SECONDA PARTE - L'introduzione di cibi solidi e semisolidi

17. I cibi industriali

di Franco De Luca

Per millenni gli esseri umani hanno preparato i cibi con prodotti derivati dal mondo vegetale, animale e minerale che trovavano nel territorio in cui vivevano, svolgendo un’accurata sperimentazione che ha prodotto una conoscenza approfondita, fatta sul campo, di ciò che era “buono da mangiare” e di ciò che era invece dannoso, imparando anche a riconoscere quello che poteva essere utile nel caso di certe malattie e quello che andava invece evitato.


Il sale, lo zucchero e la carne degli animali erano alimenti rari e difficili da reperire e con il passare dei millenni ne siamo diventati geneticamente e insaziabilmente ghiotti.


È questa la ragione per cui oggi siamo capaci di ingurgitare senza sosta pacchetti di patatine fritte, salatini e merendine, di avere facilmente l’acquolina in bocca se partecipiamo a un barbecue sentendo odore di carne e grasso abbrustoliti e se, a fine pasto, il nostro fegato chiede un po’ di sostegno in zuccheri per lavorare meglio, invece di accontentarci di un frutto: anche dopo un’abbondante libagione, siamo in grado di mangiare una torta ricca di panna, crema e cioccolato, purché sia molto dolce.


I nostri piccoli geneticamente sono identici ai cuccioli dei nostri antenati nomadi, cacciatori e raccoglitori, che consumavano molte calorie percorrendo a piedi lunghe distanze, sempre impegnati a procurarsi un cosciotto di mammut, la frutta degli alberi o a sottrarre alle api il loro miele per paura di rimanere senza cibo.


Per tale ragione, come abbiamo visto, i piccoli della nostra specie sono ancora geneticamente predisposti a preferire alimenti molto dolci, salati e umami, e altri ricchissimi di calorie e grassi, come salsicce, salamini e wurstel.


Del sapore amaro sono inizialmente diffidenti e c’è una ragione: in genere molte piante velenose sono amare (sebbene non sia vero il contrario, cioè che le piante amare sono per forza velenose), per cui ai primi assaggi molti bambini rifiutano le verdure, specialmente se amare o amarognole (fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!).


L’industria alimentare, compresa quella che si rivolge alla prima infanzia, sfrutta ampiamente questa tendenza a scopo di profitto, cercando di orientare i consumi verso prodotti in cui, attraverso trasformazioni tecnologiche, vengono esaltati i sapori dolce, grasso e salato, assai più graditi e facilmente accettati fin dai primi mesi di vita.


Paradossalmente, dunque, oggi l’industria alimentare propone su larga scala mondiale un cibo più adatto ai nostri antenati nomadi raccoglitori, che percorrevano ogni giorno lunghe distanze a piedi consumando molte calorie, che faticavano a trovare abbondanza di cibo con lo spettro della fame sempre in agguato, che agli adulti e ai bambini di oggi, che si muovono poco (spesso massimo tre ore a settimana di attività sportiva) e hanno a disposizione (per giunta, a basso costo) una quantità di cibo molto superiore alle loro necessità energetiche.


Negli ultimi venticinque anni, negli Stati Uniti, come mostrato in un recente lavoro da due pediatri californiani, un nutrito gruppo di società industriali attive nel campo dell’alimentazione ha svolto, senza volerlo, una ricerca clinica sicuramente di più breve durata ma simile a quella che per migliaia di anni i nostri antenati hanno svolto per scegliere i cibi che ci facevano bene e quelli che erano dannosi:
“Nel 1965 le seguenti multinazionali del cibo (Coca-Cola, Pepsi-Cola, Kraft, Unilever, General Mills, Nestlé, Mars, Kellog’s, Procter & Gamble e Johnson & Johnson) partirono dal presupposto che il cibo trattato industrialmente fosse migliore di quello preparato a casa.”1

Per stabilire se questo esperimento avesse avuto buon esito, Lustig e Lee, gli autori dello studio, hanno provato a determinare i seguenti effetti della lunga sperimentazione condotta dalle “Big Companies”:

  1. consumo di cibo. È aumentato negli USA dal 1995 ad oggi: 187 kcal/die negli uomini, 335 kcal/die nelle donne e 275 kcal/die negli adolescenti. Questo aumento non dipende dai grassi, la cui quantità è rimasta stabile, ma dai carboidrati raffinati, metà dei quali sono zuccheri;
  2. salute/malattia. In questi anni sia l’obesità che il diabete sono aumentati proporzionalmente all’aumentato consumo di zuccheri, causa di sindrome metabolica negli adolescenti, indipendentemente dalle calorie o dal sovrappeso. Sostituendo nei bambini l’amido allo zucchero, la sindrome metabolica si risolve. Questa ricerca dimostra la stretta correlazione tra consumo di zuccheri semplici (saccarosio e fruttosio) e diabete di tipo 2, dislipidemia e steatosi epatica non alcolica;
  3. ambiente. La World Wildlife Federation sostiene che la coltivazione di piante da zucchero porti all’erosione del suolo e a una perdita ogni anno di sei milioni di ettari di terra arabile. Le monocolture (mais e soia) per produrre alimenti industriali hanno portato a un aumento dell’uso di pesticidi, di resistenza agli erbicidi e alla comparsa di erbe infestanti;
  4. flusso di denaro. Per i consumatori, il cibo industriale costa la metà di quanto costa il cibo vero; quindi, apparentemente, il cibo industriale rappresenta un affare, almeno a breve termine. Ma i soldi spesi per le assicurazioni sanitarie, la riduzione di anni di lavoro a causa della disabilità e l’aumento degli anni di vita persi a causa di malattie croniche, a lungo termine erode i risparmi dei consumatori. Il costo dell’assistenza sanitaria è cresciuto negli Stati Uniti dal 2% del PIL del 1965 al 17,9% nel 2014, e si stima che continuerà a crescere. Attualmente, l’industria alimentare incassa 1,46 trilioni di dollari l’anno, di cui il 45% (657 miliardi) di utile lordo. L’assistenza sanitaria costa 3,2 trilioni l’anno, di cui il 75% per curare le malattie del metabolismo; il 75% dei costi per la sindrome metabolica potrebbe essere evitato se decidessimo di cambiare la nostra dieta collettiva.


Lustig e Lee hanno poi valutato le dieci proprietà nutrizionali che contraddistinguono il cibo industriale:

  1. troppe poche fibre, che hanno il ruolo di rallentare l’assorbimento dei nutrienti, specialmente degli zuccheri semplici;
  2. troppi pochi grassi omega-3 e troppi omega-6: il loro rapporto alterato favorisce uno stato pre-infiammatorio che, a sua volta, favorisce l’insorgenza nel tempo di malattie croniche e tumorali dell’intestino;
  3. troppi pochi micronutrienti come le vitamine C ed E, importantissimi antiossidanti e potenti antinfiammatori;
  4. troppi grassi trans, come quelli contenuti nella margarina, che si depositano nelle membrane cellulari di arterie, fegato e cuore al posto dei grassi buoni;
  5. troppi aminoacidi a catena ramificata, utili a basse dosi, tossici per il fegato ad alte dosi;
  6. troppi emulsionanti, in pratica “detersivi” che sciolgono il muco che protegge le pareti dell’intestino;
  7. troppi nitrati (carne affumicata in wurstel, salumi ecc.), che possono predisporre al cancro del colon;
  8. troppo sale, che può provocare danno renale/ipertensione;
  9. troppo alcool etilico, preoccupante negli adulti per i danni al fegato (meno nella maggior parte dei bambini, in quanto l’uso è assai limitato nei cibi destinati esclusivamente all’infanzia);
  10. troppo fruttosio (contenuto in alta concentrazione in succhi di frutta, merendine ecc.), metabolizzato nel fegato esattamente come l’alcol. Lo zucchero è l’alcol dei bambini ed è la ragione per cui i bambini oggi si ammalano delle stesse malattie dei consumatori adulti di alcool.


Dunque l’esperimento portato avanti dalle multinazionali del cibo si è rivelato un fallimento per la popolazione umana, a partire dai bambini ai quali un marketing non etico cerca ad ogni costo di proporre questa alimentazione alterata:

  • sin dai primi giorni di vita vengono somministrati latti di formula al posto di quello materno;
  • già al 4° mese vengono proposti, troppo presto, sotto forma di omogeneizzati e liofilizzati, alimenti non ancora appropriati, che rappresentano per i bambini rischi di allergie;
  • la sostituzione dei cibi familiari con quelli industriali tra gli adolescenti. Cibi che fanno aumentare l’incidenza, in età evolutiva, di malattie metaboliche (aumento di colesterolo, trigliceridi e glicemia, nonché ipertensione e obesità), un tempo esclusive degli adulti.

Nel 2016, l’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari (AIIPA) lanciò una campagna dal titolo Nutrizione e Sicurezza Specializzata per promuovere gli alimenti industriali per la prima infanzia. Questa campagna prevedeva la diffusione di due locandine da affiggere nelle sale d’aspetto degli ambulatori pediatrici. Questi i messaggi pubblicitari delle due locandine:

  1. “Gli alimenti per la prima infanzia sono prodotti specifici per lo svezzamento, pensati per le esigenze nutrizionali del bambino in crescita fino ai 3 anni e che per legge assicurano il rispetto di rigorosi standard di sicurezza alimentare e di tracciabilità, senza OGM, coloranti e conservanti.”
  2. “Dopo l’anno il latte crescita contribuisce a fornire un apporto equilibrato di nutrienti, come ferro, calcio, vitamine, adeguato alle loro esigenze.”

Questa campagna fu condivisa da autorevoli associazioni di pediatri: la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e la Società Italiana di Pediatria (SIP).


L’unica società scientifica a opporsi strenuamente fu l’Associazione Culturale Pediatri (ACP)2, che si è dissociata pubblicamente dalla campagna, stigmatizzando la condivisione da parte delle altre due associazioni e confutando le affermazioni in essa contenute:


“I pediatri ACP si dissociano dalla campagna AIIPA per promuovere negli studi pediatrici gli alimenti industriali per la prima infanzia e invitano i colleghi medici a non aderire all’iniziativa. Gli alimenti in commercio sono già controllati per legge e la filiera del prodotto fresco è validata dai ministeri dell’Agricoltura e della Salute: i medici non si facciano portavoce dell’industria, creando confusione nei genitori.

No al marketing sulla pelle dei bambini!”


“I pediatri ACP considerano gravissima la condivisione da parte della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e della Società Italiana di Pediatria (SIP) dei contenuti scientifici della campagna di comunicazione che AIIPA, l’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari, ha fatto partire per ‘informare’ le famiglie italiane. In tutta l’Unione Europea, da settembre 2008 è in vigore un nuovo regolamento che modifica le disposizioni per i residui dei pesticidi (Regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 febbraio 2005.). La legge indica i limiti quantitativi tollerabili per la sicurezza alimentare di tutti: adulti e bambini. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (AESA) verifica che tale residuo sia sicuro per tutte le categorie di consumatori, compresi i gruppi vulnerabili come i neonati, i bambini e i vegetariani. Il ministero della Salute ha più volte ribadito che il controllo ufficiale dei prodotti fitosanitari, compresi i pesticidi negli alimenti, è una delle priorità sanitarie più rilevanti nell’ambito della sicurezza alimentare. Gli organi competenti del ministero della Salute, del ministero dell’Agricoltura e delle Regioni effettuano controlli costanti sulla frutta, la verdura e i cereali. I dati in possesso del ministero della Salute ci permettono di affermare che tali alimenti sono tra i più sicuri in Europa. Infatti, solo lo 0,6% di frutta fresca e lo 0,3% di cereali hanno superato i limiti fissati dalla normativa comunitaria, contro una media europea che si attesta intorno al 3,5% di irregolarità. Il ministero della Salute raccomanda anche per i bambini, nel contesto di un’alimentazione equilibrata e varia, il consumo di cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, rispettando la comune regola di igiene di lavare accuratamente e, ove possibile, sbucciare i vegetali.”


Per quanto riguarda i latti di crescita, promossi dalla seconda locandina dell’AIIFA, l’ACP, sulla base delle indicazioni della Commissione Europea afferma che:

  1. dal punto di vista nutrizionale, le formule per bambini nella prima infanzia non sono necessarie;
  2. alcune formule per bambini nella prima infanzia possono inoltre contenere un tenore di alcune sostanze (ad esempio, zuccheri e aromi) non raccomandato per i bambini, tenendo presente il ruolo del consumo di zuccheri nel favorire lo sviluppo dell’obesità e l’impatto di zuccheri e aromi sullo sviluppo del gusto nei bambini;
  3. la commercializzazione di formule per bambini nella prima infanzia può in taluni casi essere considerata ingannevole, poiché solleva dubbi ingiustificati sull’adeguatezza nutrizionale degli alimenti freschi in commercio;
  4. secondo l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), tali prodotti non hanno un “ruolo cruciale” e “non possono essere considerati necessari per rispondere alle esigenze nutrizionali dei bambini” se confrontati con altri prodotti alimentari che possono essere inclusi nella loro normale alimentazione.


Per questi motivi l’ACP ritiene che le affermazioni riportate nelle locandine siano ampiamente discutibili e invita tutti i pediatri italiani a non diffondere informazioni che possono disorientare i genitori.

Aiutami a mangiare da solo!
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Centro Nascita Montessori
L’alimentazione dei bambini da 0 a 3 anni.Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori sull’alimentazione dei bambini?Una guida per rendere il momento del pasto un’occasione per aiutare i più piccoli a “fare da soli”. Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori a genitori e operatori della prima infanzia sull’alimentazione dei bambini?Quali suggerimenti per facilitare l’introduzione del cibo complementare e far sì che i più piccoli vivano questo momento come un piacere, piuttosto che un dovere?L’osservazione e il rispetto delle competenze e dei tempi di ciascun bambino dovrebbe essere la norma anche a tavola. Aiutami a mangiare da solo!, curato dal pediatra Franco De Luca, partendo dalle linee guida dell’OMS e dalle raccomandazioni delle più importanti società scientifiche pediatriche, raccoglie i contributi degli operatori del Centro Nascita Montessori e vuole essere una guida per tutti coloro che credono che il momento del pasto sia un’occasione per aiutare il bambino a “fare da solo” e scoprire il piacere dell’esperienza sensoriale che deriva dal gusto e dal piacere di mangiare. La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo.Maria Montessori, Educazione alla libertà Conosci l’autore Il Centro Nascita Montessori di Roma si occupa di ricerca sullo sviluppo e sul mondo relazionale del bambino nei primi anni di vita, organizza corsi di formazione per operatori della prima infanzia e promuove la cultura di una buona nascita, accompagnando le coppie verso il nuovo ruolo genitoriale. L’operato del Centro è guidato dal pensiero montessoriano, in un costante confronto di idee, eventi ed esperienze a livello nazionale e internazionale. Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.