CAPITOLO 1

Scuola e società in Maria Montessori

La sensibilità sociale di Maria Montessori, unitamente alla sua convinzione che l’organizzazione della società influenzi profondamente la scuola e il successo scolastico del bambino, è assai evidente negli scritti “giovanili”, mentre si stempera nella fase più matura, quando essa sembra lasciare il campo ad una prospettiva più irenica ed universalistica. Uno dei presupposti di quanto sostenuto in questo capitolo, quindi, risiede nell’accoglimento della tesi – illustrata nella premessa – di una Montessori “una e bina”, mentre l’altra ipotesi fa riferimento alle unanimemente riconosciute radici positivistiche della formazione della studiosa marchigiana, che pure si distingue originalmente nel panorama del positivismo pedagogico italiano, come rileva Remo Fornaca quando scrive: «Nella crisi e nel superamento del positivismo, specie pedagogico e scolastico, la Montessori veniva a collocarsi in una posizione del tutto originale, proprio nel modo di interpretare i fenomeni educativi e l’assetto delle istituzioni infantili»1.


La formazione positivistica di Montessori traspare chiaramente dalla sua valorizzazione del metodo scientifico, che la giovane studiosa acquisisce e che poi contribuisce ad innovare con originalità. I positivisti credono infatti in una pedagogia scientifica come scienza esatta ed in cui la prospettiva induttiva è basilare. Al contempo, almeno i più progressisti fra loro, colgono anche quella che possiamo definire la dimensione sociale dell’educazione e cioè lo stretto legame che esiste tra la scuola e la società. Nel cogliere questi caratteri Giovanni Genovesi ha scritto con chiarezza: «Il Positivismo è animato dalla fede nel progresso dell’umanità, sia pure concepito in termini “non più lineari, ma come risultante della convergenza e del contrasto tra forze”, sotto la spinta della scienza, della tecnica e del lavoro umano quali immancabili instauratori di giustizia e di tolleranza. Esso, pertanto vede nell’istruzione e nell’educazione i doveri più urgenti. Per assolvere tali doveri occorre però dare all’educazione una base sperimentale, fare cioè della pedagogia una scienza esatta, in cui il momento intuitivo occupi un posto preminente rispetto a quello deduttivo. Ossia, la scienza pedagogica in quanto scienza deve fondarsi sull’osservazione sistematica del fatto, del particolare osservabile per giungere così, attraverso collegamenti fra i risultati di varie osservazioni, alla formulazione di leggi universali non a priori, ma dedotte dalla collazione di esperienze simili»2.

Scienza positiva e pedagogia scientifica

Anche Maria Montessori esalta il ruolo della scienza positiva e sostiene che la sua assenza dalla scuola è una delle cause principali della scarsa considerazione sociale dell’istruzione popolare e dei maestri3. Per questa ragione insiste in più occasioni sulla necessità che anche la pedagogia acquisisca il metodo scientifico ed al riguardo afferma che “dobbiamo imparare a leggere il vero nella natura”, in primo luogo “raccogliendo con obiettività i fatti singoli” ed inoltre “procedendo con metodo dall’analisi alla sintesi”. È evidente che “l’oggetto delle indagini è l’individuo umano” e che la raccolta dei dati deve essere realizzata per mezzo dell’osservazione e della misurazione, da condursi con speciali “istrumenti antropometrici”. «Nella raccolta dei dati – scrive a questo riguardo Maria Montessori – la nostra scienza si serve di due mezzi d’investigazione: l’osservazione o antroscopia; e la misurazione o antropometria. Nella misurazione ci occorre la conoscenza e l’uso di speciali strumenti antropometrici; nell’osservazione ci occorre di rendere noi stessi simili a strumenti, cioè di spogliarci della nostra propria personalità, di ogni preconcetto, per divenire capaci di raccogliere obiettivamente la realtà». Poiché è appunto dalla osservazione costante della realtà che possono essere tratte ulteriori conoscenze. E questo è in effetti lo scopo principale: raccogliere dalla natura, aspettando le sue rivelazioni; avendo preconcetti scientifici, potremmo alterare il vero. Ecco ciò che contraddistingue la scienza sperimentale da una scienza speculativa: là occorre spogliarsi dal pensiero, qui costruire col pensiero. Noi dunque nel momento in cui raccogliamo i dati, non dobbiamo possedere altra capacità, che quella di saperli raccogliere con estrema esattezza e obiettività»4.


Maria Montessori sottolinea infatti la necessità di rinnovare il metodo della ricerca, abbandonando vecchi atteggiamenti fideistici e non facendosi condizionare dai preconcetti. «Chi esperimenta – scrive al riguardo – deve in quel momento spogliarsi di ogni preconcetto e fa parte dei preconcetti anche la cultura. Se dunque vogliamo tentare una Pedagogia sperimentale, ci converrà rinunciare alle fedi e procedere col metodo alla ricerca del vero. Non dobbiamo quindi partire, per es., da idee dogmatiche sulla psicologia infantile – ma da una metodica che ci faccia raggiungere la libertà del bambino – per poter trarre dall’osservazione delle sue manifestazioni spontanee, la vera psicologia infantile»5. La studiosa marchigiana è infatti convinta che l’osservazione consenta di far progredire la scienza, anche se è vero che ne enfatizza in qualche modo la portata, con una evidente sottovalutazione della prospettiva deduttiva e della stessa ipotesi che è invece fondamentale nel processo di scoperta scientifica. Scrive infatti: «La scienza positiva progredisce appunto sull’osservazione, e tutte le scoperte e le loro applicazioni che dall’ultimo secolo valsero a trasformare l’ambiente civile, furono conseguite lungo il medesimo cammino. Dobbiamo perciò preparare le nuove generazioni a quest’attitudine, che si rende necessaria come forma di vita civile moderna; e come mezzo indispensabile a continuare efficacemente l’opera del nostro progresso»6.

Alla base della nuova pedagogia scientifica vi è per Montessori l’antropologia pedagogica, di cui cerca di chiarire i caratteri e i principi, nella convinzione che essa debba avere una sua specificità rispetto alla antropologia generale, alla stessa stregua dell’antropologia medica e criminale. Il suo carattere peculiare, peraltro, le appare piuttosto chiaro, essendo quello dello studio dello scolaro mediante l’osservazione e la predisposizione delle cartelle biografiche. Tale esame non può essere solo morfologico ma anche psichico e proprio per questo l’antropologia pedagogica deve integrarsi con la psicologia sperimentale e studiare in particolare il comportamento e le reazioni del bambino all’interno della scuola. Anche in questo sta la specificità dell’antropologia pedagogica, che abbisogna del contributo non solo del medico specialista ma anche del maestro che è chiamato ad osservare continuamente gli allievi e ad integrare i risultati delle sue osservazioni con quelle fatte dal medico. «Inoltre il maestro dovrà attingere dall’indirizzo antropologico anche pratiche norme sull’arte di condurre il fanciullo nell’educazione, e ciò specialmente rende necessaria la coltura antropologica e psicologica del maestro moderno»7.


La originalità e il carattere precursore della riflessione montessoriana stanno nell’aver capito che l’osservazione psicologica del bambino deve essere condotta in un ambiente che gli è naturale per poter dare dei risultati significativi e – come diremmo oggi – ecologicamente validi. Per questo la scuola viene ritenuta la sede più idonea per tali osservazioni e dunque per consentire una reale conoscenza del bambino. «La scuola costituisce un immenso ambiente di studio, scrive infatti Montessori; la “clinica pedagogica” non può paragonarsi a nessun’altra riunione di soggetti di studio, per la sua importanza. Essa in base all’obbligatorietà dell’istruzione, raccoglie tutti gl’individui umani, di ogni sesso, di ogni casta sociale, normali e anormali: e li trattiene durante un importantissimo periodo della crescenza. In tale campo, adunque, può veramente applicarsi la cultura dell’umanità; e l’opera dei medici, unita a quella dei maestri, vi potrà far germogliare l’igiene umana, atta a perfezionare la specie e la civiltà»8. La studiosa marchigiana, in effetti, riconosce particolare importanza alla scienza anche ai fini del rinnovamento della scuola ed in questo ambito si dice convinta che il metodo più utile, anche se non l’unico, sia quello sperimentale. «Il rinnovamento della scuola, dell’educazione e di riflesso dell’umanità tutta – scrive Redi Sante Di Pol – poteva avvenire secondo la Montessori solo attraverso un nuovo impegno morale ed una migliore e più adeguata utilizzazione della scienza. La stessa scuola avrebbe dovuto trasformarsi a tal fine “in una specie di gabinetto scientifico per lo studio psicogenetico dell’uomo” ed in esso l’insegnante avrebbe avuto anche un compito di sperimentatore»9.

Maria Montessori, in questo contesto, dimostra chiaramente di prediligere l’osservazione dei bambini, poiché essa consente di conoscerli realmente. L’osservazione psicologica costituisce, in effetti, uno degli aspetti peculiari della proposta montessoriana, che, specialmente per questo aspetto specifico, si presenta nella sua più piena attualità. A questo proposito è stato affermato da Roberto Mazzetti – uno dei maggiori conoscitori di Montessori – che la studiosa ha ben chiaro «che ciò che è essenziale alla psicologia e alla pedagogia è il metodo dell’osservazione, che essa intende in effetti come osservazione partecipante, accurata e continua, e quindi come psicologia clinica, non schematizzante ma individualizzante, non contemplativa, ma aiutatrice»10. Il presupposto di questo metodo è che i bambini vengano osservati non in condizioni di laboratorio, bensì mentre si comportano e si esprimono liberamente nel loro ambiente naturale: «Il metodo dell’osservazione è stabilito da una sola base fondamentale: la libertà degli scolari nelle loro manifestazioni spontanee»11. Ed è appunto su questo aspetto della osservazione del bambino che Montessori insiste molto, indicando nella capacità osservativa una delle competenze magistrali. «Ecco il punto essenziale. Dalla preparazione scientifica il maestro dovrebbe conquistare non solo la capacità, ma l’interesse di osservatore dei fenomeni naturali. Egli nel nostro sistema dovrà essere un “paziente” assai più che un “attivo”; e la sua pazienza sarà composta di ansiosa curiosità scientifica e di rispetto assoluto al fenomeno che vuole osservare. Bisogna che il maestro intenda e senta la sua posizione di osservatore: l’attività deve stare nel fenomeno»12. Pochi anni dopo ribadirà con chiarezza che «la qualità fondamentale è quella di sapere “osservare”, qualità tanto importante che le scienze positive si chiamarono anche “scienze di osservazione”, denominazione che si è cambiata in “scienze sperimentali” per quelle in cui all’osservazione può unirsi l’esperimento. Per osservare, evidentemente, non basta avere i sensi e non basta avere una conoscenza: è un’attitudine che bisogna sviluppare con l’esercizio… Per osservare bisogna essere “iniziati”: e questo è il vero avviamento alla scienza. Perché se i fenomeni non si vedono è come se non esistessero: invece l’anima dello scienziato è tutta fatta di un appassionato interesse a ciò che vede. Chi si è iniziato a vedere, comincia ad interessarsi: e tale interesse è la forza motrice che crea lo spirito dello scienziato»13.


Montessori assegna grande importanza all’osservazione dei bambini, quale elemento peculiare della rinnovata pedagogia scientifica ed interessante è anche la sua intuizione relativa a quella che – come accennato – oggi potremmo definire osservazione ecologica. «Per costruire una Pedagogia scientifica – scrive – bisogna battere una strada diversa da quella supposta fin qui. La trasformazione della scuola è necessario che sia contemporanea alla preparazione dei maestri: se abbiamo preparato maestri osservatori e iniziati all’esperienza, conviene che nella scuola essi possano osservare e sperimentare. Un cardine fondamentale della Pedagogia scientifica deve essere la libertà degli scolari, tale che permetta lo svolgimento delle manifestazioni spontanee individuali del bambino. Se una pedagogia dovrà sorgere dallo studio individuale dello scolaro, sarà dallo studio inteso in questo modo – cioè tratto dall’osservazione di bambini liberi. Invano attenderemmo il rinnovamento pedagogico dall’esame metodico degli scolari di oggi, secondo le guide offerte dall’antropologia pedagogica e dalla psicologia sperimentale»14.

“Carta biografica” e conoscenza del bambino

Maria Montessori critica la prospettiva della psicologia psicometrica, anche se, com’è noto, è tutt’altro che contraria alla misurazione della dimensione somatico-psichica dello sviluppo dei bambini e degli adulti. Significativi a questo riguardo sono il suo insegnamento e la sua opera sulla antropologia pedagogica, per mezzo dei quali, fra l’altro, cerca di mettere a punto quella scheda biografica che è chiaramente orientata in senso antropometrico. Nonostante questo, però, Montessori introduce una distinzione netta tra la misurazione dei dati oggettivi dello sviluppo somatico e l’osservazione dei comportamenti complessivi dei bambini. «A suo parere – scrive Roberto Mazzetti – quantificare lo spirito significava disincarnarlo e disindividualizzarlo; significava sopravvalutare la media a spese dell’individuo. Fondare l’educazione dei bambini sulle misure dei reattivi mentali, degli inventari e dei questionari, con la pretesa di afferrare e quantificare il loro sviluppo psicologico e quello spirituale, significava mettere in atto un processo di spersonalizzazione. In altri termini, l’ambito della validità della misurazione era costituito soprattutto dalle strutture e dai processi relativi allo sviluppo somatico, alla salute e alla malattia e così pure a fondamentali interazioni sociali fra l’organismo e l’ambiente: vedi analisi delle situazioni economiche e sociali delle famiglie dei bambini e dell’incidenza di queste situazioni, nella vita affettiva e mentale dei bambini stessi. Ma il tutto della misura e della quantificazione doveva poi esser risolto in un atto di qualificazione e di compartecipe individualizzazione»15.


I dati desunti dalla osservazione del bambino reale servono infatti come fondamento all’intervento pedagogico montessoriano che intende appunto svilupparsi su una base empirica definita per poter promuovere la modificazione degli stessi caratteri infantili. «Da ciò trapela – ha scritto Lino Rossi – l’idea fondamentale della riflessione antropologico-pedagogica montessoriana. La natura dell’uomo, colta attraverso gli strumenti antropologici e psicologici, non è ossuta e pietrificata sostanza istintiva e inerte quale veniva descritta ad esempio da Lombroso e da Morselli, modificabile solo dall’eredità biologica e ontogeneticamente fissa. Non si tratta di una costituzione innata definitiva; ma al contrario durante lo sviluppo ontogenetico anche i caratteri naturali possono essere mutati, se affrontati secondo tattiche idonee»16. Anche da questo punto di vista, quindi, Montessori si distingue originalmente dalla pedagogia positivistica classica, per la quale hanno importanza assoluta gli studi e le misurazioni antropologiche, che enfatizzano la portata del dato ereditario sulla base di un meccanicismo evoluzionista che rischia addirittura di legittimare posizioni razzistiche e che, comunque, impedisce l’attivazione di una reale riflessione pedagogica che tenga conto delle specificità della personalità infantile e della influenza dell’ambiente familiare e sociale sulla evoluzione del bambino. È evidente, allora, che il modello pedagogico positivistico si presenta come eccessivamente statico e che questo suo carattere peculiare è alla base del didatticismo che ne consegue e che – per la sua artificiosità ed estremizzazione – consentirà sortite altrettanto sbagliate ed estremistiche come quelle dei pedagogisti idealisti, che concorreranno ad annientare nel nostro paese l’interesse per la didattica e la metodologia dell’insegnamento17.

Montessori, al contrario, insiste molto sulla necessità di conoscere la soggettività del bambino, al fine di valorizzarne la specificità ed il carattere processuale dello sviluppo. La studiosa, fra l’altro, sottolinea come questo dato consenta di sperare nella fondazione di una nuova scienza di ricerche sul bambino, che potrà essere di evidente utilità anche per la vita sociale degli uomini. Lei stessa, d’altra parte, contribuisce in maniera rilevante a rendere più “visibile” il bambino e a definirne una più precisa identità. Fin dai primi scritti, infatti, Maria Montessori rileva che il bambino non è un uomo in miniatura ma presenta una sua specificità. E non è un’acquisizione da poco in un periodo in cui si pensa generalmente il contrario. La studiosa scrive che «i caratteri infantili non sono quelli dell’adulto ridotti a piccole proporzioni, ma costituiscono caratteristiche infantili». Come si trasforma il corpo «così la personalità psichica dell’uomo non cresce, ma evolve». Per queste ragioni all’antropologia pedagogica viene affidato il compito di studiare gli anormali, perché tale acquisizione possa poi aiutare i maestri a conoscere “l’umanità normale”. Oltre a questo colpisce il richiamo della Montessori a conoscere l’individualità di ogni ragazzo, per cercare di capire anche le ragioni più recondite alla base della sua formazione. «Gli educatori sono ben lontani dal conoscere quella scolaresca di fanciulli normali, sulla quale si abbatte ciecamente l’uniformità del metodo, l’incoraggiamento, il castigo: se invece lo scolaro sorgesse innanzi agli occhi del maestro come una individualità vivente, ben altri criteri egli dovrebbe adottare, scosso nelle profondità della coscienza, dalla rivelazione di responsabilità dapprima insospettate»18.


Poche pagine prima, d’altra parte, era stata al proposito anche più netta, laddove aveva stigmatizzato che gli educatori si riferissero quasi sempre ad un bambino assolutizzato, manualisticamente inteso, senza preoccuparsi al contrario di conoscere la specificità di ogni singolo allievo. «Nella scuola – scrive infatti Montessori – abbiamo finora ritenuto quasi principio di giustizia l’uniformità livellatrice degli scolari: un’eguaglianza astratta che riporta tutte le individualità infantili verso un tipo che non può chiamarsi idealizzato, perché non rappresenta un esempio di perfezione, ma che è invece una inesistente astrazione filosofica: il bambino. Gli educatori sono preparati alla loro azione pratica sull’infanzia, dalle conoscenze apprese intorno a codesta astratta personalità infantile; ed entrano nel campo della scuola col preconcetto di dover rintracciare in tutti gli scolari, pressa a poco l’incarnazione di codesto tipo, e così per anni si illudono di aver conosciuto ed educato il fanciullo. Ora l’uniformità supposta non può esistere nell’infanzia di quell’umanità così varia, che contiene nel tempo medesimo Musolino [in nota si ricorda che è un brigante] e Luccheni [ancora in nota si informa che è un anarchico regicida], Guglielmo Marconi e Giosué Carducci. Tutti i differenti tipi sociali degli uomini lavoratori della mano e dell’intelletto, i trasformatori dell’ambiente, i produttori della ricchezza, i dirigenti dei governi, come la turba indefinita dei parassiti, degli antisociali, tutti vissero insieme nell’infanzia, seduti l’uno accanto all’altro sui banchi della scuola»19.


La conoscenza approfondita e specifica del singolo bambino è dunque l’obiettivo prioritario indicato da Montessori che cerca, allo scopo, di dare delle indicazioni tecniche puntando moltissimo sulla realizzazione delle “storie biografiche”. Queste ultime vengono individuate quale “base scientifica” della pedagogia e sostituiscono le pagelle e i registri, arricchendo ulteriormente il significato di questi strumenti burocratici, il cui scopo era quello di constatare gli effetti dell’insegnamento, mentre la carta biografica intende indagare le cause delle difficoltà dei bambini e documentare i successi e l’acquisizione delle competenze. La carta biografica, inoltre, viene associata ad una nuova cultura e a una nuova identità professionale del maestro, posto sullo stesso piano del medico nell’impegno di miglioramento delle giovani generazioni20.

La studiosa marchigiana fornisce un grosso contributo alla messa a punto di questo strumento, che sarà poi legittimato dagli stessi programmi del 1914 per gli asili infantili, dove, peraltro, esso sarà utilizzato con molti limiti e contraddizioni21. La “Carta biografica” viene proposta per la prima volta nel 1886 da Giuseppe Sergi, che utilizza allo scopo le pagine della torinese “Rivista di Pedagogia”. Essa si compone di due tabelle destinate rispettivamente alle osservazioni fisiche ed alle osservazioni psicologiche. Come lo stesso studioso positivista scrive con chiarezza «la Carta biografica è un mezzo metodico di osservazione diretta a conoscere il corpo e lo spirito del discente; e un primo vantaggio dell’applicazione sarebbe che l’educatore verrebbe a sapere i dati fisici e mentali di ciascuno dei suoi alunni e sperimentalmente, e registrandoli nella cartella di scuola e nel suo memoriale giornaliero, acquisterebbe una tale cognizione della natura infantile, delle sue forze e del modo di esplicarsi, da poter educare e dirigere razionalmente e con minor fatica i suoi alunni»22. La proposta di Sergi incontra anche delle critiche e delle opposizioni, ma nel corso degli anni Novanta «è diventata intelleggibile a moltissimi insegnanti, perché si è discussa largamente in molti periodici di pedagogia»23. È peraltro vero che alla Carta non mancano i nemici, che sottolineano il suo uso discriminatorio e socialmente assai pericoloso. Gaetano Bonetta ha rilevato a questo riguardo che «oltre a ricevere critiche sulla sua complessità, con il passar del tempo fu accusata di trascendere l’impiego educativo e di situarsi al di là della ricerca sperimentale e pedagogica. E ciò era in gran parte vero. Infatti la Carta aveva decisamente un’anima antropometrica che finiva con il servire più la categorizzazione culturale che la ricerca pedagogica. La Carta, nata dal non “confessato” bisogno di ideologizzare quella che era una virtuale seriazione umana, finiva con l’essere una sorta di casellario fisiognomico da cui fiorivano stigmi che oltre a determinare il successo o l’insuccesso scolastico, e quindi a perpetuare le diversità “naturali” e sociali, potevano con tutta probabilità condizionare e “contrassegnare” l’intera esistenza individuale e pubblica dello scolaro»24.


I principi di fondo che informano la Carta biografica sono quelli che Montessori utilizza per elaborare la “scienza nuova” dell’Antropologia pedagogica che è alla base della pedagogia “scientifica” montessoriana. Anche sulla base di questo tipo di ricerche la studiosa marchigiana matura una evidente sensibilità sociale, che la porta a stigmatizzare la scuola italiana colpevole di penalizzare tutti quei ragazzi che «si dimostrano refrattari all’ambiente della vita sociale». Questi ultimi, infatti, ed in particolare le «varie categorie di fanciulli anormali», stante l’attuale organizzazione scolastica, «ripeteranno più e più volte la classe perturbandone la condotta e la disciplina» e – conclude amaramente Montessori – «a traverso castighi e persecuzioni finiranno per essere scacciati senza aver nulla appreso, senza essere stati in alcuna maniera modificati»25.


Allo stesso modo viene anche rilevato che la storia biografica contribuisce alla elaborazione di una larga messe di materiale documentario che potrà essere utile oltre che alla pedagogia anche ad altre discipline, quali la sociologia, la medicina e la giurisprudenza. Le due finalità educative che paiono avere maggiore significato – e, sia detto per inciso, una forte attualità – sono però quelle che alimentano, da una parte, il rapporto tra la scuola e la famiglia e dall’altra la costante capacità autoformativa del singolo bambino. «La storia biografica – scrive Maria Montessori – compie lo studio individuale del soggetto e ne prepara la diagnosi: fondendo a tale intento l’opera della scuola con quella della famiglia». E continua: «La carta biografica sarà per ogni individuo un documento capace di guidarlo nella propria ulteriore autoeducazione»26.

Antropologia pedagogica ed emancipazione sociale

Nell’ambito dell’insegnamento dell’antropologia pedagogica – disciplina di cui tiene la cattedra nell’Università di Roma27 – Maria Montessori ha modo di affinare la sua già puntuale sensibilità sociale, che la mette in grado di capire l’influenza che la condizione sociale opera nel processo evolutivo infantile. A tale riguardo, anzi, compie una ricerca assai interessante, tesa a verificare, mediante la strumentazione antropometrica allora in voga, «se gli allievi più intelligenti avessero un cranio più sviluppato dei meno intelligenti». Per questo sottopone a misurazione il più intelligente e il meno intelligente di diverse classi, indicati dai rispettivi maestri, senza sapere a priori quali fossero i primi e quali gli ultimi, per non essere condizionata nelle misurazioni. La ricerca tiene anche conto della risposta fornita dal maestro e in particolare dei motivi che lo avevano portato a classificare i due bambini indicati come il più e il meno intelligente della sua classe. Montessori ha così modo di fare una considerazione di sorprendente attualità, rilevando che le risposte dei maestri hanno denunciato il loro dislivello nella “capacità di giudicare gli allievi”, derivato dal fatto che nessuno ha mai insegnato loro come si può fare. E così scrive: «Manca nelle scuole normali una preparazione per condurre i maestri a giudicare i loro allievi con criteri scientifici, e si lascia questa parte di fondamentale importanza all’arbitrio, alla buona volontà e, purtroppo spesso, alla completa ignoranza individuale».


Anche per questo, quindi, dalle “storie biografiche” riportate e ricostruite sulla scorta delle indicazioni fornite dai maestri, Montessori deduce che i dati non sono molto chiari e che, ad esempio, alcuni bambini che sono catalogati fra i migliori potrebbero trovarsi fra i mediocri e viceversa fra questi ultimi sono anche coloro che sono classificati come i peggiori. Nonostante queste difficoltà ed altre poste direttamente dai genitori – alcuni dei quali «hanno minacciato ribellione e ricorso alle autorità perché io misuravo la testa dei loro figli» – i risultati appaiono molto significativi e testimoniano della puntuale sensibilità sociale di Maria Montessori, la quale rileva in questo modo l’esistenza di una relazione tra lo stato sociale dei bambini e la loro “intelligenza”. «Esiste dunque – scrive a questo proposito la studiosa – una enorme differenza nella condizione economica dei bambini giudicati come i migliori e come i peggiori, dal lato intellettuale, in una classe. Gli intelligenti hanno una percentuale doppia nelle abitazioni sufficienti; i non intelligenti hanno una percentuale quadrupla nelle abitazioni avvelenate di anidride carbonica (3-4-11 persone in una camera!)». Allo stesso modo vengono evidenziati i condizionamenti che derivano dallo stato nutrizionale dei bambini, tanto che coloro che dispongono di maggiori possibilità risultano anche essere quelli più “intelligenti”. Infatti fra i bambini che vengono a scuola senza colazione o con il solo pane solo il 12% vengono classificati intelligenti, mentre il 46,96% vengono definiti “non intelligenti”. Fra quelli con colazione scarsa il 12% vengono definiti bambini intelligenti ed il 30,89% non intelligenti, mentre tra coloro che usufruiscono di una colazione abbondante o pranzo il 75,77% sono definiti intelligenti e solo il 22,21% non intelligenti. Le cifre parlano da sole e mostrano come la condizione sociale influenzi pesantemente anche il successo scolastico.

In questo contesto Montessori rileva anche come le professioni dei genitori abbiano una loro incidenza, anche se non nella misura degli altri elementi esaminati. Vero è, comunque, che i figli dei professionisti sarebbero più “intelligenti”. Condizionante sarebbe poi il tempo extrascolastico e le modalità con cui il bambino lo trascorre, in quanto molti piccoli sono lasciati nella strada in mancanza di appositi Educatori. Un altro elemento condizionante è dato dalla disparità di età fra i genitori, considerato che una differenza superiore ai dieci anni fra i due coniugi è considerata nociva. Dai dati raccolti da Montessori risulta anche che i bambini giudicati come «migliori vivono in più favorevoli condizioni di nutrizione e il peso maggiore lo conferma», mentre anche i figli dei più poveri, che però vivono all’aria aperta, presentano un maggiore perimetro toracico, che non è condizionato dall’alimentazione bensì dall’aria respirata.


Questo porta la studiosa ad alcune considerazioni retoriche, di vago sapore moralistico, quando afferma, appunto, che se gli Educatori raccogliessero tutti i bambini forse questo risultato sarebbe precluso, in quanto con la frequenza dell’Educatorio non sarebbe più possibile al bambino giocare all’aria aperta e respirare a pieni polmoni l’ossigeno ed allargare così il proprio perimetro toracico. Colpisce in questo caso la riflessione assai schematica di Montessori, che oppone la vita nell’Educatorio a quella all’aria aperta, come se il primo dovesse essere comunque una sorta di prigione e non potesse invece prevedere anche delle attività al di fuori delle strutture. E la poca chiarezza della studiosa al riguardo è deducibile anche dalla considerazione successiva, quando, pur riconoscendo la esigenza di istituzioni sociali per i bambini più svantaggiati, fa balenare la possibilità che con la creazione degli Educatori non si porti un reale vantaggio ai bambini con minori opportunità. «La minestra che si dà nell’Educatorio può compensare il perduto riposo della libertà e l’aria libera respirata per molte ore al giorno?» domanda in maniera retorica Maria Montessori, denunciando una ingenuità che dimostra già in questo periodo la sua incapacità di tenere sempre presente la realtà fattuale dei bambini italiani e l’incidenza dei rapporti sociali. Tuttavia la stessa educatrice chiarisce che l’intervento sociale è comunque importante e scrive: «Certo, dal lato civile e morale s’impone una istituzione che protegga i fanciulli abbandonati nelle strade: ma tale protezione non suoni aggravamento di condanna a chi è già oppresso da una nascita sociale sventurata». Al contempo ci tiene a chiarire che anche i bambini delle famiglie abbienti possono risentire gravemente della loro condizione, in quanto, chiusi nei loro appartamenti, non hanno possibilità di vivere esperienze sane e felici all’aria aperta e di sviluppare convenientemente il loro fisico. I risultati generali della ricerca portano così Montessori ad affermare che le cause del diverso rendimento scolastico sono da ricondursi a due fattori: «uno si riferisce a condizioni biologiche di nascita… l’altra a condizioni sociali». Per questo sostiene che occorre riconsiderare il “senso di giustizia” con cui vengono giudicati gli alunni, proprio per tener conto di questi nuovi fattori. «Al criterio degli effetti psicologici sul quale oggi i maestri esclusivamente si basano per giudicare gli scolari è necessario aggiungere quello fondamentale delle cause biologiche e sociali che vi corrispondono. È giusto premiare di lodi quel bambino perché, nato da genitori sani, ha raggiunto il massimo perfezionamento biologico della razza, ereditando un cervello fortemente costituito? e metterlo come a confronto di demerito personale, innanzi a quel bambino che, nato da parenti nevropatici, o troppo dispari d’età, o posti in condizioni reciproche sfavorevoli alla normale e forte procreazione ereditò una costituzione cerebrale debole?». Montessori dimostra di avere chiara l’incidenza dei condizionamenti provenienti dallo stato sociale e, con una riflessione assai significativa, arriva a sottolineare che così come la bellezza del corpo non viene riferita al merito individuale, essendo da esso indipendente, così sono «involontarie anche le condizioni biologiche e sociali di nascita» e non debbono perciò condizionare il giudizio che viene dato sulla intelligenza dei bambini. Questo fa sì che tutta la scuola sia coinvolta – in quanto istituzione – in questa rinnovata opera educativa che deve tener di conto di questi nuovi fattori. Ma da queste giuste considerazioni la Montessori fa discendere una conseguenza nefasta, in quanto tende a dividere i bambini dalle diverse capacità e dalla diversa provenienza sociale, con il risultato finale – da lei non colto e paventato – di dare una impronta ancora più di classe alla educazione. «Con ciò – ella scrive – non è menomata l’opera educativa: ma anzi le si indica un progresso che tra poco dovranno pure imporle il problema scientifico e quello sociale. Non l’educatore soltanto è coinvolto nella questione; ma, e soprattutto, la scuola. Essa non dovrà permettere che siedano a lato dei bambini sazi e dei bambini affamati; dei bambini ricchi di forze fisiologiche e dei bambini deboli, proletari delle forze umane. Se con l’educazione si vogliono adattare all’ambiente gl’individui, svolgendo nel modo a ciò più favorevole le loro forze e i loro poteri volitivi, bisognerà in primo luogo dare la nutrizione sufficiente ai bambini delle scuole, affinché le umane pianticelle crescano rigogliose; e cercar di sottrarle ad ambienti intellettualmente e moralmente perniciosi alla loro salute psichica: – e in secondo luogo converrà separare in gruppi diversi gli aristocratici dai proletari fisiologici. Poiché giammai non potremo sviluppare tutte le forze del bambino normale e intelligente e dirigerle con l’educazione della sua volontà attiva al massimo utile sociale – se dovremo di necessità usare con lui uno stesso metodo comune ai torpidi, ai tardivi e perfino agli anormali!»28.

Montessori ha infatti paura che la presenza nella stessa classe di bambini con diverse possibilità appiattisca i più “intelligenti” su attività alla portata delle capacità degli altri e non consenta loro di sviluppare alcuna possibilità di emulazione; i “meno intelligenti”, d’altra parte, non trarrebbero alcun vantaggio da questa situazione di promiscuità, in quanto si renderebbero conto di questa loro subalternità e sarebbero costretti alla impotenza. Entrambi invece potrebbero ottenere dei buoni risultati in ambienti a loro congeniali e compatibili con le loro possibilità. Non sfugge l’ingenuità politica di Montessori, la cui sensibilità sociale non è sufficiente a farle comprendere che una divisione del genere perpetuerebbe le differenze già esistenti, mentre al contrario, potrebbero essere attenuate da scelte di politica sociale tese a migliorare complessivamente le condizioni di vita delle masse popolari e, nello specifico orientate alla istituzione di un servizio generalizzato di refezione scolastica.


Alle medesime conclusioni Montessori giunge, in questo stesso periodo, con un’altra interessante ricerca, pubblicando i risultati della quale sottolinea ancora una volta come il censo e la collocazione sociale influenzino la vita degli individui. «Se volessimo basarci sulle gerarchie intellettuali – scrive infatti – e mettere i vincitori dei titoli accademici e delle alte cariche come i letterati, professori, magistrati, contro i vinti del lavoro umano come manuali, facchini, infermieri, correremmo il rischio di paragonare fatalità di nascita sociale più che diversi livelli intellettuali. Poiché la nostra società non permette la libertà del lavoro intellettuale, ma ne esclude tutto un proletariato nel quale l’intelligenza può trovarsi molto sviluppata»29. Il problema quindi è assai più complesso di quanto non si pensi, ed occorre rifuggire da “dogmi” che sarebbero pericolosissimi poiché utilizzati strumentalmente per legittimare le differenze sociali. Proprio per questo Montessori si compiace del fatto che la situazione sta cominciando a mutare rispetto agli studi antropologici classici. «L’antropologia che si fa base delle disuguaglianze sociali di casta e di sesso – scrive infatti – sta già decadendo insieme ai dogmi tutti che sanciscono tali disuguaglianze. Invece oggi entra serena e libera nella scuola e si mette a lato della pedagogia»30.


È peraltro vero che anche Montessori continua ad essere condizionata dalla opzione meccanicistica che caratterizza gli studi antropologici. Non per nulla consente con la concezione per cui «le persone che hanno gradi accademici posseggono un volume cranico maggiore». Ma è anche vero che l’accettazione di tale tesi non è acritica, e anzi le serve per evidenziare originalmente il carattere processuale – e dunque non più solamente ereditario – dello sviluppo del cervello e dell’intelligenza. “La funzione sviluppa l’organo”, era stata una legge biologica generale condivisa anche nella temperie culturale positivistica ed è in base a questa che Montessori sostiene che l’istruzione obbligatoria favorirebbe anche un diverso e più ricco sviluppo fisiologico. «Quindi – conclude – insieme a quelli fisiologico ed etnologico un concetto nuovo entra fra i criteri di comparazione del volume cranico; quello pedagogico dell’esercizio intellettuale metodico e progressivo»31. È conseguente, pertanto, il richiamo montessoriano affinché la scuola abbia una maggiore diffusione e gli insegnanti – nonché i pedagogisti – si rendano sempre più conto della grande influenza che le condizioni sociali degli allievi hanno sul loro successo o insuccesso scolastici.

Il Progetto sociale della «Casa dei Bambini»

Maria Montessori dimostra in questo periodo una specifica attenzione per la dimensione sociale dell’educazione, come si può chiaramente evincere dal discorso che svolge il 7 aprile 1907, in occasione dell’apertura della seconda “Casa dei Bambini” nel popolare quartiere di S. Lorenzo. Questo è un testo assai importante non solo per le proposte relative all’esperienza educativa, ma ancora di più per l’interesse di tipo “sociale” e “civile” che si può riscontrare nella studiosa32. Maria Montessori denuncia con forza il degrado che contraddistingue la vita nel quartiere di S. Lorenzo, al cui proposito scrive che «non è il quartiere del popolo, è il quartiere dei poveri». La studiosa ricorda come tale agglomerato era nato quando, nel periodo che va dal 1884 al 1888, si era costruito senza particolari accorgimenti solo perché i costruttori avevano tratto particolari benefici in termini di contributi finanziari da parte di banche ed altri istituti pubblici. La conseguente crisi edilizia aveva fermato i lavori e così tutti quei palazzi – privi dei servizi complementari essenziali – erano stati abitati come erano, con l’espandersi della pratica del sub-affitto a causa dell’eccessivo costo imposto dai proprietari. Di qui il diffondersi di un eccessivo affollamento, fonte di promiscuità ed in molti casi di immoralità e di delitti. Le condizioni di vita a cui sono costretti gli abitanti di queste case sono in effetti difficilissime non solo per le difficoltà finanziarie, ma anche per la qualità stessa delle abitazioni al cui interno, molto spesso, manca anche la luce per vedere. Per cui fa davvero uno strano effetto – continua polemicamente Montessori – sentir parlare dell’esigenza di favorire la crescita culturale del popolo e dell’importanza di istituire delle biblioteche circolanti, quando appunto mancano le stesse condizioni minime per poter leggere. «C’è per questo proletariato un problema profondo prima di quello della elevazione intellettuale: il problema della vita». Ed ancora di seguito: «Qui pei fanciulli che nascono bisogna mutare la frase consueta: essi non vengono alla luce, vengono alle tenebre, e crescono tra le tenebre e i veleni dell’agglomerato urbano».


Tale situazione sembra indurre la studiosa a una maggiore consapevolezza politica, visto che evidenzia criticamente la insufficienza degli interventi della beneficenza pubblica e privata ed afferma la necessità di sostituirli con organici interventi pubblici. Anche la Casa dei Bambini – la tipica istituzione montessoriana che accoglie i bambini più piccoli – si situa in questo tipo di intervento ed è “guadagnata” dalle famiglie con il loro impegno a occuparsi direttamente della manutenzione degli edifici in cui abitano. Questo – ricorda Montessori – ha determinato una amorevole cura per gli edifici in cui si abita, tanto che questi ultimi, ed il loro stato di conservazione, possono essere additati come esempio di impegno cooperativo degli inquilini. La Casa dei Bambini è assicurata dietro l’impegno delle famiglie di mandare i bambini a scuola perfettamente puliti e di coadiuvare l’opera della educatrice. «Nella “Casa dei Bambini” riservata esclusivamente ai piccini del casamento che non hanno ancora l’età della scuola, le madri lavoratrici possono lasciare tranquille i figliuoli, con loro immenso beneficio, con risparmio di forza, con grande sollievo di libertà. Ma anche questo beneficio non è senza tassa di cure e di buon volere; lo dice il regolamento appeso sulle mura dello stabile: “Le madri hanno l’obbligo di mandare i loro bambini puliti e di coadiuvare all’opera educativa della direttrice”». Le madri dovranno andare almeno una volta la settimana a conferire con la maestra, in maniera che sia possibile dare e ottenere quelle informazioni che sono indispensabili per poter conoscere realmente il bambino. Ed indicativo è il riferimento alla madre che evidentemente – anche nel pensiero progressista di Maria Montessori – ha ancora il compito esclusivo di pensare ai bambini.

Ma un altro risultato molto importante, che viene indicato con orgoglio da Montessori, è quello del rapporto tra scuola e famiglia, stimolato e valorizzato dalla organizzazione pedagogica delle case e dalla scelta di far considerare queste istituzioni come una “proprietà collettiva”. La studiosa, quindi, ritiene valida la pedagogia scientifica, che si basa sullo studio antropologico del bambino, ma è anche consapevole della importanza che le influenze ambientali assumono nel processo educativo. «Un altro progresso raggiunto dall’istituzione della “Casa dei Bambini” riguarda la pedagogia scientifica. Essa, basandosi sullo studio antropologico dell’allievo da educare, toccava solo una parte della questione positiva che tende a trasformarla. Poiché l’uomo non è solo un prodotto biologico, ma anche un prodotto sociale – e l’ambiente sociale degli individui in via d’educazione è la casa con la famiglia. Ora invano cercherà la pedagogia scientifica di migliorare le nuove generazioni, se non giunge ad influire anche sull’ambiente, ove le nuove generazioni sorgono e crescono! Tutte le applicazioni d’igiene pedagogica sarebbero vano tentativo, se la casa dovesse rimaner chiusa a ogni progresso!»33.


Indicativo di questa sua mentalità democratica è anche l’atteggiamento che ella assume a proposito del baliatico, che ella stigmatizza con forza poiché – come scrive – «per ogni bambino che ha un doppio seno a sua disposizione, ce n’è uno che non ha nulla»34. Le donne agiate, infatti, ancora all’inizio del nuovo secolo, molto spesso non allattano direttamente i propri figli per timore di compromettere la loro integrità fisica e la loro bellezza. Per questo li affidano a balie esterne, generalmente povere donne che lasciano il proprio bambino per poter guadagnare di che vivere. Proprio per questa ragione la studiosa marchigiana esalta il contributo dell’igiene «che ha messo una specie di marchio di vergogna sulle madri che per pigrizia non vogliono allattare i propri figli; al nostro tempo le regine e le imperatrici che allattarono i propri figli sono ancora additate con ammirazione quali esempi alle madri»35. Appare quindi evidente la sensibilità sociale di Maria Montessori, la quale scrive con chiarezza che «la questione sociale del bambino è la più completa e profonda: essa è la questione del nostro presente e del nostro avvenire»36.


Maria Montessori merita quindi tutta la nostra attenzione e il nostro apprezzamento per l’acuta critica che muove agli aspetti conservatori della scuola e dell’organizzazione sociale, che la portano, fra gli altri esiti, a valorizzare la libertà del bambino ed il suo bisogno di socialità. Al contempo è da sottolineare il suo contributo al superamento del determinismo positivistico che, se anche rimane in qualche caso presente nel suo pensiero, non lo condiziona certamente in maniera assoluta. Nella studiosa marchigiana, in effetti, si fa sempre più chiara l’importanza che le relazioni sociali assumono nello sviluppo infantile, che è evidentemente frutto non tanto e non solo dei caratteri ereditari acquisiti quanto della processualità tipica della crescita umana. Conseguente è la sua sottolineatura del ruolo fondamentale dell’educazione nel processo dello sviluppo umano e la sua valorizzazione di una concezione rinnovata della scienza, fondata sullo studio della natura (umana e non) in termini non riduttivamente fenomenici37. Allo stesso modo è evidente nel periodo giovanile un chiaro riferimento al riformismo sociale di stampo liberale, frutto di una sensibilità sociale che si stempererà successivamente in una prospettiva universalistica, certamente apprezzabile ma che non ha una reale spendibilità politica e che pertanto non può incidere innovativamente sulla realtà. In questo modo Maria Montessori lancia segnali importanti, che però non possono tradursi in un organico e vincente progetto di rinnovamento scolastico e sociale, imprigionandola in un suggestivo ma politicamente ininfluente ruolo di testimonianza.

La giovane Montessori
La giovane Montessori
Enzo Catarsi
Dal femminismo scientifico alla scoperta del bambino.Una biografia professionale degli anni giovanili di Maria Montessori che segue il percorso del suo lavoro e lo sviluppo del suo pensiero. La giovane Montessori di Enzo Catarsi è una biografia professionale della giovane dottoressa, che segue il suo percorso di lavoro e lo sviluppo del suo pensiero dopo la laurea in medicina del 1896 fino ai primi anni della sua pedagogia scientifica, concentrandosi sul suo forte impegno sociale. Un libro prezioso e di grande valore per chiunque si interessi agli anni formativi di Maria Montessori. Carolina Montessori Conosci l’autore Enzo Catarsi è stato un importante punto di riferimento per lo sviluppo delle scienze dell’educazione in Italia. Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, con le sue numerose pubblicazioni e il suo forte impegno sociale ha dato un importante contributo nel campo della pedagogia della famiglia e della cultura dell’infanzia.