolezza di Montessori riguardo l’importanza della sua esperienza futura e che forse tradisce anche una qualche presunzione, visto che alcune iniziative per i bambini deficienti erano pur state realizzate anche negli anni precedenti –: «Così posi la prima pietra relativa all’educazione dei fanciulli deficienti e alla fondazione delle loro scuole speciali. L’opera che ne seguì credo che formi la prima pagina storica della grande redenzione della classe dei maestri e della riforma profonda della scuola; tale questione, ch’ebbe un rapido sviluppo in tutta Italia e venne seguita dalla fondazione d’istituti e di classi aggiunte pei deficienti, ma soprattutto dall’universale trionfo della questione nelle coscienze, era pure la prima pagina della pedagogia riformata sulle basi antropologiche. Questo è appunto il nuovo indirizzo della pedagogia che va col nome di scientifica: per educare bisogna conoscere l’educando»5.

E tale assunto vale in particolare per i bambini anormali per i quali occorre un intervento specifico, che riesca veramente a coinvolgerli ed a migliorarli. È questa l’intuizione di Montessori, che si rende conto della necessità di fondare una pedagogia per i bambini deficienti6, anche se poi non si distingue in maniera netta rispetto alle posizioni positivistiche del tempo, che puntano a chiudere i minorati in istituti speciali7. Anche lei, infatti, nel suo intervento al Congresso torinese afferma a proposito dei bambini minorati: «Sono questi poveri esseri che il Governo dovrebbe correggere ed educare in speciali Istituti; sono costoro che, abbandonati nella società a loro medesimi, non potendo vivere del proprio lavoro cercano di mantenersi con il lavoro degli altri e diventano delinquenti; questi fanciulli lasciando la Scuola sono destinati a popolare i manicomi, i postriboli, le galere. I degenerati non sono sempre incapaci di educazione; occorrono per essi metodi speciali. Usare per l’educazione di questi disgraziati i metodi ordinari è uno sprecare inutilmente il tempo e la fatica»8.


L’originalità della sua proposta sta nel fatto che lei crede comunque nella educabilità dei bambini minorati ed è convinta che il loro problema non sia solo medico ma anche pedagogico. Per questo propone la creazione di speciali Istituti Medico Pedagogici dove i bambini sarebbero stati seguiti da diversi specialisti e non solo dai medici. Significativo, al riguardo, appare un articolo quasi del tutto sconosciuto e che la studiosa pubblica su una importante rivista magistrale alla fine del 1898, riassumendo il suo pensiero del tempo. Vi sottolinea la necessità sociale di educare i deficienti così come avviene in numerosi paesi europei ed al riguardo ripropone con forza l’esigenza di creare degli appositi Istituti, in maniera che la maestra possa essere aiutata anche da altri tecnici. Questo perché «un idiota isolato non è educabile, bensì lo è “una classe d’idioti” avendo questi il processo d’imitazione molto spiccato, il quale fa sì che in collettività si sommino gli sforzi di tutti. Ed anche è difficile nei casi più miti, impossibile nei casi gravi, affidare l’educazione alla maestra, perché c’è bisogno continuo del medico clinico e dello psichiatra. È quindi necessaria la collettività degl’idioti e perciò l’istituto; è necessario il medico e il maestro»9.


In questa sede Montessori accenna anche, sia pure en passant, alle caratteristiche che l’educazione dei deficienti avrebbe dovuto avere. Ha già chiaro, comunque, che l’impegno prioritario deve riguardare l’educazione dei sensi, da realizzare in particolare con attività proprie della vita quotidiana. Solo dopo si può passare ad una qualche forma di istruzione, a cominciare dall’alfabeto che «non è da principio un libro, bensì una tavoletta sulla quale stanno le lettere in rilievo, sensibili variamente al tatto e dipinte a varii colori o luccicanti». Altro aspetto cui deve indirizzarsi l’educazione dei deficienti è inoltre l’educazione morale, su cui la studiosa sarà più chiara un paio di anni dopo ed è per questo che sostiene che il medico psicologo e psichiatra deve seguire da vicino l’evoluzione dell’animo di questi bambini. A questo riguardo, fra l’altro, Montessori esprime con lungimiranza alcune riflessioni di grande attualità relative alle caratteristiche che debbono contraddistinguere l’operato di coloro che operano nei servizi alla persona, a cominciare, appunto, dai medici, che debbono «amare non solo la scienza, ma la creatura; perciò qui si richiede l’opera non solo dello scienziato, ma del filantropo»10.

La specificità della proposta di Montessori sta nell’individuazione di uno speciale istituto Medico Pedagogico dove poter educare i bambini anormali e nella sottolineatura di potersi giovare di speciali metodi educativi. E questo non tanto e non solo per un sentimento di solidarietà, quanto per un calcolo economico che deve anch’esso stare a cuore alla società. «La educazione dei frenastenici non interessa solo il sentimento degli individui ma il diritto di protezione sociale; esso non è una questione d’Opere pie, ma d’economia politica e di diritto penale». Gl’individui raccolti e protetti da questi Istituti sono infatti persone che in molti casi sarebbero nocivi a sé stessi ed alla comunità. Molto spesso, infatti, questi individui non sono in grado di lavorare autonomamente e per poter sopravvivere si debbono dedicare al ladrocinio o a qualche altra forma di crimine. E qui risalta la lucidità di Maria Montessori, che non si lascia andare ad alcuna metafora caramellosa, ma fonda il proprio ragionamento su precise necessità sociali. Scrive infatti con grande chiarezza: «Tutti i degenerati sono persone nocevoli; ora essi non meritano né odio né collera, ma la società deve premunirsi contro di loro, mettendoli in grado di non poter nuocere e impedendo, per quanto possibile, la loro riproduzione. Gl’idioti e gl’imbecilli intellettuali e morali sono appunto i degenerati nocevoli»11.


Per questo Montessori sostiene che occorre individuare per tempo questi bambini deficienti, assegnando a tal fine una grande responsabilità alle madri ed alle maestre. Esse infatti potrebbero segnalare assai precocemente le difficoltà dei bambini, mettendo la società in grado di intervenire e facendo in modo che essi, una volta adulti, non riproducessero con il matrimonio altri individui anormali. Anzi, la studiosa sostiene a chiare lettere «come sia un’inesplicabile anomalia della società che la sorte d’una nuova generazione venga abbandonata all’arbitrio d’abitudini irriflessive e d’irragionevoli capricci; e che non si sia mai dato nelle nostre scuole su queste materie la minima istruzione a quelle allieve che domani saranno madri di famiglia ed educatrici d’infanzia»12. Compaiono così le prime preoccupazioni eugenetiche, che saranno assai presenti nella Montessori di questo periodo e che sono evidentemente il frutto dei suoi studi sull’antropologia pedagogica e del clima positivistico in cui si era formata.


Anche per questa ragione la studiosa marchigiana sostiene che la prima responsabilità dello Stato è quella della creazione degli istituti Medico Pedagogici, essendo qualsiasi altra forma di intervento inutile e talvolta nociva. Chi volesse aiutare questi individui anormali mettendo a loro disposizione somme anche ingenti non farebbe il loro bene, poiché ecciterebbe ulteriormente i loro bisogni. Occorre al contrario educarli per tempo, in maniera che essi non risultino socialmente nocivi e possano, al contempo, trarre il meglio dalla loro condizione. Montessori si esprime decisamente per questa soluzione: «Sono rispondenti alla natura insieme e alla civiltà gli ultimi portati della scienza positiva che rendono possibile l’educazione di frenastenici, coi metodi medico pedagogici. Difatti con gl’Istituti pei deficienti si raccolgono i distruttori e i nocevoli quando son bambini isolandoli per tempo dalla società e dalle malsane influenze d’un ambiente familiare spesso adatto a imprimere maggiormente le note degenerative, e sottoponendoli a una educazione che li rende produttivi e onesti. Solo quando l’educazione garantisce di loro, si rilasciano nella società sotto la sorveglianza dei comitati di protezione. Se l’individuo rimane sempre pericoloso continua a vivere nell’istituto, rendendosi utile col suo lavoro»13. E l’esperienze realizzate fino a quel momento andavano dimostrando, secondo l’opinione di Montessori, che anche in questo caso non si aveva alcun danno sociale, poiché, anzi, anche questi individui erano in grado di produrre e di concorrere al mantenimento dell’Istituto che li ospitava. Oltre a questo è anche da ricordare che, vivendo liberamente nella società, essi si sarebbero facilmente avviati alla prostituzione o al ladrocinio, finendo poi in qualche prigione a carico, ovviamente, dell’erario statale.

Sulla base delle prime esperienze che al riguardo vengono realizzate in alcuni paesi europei Maria Montessori propone inoltre le “Classi aggiunte”, da istituire in ogni scuola elementare, accanto alle classi normali, ove si trovino dei bambini deficienti. In questa maniera, secondo la sua opinione, il maestro non dovrà perdere tempo a spiegare più e più volte quanto va insegnando e l’esempio dei cattivi comportamenti dei bambini deficienti non potrà ripercuotersi negativamente su quelli normali. Allo stesso modo il bambino deficiente che si sentiva impari al compito nella classe normale e che vi si stancava oltre le proprie forze si troverà invece a proprio agio nella “classe aggiunta”. «Il deficente rimane tale – scrive al proposito Montessori – ma non si esaurisce e non si scoraggia e viene condotto per lo più verso l’educazione professionale che farà di lui un operaio laborioso e felice del suo stato». La studiosa tornerà anche in seguito su tale questione e nel 1916 confuterà ancora con questo argomento la critica di coloro che avversano l’istituzione di classi speciali per i bambini deficienti e che sostengono che questi ultimi non potranno in questo modo godere dell’esempio dei bambini bravi e studiosi e non svilupperanno pertanto alcun spirito di emulazione. Montessori invece di tutt’altro avviso e – con evidente influsso dell’antropologia positivistica – sottolinea la sua convinzione secondo cui «l’emulazione può avvenire solo fra forze pari. Quando si fanno le “gare” si devono scegliere i “campioni”. Per un deficiente l’esempio del bambino bravo è solo umiliante: la sua inferiorità, la sua impotenza gli sono continuamente rinfacciate da quella vita vittoriosa. Egli giace disanimato, tanto più che la maestra, piena di zelo, lo rimprovera e lo castiga per la sua miseria e gli addita il radioso esempio del forte». Egli avrebbe invece bisogno di poter realizzare qualcosa e di vedere così riconosciute le sue pur modeste capacità: «Egli ha molto, molto più bisogno d’incoraggiamento, di conforto, di stimoli esterni eccitanti all’attività, che non il ragazzo normale»14.


Proprio per questo la studiosa insiste sulla bontà della scelta dell’Istituto Medico Pedagogico, dove il bambino potrà usufruire di un maestro con una preparazione speciale ed anche dell’aiuto del medico che in taluni casi potrà almeno mitigare il portato della sua deficienza. Il presupposto da cui parte Montessori è dato dalla constatazione che in assenza di speciali istituti i bambini deficienti sono fatalmente destinati ad essere espulsi dalla scuola che non ha la capacità di attivare degli interventi didattici individualizzati. I bambini deficienti si troverebbero così sulla strada e la loro situazione li porterebbe a comportamenti criminali. Risalta pertanto, anche in questo caso, la grande sensibilità sociale di Maria Montessori, che si schiera al fianco dei più deboli ed indifesi, anche con il rischio di confinarli in un ghetto. È evidente, peraltro, che la posizione montessoriana deve essere contestualizzata per poter essere correttamente intesa e che, d’altra parte, lo stesso riformismo sociale allora in ascesa pensa ad interventi specifici per i più diseredati. Gli stessi socialisti, com’è noto, sostengono l’opportunità di scuole appositamente destinate al popolo, in maniera che l’insegnamento potesse essere a questo più congeniale. La scelta di dividere i bambini, che anche Montessori fa sua, non può quindi stupire e non deve far pensare ad opzioni conservatrici della studiosa, di cui si deve riconoscere, al contrario, la concreta volontà di operare, che la rende aliena da qualsiasi pronunciamento retorico e la induce ad un impegno sociale teso al rinnovamento della società.


In virtù di questo suo interessamento per le sorti dei bambini deficienti Maria Montessori riceve dal ministro Baccelli l’incarico di dirigere la Scuola magistrale ortofrenica, che ella stessa aveva contribuito a creare con Sante De Sanctis e Giuseppe Montesano. La loro attività in questo contesto specifico è strettamente legata alla creazione nel 1899 della «Lega Nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti», di cui è primo Presidente Clodomiro Bonfigli, allora direttore dell’Ospedale Psichiatrico di S. Maria della Pietà e Senatore, che era riuscito a far dibattere in Parlamento la questione dell’assistenza ai deficienti mentali. In questa occasione il governo, per bocca del ministro dell’Interno, aveva chiaramente affermato la propria impossibilità ad affrontare il problema e proprio per questo era nata la “Lega”. Nel 1900 viene così istituita la Scuola, seguita l’anno successivo dall’Istituto medico psicopedagogico15.

L’attività d’insegnamento di Maria Montessori

All’inizio del 1900 Montessori chiede, con una sua lettera ad un non meglio specificato “commendatore”, che potrebbe essere Giuseppe Sergi oppure Clodomiro Bonfigli, di intercedere presso il ministro al fine di ottenere l’istituzione di una cattedra di “pedagogia pei deficienti” presso il Magistero di Roma. Questo per il suo desiderio di dare autonomia a questa nuova disciplina, la sola in grado, a suo modo di vedere, di favorire una specifica conoscenza del bambino come tale. A questo riguardo rileva infatti che l’igiene pedagogica «si riferisce ai deficienti e comprende: l’igiene della generazione e quella della pubertà, l’igiene della donna gestante; l’igiene del bambino nei primi anni della vita, e questa igiene del bambino si riferisce sopra tutto alle debolezze del sistema nervoso e delle facoltà mentali». Ed aggiunge anche che l’igiene «“generale” era sì necessaria e però insufficiente ai degenerati – e possiamo ben confessare che è insufficiente anche per la salute pubblica, poiché trascura molti insegnamenti che a tale scopo sarebbero preziosi se impartiti alle future madri»16.


La studiosa richiede l’istituzione di questa nuova cattedra, o in subordine di un’altra di “antropologia ed igiene”, per la sua convinzione relativa al fine sociale connesso alla diffusione di una concezione pedagogica della stessa igiene. Secondo Montessori, infatti, occorre fare chiarezza sulla differenza tra l’igiene “comune” e questa nuova igiene “pedagogica” utile non solo per i bambini “deficienti” ma anche per la salute pubblica del paese. Sottolinea come tale nuova cattedra debba essere coperta da una donna, visto il bisogno di trattare con sensibilità argomenti che riguardano in special modo madri ed educatrici, al fine di combattere – come scrive esplicitamente – «le ipocrisie finora imposte da un pregiudizio spesso fatale alla salute, e dare con la voce della scienza e con l’ideale della pubblica sanità, una base di moralità alta a tutte quelle cognizioni che oggi le allieve apprendono solo per meno nobili vie»17. I caratteri di questa riflessione montessoriana appaiono quindi molto chiari e – seppur condizionati da evidenti interessi personali – sono in linea con la sensibilità sociale propria di questo suo primo periodo, come ha messo in evidenza Furio Pesci, rilevando «anzitutto il fine sociale del suo lavoro e della sua attività di studi…; in secondo luogo il suo obiettivo di rivolgersi alla formazione culturale e professionale femminile, e particolarmente delle insegnanti. La richiesta di andare ad insegnare nel magistero, l’unica scuola superiore aperta alle donne ed anzi rivolta esclusivamente alle future insegnanti della istruzione elementare e femminile, rispondeva a questo nuovo, preciso impegno formativo concepito dalla Montessori»18.

I professori del Magistero romano sono però tutt’altro che favorevoli alla concessione della cattedra alla giovane studiosa marchigiana e sottolineano la sua inconsistenza scientifica, rimettendo però l’ultima decisione nelle mani del ministro, che in effetti nomina Maria Montessori incaricata di Antropologia ed igiene all’inizio del 1900. La studiosa ottiene notevoli risultati nella sua nuova esperienza di docente, anche perché adotta metodi attivi che incontrano il favore degli studenti. Illuminante è al proposito una sua lettera del 22 gennaio 1902 al ministero della pubblica istruzione in cui, al termine del primo anno d’insegnamento, illustra i metodi utilizzati ed i caratteri del lavoro svolto. Fra l’altro vi si legge: «Io ho creduto d’interpretare la mia missione rivolgendo l’insegnamento dell’igiene a uno scopo di educazione familiare e sociale, che dia alla donna, oltre i mezzi di coltura igienica, anche la coscienza della sua grande missione come custode della salute nella famiglia e come contributo alla profilassi sociale; rendendo l’insegnamento stesso piacevole e pratico, con intercalarlo di molte gite, onde visitare le principali istituzioni igieniche che si trovano in Roma e nei suoi prossimi dintorni»19. Sarà poi lo stesso Direttore dell’Istituto di Magistero di Roma ad informare, alcuni anni dopo, il ministro della diligenza e dell’impegno di Montessori, che conduce normalmente le allieve a visitare «gabinetti d’igiene sperimentali, uffici di disinfezione, fabbriche di burro artificiale, latterie modello» ed altre istituzioni consimili dove era solita svolgere delle apposite lezioni illustrative e che dimostra la sua indiscutibile capacità didattica, testimoniata dall’assidua frequenza degli studenti. La sua serietà nelle attività d’insegnamento di questi anni è testimoniata anche dal modo in cui prepara le lezioni e di cui è lasciata traccia nel Riassunto delle lezioni di didattica date in Roma nella Scuola Magistrale Ortofrenica l’anno 1900, edite dapprima sotto forma di dispense litografate e ripubblicate quindi nell’Autoeducazione del 1916. Questo, evidentemente, amplifica la loro importanza e testimonia del persistente interesse della studiosa per la problematica dell’educazione degli anormali. Ha scritto Roberto Mazzetti: «Il solo fatto che ella, nel 1916, quando aveva raggiunto ben altri traguardi, sentisse il bisogno di dare alle stampe le sue dispense del 1900 non testimonia solo un persistente interesse nei riguardi dell’educazione degli anormali, ma anche il bisogno di documentare il suo effettivo punto di partenza. Si può anzi affermare che solo l’esperienza fatta con i bambini oligofrenici di Roma è quella che le permette d’impostare, in un secondo tempo, la sua sperimentazione educativa coi bambini normali al di sotto dei sei anni. E certo è che se, dopo aver scoperto l’esistenza del bambino psichico e le prospettive di una nuova educazione liberatrice dell’infanzia, la dottoressa è tutta presa dal bisogno di verificare e propugnare in tutte le parti del mondo questa sua scoperta, è anche indubbio che il pensiero del bambino psichico normale non allontana da lei il pensiero del bambino psichico anormale»20.


Montessori stessa, d’altra parte, tiene fin dall’inizio a sottolineare questo principio, che in effetti è quello che conferisce originalità alla sua riflessione sull’educazione degli anormali. Nella sua opera più famosa scrive al proposito: «Fin da quando nel 1898-1900 mi dedicai all’istruzione dei fanciulli deficienti, credetti d’intuire che quei metodi non avevano nulla di speciale all’istruzione degli idioti – ma contenevano principi di educazione più razionale di quelli in uso: tanto che perfino una mentalità inferiore poteva esserne ingrandita e svolta. Questa intuizione divenne la mia idea dopo che ebbi abbandonato la scuola dei deficienti; a poco a poco acquistai convincimento che metodi consimili applicati ai fanciulli normali, avrebbero svolta la loro personalità in un modo meraviglioso, sorprendente»21. Ecco quindi che si chiariscono le radici del metodo montessoriano, i cui caratteri distintivi vengono individuati durante il lavoro con i bambini anormali, per curare i quali si mettono a punto delle strategie che vengono ritenute valide per tutti i bambini.


L’educazione degli anormali, peraltro, presenta anche una sua specificità, come Montessori chiarisce nelle lezioni alla scuola magistrale ortofrenica, rilevando come la questione dei deficienti sia al contempo medica e pedagogica. Il bambino, infatti, prima di poter essere educato, deve essere guarito e messo in condizione di vivere dignitosamente sia da un punto di vista fisico che igienico. Pertanto «prima di cominciare l’educazione è necessario “preparare” il bambino a riceverla, con un’altra educazione, che oggi tende ad assumere altissima importanza, che deve essere il piano sul quale edificheremo tutta l’altra educazione, e sul quale essa dovrà portare i suoi frutti. Voglio dire: l’educazione igienica, che nei fanciulli deficienti assume talvolta il significato di educazione medica. Perciò il metodo educativo dei deficienti si chiama: medico-pedagogico»22.

La rilevanza dell’educazione igienica

Perché l’educazione possa davvero raggiungere i suoi scopi occorre che “l’organismo funzioni bene” e che sia assicurato il benessere del bambino. Per questo è evidente “la necessità di badare bene alla nutrizione e allo stato dei visceri”, poiché un piccolo affetto da una qualche forma di sordità ben difficilmente potrà educare l’udito, così come un altro, «se l’escrezione soverchia di muco impedirà agli stimoli esterni di colpire le terminazioni nervose sensoriali», ben difficilmente potrà vedere educato il proprio odorato. Sulla base di questo convincimento Montessori presenta una serie di indicazioni di “educazione medica” a cui attenersi con i bambini deficienti, a partire dai bagni caldi e freddi, totali o parziali che sviluppano la sensibilità delle papille nervose e «dànno tono ai tessuti muscolari e cellulari»23. Medesima attenzione riserva anche alla questione dell’alimentazione che deve essere regolare sia per i tempi sia per i contenuti.


Relativamente alla educazione igienica del bambino riserva particolare attenzione al problema delle escrezioni, a cominciare dalle feci e dall’urina che spesso non sono espulse intenzionalmente dai piccoli deficienti. Montessori indica perciò dei principi igienici e nutrizionali cui attenersi, presenta anche particolari farmaci e propone addirittura piccole scariche elettriche per educare al controllo degli sfinteri. Medesimo discorso svolge anche per il sudore, la salivazione, etc. che costituiscono di solito elementi propri del comportamento dei deficienti. Al contempo fornisce suggerimenti per i vestiti, che debbono essere larghi e non costringere i bambini. Molto importante, in questo contesto, è anche quanto Montessori scrive riguardo l’ambiente di vita del bambino, anche se quello che propone è adatto solo a famiglie benestanti, come, d’altra parte, lei stessa dimostra di sapere, scrivendolo esplicitamente: «Le norme dell’igiene comune – scrive infatti – vanno applicate all’abitazione del fanciullo deficiente. Certo per lui è di prima necessità non solo un’aereazione perfetta, ma un ambiente a sé, un ambiente vuoto, a pareti imbottite, ove possano avviarsi i pericoli cui andrebbe incontro un ragazzo idiota impulsivo, o un idiota che non sappia camminare, ecc. in una stanza ricca di mobili dagli spigoli pericolosi, di ninnoli che possono diventare un’arma in mano al bambino. La “stanza del bambino”, la cui ricchezza consiste nella posizione igienica, e nell’essere affatto vuota di mobili, ed a pareti elastiche, è ciò che di meglio può concedere una famiglia ricca per aiutare l’educazione d’un bimbo deficiente»24.


Appare evidente, quindi, la grande considerazione che Montessori riserva all’educazione igienica, ritenuta la base ed il fondamento per qualsiasi altro intervento educativo25. Anche in questo caso le giova la sensibilità sociale che la caratterizza ed indubbiamente anche l’influsso della campagna igienista che si va diffondendo allora nel nostro paese. Negli anni a cavallo tra i due secoli, infatti, si diffonde, specialmente all’interno del mondo liberale e borghese più illuminato, la consapevolezza delle difficili condizioni igienico-sanitarie in cui sono costrette a vivere le masse popolari. I medici igienisti ed anche i pediatri si impegnano molto in questa campagna di alfabetizzazione igienico sanitaria26, a cui un grande apporto proviene anche dalla scuola elementare che tiene presente il problema fin dai programmi di insegnamento. Già in quelli del 1888 si sostiene che il maestro è tenuto «a badare che gli ambienti scolastici fossero salubri e che gli alunni venissero a scuola puliti», richiamando i genitori al dovere di seguire le pratiche igieniche. Il controllo igienico attuato dal maestro assumeva una particolare rilevanza nei villaggi più sperduti, dove la scuola consentiva di conoscere più da vicino le condizioni di vita delle famiglie che, entrando in contatto con la scuola, potevano essere educate per tramite dei loro figli. L’inserimento dell’igiene nei programmi si ha con quelli del 1894, mentre cinque anni dopo tale disciplina viene legata in maniera particolare all’economia domestica. I programmi del 1899 richiedono infatti conoscenze relative alla igiene personale ma anche al buon andamento della vita domestica. Ecco allora che si parla di regole per la pulizia quali il lavarsi ed il pettinarsi, dei pericoli connessi con il busto troppo stretto, dei modi in cui tenere pulita la cucina e le altre stanze della casa ed infine delle norme per il primo soccorso in caso di piccoli incidenti domestici. Nei programmi del 1905 l’igiene viene infine introdotta come materia autonoma nelle ultime due classi, mentre nella terza e nella quarta classe essa rimane nell’ambito delle “nozioni varie”. Per comprendere appieno il significato della educazione igienica occorre però avere presente il legame che esiste tra questa e l’educazione morale e civile, con le sopravvenute preoccupazioni eugenetiche che ne sono sempre più il presupposto27.

Maria Montessori, anche in questo caso, è figlia del proprio tempo ed anche per questo valorizza in maniera significativa l’educazione igienica. In queste stesse lezioni alla Scuola Magistrale Ortofrenica sottolinea perciò l’importanza dell’educazione muscolare, che prelude alla educazione dei sensi ed in particolare a quella dello sguardo, che il maestro dovrà cercare di catturare servendosi anche del comando oppure di altri stimoli uditivi. Ma il punto di partenza dovrà consistere sempre nell’educazione muscolare, in quanto ogni lavoro – che è il mezzo tramite cui l’individuo diventa utile alla società – «sarà sempre eseguito a mezzo di muscoli, sia esso un lavoro manuale, sia parola, sia scritto. Infine, l’intelligenza deve avere a suo servizio i muscoli; perché essi le possano obbedire è necessario che vi siano preparati da una educazione che li coordini. L’educazione muscolare ha dunque lo scopo, nei deficienti, di provocare o di coordinare movimenti utili»28.


In queste lezioni Montessori fornisce anche delle indicazioni didattiche relative all’insegnamento della lettura e della scrittura oltre che della storia, geografia ed aritmetica. In generale l’avvertenza è quella di sviluppare l’insegnamento per mezzo di lezioni oggettive, poiché «per attrarre l’attenzione del bambino deficiente sono necessari forti stimoli sensoriali». Per questo «ogni lezione deve cominciare dalla presentazione di oggetti, che la maestra illustrerà con poche parole, ma spiccatamente pronunciate, con modulazioni di voce continue, e accompagnate da vivace espressione mimica». La lezione, inoltre, deve essere divertente e generalmente presentata sotto forma di gioco; allo stesso modo deve essere breve in maniera da non annoiare il bambino e da non esaurire la sua attenzione. Significativa appare anche l’indicazione riguardo la ripetizione delle lezioni, ritenuta particolarmente utile con questi bambini. Scrive infatti Montessori: «Per fissare le nozioni noi dovremo ripetere la lezione molte volte: ogni volta però il medesimo oggetto sia presentato sotto forma diversa, in diverso ambiente, sì che apparisca come nuovo e desti quindi interesse: il racconto storico, nei quadri viventi, al gran quadro disegnato a colori, sulla camera oscura in proiezione luminosa, ecc»29.


Le lezioni, d’altra parte, non debbono essere imposte e le insegnanti vengono invitate a non forzare i bambini, anche se questi debbono essere portati – magari valorizzando il poco che sanno oppure blandendoli – a svolgerle. Attenzione specifica viene dedicata al lavoro manuale, la cui lezione sarà lunga «un’ora intera e che soltanto prenderà l’aspetto di seria occupazione e non di giuoco. Si applichi presto il bambino a lavori utili, anche se faticosi o un poco dannosi (lavori di traforo in legno, ecc.)». Montessori è consapevole che i bambini deficienti potranno svolgere, nella generalità dei casi, solo dei lavori manuali e proprio per questo sostiene che la scuola deve educarli precocemente al loro svolgimento. La studiosa marchigiana scrive infatti al riguardo: «Deve fin dal principio abituarsi il bambino a superare vittoriosamente le asprezze del lavoro manuale, che, solo, un giorno potrà dargli il pane». Il lavoro dovrà essere compensato con il biglietto per il teatro o per il cinema oppure negando le lezioni più divertenti, quali quelle di musica e di ballo, a coloro che non intendono lavorare. In questa maniera anche i piccoli deficienti potranno progressivamente acquisire una propria disciplina ed apprendere delle competenze che saranno loro utili nella vita futura.

L’educazione morale e il maestro “suggestionatore”

Il medesimo percorso, che parte dalle cure igieniche per giungere all’educazione intellettuale, viene proposto anche per quanto riguarda la educazione morale, «che tende a rendere sociale un individuo per sua natura extra o antisociale». Anche in questo caso vengono utilizzati mezzi igienici per ovviare a difetti dei bambini che possono avere una qualche causa fisiologica. Le stesse cattiverie dei bambini vengono interpretate in questo modo e si cerca in primo luogo di capire se certi comportamenti aggressivi sono il frutto di malessere fisico. Il convincimento di Montessori è al riguardo sicuro e netto. «L’igiene dei bambini deve essere nota all’educatore e formare sempre il cardine del metodo educativo. Passando all’educazione vera, noi cominciavamo là col ridurre il bambino alla immobilità tonica; qui cominceremo col ridurre il bambino all’obbedienza». Ed è questo un aspetto molto particolare della riflessione montessoriana, che potrebbe apparire in contraddizione con tutte le altre indicazioni. Più specificamente stridono le affermazioni sulla figura del maestro, almeno alla luce della letteratura critica che vi ha sempre visto una presenza assolutamente “non direttiva”. È peraltro vero che la maestra montessoriana mantiene comunque una sua presenza ed il controllo della situazione, anche se nel caso dei piccoli deficienti il carattere “direttivo” appare amplificato. «Il maestro che comanda – scrive infatti la studiosa – è una volontà che si impone al bambino deficiente, il quale manca di volontà; e si sostituisce alla sua o spingendolo all’azione o inibendo i suoi impulsi. È necessario che fin dal principio il bambino senta questa volontà che a lui s’impone e sempre fatalmente lo vince: e che comprenda come contro questa volontà egli non potrà mai resistere». Ed in maniera anche più netta di seguito: «Il maestro che ha comandato deve farsi obbedire a ogni costo, sia pur ricorrendo in principio a mezzi coercitivi; nessuna cosa mai potrà far desistere il maestro dal suo comando: il bambino deve sottomettersi e ubbidire. Perciò il maestro comandi in principio solo cose che egli potrà ottenere; per es.: di far muovere il bambino, poiché potrà nei casi estremi muoverlo con forza; o di farlo star fermo, poiché potrà magari legarlo con fascie o mettergli la camicia di forza. Ma non gli comanderà mai, p. es. di chiedere perdono, perché il bambino potrà rifiutarsi e contro tale rifiuto può divenire impotente il maestro e perdere della sua autorità»30.


Per raggiungere tale risultato il maestro dovrà ovviamente presentare indubbie doti di personalità e competenze specifiche che lo mettano in condizione di presentarsi quale una sorta di “suggestionatore”. «Per avere la forza del comando – scrive infatti Montessori – il maestro deve possedere un forte potere suggestivo, che potrà acquistare parzialmente con arte. Il maestro dovrebbe essere fisicamente bello, di imponente persona; dovrebbe avere una voce limpida, modulata; un potente sguardo, energico il gesto ed espressiva la mimica del volto. Cose che in gran parte possono acquistarsi studiando la mimica e la declamazione; ciò che un perfetto maestro di deficienti dovrebbe fare». Proprio per questo il maestro deve impegnarsi nello “studio artistico del comando” ed in particolare nello “studio della voce e della parola”, nello “studio del gesto” e nello “studio dello sguardo”. Questo perché, in primo luogo «la nostra voce deve colpire l’udito e suggestionare il bambino». Allo stesso modo «il maestro deve studiare particolarmente il gesto espressivo col quale sempre dovrà accompagnare la parola, così per eccitare all’azione, come per provocare l’imitazione e spiegare il comando. Tanto perfetto dovrebbe essere e tanto espressivo nel gesto, da farsi comprendere anche senza parole»31. A tale scopo dovrà aiutarlo anche lo sguardo, che sarà elemento di rassicurazione per i bambini, che non dovranno essere intimoriti dalla presenza del loro maestro, bensì trovarvi rifugio sicuro nei momenti di difficoltà e di incertezza.

Le affermazioni di Montessori appaiono assai “forti”, ma non sembra di poterle definire contraddittorie rispetto alla sua riflessione. Quando sostiene la specificità dell’educazione degli anormali è evidente che può essere messa nel conto anche una qualche particolarità dell’intervento didattico. Tanto più, inoltre, se questo tende al recupero del bambino anormale. Lo stesso Francesco De Bartolomeis, che certo non è tenero nei confronti della studiosa, ha rilevato che «l’insistenza sull’obbedienza forse si spiega con il fatto che essa, nel pensiero della Montessori, dà sicurezza, fornisce un punto di appoggio e quindi aiuta la ricostruzione psichica del deficiente»32. Né pare di poter definire “marginale e caduca” questa figura di maestro, come ha fatto Roberto Mazzetti, il quale, forse nel tentativo di minimizzare questa presunta contraddizione della studiosa, ha scritto appunto: «Ma la figura del maestro suggestionatore, marginale e caduca, ha costituito solo un motivo iniziale di riflessioni che permisero alla dottoressa, nel suo secondo esperimento, di rifiutarla recisamente; al maestro autoritario e imperioso, si sostituì allora il maestro umile, affettuoso e attento osservatore del rivelarsi della natura, della vita e della interiore maturazione psichica e spirituale dei suoi alunni»33.

Il fatto è che anche negli scritti successivi l’opera del maestro viene sempre considerata assai rilevante ed ancora nel 1916 essa viene esaltata in tutta la sua importanza, visto che «è il maestro che deve formare l’allievo: nelle sue mani sta lo sviluppo dell’intelligenza e la coltura dei bambini». Montessori riconosce al maestro un’evidente centralità e gli assegna grandi responsabilità, in quanto sta a lui riuscire ad attrarre l’attenzione dei bambini e riuscire ad individuare le strategie didattiche più adatte per far apprendere loro le diverse competenze e fare in modo che esse restino nella loro memoria. Per far questo «è necessario» che il maestro conosca «la psicologia, il modo preciso come avvengono i fatti psichici, le leggi della memoria, il meccanismo psichico con cui si formano le idee, le leggi con cui le idee si associano e piano piano spingersi fino alle più elevate attività e muoverle per far ragionare i ragazzi. È lui che, conoscendo tutte queste cose, deve poi comporre e arricchire le intelligenze. E non facilmente, perché sempre, al disopra di questo difficile lavoro, sta la difficoltà delle difficoltà, vale a dire che il ragazzo si presti a tutto questo, che lo assecondi e non sia ingrato allo sforzo che il maestro compie per lui. Per questa ragione l’educazione morale è il punto di partenza: occorre prima di tutto disciplinare la classe. Se non per amore, per forza indurre gli scolari a prestarsi ad assecondare l’opera del maestro. Senza questo punto di partenza, tutta l’educazione e l’istruzione sarebbero impossibili, la scuola inutile»34.


La riflessione successiva porterà Montessori a stemperare molto queste sue affermazioni ed a valorizzare le autonome potenzialità apprenditive dei bambini, peraltro mai sottovalutate. D’altra parte, la presenza magistrale sarà sempre considerata centrale ed imprescindibile per il corretto svolgersi del processo di apprendimento del bambino e guida sicura per il suo sviluppo complessivo. La sottolineatura del carattere “direttivo” del maestro, pur costituendo una specificità dell’educazione speciale, lascia intravedere una grande considerazione per la figura dell’adulto, troppe volte misconosciuta dalla letteratura critica successiva. Allo stesso modo la proposta di una educazione speciale per i bambini deficienti, da attuare addirittura in specifici Istituti Medico Pedagogici, non può essere giudicata secondo le categorie odierne, pena il risultato di un giudizio ingiusto e fuorviante. Tale progetto montessoriano nasce nel clima positivistico, quando si ritiene utile separare gli anormali dalla società per metterli in condizione di non nuocere e tentare la loro guarigione. Merito di Maria Montessori è appunto quello di avere intuito che la minorazione fisica o psichica del bambino è comunque un fatto sociale e che, pertanto, essa non deve impedire la sua educazione. In epoca di assoluta medicalizzazione della deficienza fisica e mentale non è cosa di poco conto, tale da indurci ad affermare che il più recente processo di integrazione dei bambini handicappati e le sempre più diffuse consapevolezze riguardo il bisogno di specificità degli interventi riabilitativi debbono senza dubbio qualcosa anche all’opera pionieristica della studiosa marchigiana.

La giovane Montessori
La giovane Montessori
Enzo Catarsi
Dal femminismo scientifico alla scoperta del bambino.Una biografia professionale degli anni giovanili di Maria Montessori che segue il percorso del suo lavoro e lo sviluppo del suo pensiero. La giovane Montessori di Enzo Catarsi è una biografia professionale della giovane dottoressa, che segue il suo percorso di lavoro e lo sviluppo del suo pensiero dopo la laurea in medicina del 1896 fino ai primi anni della sua pedagogia scientifica, concentrandosi sul suo forte impegno sociale. Un libro prezioso e di grande valore per chiunque si interessi agli anni formativi di Maria Montessori. Carolina Montessori Conosci l’autore Enzo Catarsi è stato un importante punto di riferimento per lo sviluppo delle scienze dell’educazione in Italia. Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, con le sue numerose pubblicazioni e il suo forte impegno sociale ha dato un importante contributo nel campo della pedagogia della famiglia e della cultura dell’infanzia.