Studiando il fenomeno noi vediamo che c’è uno stretto legame tra il lavoro manuale compiuto nella vita di tutti i giorni e la profonda concentrazione dello spirito. Sebbene a prima vista sembri che queste due cose siano opposte, in realtà esse sono profondamente unite perché una è la fonte dell’altra. La vita dello spirito prepara in solitudine la forza che è necessaria per la vita di tutti i giorni e a sua volta la vita quotidiana fissa la concentrazione attraverso il lavoro quotidiano. Il consumo di energia è continuamente rifornito dalle fonti della concentrazione dello spirito.2
Secondo Maria Montessori la concentrazione nasce essenzialmente dal lavoro manuale, quello che si è soliti compiere nella vita di tutti i giorni e che i bambini svolgono continuamente con le loro piccole mani, toccando, manipolando, costruendo, esplorando. È questa concentrazione che porta alla “normalizzazione”, che riesce cioè a riportare i bambini a uno stato che chiamerei di “naturalezza originaria”.
Così, a poco a poco, ecco che la concentrazione si trasforma in vera e propria meditazione. Lo dice la Montessori stessa: “Il modo scelto dai nostri bambini per seguire il loro sviluppo naturale è la ‘meditazione’, perché altro non può essere quel soffermarsi a lungo sopra ogni singola cosa, traendone una graduale maturazione interiore”3. Del resto, i bambini intenti al lavoro nelle scuole montessoriane sembrano veramente piccoli monaci benedettini! Guardiamoli per esempio camminare sul filo: posano i loro piedini su una linea tracciata per terra, con composta delicatezza, con grazia e intensa concentrazione mentre trasportano bicchieri pieni d’acqua da cui non fanno cadere nemmeno una goccia o candele accese senza farle spegnere… “Si direbbe che i bambini facciano esercizi di vita spirituale”4, scriveva Maria.
Ma guardiamoli anche mentre lavorano con gli incastri solidi o con la catena del 1000, o anche semplicemente mentre stanno facendo un travaso: il loro sguardo è profondamente focalizzato sull’azione che stanno compiendo, la loro attenzione è totalmente lì, la loro concentrazione è assoluta. Sì, i bambini, che noi vediamo solo nella loro irrequietezza e goffaggine, sanno concentrarsi! Hanno bisogno però di un ambiente adatto e soprattutto di un interesse che accenda una scintilla e faccia scattare un click e allora assisteremo al miracolo: il ragazzino che a scuola viene definito “iperattivo” ecco che passa un’ora intera a mettere in fila gli animali che rappresentano da sempre la sua passione.
Ma “il nascere del fenomeno della concentrazione nel bimbo è delicato come quello di un germoglio che sta per sbocciare”5, diceva Maria, e compito dell’adulto è custodire e nutrire questo germoglio affinché possa crescere e rafforzarsi.
Il cerchio attrazione-interesse-concentrazione non va mai spezzato! In genere invece lo si fa in due punti: all’inizio perché non si lascia il bambino libero di scegliere ma si sceglie al posto suo, per lui, e poi perché lo si interrompe mentre è concentrato. Quante volte gli si dice mentre sta disegnando “Fammi vedere, cosa stai facendo? Che cos’è quello?”, oppure lo si richiama col rigore di un generale perché è ora di uscire, di mangiare o di dormire? In questo modo la concentrazione è interrotta, finita, e se questo atteggiamento si ripete quotidianamente rischia di venire spezzata per sempre.
Durante le mie visite pediatriche osservo i bambini intenti a giocare, mentre io parlo con la mamma per farmi raccontare la loro storia. Poi arriva il momento di visitarli, ma se vedo che sono profondamente concentrati in un gioco chiedo di dirmi quando sono pronti per salire sul lettino e aspetto che siano loro a farmi un cenno. In genere, terminato il lavoro, arrivano da soli sereni e soddisfatti.
A volte basta molto poco per andare incontro a un bambino.