Prefazione

Mangiare è un bisogno vitale, ma per gli esseri umani anche un piacere che va oltre la sazietà, fatto di sapori, profumi, colori, forme e presenza di altre persone. Il bambino, dopo mesi di latte al seno materno (se lo ha ricevuto, come è sua esigenza vitale e suo diritto), deve affrontare un grande cambiamento, trovandosi però in una fase della vita in cui ha un estremo bisogno di continuità nelle impressioni sensoriali, nelle esperienze e nei ritmi quotidiani. Sta bene se ritrova sempre le stesse cose: quella calda forma rotonda cui la sua bocca si è adattata, quelle braccia, quella voce, quell’odore. Una sorta di “bussola” interna lo guida per orientarsi anche se, al tempo stesso, si avvia molto lentamente a prendere le distanze dalla madre.


I primi mesi sono dominati da un bisogno potente di continuità, di “ordine”, che ora è il pilastro della sua esistenza. Se gli viene a mancare di colpo la madre (o chi lo ha curato fino a quel momento), passando ad altre mani, ad altra situazione, la sofferenza che prova è così devastante che può diventare in un certo modo definitiva. Ogni madre d’istinto lo sa e magari vorrebbe proteggere il figlio (e se stessa) da separazioni improvvise, ma a volte molti fattori remano contro di lei e contro il suo bambino: la stanchezza, il rischio di perdere il lavoro, la pressione di chi le sta intorno, l’ingresso rapido al Nido, una malattia, un trasloco, mille ragioni per fare presto, presto!


Viceversa il primo anno è per eccellenza il tempo della lentezza, di piccoli passi, senza mutamenti. Quel primo legame unico, privilegiato, si allenterà a poco a poco, aprendosi agli altri e all’ambiente, via via che diminuirà il bisogno, altrettanto esclusivo, di stabilità. È un passaggio graduale tra noto e ignoto, tra il certo e l’imprevedibile che porterà alla scoperta di cose nuove. Quante altre volte nell’esistenza l’individuo dovrà affrontare un’esperienza analoga? Viverla al meglio nei primi anni non è indifferente per il benessere futuro.

Conservare e modificare, adagio

La natura non fa salti, hanno scritto studiosi del passato come Leibniz e Linneo1: un concetto più che mai valido per il piccolo bambino che nel periodo sensitivo dell’ordine2 chiede di procedere adagio in ogni esperienza di trasformazione, sia pure necessaria e inevitabile.


Come procedere dunque perché questa esperienza risulti positiva?

Pensiamo a ogni particolare. È importante innanzitutto non imporre più cambiamenti insieme: di sapori, di consistenze, di postura, di persona, di orario e così via.


Che cosa dare dopo il latte? Dove? In braccio o sul seggiolone? Con quali oggetti? E lui, il protagonista che ancora non parla, come manifesta il suo gradimento o il suo rifiuto? Può guidarci solo un’osservazione delicata e vigile. C’è il passaggio dal latte succhiato dal cucchiaino all’acqua bevuta da un piccolo recipiente; dal liquido al semi-liquido, e poi al solido. Di mezzo ci sono settimane, perfino mesi, diversi da un bambino all’altro. La muscolatura della bocca, le sensazioni della sua mucosa interna, la lingua, le labbra devono adattarsi al nuovo per prove e tentativi3, e quindi occorrono calma, buon umore, fiducia, pazienza, tra piccoli disagi e nuove soddisfazioni.


In nessuna situazione il bambino è passivo; a suo modo partecipa e si prepara alle novità, verso le quali è diffidente ma anche curioso. Nelle ore di veglia tra i 2 e i 3 mesi, quando sta volentieri supino, fissa una luce, un oggetto colorato in lieve movimento. Intorno ai 4 mesi gioca con le sue dita, se le porta alla bocca. A 6-7 mesi arriva a stare ben seduto, senza appoggi, ed ecco che cerca di afferrare un oggetto, lo lascia e lo riprende, lo lascia e lo riprende, lo lascia ancora…. Guarda intorno a sé: l’orizzonte si allarga a poco a poco. Questo sonaglio gli piace: con un gesto spontaneo lo scuote, un’attività nuova che ripete. Poi lo porta alla bocca: dopo alcuni morsetti ripete ancora il gesto. Intorno4 agli 8-9 mesi comincia a gattonare.


Altro cambiamento: si affacciano dalla gengiva inferiore due minuscoli dentini. È il segnale che anche l’apparato digerente si sta preparando a nuovi alimenti: oltre al latte, la mela5 grattugiata o il succo d’uva, in dosi minime per cominciare. L’industria, com’è noto, produce farine e pappe lattee, ma chi vuole adottare un’alimentazione naturale può fare altre scelte6. Nel frattempo è attratto da molte cose che usa a modo suo, assaggiandole, scuotendole, buttandole via…

Ripetere è sperimentare

Questo ingegnoso scopritore sembra sapere subito che cosa fare anche quando si trova davanti qualcosa di commestibile. Fra l’altro, ha osservato con i suoi occhi attenti che cosa ne fanno gli altri di casa. Un giorno (verso i 7-8 mesi), la madre gli mostra un pezzetto di pane: il piccolo lo afferra e se lo mette in bocca. Un gesto usuale per lui, una festa! Di fatto è un passo avanti nel divezzamento. È giunto il tempo in cui gli alimenti possono essere ridotti a piccoli pezzi in modo che possa prenderli facilmente da sé. In principio, per biascicare bastano le gengive ed è già un piacevole esercizio.


Un’amica riferisce un suo antico ricordo: il fratellino di 5 mesi, a tavola con la bella famiglia numerosa, trovando davanti a sé un piatto con una fetta di gorgonzola, ci infila il suo indice, se lo lecca con gusto e ci prova ancora. La madre preoccupata allontana il piatto, mentre lui ingolosito è visibilmente contrariato e a suo modo protesta. Non a caso la preferenza per questo formaggio continua tuttora nell’adulto che quel piccolino è diventato.

Paese che vai, svezzamento che trovi7

In questi tempi d’immigrazione così disprezzata e martoriata è importante (dove possibile) raccogliere dalle donne che arrivano, sofferenti, malate di nostalgia e di speranza, le abitudini e le loro antiche ricette per nutrire i più piccoli. Nei villaggi da cui provengono (di pianura o di montagna, dall’Africa, dall’Asia, terre lontane e immense) si può scoprire quanto sia grande l’istintiva intelligenza delle madri nel trovare il cibo giusto per aiutare un bambino che cresce, per scoprire le ricette migliori secondo quello che la terra offre: il riso o il mais, la polenta o la farinata di ceci, avena e zucca, miglio e patata dolce, couscous e poi le verdure zuccherine più comuni: cipolle, patate, carote, basilico e perfino, in Paesi lontani dal nostro, curry, peperoncino e chiodi di garofano.


Giorgio Poddine, uno dei pediatri che a Roma, negli anni Settanta, faceva parte del Centro Nascita Montessori (CNM), poi primario al Policlinico dell’Università romana, raccomandava intorno ai 10 mesi il “crostino dei sapori”: un pezzetto di pane raffermo appena intinto nei cibi abituali della famiglia.


In questo libro, Franco De Luca e gli altri autori propongono lo stesso, in modo amplificato, suggerendo di riportare l’alimentazione infantile, in termini di naturalità e attenzione, ai saperi/sapori originari della tradizione nostrana. Sappiamo quanto oggi tutto ciò si scontri con genitori sempre più indaffarati e ormai ignari di semplici abitudini del passato, padri lontani, madri che a casa tornano stanche a ora di cena o quasi. La soluzione rapida e a portata di mano diventa aprire una di quelle “gustose pietanzine” in scatola, che ogni supermercato mette in bella mostra: gli omogeneizzati, di cui ormai ci sembra di non poter fare a meno.

Il peso della pubblicità

Indubbiamente i genitori, spinti dai manifesti e dagli opuscoli presenti nella sala d’aspetto del pediatra, nel reparto ospedaliero o in altri luoghi per la primissima infanzia, si convincono che i cibi industriali siano il meglio per il loro bambino, anche per assicurargli (si sostiene) ogni giorno un cibo diverso. Ma è questo che il piccolo chiede o non preferirebbe, almeno fin verso l’anno o poco più, quella ripetitività cui abbiamo accennato?


Si sostiene che tanti cibi diversi possano assicurare un migliore equilibrio alimentare. Questo è certo un criterio importante, se attuato con cibi naturali, ma ovviamente in età successive. In realtà l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda di garantire un solo alimento: il latte materno (in maniera esclusiva per i primi sei mesi, meglio ancora se somministrato fino all’anno, accanto all’introduzione del cibo complementare). Se questo non è realizzabile, che almeno si continui con cibi assolutamente assimilabili da un bambino di pochi mesi.


Una mamma che dopo due mesi ha dovuto, per dolorosissime ferite al seno, interrompere l’allattamento, ha fatto ricorso al latte in polvere, mantenendo al tempo stesso un contatto stabile e tenero con la sua bambina, tenendola molto in braccio, nel modo di darle il poppatoio e rispondendo ai suoi interessi nascenti. Ha utilizzato il ciuccio per soddisfare la suzione, per favorire il sonno, in particolare quando era la piccola a mostrare di averne bisogno. Soprattutto le ha garantito per tutto il primo anno la sua costante, pronta presenza, allentandola quando si accorgeva che la bambina poteva stare da sola, interessandosi a qualcosa. Ad esempio, dal 2° mese ha cominciato a guardare con attenzione una luce, un oggetto appeso a un archetto di legno, costruito da un’amica. Il passaggio graduale ad altri sapori e odori in questo cammino di relazione calma e di attenzione è stato naturale e facile, via via che nuovi interessi sono emersi. Questa mamma, che lavorava a metà tempo, ha avuto l’aiuto diretto del suo compagno e a volte dei suoi genitori: un periodo, in fondo breve, di forti sacrifici per tutti, con il risultato di una piccina tranquilla e aperta al nuovo.


Questo esempio fa capire come sia importante (per una madre o un padre che si trovino da soli ad accudire un neonato) trovare un aiuto stabile almeno per i primi mesi, cercandolo già prima della nascita: un’amica, un’infermiera, un altro genitore esperto. Un tempo c’erano i consultori, che oggi in molte Regioni sono impoveriti in personale e mezzi o del tutto scomparsi; i rari ancora esistenti sono poco visitati perché svalorizzati, pregiudizio che induce chi si sente incapace o confuso a rivolgersi all’ospedale o al pediatra privato. Cerchiamo in anticipo se in zona ci sia un’ostetrica libera professionista, disposta a dare un parere nell’emergenza8 e per i primi mesi. Ci si può accordare con una persona calma, discreta, che si occupi di tutte le incombenze domestiche, lasciando il genitore tranquillo nella cura e nell’intimità con il proprio bambino.

Alimenti naturali o industriali?

Conservati con modalità che rispondono a fini commerciali, i cibi in scatola per i piccoli cominciarono a diffondersi nel primo Novecento. La produzione si allargò tra industrie concorrenti e invase il mercato, modificando i costumi fino a renderli indispensabili: non potete fare a meno di noi! Facilitanti per l’adulto, limitano il bambino sotto vari aspetti.


Intanto che cosa c’è in quelle scatoline dall’aria innocua? Conviene leggere con attenzione le etichette: legumi e altri vegetali, insieme a carni – bovini, suini (prosciutto), agnelli, polli, conigli, pesci di vario tipo –, nonché latte, grassi, sale, zucchero. Insomma, di tutto un po’ ridotto in crema semisolida.


Per conservare a lungo il loro contenuto (finché sono ben chiuse) sono sottoposte a temperature molto elevate, 135 gradi e oltre (anche il latte UHT a lunga conservazione è trattato così); il guaio è che questa “cottura” uccide ogni elemento vitale che invece gli stessi alimenti, crudi o cotti per breve tempo in famiglia, conservano.


Questi cibi in scatola, dal costo non indifferente, possono provocare intolleranze e perfino allergie come qualcuno afferma? Intanto non è possibile dirlo con sicurezza: di certo si sa che sono due disturbi di origine diversa. I cibi industriali (per bambini come per adulti) possono veicolare involontariamente i cosiddetti allergeni, sostanze di per sé non pericolose, ma che rischiano di esserlo per individui più sensibili per via genetica. Quando si appartiene a una famiglia in cui qualcuno soffre di dermatiti, asma e disturbi analoghi, occorre prevenire nei modi opportuni, evitando anche una sola scatola, nemmeno quella di salvataggio in casi del tutto eccezionali (un viaggio, una gita, un’emergenza qualsiasi).


Se si è previdenti, anche nelle situazioni speciali è possibile nutrire il bambino con cibi preparati nella cucina di casa, congelati, scaldati a bagnomaria o conservati per poche ore in piccoli thermos. L’abuso di cibi in scatola è comunque sconsigliabile a tutti; anche le salse e i legumi precotti in lattina o i celebri formaggini, avvolti in carta stagnola, di contenuto scadente rispetto ai formaggi stagionati come il parmigiano o il pecorino9. A maggior ragione non sono da usare nei pasti quotidiani di un bambino.


Molti adulti, convinti di fare il bene dei loro figli, commettono un altro errore: quello di aggiungere piccole quantità di omogeneizzati a semolini e minestrine già a partire dal 4°-5° mese.

“Ma sono buoni di sapore!”, dice una mamma.


Può darsi, ma non abbiamo alcuna certezza che “l’aggiuntina” precoce sia bene accetta da un organismo così giovane da non avere ancora un corredo di enzimi in grado di assimilare molecole complesse di proteine, zuccheri e grassi, che invece ragazzini e adulti digeriscono senza difficoltà. Il problema sta nell’ossessiva, perniciosa abitudine a voler anticipare le tappe (e non solo nell’alimentazione), saltando i tempi previsti da Madre Natura per lo sviluppo dell’essere umano. Un passo alla volta, per piacere.

Invece delle pappe industriali

I cibi in scatola, anche se hanno colori e sapori un po’ diversi (l’arancio della carota o della zucca, il verde dei piselli, il bianco del pesce), non permettono al bambino di conoscere quello che sta mangiando. Si potrebbe dire che la stessa cosa accade anche con i passati fatti in casa ma, come viene sottolineato nel libro, le nuove guide sullo svezzamento hanno eliminato l’introduzione di pappe e passati, favorendo invece la libera scoperta da parte del bambino degli stessi cibi che mangiano gli adulti. Fin da subito il bambino impara a conoscere lo spicchio di mela o di pera, le schegge di parmigiano, i cubetti di pomodoro, alcune listarelle di carote o di pane raffermo o lievemente tostato; potrà associare a essi anche i gusti (il dolce e l’aspro, il saporito e l’insaporo) ed esprimere più chiaramente le sue preferenze10.


Inoltre, ogni alimento ha un nome e i genitori, invece di dire “appa” e “bumba” o “dedde”, diranno acqua, latte, zucchine, perché il piccolo non ha bisogno di essere imitato, ma di sentire le parole esatte per poterle a sua volta perfezionare, e arricchire così il suo vocabolario.

Lo svezzamento è una conquista

Svezzare (o divezzare) sono antiche parole che significano “togliere il vezzo” o “il vizio” (di poppare al seno). Lo svezzamento non deve mai essere un’imposizione o un brusco cambiamento: è il bambino il protagonista di tale percorso, cercheremo quindi di agire in modo che vi partecipi attivamente.

Come affrontarlo? Gradevolmente e piacevolmente, a partire dai suoi stessi segnali, come suggerisce da anni la pediatra milanese Barbara Zapparoli:

  • lo spuntare dei primi incisivi, cui abbiamo già accennato;
  • il bambino sta seduto da solo senza appoggi, e nella nuova posizione prende gli oggetti e li porta alla bocca11;
  • il bambino è in grado di segnalare chiaramente NO, girando la testa e il corpo, e SÌ con espressioni del suo viso (più tardi lo farà sputando il boccone che non gradisce);
  • il bambino mostra attenzione crescente verso l’ambiente: protetto nei primi mesi da ogni modalità aggressiva, ora guarda con aria seria, un po’ sospetta, chi non conosce per aprirsi poi in un sorriso;
  • se il bambino è abituato al ciuccio, facilmente lo trascura, cercandolo per conciliare il sonno.

Il cerchio del mangiare con piacere, in modo ordinato e consapevole si costruisce attraverso un cammino condotto con amore, con l’ordine nella famiglia (ritualità del pranzo), tenendo conto della ripetitività nel mangiare come nei giochi. Cerchiamo di non distrarlo di continuo, come si fa perfino quando è attaccato al seno.

La scelta vegetariana

I piccoli fanno presto a collegare animale e mangiare carne e si mostrano più coerenti degli adulti. Quando crescono, lo esprimono anche a parole.

Fulvio di 4 anni, di fronte a un pesce, golosamente accolto in un pranzo di famiglia, dice:


“Non lo mangio, questo pesce mi guarda troppo”.12


Un tempo (mi si consenta qualche ricordo lontano) carne e pesce erano cibi da ricchi e quindi molto rari: gli alimenti erano più sani, le uova fresche le portava l’ovarolo dalla campagna una volta la settimana. Il latte era completo, tanto che i miei lo usavano per preparare ogni sera l’ottima giuncata (lo yogurt di allora) e ne estraevano la panna per i rari dolci. Si mangiavano soprattutto legumi e cereali13: pasta e fagioli o ceci, riso e lenticchie, spaghetti all’amatriciana o alla carbonara, ottimi anche senza il famoso guanciale. Nei giorni di festa la pasta all’uovo fatta in casa e la frittura mista di tutte le verdure possibili: spicchi di carciofo, “testine” di broccolo, zucchine, patate a filetti o a crocchette, i famosi supplì di riso alla romana e le foglie di salvia, ricetta presa dalla cucina ebraica. Poi c’erano le meravigliose sevadas della nonna nuorese. Il vino era di rado sulla tavola e comunque noi bambine eravamo a esso del tutto indifferenti, non avendolo mai assaggiato.14 D’estate c’erano i piatti che si cuocevano (come molte famiglie) dal fornaio (non c’era il forno in casa): pomodori col riso e parmigiana di melanzane… Se penso a questi cibi, mi sembra di sentirne il profumo.


Lo svezzamento era cosa ovvia, semplice dopo un lungo allattamento, non un evento sanitario: farine cotte in brodo di verdure, latticello, preparato da mamma con latte un po’ diluito, giuncata e succo di limone. Non so più in quali proporzioni, ricordo che era destinato alla sorellina, ma che piaceva anche a noi figlie maggiori. Poi, appena possibile, i passati di verdure fatti con uno speciale macinino a mano.


Mamma aveva letto i libri di Paul Carton, famoso medico parigino, che sosteneva, già a inizio Novecento, di star lontani da cibi industriali, in particolare dai tre “assassini”15: alcool, zucchero raffinato (perché demineralizzante) e carne, cibo troppo carico di azoto, diceva, specialmente la carne rossa, ma anche la bianca, da non dare, a suo avviso, prima dei 3 anni.

In compenso, il cancro era malattia rara e parola sconosciuta; se si sapeva di qualcuno che ne era malato, era sussurrata sottovoce come una cosa vergognosa.


Che l’eccesso di zuccheri predisponga all’obesità, al diabete e ad altri guai, ormai lo sappiamo, ma continuiamo ad abusarne. Che gli allevamenti intensivi, di grande crudeltà nei confronti degli animali16, diano un contributo non indifferente al disastro ambientale è argomento di cui si preferisce parlare il meno possibile, esaltando in compenso le colture di grilli e la cioccolata con le formiche di certi ristoranti “in”.

Il mutamento in fatto di alimentazione che, specialmente dopo la Seconda guerra mondiale, si è verificato in un crescendo inarrestabile è considerato segno certo di benessere. Vari fattori – tra cui il consumismo (che il grande regista Truffaut definiva “il fascismo dei nostri tempi”), con cibi facilmente accessibili e rapidi da cucinare – hanno modificato profondamente lo stile di vita dei Paesi ricchi a spese di quelli poveri. Esaltiamo l’arte culinaria e la cultura del vino fino al punto che non c’è trasmissione, si può dire, in cui non si parli di cibo, influenzando negativamente anche l’alimentazione dei primi anni.


Il quadro non è esaltante e tuttavia si avvertono segnali di una nuova sensibilità a problemi un tempo del tutto ignorati.

Che fare con un bambino in crescita?

Tiziana Valpiana, nel libro già citato, sottolinea che non si debba mai “insistere perché mangi la carne [riflettendo] sul fatto che esistono milioni di persone vegetariane cresciute in modo normale o forse migliore. La scelta vegetariana può aiutare a variare maggiormente il menu e a divenire meno abitudinari in fatto di alimentazione [...] Non è una scelta negativa (‘no’ alla carne!) ma in positivo: ‘sì’ a tutti i vegetali, sperimentazione di ‘nuovi’ cereali, uso dei legumi, nuove proposte di combinazioni”17.


Ecco un altro aspetto, oggi molto studiato: le combinazioni alimentari. Una delle più pesanti consiste, dicono gli esperti, nell’associare in uno stesso pasto più tipi di proteine animali e vegetali con farinacei come pasta e pane. Un esempio: le squisite lasagne al ragù. Un conto è mangiarle una volta ogni tanto e un conto farne uso frequente, acquistandole belle e pronte al supermercato18. Il tema in merito è ampio e complesso per cui è preferibile rinviare al testo della Valpiana.


Carne o pesce a parte, c’è chi invece insiste sul formaggio o sulle uova.

Se qualcosa è prediletto da uno dei familiari, non necessariamente sarà apprezzato dal bambino che spesso esprime le sue preferenze in modo deciso: Nicole (7 anni), fin dal primo anno, ha chiaramente mostrato un netto rifiuto per qualsiasi frutto, accettando invece con piacere tutte le verdure cotte ed esprimendo la sua preferenza per il salato anziché per il dolce. Questa scelta così decisa ha permesso alla pediatra di tranquillizzare in pieno sua madre.

Mangiare da solo

Il tema della scelta dei cibi s’incontra, già verso la fine del primo anno, con un altro bisogno basilare: fare da sé, mangiare da sé. Non si tratta ovviamente di anticipare, ma di rispondere ai primi segnali di indipendenza. Questi sono l’evoluzione, a livello mentale ed emotivo, di quell’autoregolazione innata che si manifesta subito dopo la nascita. In base alla comprensione di tale capacità, finalmente non si fa più un allattamento a intervalli rigidi, ma si tiene maggiormente conto dei ritmi che ogni piccolo è in grado di manifestare. Lo stesso criterio deve valere durante lo svezzamento, pur mantenendo ferma la regolarità dei pasti durante la giornata, secondo le abitudini della famiglia. In altri termini: non mangiucchiare a tutte le ore e, appena cresce, non avere libero accesso al frigorifero, alla scatola dei biscotti, ai cioccolatini.


L’indipendenza è tutt’altra cosa. Intanto verifichiamo che il nostro bambino ne mostri già i segnali. Anziché mettergli in mano il biscottino, offriamoglielo su un piattino e osserviamo come reagisce; a 10-11 mesi molto facilmente lo prenderà da sé e lo metterà in bocca. Il nostro compito sarà di rispondere alla nuova abilità, così chiaramente espressa. Ad esempio, quei bicchieri di plastica con il beccuccio che non si rovesciano mai, sono comodi per il genitore se il poppatoio non serve più, ma inutili quando ormai sa bere da un bicchiere senza bagnarsi. Quando invece è nella fase del buttare a terra o del lanciare, possiamo dargli per cominciare una tazzina frangibile dal costo minimo, che potrà afferrare per il manichetto. Gli si dica pure “No, non puoi farlo”, ma se si rompe, non ci metteremo a strillare o a rimproverarlo, constateremo invece con lui “Vedi, è rotta, non c’è più” (e noi sappiamo che capisce e collega i fatti molto prima di quanto di solito si pensi). In seguito potrà usare il bicchiere di vetro (di quelli piccoli da 4,5-5 cm di diametro); forse lo terrà con le due mani, in seguito con una sola.


I piatti di plastica non sono necessari. Si sta vicino al bambino e gli si impedisce di afferrare il piatto, magari dicendogli “Non lo vuoi più? Va bene, è finito” e si porta via. Di nuovo il senso del limite. Il “No, non si fa” lo imparano presto ed è un’espressione da usare ogni volta con gentile fermezza.


Fermezza. Ecco un vocabolo che ogni genitore dovrebbe conoscere e mettere in pratica al meglio: poche parole nitide, da ripetere allo stesso modo, pronunciate con voce che non ammette repliche, ma che, al tempo stesso, non esprime irritazione o imposizione, tanto meno un sorrisetto che sembra dire: “Pazienza se non farai come ti dico”. Il no deve avere il tono neutro della legge: è così e basta.


I primi pasti semisolidi possiamo darglieli tenendolo di fronte, a contatto di mano, sguardi e sorrisi incoraggianti, non più in braccio, posizione che gli ricorda esperienze del passato. Per imboccarlo scegliamo con cura un cucchiaino, non piccolo (da caffè), piuttosto un cucchiaino da tè. Quando i pasti si faranno meno liquidi, potremo sederci accanto a lui e usare uno di quei cucchiai un po’ allargati e piatti, di moda per mangiare al mattino i fiocchi di mais.


Passa ancora qualche settimana e forse è già il tempo di dargli un piccolo cucchiaio, identico a quello che adoperiamo noi, come tacito invito a provare, senza agitarsi se qualcosa schizzerà via o cadrà a terra. Non sono “disastri”, ma esperimenti, “prove d’autore” che dureranno pochi giorni.

Criteri montessoriani

Aiutami a fare da solo. Un genitore attento sopporta qualche disordine di fronte al senso di vittoria che il bambino esprime quando comincia a mangiare da solo. Ci sono popoli che non conoscono le posate o non le usano per tradizione. Si può cominciare da qui: il cucchiaio, la piccola forchetta, il coltello sono conquiste progressive nei tempi lunghi. “Voglio provare, voglio farlo io”, sembra chiedere a suo modo il bambino.


Butta via il cucchiaio e afferra con le mani la pasta, il riso, le verdure? Non importa se prova così, se sporca un po’ in giro. Diamo allora la preferenza a cibi solidi che possa prendere senza far troppo disordine.


Aiutare un piccolo a fare da solo significa da un lato preparare minuziosamente i cibi e gli oggetti adatti, dall’altro non sostituirsi a lui in alcuna delle azioni che può fare senza il nostro aiuto: non dargli la mano in una strada senza pericoli; non togliergli il berretto se sa farlo da sé; non imboccarlo quando è in grado di arrangiarsi da solo con il cibo.


L’eleganza a tavola verrà molto più tardi. Per ora ricordiamo un’altra frase memorabile della nostra Montessori: “Ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo”.


La libera scelta. Uno dei principi montessoriani più fraintesi è quello della libera scelta. Quando la Montessori ne parla, si riferisce sempre a uno scegliere liberamente entro un limite predisposto dall’adulto: non qualsiasi maglietta, ma una scelta tra due di diverso colore, anche a soli 10 mesi, come propone Emmi Pikler. Non qualsiasi gioco, ma poterne prendere uno fra due o tre al massimo, posti alla sua altezza, anziché pescarli a caso da un cestone pieno di roba, buttata dentro a caso19.


Anche a tavola gli si possono mettere davanti un piattino con poca pasta (in bianco) e un altro con pezzetti di carota bollita (arancioni). Verso quali dei due cibi volgerà lo sguardo o tenderà le manine? Cominceremo dalla sua scelta, anche se ci sembra solo casuale, apparente o, ancora una volta, decideremo noi?


Molti bambini vengono scoraggiati da un piatto troppo pieno (la porzione uguale per tutti scodellata dalla mamma o, al Nido, dalla cuoca, pretendendo poi che mangino ogni cosa). A noi piacerebbe se al ristorante, o a un pranzo al quale siamo stati invitati, qualcuno ci obbligasse in modo analogo? In molti luoghi (Nidi, Scuole d’Infanzia, Primarie) di fronte a cibi imposti, specie oggi con i servizi catering, si butta via ciò che avanza o che non piace: inutile dire che si tratta di un pessimo insegnamento. Non possiamo proporre in altro modo i pasti confezionati che arrivano nei tanti luoghi per l’infanzia?


Diverso è ricevere nel piatto una quantità ridotta (un cucchiaio di riso, solo due crocchette ecc.), per il piacere di chiedere “il bis”. Meglio ancora servirsi da soli (già intorno ai 2 anni) con la guida dell’adulto che dice: “Prendi un solo cucchiaio” o “Un pezzetto, dopo potrai prenderne ancora”. La misura è rassicurante e, insieme, c’è il gusto del prendere e mettere nel proprio piatto. Naturalmente occorre trasferire i cibi del catering in altri vassoi o ciotole adatti, con posate proporzionate per facilitare l’impresa.


Ricordo la cuoca di un Nido in provincia di Varese che, vedendo la difficoltà dei bambini del secondo anno a destreggiarsi con i soliti ramaioli da brodo, ne acquistò al mercato sei con il cucchiaio grande come una pallina da golf e da un fabbro fece accorciare i manici di almeno dieci centimetri.


A casa, se preferisce il dolce, non zuccheriamo tutto “purché mangi”. Questo non è dare libertà, ma accontentare un capriccio, sedurre per evitare conflitti. Ci sono bambini che preferiscono il salato, ma anche insaporire troppo non è sano. È necessario che tutti i membri della famiglia agiscano con la stessa coerenza, senza i “poverino” o la preoccupazione che non mangi mai abbastanza. Il suo stomaco è grande circa quanto il suo pugno: non possiamo riempirlo secondo le dimensioni del nostro stomaco adulto.


Appena sta in piedi e cammina, aiutiamolo a lavarsi da sé le manine prima di mangiare. È importante poi che si sieda a tavola con i familiari, che partecipi a questo momento significativo della vita di casa, osservando i genitori e, fin dove è possibile, assaggiando i loro cibi. Qui potrà essere utile un seggiolone, da usare solo durante i pasti. Negli altri momenti è meglio che il bambino stia a terra per muoversi liberamente e non correre rischi. Ovviamente quando comincia a gattonare, elimineremo ogni possibile motivo di “assaggio pericoloso”: ciotole con cibo per animali, avanzi di feste degli adulti, fili elettrici, vasi con piante ecc. Il piccolo è un esploratore insaziabile: non per questo lo chiuderemo in un ovetto, in un seggiolone o in un box.


In altri momenti potrà avere una seggiolina (bassa tanto da mettere i piedi per terra) e un tavolino a essa proporzionato, il cui piano gli arrivi alla vita, su cui mangiare la colazione o la merenda, in alternativa al pranzo di famiglia. Il bambino imparerà così che può mangiare solo in quel luogo e in quel momento, senza finire il pasto andando in giro per casa.

I no ragionevoli sono salutari

Il senso del limite è di grande aiuto alla formazione della personalità. Ci sono fasi, anche nel primo anno di vita, in cui tutto diventa NO. È irritato per qualcosa? Ci provoca? Se entriamo nel suo gioco inconsapevole, rischiamo di perdere e di venir tiranneggiati da questo piccolissimo personaggio. Quando rifiuta un cibo, pur mostrandosi affamato, provate a dargliene un altro del tutto diverso. Se rifiuta anche questo, portate via il piatto, con gesto deciso, ma non rabbioso (“Va bene, mangerai più tardi”) e non dategli altro, non una terza o quarta proposta, come molti fanno, stimolando il gioco del “No contraddittorio”. È meglio che salti un pasto (non succede nulla per qualche volta, vista anche l’ipernutrizione cui è spesso sottoposto un bambino), ma che intuisca che è l’adulto a dare le regole.


Evitiamo però il muro contro muro. Al pasto seguente gli prepareremo qualcosa che di sicuro mangerà volentieri, mentre con il cibo respinto riproveremo vari giorni dopo. Cerchiamo ogni volta di decifrare i veri motivi del suo rifiuto, senza usare troppe parole, prediche, raccomandazioni, espressioni di ricatto.


Gli adulti (genitori, nonni, tate) ne inventano di tutti i colori:

“Se non mangi tutto, non potrai fare X o Y”

“Devi finirlo tutto, devi mangiarlo”

“Mangia tutto per mamma tua!”


C’è chi forza fino alla nausea (se lo facessero a noi?), arrivando a provocare il vomito, cosa che spaventa moltissimo il piccolo. Ci sono bambini di 4-5 anni che arrivano a vomitare spesso, con precisa decisione, per raggiungere un determinato scopo.

Ai primi no gli adulti arrivano a comportamenti assurdi.


Una madre con tre bambini ogni giorno prepara per ognuno di loro, oltre che per sé e per il marito, quattro piatti differenti. “Devo accontentarli tutti” sostiene con un certo imbarazzo.


Si notano comportamenti ribelli anche molto precoci perché gli adulti cedono, pur di non sentirli gridare.


In un negozio due gemelli di 16 mesi fanno scenate con urli e pianti per avere ognuno il triciclo, il padre non vuole e non dà retta alle loro proteste; la madre il giorno dopo, quando il marito è al lavoro, va nel negozio e glieli compra, anche se loro nemmeno li chiedevano più.


In un’altra famiglia, dove entrambi i genitori sono assenti tutto il giorno per lavoro, le figlie di 2 e 4 anni sono affidate ai nonni che cedono su tutto. La colazione del mattino si fa con la nonna al bar, dove le bambine con strepiti inesauribili ottengono pizzette e pasticcini. Lei ogni volta le accontenta, finché arriva una “tata” che, senza timore alcuno, dice no e lo strepito quotidiano finisce di colpo.


Il comportamento contraddittorio è molto frequente nelle famiglie: la cioccolata è no dai genitori, dai nonni; il padre dice: “Se hai sete, basta l’acqua, che è sempre la migliore”, la madre, quando lui è assente, dà bevande colorate molto dolci; la nonna esige che si mangi a tavola e la piccola (18 mesi) obbedisce senza problemi, la madre la insegue per tutta casa, piatto e cucchiaino in mano, “purché mangi qualcosa”; la madre non vuole che si mangi con la TV accesa (“Per poter parlare e guardarsi in faccia”, dice), dai nonni materni si fa il contrario, dalla nonna paterna il tavolo si riempie di pupazzetti con varie storielle (“Così si distrae e posso imboccarlo senza che nemmeno se ne accorga”). In realtà la distrazione, di frequente usata dagli adulti per indurre un piccolo a fare ciò che per loro è più comodo o meno conflittuale, è il peggiore degli interventi.


Si usa anche la paura: “Se non mangi tutto, arriva la tata Camilla che ti porta via tutti i giochi”. Il personaggio evocato è inesistente, ma il piccolo ne ha paura e divora in fretta ogni cosa.


Occorrono altri commenti? L’ordine dei primissimi mesi può continuare trasformandosi via via che il bambino cresce. Si altera se gli adulti perdono la volontà di mantenere abitudini regolari, comunicazioni coerenti e insieme la calma. Quanti piccoli a casa inventano proteste d’ogni genere, mentre al Nido (senza alcun intervento speciale da parte degli adulti) mangiano tutto? Succede anche che nel posto, nuovo per loro, provino a fare “come a casa”, ma smettono rapidamente di fronte alla tranquilla fermezza dell’educatrice e alla presenza dei coetanei.


“Grazie a domande come ‘Vuoi andare al mare o in montagna?’, ‘Vuoi la pasta o il riso?’, hanno la possibilità di ribaltare la situazione, di ‘possedere il telecomando’ e di poter sintonizzare il genitore sul programma desiderato: avere un adulto che soddisfa i loro desideri. Allora invece di domandare: ‘Vuoi la pasta o il riso?’, potremmo optare: ‘Oggi c’è il riso. Volevi la pasta? Hai ragione, la pasta è proprio buona! La prepareremo insieme domani’20.

Cerchiamo ogni occasione per portarlo con noi nelle varie occupazioni. Già intorno alla fine del primo anno andare al mercato, vuotare insieme la borsa delle verdure comprate, osservare la preparazione dei pasti, il lavaggio degli oggetti usati, sono tutti preludi validi all’agire vero e proprio. E così seminare e innaffiare piantine di lattuga, erbe aromatiche, carote, pomodorini o piselli nani che finiscono poi nei piatti. Lo si può fare anche su un terrazzo.


Quando sta seduto volentieri al suo piccolo tavolo, potrà, con la guida paziente dell’adulto, tagliare con un coltellino adatto verdure bollite. Dopo averla spelata e tagliata, può schiacciare con una forchetta una piccola patata e mangiarla di gusto con qualche goccia d’olio. Può spremere un’arancia e versarne il succo in un bicchiere. Può sbucciare un uovo sodo dopo averlo raffreddato e molto altro ancora.


Azioni come lavare e asciugare (piccole stoviglie, posate), travasare (da una brocchina, con un imbuto), impastare, mescolare, usare un passino, rendono felice un bambino già intorno ai 2 anni. Così come la scoperta che acqua e farina possono diventare buon cibo.


Per questo, con un tavolo adatto e lavabile e un grembiulino per non infarinare il vestito, dopo un accurato lavaggio delle mani, si può preparare una pallina di pasta da pane per farne, con un piccolo matterello, una pizzetta che potrà poi cospargere con pezzetti o polpa di pomodoro, origano e bocconcini di mozzarella. Poi la meraviglia del forno: “Attento! Questo non si tocca, avvicina la manina, senti com’è caldo?”.


Esperienze affascinanti, da domenica piovosa con festoso assaggio insieme.

La pasta è un materiale favoloso per morbidezza, duttilità, profumo, sapore; se la si vuole adoperare per gioco (senza preoccupazioni igieniche, come è necessario nel caso della pizza), dobbiamo ricorrere alla pasta di sale, ottenuta con una ricetta del tutto diversa da quella lievitata per pizze e panini:

“Impastare un bicchiere di farina con un cucchiaino di olio e due cucchiai di sale fino, acqua quanto basta. Si conserva in frigorifero; può restare bianca o colorare con sugo di barbabietola centrifugata o con zafferano. C’è chi ritiene che usare alimenti per giocare sia spreco, cattiva educazione, perché il cibo costa e ci sono persone che muoiono di fame. Al di là di ragionamenti moralistici, alcuni giochi del genere costano molto meno di qualunque giocattolo industriale. In ogni senso. Con la ricetta della pasta di sale qui data, un bambino può giocare per settimane, senza inquinare e a bassissimo costo. E giocare non è mai uno spreco. È l’attività principale dei bambini, il loro modo di essere, di conoscere e via via di comprendere meglio la realtà che li circonda”21.


Aggiungiamo che la pasta di sale è di qualità infinitamente superiore alle solite plastiline non commestibili. Se il bambino assaggia la pasta di sale, questa stessa scoraggia altre prove, senza correre rischio alcuno: l’oggetto “parla” al bambino e non è l’adulto a vietare. Questo è un altro dei requisiti montessoriani tipici dell’educazione indiretta, che non vieta e lascia la parola agli oggetti, ai fatti. Ad esempio: un cancellino davanti a una scala ripida previene eventuali proibizioni; un bicchiere riempito oltre l’orlo mostra il traboccare del liquido e quindi l’esigenza di movimenti più cauti.


Non si ricorre a raccomandazioni, divieti, tanto meno a minacce: ci si fida del bambino, del suo innato istinto di conservazione, della sua intelligenza, vivacissima fin dal primo anno di vita. Lo svezzamento che auguriamo a ogni bambino fa parte, in stretta misura, di questo percorso di scoperta.

Grazia Honegger Fresco

Aiutami a mangiare da solo!
Aiutami a mangiare da solo!
Centro Nascita Montessori
L’alimentazione dei bambini da 0 a 3 anni.Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori sull’alimentazione dei bambini?Una guida per rendere il momento del pasto un’occasione per aiutare i più piccoli a “fare da soli”. Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori a genitori e operatori della prima infanzia sull’alimentazione dei bambini?Quali suggerimenti per facilitare l’introduzione del cibo complementare e far sì che i più piccoli vivano questo momento come un piacere, piuttosto che un dovere?L’osservazione e il rispetto delle competenze e dei tempi di ciascun bambino dovrebbe essere la norma anche a tavola. Aiutami a mangiare da solo!, curato dal pediatra Franco De Luca, partendo dalle linee guida dell’OMS e dalle raccomandazioni delle più importanti società scientifiche pediatriche, raccoglie i contributi degli operatori del Centro Nascita Montessori e vuole essere una guida per tutti coloro che credono che il momento del pasto sia un’occasione per aiutare il bambino a “fare da solo” e scoprire il piacere dell’esperienza sensoriale che deriva dal gusto e dal piacere di mangiare. La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo.Maria Montessori, Educazione alla libertà Conosci l’autore Il Centro Nascita Montessori di Roma si occupa di ricerca sullo sviluppo e sul mondo relazionale del bambino nei primi anni di vita, organizza corsi di formazione per operatori della prima infanzia e promuove la cultura di una buona nascita, accompagnando le coppie verso il nuovo ruolo genitoriale. L’operato del Centro è guidato dal pensiero montessoriano, in un costante confronto di idee, eventi ed esperienze a livello nazionale e internazionale. Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.