CAPITOLO 2

Il femminismo di Maria Montessori

La complessa ed interessante esperienza culturale ed umana di Maria Montessori pur avendo ormai trovato numerosi biografi in ogni parte del mondo, presenta ancora oggi delle fasi oscure e poco studiate, come quella relativa agli anni giovanili caratterizzati dalla frequentazione degli ambienti femministi, che si impegnano in particolare per il rinnovamento dei costumi, ma non sono in alcun modo assimilabili ai movimenti che pure, nel nostro tempo, hanno mantenuto la medesima denominazione. Tale ritardo appare tanto più dannoso ove si consideri l’importanza che questo periodo riveste per la “scelta di vita” della studiosa marchigiana, che caratterizza la sua ricerca pedagogica anche in virtù della sua già ricordata sensibilità sociale e della adesione alle idee femministe del tempo, che le saranno presenti pure nella stesura dei suoi primi lavori, quale – esemplare ed emblematico – il discorso inaugurale in occasione dell’apertura della seconda “Casa dei Bambini”. Il femminismo di Maria Montessori, comunque, non ha niente dell’emancipazionismo che si sviluppa in Italia nella seconda metà dell’Ottocento e che ha in Anna Maria Mozzoni la sua esponente più prestigiosa, ma si situa all’interno di quel movimento femminista moderato che in quegli stessi decenni si muove all’interno dell’ambiente politico e culturale di orientamento moderato1.


La medesima peculiarità caratterizza d’altra parte anche l’International Council of Women, che raggruppa rappresentanze femminili di molti paesi del mondo e che è istituito nel 1893 con il congresso di Chicago. In questa occasione viene anche stabilito che in ogni paese sarebbero dovuti sorgere i Consigli Nazionali delle donne, con lo scopo di coordinare le iniziative di tutti quei gruppi o associazioni impegnati in qualche modo nella difesa e nella rivendicazione degli interessi femminili. Nel nostro paese la istituzione del Consiglio Nazionale avviene in maniera semiclandestina, per la relativa diffusione dei gruppi femministi e per la presenza di diverse “Leghe di tutela degli interessi femminili”, forti soprattutto in Lombardia e Piemonte e vicine in gran parte al Partito socialista. La delegata dell’ICW, d’altra parte, venuta a Roma per favorire la istituzione del nuovo organismo, non si impegna più che tanto nella ricerca di consensi generalizzati, ma si “accontenta” di trovare persone che – per condizione economica e per prestigio sociale – siano in grado con il loro nome, ed in special modo con le loro finanze, di favorire il decollo della nuova organizzazione. Ciò non può non destare sospetti e diffidenze nel movimento democratico che, in effetti, non riconosce al Consiglio Nazionale Italiano i titoli per rappresentare all’estero la totalità delle donne del nostro paese.

Maria Montessori delegata al congresso femminista di Londra

In questo ambiente matura la decisione – assunta direttamente dal ministro Guido Baccelli e dalla contessa Taverna, alla testa dell’istituendo Consiglio Italiano – di inviare Maria Montessori, quale delegata nazionale, al secondo congresso dell’ICW che si sarebbe svolto a Londra dal 26 giugno al 4 luglio 1899 ed i cui lavori avrebbero esaminato alcuni dei temi più importanti legati alla vita delle donne. Tale risoluzione – che vedremo contestata – viene presa certamente anche per la notorietà che la giovane dottoressa cominciava ad avere nel nostro paese in special modo all’interno del mondo della scuola, tanto che un giornale femminista – nato da poco ma già autorevole – presenta questa sua designazione scrivendo che «essa difenderà al congresso la causa delle maestre elementari e specialmente delle maestre rurali che, abbandonate nella campagna, languiscono nella miseria dello stomaco e dell’intelletto, in preda alle angherie ed alle seduzioni»2.


La determinazione di far partecipare la Montessori quale rappresentante ufficiale dell’Italia al congresso londinese non è però unanimamente condivisa ed è duramente criticata da alcune Leghe femminili. Quella di Torino stila addirittura un documento di protesta, che invia alla stampa, in cui rileva polemicamente che è la seconda volta che Maria Montessori viene inviata a congressi ufficiali – la prima era stata mandata al congresso di Berlino3 – senza che possa dirsi veramente rappresentativa del movimento femminile italiano nel suo complesso. La Lega torinese sostiene infatti, causticamente, che «al Congresso di Berlino la Signorina Montessori non era che la rappresentante d’un gruppo di signore dimoranti in Roma», mentre a Londra rappresenta solamente il ministro Baccelli che ce l’ha inviata4. Meno dura è invece, in una sua lettera, Alessandrina Ravizza che, pur sottolineando che la designazione della Montessori era avvenuta non senza equivoci, scrive che «ciò non toglie nulla alla sua azione efficace e pronta che onorò ovunque l’operosità femminile e lasciò indelebile memoria di riconoscente ammirazione nell’animo mio»5, evidenziando, così, il suo convincimento di poter attivare una qualche, anche se vaga, connessione tra l’impegno sociale montessoriano e quello del socialismo riformista.


Il congresso si svolge comunque regolarmente e, sotto la presidenza della contessa di Aberdeen, che aggiunge al titolo di nobile canadese quello di viceregina d’Irlanda, vede la partecipazione di numerose donne provenienti da 28 nazioni diverse e di differente estrazione sociale, tanto da autorizzare la soddisfazione della moderata “L’Italia femminile” che, evidenziando tale presenza interclassistica, scrive in una sua corrispondenza che «si sentono parlare tutte le lingue e certo non è uno spettacolo banale quello di queste centinaia di donne di nazionalità, di credenza, d’opinioni, di classi diverse, unite strettamente nel desiderio di lavorare allo sviluppo morale, intellettuale ed economico delle loro sorelle»6. Gli argomenti trattati nel corso dell’incontro, raccolti poi, insieme ai saluti inaugurali, in sette volumi, tendono a raffigurare nel suo complesso la condizione delle donne negli anni a cavallo del secolo e puntano a prefigurare delle conquiste amministrative che l’avrebbero notevolmente migliorata. Indicativi, al proposito, sono i punti indicati specificamente nel programma del Congresso: «eguale salario per eguale lavoro; accesso a tutte le professioni in base alla capacità e non al sesso; miglioramento radicale delle condizioni nella professione di infermiera; salario statale durante la maternità; nomina di donne ispettrici nell’industria; partecipazione delle donne alla vita sindacale per difendere i loro diritti; protezione delle donne e degli uomini che lavorano (con la clausola che la legislazione protettiva in favore delle donne non deve mai escluderle dal lavoro); sviluppo di elettrodomestici moderni per togliere le donne dalla schiavitù domestica; istruzione delle casalinghe e delle lavoratrici domestiche; migliori condizioni di lavoro per le ultime»7.

Nessun riferimento viene fatto riguardo la questione dei diritti politici delle donne, nel tentativo di legittimare una presunta, e comunque sbandierata, neutralità politica dell’ICW. Ciò è alla base del disappunto di molte congressiste che – con la solita soluzione di compromesso – vengono tacitate con la organizzazione, al di fuori dei lavori ufficiali, di un incontro pubblico sul diritto delle donne al voto, durante il quale vengono chiamate a parlare alcune dirigenti del movimento suffragista, che riescono a far passare la decisione di costituire un apposito Comitato Internazionale avente lo scopo di coordinare le lotte per il raggiungimento dei diritti politici delle donne. La bontà e la rilevanza di tale decisione viene colta immediatamente da Emilia Mariani – un’autorevole maestra socialista a lungo attiva nel movimento per il rinnovamento della scuola e per il miglioramento della condizione femminile – che non si fa sfuggire l’occasione per polemizzare ancora una volta con quei gruppi moderati italiani che, pur essendo ormai costretti a riconoscere la legittimità delle richieste femminili riguardo i servizi sociali e i diritti civili, si ostinano ancora a voler negare alle donne ogni tipo di diritto elettorale. Il suo scritto è particolarmente netto al riguardo, affermando infatti che «le donne del Congresso di Londra si mostrarono molto pratiche e lo sono: esse parlano di scuole, di balli, di carceri, di giardini infantili, di scuole professionali, ma nello stesso tempo proclamano il loro diritto al voto amministrativo e politico… Esse sono pratiche e sanno che non serve suggerire, consigliare, esortare, se non si ha anche il potere di comandare e di fare»8.


Maria Montessori interviene tre volte nei lavori del Congresso, portando, in primo luogo, il saluto ufficiale delle donne italiane ed in particolare quello del ministro Guido Baccelli. In questa occasione il suo discorso, pur essendo, ovviamente, anche il frutto delle sue posizioni personali, è senza dubbio condizionato dal carattere di ufficialità che ne è alla base, tanto da apparire pervaso da eccessivo ottimismo quando tratteggia la situazione italiana, dove le donne avrebbero raggiunto numerose conquiste sociali, in ciò agevolate, evidentemente – par di capire tra le righe – dalla liberalità delle forze di governo. Esse soffrirebbero solamente – almeno nelle forme più acute – dei retaggi secolari di costume, che Montessori descrive in maniera pittoresca, colpendo certamente l’attenzione delle molte amiche straniere. Evidente, in questo contesto, è infine una certa ingenuità politica della giovane studiosa femminista che, in maniera molto moralistica e non sottolineando a sufficienza il peso delle oggettive condizioni politiche e sociali dell’Italia del tempo, sostiene che «in Italia non sono tanto l’uomo o le leggi che sono contro il progresso della donna, quanto la donna stessa».

Molto più interessante, e certamente frutto più genuino della sua riflessione personale, appare il secondo intervento, che denuncia le tristi condizioni in cui sono costrette a vivere le maestre italiane che, pur essendo ritenute «più adatte per l’educazione dei bambini» e pur vedendosi riconosciute al riguardo «qualità molto superiori a quelle degli uomini», debbono accontentarsi di stipendi inferiori a quelli dei colleghi maschi. La legge Casati del 1859 – istitutiva del sistema scolastico nazionale – introduce infatti questa iniqua differenza nella nostra legislazione, da cui verrà eliminata solo con il nuovo secolo9. In questo secondo discorso Montessori esalta anche l’azione del ministro Baccelli e specificamente il suo impegno per l’introduzione nelle scuole elementari del lavoro manuale, che lei considera strumento importante per la educazione professionale delle masse popolari, non cogliendone in alcun modo il carattere classista e discriminante10.


La sensibilità sociale della Montessori si evidenzia invece, in maniera molto chiara, nell’ultimo intervento quando – secondo quanto riporta la pubblicazione ufficiale degli Atti – «descrive come la cosa più terribile le condizioni in cui i giovanissimi fanciulli lavorano [nelle] miniere», sostenendo anche che «gli orari lunghi, le posizioni disagevoli, il continuo salire e scendere le scale, i pesanti carichi da portare, la mancanza di sufficiente luce e dell’aria ed il salario misero tendono ad allontanare ogni gioia e la buona salute dalle loro giovani vite». Anche in questo caso la delegata ufficiale dell’Italia non si fa sfuggire l’occasione per tener fede alla propria qualifica ed esalta «una proposta di legge che sta per essere promossa dal suo governo e che proibisce l’impiego dei bambini sotto ai 14 anni nelle zolfare o in altre misere». Quello di cui si parla è evidentemente il progetto Carcano, che sarà poi presentato ufficialmente nel dicembre 1900 e che pure fisserà a 12 anni l’età minima per accedere al lavoro, cercando di dare una risposta a tutte quelle forze democratiche ed a quegli studiosi liberali che da tempo andavano denunciando le inumane condizioni in cui erano costretti a vivere i bambini impegnati nell’attività lavorativa. Già nel 1879 Alberto Errera scrive di aver visto lavorare «sino a tarda sera», nelle filande della provincia di Monza, «delle creaturine che meglio dovrebbero frequentare l’asilo infantile, al punto che in qualche località (parrebbe incredibile!) si portano le tenere creaturine a lavorare all’incannatoio sorrette in braccio»11. Ancora parecchi anni dopo Anna Maria Mozzoni scrive di aver trovato – viaggiando nella Lombardia per l’inchiesta Bertani – delle intere famiglie prive di qualsiasi occupazione durante l’inverno e costrette a vivere «di sola polenta, esclusivamente guadagnata coi 12, 15, 20 centesimi portati a casa dalle bambine che lavorano agli incannatoi». Ed inoltre afferma di aver incontrato in questi stabilimenti – definiti la causa della “vera strage degli innocenti” e da cui «bambini entrativi paffutelli e rubicondi escono dopo tre mesi coll’aspetto rachitico […] perfino delle bimbe di 4 anni sole, pallide, tristi, sbigottite dalla rigida disciplina dell’opificio, stanche da morirne, e in piedi sempre e sempre nello stesso posto, vigili e silenziose per 12, 14 e perfino 15 ore sulle ventiquattro»12.

Quello che più colpisce in questo ultimo intervento di Montessori è però l’assenza di qualsiasi riferimento alle proposte delle donne socialiste, che pure da diverso tempo richiedevano con forza una legislazione protettiva del lavoro femminile ed infantile, che migliorasse le disposizioni della legge del 1886 rivelatasi del tutto insufficiente e peraltro quasi sempre inapplicata e che solo l’anno precedente aveva prodotto la celebre polemica tra Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff. La prima infatti, di fronte alla proposta di legge elaborata dal gruppo socialista femminile, esprime assai polemicamente il proprio timore che questa “protezione” legittimi poi l’espulsione delle donne dal mondo del lavoro, scrivendo, appunto, al proposito: «Fra le tante tutele, garanzie, esclusioni, difese e protezioni che infestano la vita delle donne, non mancava più che questa che limiti anche la libertà del lavoro materiale al quale in misura ancora assai limitata hanno potuto accedere». Anna Maria Mozzoni infatti – condizionata dallo schematismo estremistico di molte sue riflessioni, proprie anche di altre esponenti dell’emancipazionismo – è convinta della nocività di qualsiasi legge protettiva, che confinerebbe la donna in una posizione subalterna e «la ricaccerebbe nella casa, come una gallina nel suo pollaio, a covare le sue uova nella solitudine e nel silenzio»13. Anna Kuliscioff critica invece gli esiti anarchicheggianti e borghesi del ragionamento della interlocutrice femminista e sostiene che il timore della espulsione delle donne dalle fabbriche non ha senso, in quanto la loro presenza – in special modo per lo sviluppo delle macchine – è diventata spesso determinante per il processo produttivo. Necessario ed urgente è invece il miglioramento delle condizioni reali di vita delle lavoratrici, perché «finché la donna lavorerà le 12, le 14, le 16 ore sulle 24, guadagnando da 40 centesimi a 1,25 lire al giorno, potrà forse diventare una buona macchina da lavoro, ma non potrà mai assurgere a dignità di donna e di cittadina». Per questo rinfaccia alla Mozzoni di fare il gioco dei padroni perché «se noi, in nome della libertà della donna, ci opponessimo ad una legislazione sul lavoro delle donne» ci troveremmo in compagnia delle forze padronali e borghesi che giustificano appunto la loro volontà di non giungere ad una legislazione protettiva per il timore di diminuire la libertà della donna. «Invero – conclude polemicamente Anna Kuliscioff – è solo a costoro che riesce immensamente comodo confondere – e far confondere – due cose che stanno fra di loro agli antipodi: la libertà della donna e la libertà dello sfruttamento della donna»14.


Maria Montessori ritorna ancora sui temi del Congresso di Londra pubblicando, al suo rientro in Italia, un lungo articolo sull’argomento: che appare però assai importante anche per le considerazioni che vi svolge a proposito del femminismo e del ruolo della donna nella società. Tiene infatti a precisare – non senza intenzione polemica – che le congressiste londinesi «erano donne nuove, ben lungi dal rassomigliare al tipo così poco simpatico che gli uomini, ignoranti del tutto i principi del femminismo, classificarono col nome di terzo sesso… », e che hanno dimostrato la loro intelligenza e la loro sensibilità sociale assumendosi l’impegno di lavorare per il “maggior benessere comune”. Dedica poi la prima parte dello scritto ad una riflessione sull’azione della donna a favore dell’unità familiare, sottolineando – con un riferimento preciso al dibattito londinese – che «le donne lavoratrici credono che l’unione loro nel bene universale conserverà meglio la famiglia». Montessori insiste su questo aspetto ed esplicitando in maniera molto chiara il moderatismo del proprio femminismo, scrive che la donna contribuirà a rinsaldare il vincolo familiare mostrando all’uomo «un cuore atto a seguirlo nelle sue passioni sociali e politiche» ed aiutandolo «col lavoro… a mantenere l’agiatezza della famiglia». La donna inoltre, per contribuire a conservare «il più alto bene della famiglia», dovrà «ben curare lo sviluppo fisico dei figli e il loro svolgimento morale», e dimostrarsi «fine amante esclusiva di suo marito, sua compagna di lavoro, madre cosciente dei suoi figli».

Montessori, infine, evidentemente anche con lo scopo di non urtare la suscettibilità dei benpensanti che l’avevano inviata a Londra, tiene a sottolineare che i lavori dell’ICW non hanno avuto esito provocatorio o rivoluzionario e che il fine del congresso non è stato certamente quello di «eccitare al lavoro le donne che ora si occupano solo della casa e dei figliuoli», né di rimuovere dalla famiglia «la giovane madre massaia per obbligarla ad occuparsi di lavori e di questioni sociali». Le congressiste infatti – e qui Montessori appare molto corretta nel riportare lo stato d’animo che aveva contraddistinto le partecipanti all’incontro – avevano solo preso atto del fatto che le donne sono oramai impegnate in numerose attività lavorative e che in queste sono quasi sempre discriminate perché appunto «le leggi ed i costumi non sono ancora preparati a questo movimento del lavoro femminile». Al proposito vengono esemplarmente richiamate le condizioni della donna operaia e della maestra, nonché delle telegrafiste e di altre donne occupate negli impieghi pubblici, che se hanno molto spesso migliorato la loro situazione hanno finito talvolta per divenire vittime del loro stesso processo di emancipazione. La giovane pedagogista sottolinea infatti, con un evidente e contraddittorio eccesso di moralismo, che esse sarebbero state molto spesso «le vittime dell’uomo, che nella donna uscente per la prima volta dall’ambiente famigliare vede una facile preda»15. Anche questa affermazione – come si può facilmente notare – pur nella sua ingenuità, o forse proprio per questa, è chiaramente indicativa del carattere moderato del femminismo montessoriano, che anche in altre occasioni si espliciterà come fenomeno di costume ma non certo come concezione di una diversa organizzazione della società.


La iniziale e squisita sensibilità sociale della Montessori la porta comunque, fin da questi anni, a salutare con favore la conquista di quelle misure e l’avvento di quelle macchine che avrebbero attenuato la schiavitù domestica della donna e che avrebbero aumentato il suo tempo per la lettura e lo studio. Significativa, a questo riguardo, è un conferenza che la giovane studiosa marchigiana tiene a Milano nel febbraio 1899, dove afferma appunto che «la donna nova porta al femminismo, il quale è l’espressione di fattori sociali e trionferà quando vi ci condurranno le condizioni sociali. Difatti il progresso porta alle invenzioni di macchine che suppliscono il lavoro della donna: macchine da cucire, macchine da far bucato, ecc.»16. Montessori è infatti convinta che occorre alleviare il lavoro domestico della donna, in maniera da renderla libera anche di leggere, studiare e di arricchirsi culturalmente. In questo contesto sottolinea inoltre come la donna non debba essere troppo provata dal doppio lavoro, poiché questo avrebbe comportato esiti negativi anche nel momento della procreazione. Affiorano così le prime preoccupazioni eugenetiche che si evincono in maniera molto chiara da un altro resoconto della medesima conferenza, durante la quale la giovane dottoressa, nel reclamare una vita meno dura per la donna, rileva che essa «ha il dovere di reagire contro chi le impone figli malati, malvagi e degenerati; deve farsi cosciente, massime in quella maternità, in cui ora è tante volte depressa ed offesa, né deve rinunciare alla missione sua nell’affrettare la vera pace tra gli uomini»17.


Montessori denuncia in effetti lo sfruttamento della donna ed anche per questo – a differenza di quanto avviene fra le socialiste o fra le emancipazioniste più accese – non condivide appieno il giudizio riguardo il valore emancipatorio del lavoro extradomestico femminile, che viene valutato anche positivamente, ma di cui vengono colti anche gli aspetti più difficoltosi e negativi. Anche gli interventi che Montessori svolge a Londra, pertanto, non potevano dire più di quanto detto, imbrigliati come sono dal loro carattere ufficiale e dal moderatismo del femminismo montessoriano. Ed in conclusione – se anche appaiono molto importanti per la ricostruzione della biografia della nostra studiosa – non sembrano aver allora dato conto neppure della complessità del dibattito sulla questione femminile che pure, in quegli anni, si va sviluppando nel nostro paese con sempre maggiore intensità, autorizzando, con ciò stesso, il giudizio di Franca Pieroni Bortolotti che scrive che «il contributo italiano al secondo Quinquennale femminista risulta modesto. Nulla indicava che da noi c’era stata una campagna così ricca di motivi umani, politici e sociali, come quella da mezzo secolo condotta per l’emancipazione femminile: più di quanto avvenisse altrove, in Europa e in America, e come del resto accadeva per tanta parte della storia della società italiana, essa rimaneva sepolta nelle menti»18.

Il “suffragismo” di Maria Montessori

Tale giudizio appare però francamente troppo ingeneroso nei confronti di Maria Montessori che proprio negli anni a cavallo dei due secoli partecipa in prima persona alle battaglie delle donne per il suffragio femminile. Fa infatti parte della Commissione Esecutiva del Comitato Nazionale Pro Suffragio insieme, fra le altre, a note femministe come Teresa Labriola, Anna Maria Mozzoni e Beatrice Sacchi. La prima iniziativa dei Comitati pro suffragio è quella di sostenere e promuovere l’iscrizione delle donne nelle liste elettorali per le consultazioni politiche. La legge elettorale del 1895 non faceva infatti alcun esplicito riferimento alle donne e pertanto le suffragiste utilizzano tale lacuna per promuovere un’azione che loro stesse, peraltro, sanno avere solo una finalità dimostrativa. È d’altra parte vero che tale iniziativa è alla base di una discussione politico-giuridica che si sviluppa per alcuni mesi sui giornali più importanti e che favorisce una conoscenza più diffusa delle proposte del suffragismo italiano. La prima a richiedere l’iscrizione alle liste elettorali è Beatrice Sacchi che alla fine del 1905 presenta la sua domanda nel proprio comune di residenza, Budrio in provincia di Mantova, seguita ben presto da numerose altre donne fra cui si distingue la categoria delle maestre. Maria Montessori è attiva in questa campagna e il 26 febbraio 1906 il quotidiano “La Vita” pubblica un suo proclama redatto a nome dell’associazione “Pensiero e Azione”. Le prime parole del documento sono assai chiare nel rivendicare il diritto elettorale: «Donne tutte sorgete! Il vostro primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico». Ed è appunto questa la richiesta insistita che le donne continuano a presentare in questo periodo. Nel corso del 1906 abbiamo così la presentazione di una ennesima Petizione delle donne italiane per il voto politico e amministrativo stilata da Anna Maria Mozzoni e firmata da donne autorevoli delle diverse correnti del suffragismo da quello tradizionalmente democratico di marca illuminista a quello socialista a quello espresso dal femminismo borghese ed aristocratico. Fra le numerose adesioni troviamo anche quella di Maria Montessori che si distingue anche, in occasione di un’assemblea che si svolge il 15 aprile 1908, per la veemenza con cui si oppone alla partecipazione degli uomini presenti in sala alla votazione riguardo un documento presentato da Linda Malnati, con cui si propone la eliminazione nelle scuole dell’insegnamento religioso confessionale e la sua sostituzione con «lo studio interamente obiettivo delle religioni in relazione alle loro finalità e alle loro conseguenze sociali»19. Degna di rilievo, pertanto, appare la partecipazione della studiosa marchigiana alla battaglia politica per il voto alle donne che peraltro non otterrà il risultato sperato. Il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti istituisce infatti nel maggio 1907 una Commissione di uomini politici di primo piano – fra i quali figurano Pasquale Villari, Napoleone Colajanni, Francesco Saverio Nitti – che affrontano la questione con colpevole e deliberata lentezza, tanto che i lavori terminano solo il 12 dicembre 1910 con una deliberazione presa a maggioranza con cui il Parlamento viene sconsigliato dal concedere il voto amministrativo e politico alle donne20.

L’impegno “suffragista” di Maria Montessori, d’altra parte, non è in contraddizione con il suo femminismo moderato, che esplicita in diverse occasioni anche nel nuovo secolo, a cominciare da una interessante conferenza che tiene a Roma 18 maggio 1902. In questa occasione rileva inizialmente che il ruolo della donna sta trasformandosi e che dall’ambiente domestico ella si avvia sempre più verso quello sociale. A questo proposito tiene però a precisare: «Non è vero, come si afferma da molti, ch’ella cagioni in tal modo la disintegrazione della famiglia e che sia opportuno perciò limitare il suo passaggio all’ambiente sociale costringendola nella casa». Anche perché questo – come Montessori rileva con chiarezza – significherebbe voler forzatamente guardare al passato, senza rendersi conto delle trasformazioni sociali prodotte dalla nuova divisione del lavoro. Lo sviluppo industriale ha infatti intaccato pesantemente l’istituto della famiglia patriarcale, rendendo indipendenti economicamente i figli che così vanno a vivere da soli costituendo famiglie nucleari. Allo stesso modo, nota giustamente la studiosa marchigiana – che dimostra in questo caso una consapevolezza politica che in altri contesti le fa difetto – «oggi lo sviluppo ancora crescente delle industrie tende a dare l’indipendenza economica anche alla donna e quindi a scindere la coppia in individui liberi, che formano altrettante unità sociali. D’ora innanzi la famiglia avrà solo legami sentimentali e significato morale: non più legami economici e utilitari».


La trasformazione della famiglia deve però essere studiata insieme alla evoluzione della società e del ruolo della donna, fra loro intimamente connessi. Montessori nota infatti come le nuove tecnologie abbiano emancipato la donna da tutta una serie di lavori, quali la tessitura, la filatura, la confezione dei vestiti, prima fatti in casa. Eguali modificazioni si intravedono per quanto riguarda l’alimentazione, visto che stanno sempre più diffondendosi le cucine collettive o modalità di ristorazione pubblica. «Oggi – conclude Montessori – secondo il grado di progresso industriale nei diversi paesi, esistono varie gradazioni nei relitti di lavoro domestico, che tengono occupata la donna tra le pareti domestiche; ma è vicino il tempo in cui la massaia non avrà più ragione di esistere». Subito dopo Montessori è anche più chiara riguardo le conseguenze di un tale processo trasformativo, e scrive: «La donna, dunque, al dì d’oggi, ove non prenda parte ai lavori sociali, rimane oziosa e cade in una forma pericolosa di parassitismo»21.

La “socializzazione” della “funzione materna”

La stessa proposta complessiva della Casa dei bambini è da inserire in questa prospettiva, poiché essa è pensata anche per consentire alla donna di accedere al lavoro, senza con questo pregiudicare i suoi caratteri di femminilità e di “donna nova”. Illuminante, al proposito, appare il Discorso inaugurale tenuto il 7 aprile 1907 con cui Maria Montessori indica la Casa dei Bambini come primo frutto di una concezione diversa della casa e della vita domestica, che in questo modo diviene socializzata22. Tale nuova struttura educativa infatti – come scrive esplicitamente – è il primo passo verso «la casa socializzata. Si trova nella propria abitazione il vantaggio di poter lasciare i piccoli figli in luogo sicuro, non solo, ma atto a migliorarli; – e sono tutte le madri che possono godere tale immenso vantaggio, allontanandosi di casa pei propri lavori», mentre fino ad oggi «soltanto una casta sociale godeva tale privilegio».


A tale riguardo la studiosa marchigiana parla inoltre di “socializzazione” della “funzione materna”, anche se, ovviamente, questo non significa snaturare il ruolo materno della donna. «Infatti – afferma esplicitamente – non si può dire che la comodità di lasciare i figli sottragga le madri a un dovere naturale e sociale di primo ordine, qual’è quello di curare e educare la tenera prole». Al contempo sottolinea come questa prima scuola serva non solo alle donne operaie che debbono andare in fabbrica, ma anche a quelle che esercitano una professione intellettuale. «L’opportunità di tale istituzione non è ristretta alle classi lavoratrici della mano, ma si estende anche alla borghesia dove molte sono le donne lavoratrici del pensiero. Tutte le maestre e le professoresse, spesso costrette anche nel doposcuola a lezioni private, lasciano i bambini affidati alle mani di una persona di servizio rozza e sconosciuta, che è talvolta insieme la cameriera e la cuoca».


In questo discorso Montessori riprende proposte già avanzate in precedenza ed esprime perciò la convinzione che l’esperienza della Casa dei Bambini potrebbe essere seguita da altre dello stesso genere, in grado di socializzare altri compiti tradizionalmente delegati alla donna. La studiosa parla così di infermerie e di cucine “sociali” o centralizzate che potrebbero servire per i diversi quartieri. Ed in questo disegno anche il ruolo della donna esce rinnovato, perché recupera la sua autonomia e la sua specificità di individuo umano libero23. C’è da dire, tuttavia, che anche queste considerazioni della Montessori, pur essendo estremamente interessanti, denotano la mancanza di una chiara prospettiva politica, in quanto non si indica minimamente il modo in cui tale proposte potrebbero essere realizzate e le stesse non sono inserite in un quadro organico di rinnovamento complessivo della società. Purtuttavia rappresentano delle riflessioni assai stimolanti, che si collocano nell’alveo di un dibattito che in quegli anni è promosso dal movimento femminile e di emancipazione delle donne.


Oltre a queste strutture, tese a migliorare la condizione di vita delle donne, Montessori pensa anche a forme associative «per gli uomini», che ne elevino il livello culturale e li tengano lontani dal bere e dall’osteria. Questo rinnovamento della funzione dell’abitazione familiare avrebbe anche un significato più ampio, poiché «tenderebbe a trasformare luoghi di pericolo e di vizio in luoghi di elevamento culturale, se in essa accanto alle scuole pei bambini sorgessero dei clubs di trattenimento e di lettura per gl’inquilini e specialmente per gli uomini, che vi trovassero il modo di passare la sera. Il club del casamento, possibile e utile in tutte le classi sociali, come è utile e possibile la “Casa dei Bambini” potrebbe far chiudere le osterie e le case di giuoco, con alto vantaggio morale della popolazione». Del resto Montessori ci tiene a far risaltare che le sue proposte non attentano in alcun modo all’esistenza dell’istituto familiare che da esse, anzi, trae nuova linfa. «Noi siamo dunque ben lontani dalla temuta distruzione della casa e della famiglia per la necessità in cui si trova la donna, nell’evoluzione economicosociale dell’ambiente, di darsi al lavoro retribuito». Anzi, questo nuovo modo di essere della donna renderà più nobili e veri anche i sentimenti, che insieme alla sensibilità personale costituiscono anche per Montessori caratteri peculiari della “donna nova”24. «La donna nuova, come farfalla uscita dalla crisalide, si sarà liberata da tutte le attribuzioni che un tempo la rendevano desiderabile all’uomo, come fonte di benessere materiale dell’esistenza. Ella sarà come l’uomo un individuo umano libero, un lavoratore sociale: e come l’uomo cercherà il benessere e il riposo nella casa riformata e socializzata. Per se stessa vorrà essere amata e non come mezzo di benessere e di riposo; e vorrà amore, libera da ogni forma di lavoro servile»25.

La “donna nova” e la nuova morale sessuale

La studiosa marchigiana si impegna in effetti in più occasioni a tratteggiare i caratteri della “donna nova” cui assegna ancora quelle qualità di gentilezza e sensibilità, che hanno tradizionalmente contraddistinto il genere femminile e che giustamente vengono valorizzate. In una conferenza svolta il 18 maggio 1902 afferma che «non è possibile immaginare che l’antica donna sentimentale, tutta composta d’amore e dedicata a custodire la purità, la virtù come un fuoco sacro, debba semplicemente divenire un lavoratore sociale come è l’uomo presente. Anzi ella dovrà portare le sue secolari virtù di sacrificio, d’inibizione, di pietà religiosa – che segnano vittorie interiori – fuori all’aperto, alla luce del gran fuoco sociale. È il suo stemma di nobiltà, che la rende anche oggi degno campione nella lotta: le sue virtù di cuore costituiscono il corrispondente alle virtù intellettuali, alle vittorie esteriori dell’uomo». E di seguito in maniera anche più chiara: «Ella viene a socializzare anche le virtù domestiche; sarà in società ciò che fu in famiglia: la purificatrice, la consolatrice, la sorgente d’amore e di pace. Anche di questo ha bisogno la società, che geme nella cruda lotta e nelle bassezze morali, mentre rifulgono le vittorie esteriori della scienza e dell’industria: oramai questa grande famiglia sociale sente il bisogno della donna che la ingentilisca nel suo lavoro, della madre che la protegga»26.


Montessori anticipa anche, con grande lucidità, l’argomento secondo cui la raggiunta indipendenza economica della donna avrebbe consentito una reale sincerità di sentimenti e favorito il costituirsi della famiglia basata sugli affetti e sull’amore piuttosto che sugli interessi. L’immagine della donna montessoriana è però, chiaramente, quella del femminismo borghese, che la vede certo emancipata ma che tende anche ad enfatizzare dei caratteri – come quelli muliebre e materno – che troppo spesso vengono assolutizzati e rischiano di perpetrare lo stato di subalternità femminile. Illuminante, al proposito, è la parte conclusiva del discorso dove afferma: «La vittoria sociale della donna sarà una vittoria materna destinata a migliorare, a rendere più forte la specie umana. Ella, dopo essere avanzata alla conquista del lavoro sociale, farà un passo di più: andrà alla conquista del suo lavoro biologico, che è il vero fine del femminismo, alla conquista dei propri figli; e basta l’umanità, che riposi tra le braccia materne della madre, cosciente e libera!»27.

Anche per Montessori, quindi, la maternità costituisce il carattere peculiare della donna, a cui è affidato esplicitamente il compito di preservare la «specie umana». È in questa sottolineatura e specificamente nella categoria di «lavoro biologico» riservato alla donna, che possono anche essere individuati i prodromi di una visione prettamente eugenetica della maternità, che sarà poi fatta propria e propagandata dal fascismo. Tale contraddizione, d’altra parte, non è propria solo di Montessori, bensì si ritrova in tutta quanta l’elaborazione femminista. Ha scritto al riguardo Annarita Buttafuoco: «I germi dell’involuzione che, da una posizione potenzialmente rivoluzionaria, riporteranno la donna, durante il fascismo, ad essere mera riproduttrice sono già in parte qui, nell’ambiguo richiamo al “lavoro biologico”, alla natura della donna, all’istinto materno, presente in tanta parte degli scritti emancipazionisti, anche quando l’appello alla natura era un passaggio obbligato per dimostrare l’originale uguaglianza tra uomini e donne oltraggiata poi dall’egoismo maschile»28.

La questione della maternità costituisce in effetti, in questi anni, un argomento che pone particolari difficoltà al movimento femminista, che da una parte deve valorizzare l’esperienza professionale femminile come fonte di emancipazione e dall’altra deve però prendere atto delle conseguenze gravose che quest’ultima comporta nel momento in cui la donna è poi anche impegnata nella procreazione e nell’allevamento dei figli. Annarita Buttafuoco rileva ancora al proposito che «molte emancipazioniste si erano trovate incagliate proprio sul tema della maternità, in occasione della campagna sulle leggi di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, incapaci da una parte di definire in termini propri il problema della maternità in rapporto al lavoro e facendosi troppo spesso coinvolgere in ambigui riferimenti al futuro della “stirpe”»29. Ed aggiunge anche: «La cultura del “materno”, elaborata dall’emancipazionismo italiano, si caratterizzò, infatti, come una trama difficile da controllare in tutti i suoi aspetti, anche perché oscillava costantemente tra spinte in avanti e tentazioni di conservazione, mancando, nella cultura italiana un humus sufficientemente ricco cui attingere per alimentarsi di riflessioni di più ampio orizzonte. Il prodotto che ne scaturì, fu una sorta di nuova categoria filosofico-sociale attraverso la quale si intravedeva il progetto di una società diversa, dai contorni peraltro assai vaghi e pericolosamente misticheggianti»30.


Non può allora stupire l’atteggiamento di Montessori a proposito della maternità, i cui aspetti contraddittori sono peraltro enfatizzati dal carattere moderato del più complessivo femminismo montessoriano che si esplicita, appunto, in particolare, nella illustrazione di una figura materna angelicata e dai tratti talvolta addirittura mistici e spiritualistici. Questo appare anche più chiaro quando la studiosa marchigiana affronta la questione dell’educazione sessuale e più in generale della morale sessuale. Emergono in effetti i condizionamenti del tempo, quando si sostiene che l’educazione sessuale per quanto riguarda la donna altro non deve essere se non educazione alla maternità. Gaetano Bonetta coglie questo elemento quando sottolinea come si voglia educare la donna «all’ispirazione morale alla maternità e alla interiorizzazione dei valori propri di questo ruolo, e non c’è luogo di stampa ove la si istruisce se non per cenni sulla maternità “scientifica”. La maternità in seno alla coniugalità è la sola ed unica scelta di vita per la donna, che essa deve vivere con consapevolezza secondo i dettami etico-religiosi, le prescrizioni della sessualità approvata e con spirito di servizio sociale e patriottico»31.

I condizionamenti del tempo sul pensiero montessoriano, almeno per quanto riguarda questo aspetto specifico, emergono in particolare nella relazione che la studiosa tiene al I° Congresso Nazionale delle Donne Italiane che si svolge a Roma dal 24 al 30 aprile 1908 e in cui mostra in maniera molto chiara tutto il suo moderatismo. La preoccupazione che la muove, infatti, è quella eugenetica e l’educazione sessuale, da impartire a casa ed a scuola, viene perciò concepita come mezzo essenziale per evitare la nascita di bambini anormali. A tale scopo Montessori sottolinea come tutto sia frutto del nostro comportamento morale ed al riguardo rileva esplicitamente: «La degradazione, come la bellezza compiuta e la potenzialità psichica della nostra posterità, è collegata alla vita pratica, alla vita morale che noi sappiamo condurre»32. Proprio per questa ragione si compiace del fatto che da poco tempo si sia introdotta l’antropologia pedagogica nelle Scuole pedagogiche universitarie, che hanno lo scopo di specializzare gli educatori del popolo. In questo modo, infatti, essi avrebbero avuto la possibilità di conoscere il “gentilizio” di ogni singolo scolaro e rendersi così conto delle cause di eventuali mancanze o comportamenti “anormali”.


Montessori, infatti, è convinta che i guasti genetici siano difficilmente riparabili e ciò la induce ad insistere che fin dalla più tenera età si abbia un atteggiamento corretto nei confronti dei bambini riguardo la problematica sessuale, insegnando loro quella che è la realtà, senza che imparino le prime nozioni sessuali in maniera distorta sulla base di informazioni avute dai compagni. La realtà sociale è d’altra parte, al proposito, ancora negli anni a cavallo tra i due secoli, sessuofobicamente condizionata, così come ci è dato sapere da alcune testimonianze che appaiono davvero illuminanti. Anche per le giovinette, ad esempio, non esiste una qualche informazione sessuale. La parola mestruazione non viene utilizzata e queste giovani ragazze debbono imparare sulla loro pelle il significato del diventare donne. Significativa è la testimonianza di Teresa Garro, nata nel 1894, che racconta: «Oh, educazione sessuale nessuna. Quando sono diventata ragazza sono caduta dalle nuvole. Mia mamma mi ha detto: “È mica niente”. Ha tirato fuori un pannolino e tutto è finito così»33. Altrettanto interessante è il ricordo di Regina Terruzzi, nata nel 1862, che in un libro di ricordi autobiografici scrive: «il nome mestruazione non era in uso: mai lo sentii nel linguaggio familiare, nemmeno nelle conversazioni con i medici». Quando una notte si sveglia e si ritrova piena di sangue sua madre, che prima non le aveva detto niente, si limita a tranquillizzarla affermando: «Ora tu sei davvero donna. Porterai le vesti lunghe, non giocherai più alla corda, dovrai essere riservata»34.


Montessori conosce tale situazione ed anche per questo si rivolge in particolare alle madri, invitandole ad avere un atteggiamento franco ed aperto con i loro figli, che assai presto desiderano risposte sulle loro origini. Non si deve mentire, sottolinea la Nostra, pena la perdita della fiducia dei figli che devono invece crescere stimando i propri genitori ed acquisendo la convinzione che i comportamenti morali contribuiscono allo svilupparsi della propria umanità. «Ora è questo concetto che deve informare i principi della nostra educazione di morale sessuale, afferma Montessori. Lo scopo profondo e supremo deve essere quello di allontanare l’attenzione dei nuovi uomini che si formano, di allontanarla dal mezzo per riconcentrarla alla grandiosità del fine; onde riparare e proteggere individui dal pericolo della caduta; circondare il fanciullo di un tale splendore grandioso di quel fine mirabile che conduce alla creazione e alla eternità della vita, che egli non debba mai sentirsi toccare e ferire da tutto quanto la vita riguarda. Che se noi non avessimo questo concetto e credessimo che l’educazione sessuale nel fanciullo e nell’adolescente dovesse limitarsi ad insegnare alcune norme che si riferiscono al mezzo di questo grande fine noi saremmo corruttori ed immorali»35.

E significative sono le parole con cui Montessori sottolinea come l’educazione sessuale debba essere compito della famiglia e della scuola, proprio perché essa si presenta come «un interesse di utilità umana e sociale, anzi di utilità supersociale, perché si spinge al di là dell’ambiente verso il perfezionamento della specie futura»36. Quest’ultima è in effetti la preoccupazione centrale della studiosa e proprio per tale ragione sostiene che un’attenzione particolare dovrà essere dedicata alle giovani ragazze, in maniera da poter favorire la nascita di una “donna nuova” che sappia essere forte e non cedere al sentimento ove questo la renda succube di un uomo “indegno di procreare”. La preoccupazione eugenetica montessoriana è evidente anche in questo caso ed informa l’immagine della donna con cui viene conclusa la relazione. «Veramente questa nuova forma di donna noi la possiamo figurare come la trionfatrice del definitivo e alto progresso dell’umanità: Ella si erige sulle lotte sociali come una madre forte. Possiamo simboleggiarla come una donna bellissima la quale ha perduto tutti i monili che erano serviti per attrarre l’uomo, ed è tutta ammantata nel manto di giustizia. Sotto il suo piede nudo come la verità, schiaccia il serpe dell’antica miseria morale; sembra l’incarnazione stessa della purezza; ma questa purezza è fatta tutta di concepimento e di maternità»37. Torna così la “mitizzazione” della maternità, l’unica vera dimensione esistenziale che caratterizza pienamente la donna ed a cui essa deve aspirare. La stessa educazione sessuale, d’altra parte, altro non è se non educazione alla maternità, che deve ispirare la stessa sessualità femminile, da vivere con dichiarate finalità “patriottiche”.


Montessori torna sulla questione della morale sessuale anche nell’Antropologia pedagogica, dove rileva come gli uomini abbiano responsabilità nei confronti dei propri posteri e come quindi si debbano porre il problema della “condotta morale individuale” in maniera da assicurare «a ciascuno l’integrità del prodotto della propria riproduzione». La studiosa marchigiana sottolinea la necessità di parlare dei problemi sessuali, senza vergogna e senza infingimenti, al fine di evitare i danni che in caso contrario si ripercuotono inevitabilmente sui bambini, scrivendo parole in linea con il moralismo eugenetico del tempo: «L’immoralità sessuale che è stigma della barbarie del nostro tempo racchiude in sé la più ignominiosa forma di schiavitù: la schiavitù della donna nella prostituzione. E intorno a tale forma di barbarie si espande su tutte le donne la schiavitù, più o meno gravante e sentita. È schiava la moglie che ha sposato inconscia e non sa né può impedire d’essere istrumento della nascita di figli deboli, malati e degenerati; e più gravemente schiava è la madre che non può trattenere il suo figlio dalla degradazione a lei nota come fonte probabile di rovina dell’anima e della salute. Tutti siamo tacitamente solidali di un enorme delitto verso la specie e verso l’umanità: e come complici abbiamo la tacita intesa di non parlarne. Anzi, il silenzio misterioso sulla vita sessuale è assoluto: come se si temesse di compromettersi innanzi a un gran giudice possente come è la nostra posterità: nascondiamo sotto il silenzio medesimo il bene e il male in ciò che riguarda la vita sessuale. Questa specie di terrore si chiama vergogna, pudore»38. E questo, continua Montessori, risalta ancora di più poiché viviamo «in pieno tempo di orgia» e i postriboli e i brefotrofi sono assai diffusi, tanto che conclude su questo punto: «ciò che noi chiamiamo vergogna e pudore è in realtà vergogna e pudore delle colpe, non degli atti e dei fenomeni sessuali».

Traspare quindi tutto il moralismo proprio della studiosa marchigiana, che talvolta pare addirittura essere preda di condizionamenti sessuofobici. Certo è che la prospettiva nel cui ambito ragiona tocca punte di retorica, in particolare quando parla del ruolo della donna e della esperienza della maternità. Emblematico è il passo dell’Antropologia in cui sostiene che i fenomeni sessuali «essendo in diretto rapporto con la creazione e con l’eternità della specie dovrebbero essere sentiti dagli uomini con un culto religioso assai alto, come quello, per esempio, che mise fin dai primi tempi preistorici, il simbolo della maternità: la donna col bambino, accanto alla falce, simbolo del lavoro, nei luoghi di culto. Noi non possiamo ammettere che l’amore cantato come sentimento sublime dai poeti, sia l’esponente morale di fatti indegni e vergognosi. È l’errore della vita sessuale, scaturigine di degenerazione, di degradazione e di morte della specie, quello che ci induce a tacere, a nascondere ed arrossire»39.

Per tale ragione Montessori insiste sulla necessità di creare una nuova morale sessuale che deve orientare specialmente la vita degli uomini, i quali più facilmente sono preda degli istinti. «Tutto il rinnovamento morale che ci attende si aggira intorno alla lotta contro le colpe sessuali. L’emancipazione della donna, la protezione della maternità e del fanciullo, ne sono i più luminosi esponenti; ma non meno efficaci indici di tale progresso sono tutte le lotte contro l’alcoolismo e i vizi e i morbi che si riflettono con le loro conseguenze funeste sulla posterità. Un solo lato della questione è ancora poco attuato, cioè la castità dell’uomo e la sua responsabilità paterna; ma pure ciò è già sentito come una fatale necessità di progresso. L’uomo piuttosto che opprimere nella schiavitù altri esseri umani e prostituirli, anziché tradire e spezzare la vita di altri individui con la seduzione e l’abbandono della prole, sarà casto. […] L’uomo è capace di ogni grande eroismo: egli fu che seppe vincere gl’imponenti ostacoli dell’ambiente, padroneggiare la terra e comporre le civiltà. Egli saprà pure essere casto in quei limiti sufficienti a garantire la dignità umana e la salute della specie; e così preparerà l’etica dei prossimi secoli futuri: la morale sessuale»40.


Tale atteggiamento, peraltro, non è solo di Maria Montessori ma è ben più generale; ed in questo contesto la castità è valorizzata in quanto espressione suprema della volontà e dell’intelligenza dell’uomo, verso cui deve infatti tendere l’educazione in maniera da preservarlo da ogni contatto fisico ed in particolare dal sesso “erotico”, che non deve avere diritto di cittadinanza e può lasciar spazio, semmai, all’attività sessuale procreativa. La sola sessualità ammessa è in effetti quella “genitale” e la donna è considerata la sua vestale, visto che le si riconosce una sua sessualità, che è però “diversa” da quella dell’uomo e che è fondata in particolare sul fine procreativo, misconoscendo quello del piacere sessuale, appannaggio del solo maschio. L’astinenza e la negazione della sessualità, in special modo per la donna, sono in effetti considerate fonte di degenerazione in quanto sono causa di sterilità e negano la procreazione. La donna invece trova il suo pieno riconoscimento nella funzione materna che è ovviamente frutto della legittimazione della sessualità “genitale”. Ed a tale riguardo Gaetano Bonetta rileva: «Poiché il solo sesso “genitale” è normale, il piacere, la passione, l’eros sono banditi dal codice sessuale “approvato” e sono considerati così perversione morale; e non solo: essi sono anche “degenerazione fisiobiologica”, ovvero ancora sono forme di patologia del corpo, che da un punto di vista antropologico segnano una regressione evolutiva, una risorgenza di elementi atavici»41. Maria Montessori appare allineata con queste posizioni: da una parte, infatti, riconosce il valore emancipatorio del “lavoro sociale” della donna, ma dall’altra, elaborando una sua propria “mistica della maternità”, finisce per enfatizzare il carattere muliebre e materno della “donna nova”, cui è negata una vera e completa sessualità e che è alla fin fine relegata ad un ruolo subalterno e pesantemente condizionato dal prioritario fine riproduttivo. Anche da questo viene confermato il carattere moderato del femminismo montessoriano, che non può prospettare mutamenti strutturali realmente significativi proprio perché privo di un disegno complessivo di riforma della società.

La giovane Montessori
La giovane Montessori
Enzo Catarsi
Dal femminismo scientifico alla scoperta del bambino.Una biografia professionale degli anni giovanili di Maria Montessori che segue il percorso del suo lavoro e lo sviluppo del suo pensiero. La giovane Montessori di Enzo Catarsi è una biografia professionale della giovane dottoressa, che segue il suo percorso di lavoro e lo sviluppo del suo pensiero dopo la laurea in medicina del 1896 fino ai primi anni della sua pedagogia scientifica, concentrandosi sul suo forte impegno sociale. Un libro prezioso e di grande valore per chiunque si interessi agli anni formativi di Maria Montessori. Carolina Montessori Conosci l’autore Enzo Catarsi è stato un importante punto di riferimento per lo sviluppo delle scienze dell’educazione in Italia. Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, con le sue numerose pubblicazioni e il suo forte impegno sociale ha dato un importante contributo nel campo della pedagogia della famiglia e della cultura dell’infanzia.