PRIMA PARTE - Allattamento e accudimento

1. Siamo mammiferi

di Franco De Luca

LHomo sapiens appartiene alla classe dei mammiferi che, attualmente, conta circa 5.500 specie.


I membri di questa classe sono diffusi su tutta la Terra, dalle fredde calotte polari agli aridi deserti di tutti i continenti, nei luoghi più elevati di montagna come nei grandi fiumi del globo.


Si pensa che tutto sia iniziato nel periodo giurassico (circa 150 milioni di anni fa) quando, in un piccolo animale a metà tra un toporagno e una lucertola, alcune ghiandole sebacee hanno cominciato a produrre un secreto che piaceva ai suoi piccoli. Da allora, nel corso dell’evoluzione, l’enorme adattabilità dei mammiferi li ha resi assai differenti tra loro per aspetto morfologico, dimensioni e abitudini di vita.


Tre elementi accomunano tutte le specie di questa classe:

  • essere omeotermi (possiedono meccanismi interni per mantenere nel corpo una temperatura costante);
  • essere vivipari (il prodotto del concepimento si sviluppa per un periodo più o meno lungo, a seconda della specie, nell’apparato genitale femminile);
  • avere cure parentali che prevedono l’allattamento della prole.

Se la produzione del latte è un elemento comune a tutti i mammiferi, il latte è anche fattore di differenziazione tra loro. Infatti, ogni specie produce un proprio tipo di latte adatto a nutrire soltanto i suoi piccoli. Nel libro Tutti i genitori del mondo1, Susan Allport riporta le ricerche della biologa Devorah Ben Shaul che, negli anni Cinquanta e Sessanta del ’900, lavorando allo Zoo Biblico di Gerusalemme e dovendo spesso nutrire manualmente animali selvatici, iniziò a interessarsi al latte e alla sua composizione. Iniziò pertanto a raccogliere e analizzare campioni di latte prodotto da centinaia di specie di mammiferi selvatici.


“Mi aspettavo, naturalmente, che si potessero fare correlazioni importanti sulla base della parentela della specie”, scrisse la Ben Shaul nel 1962, “invece scoprii presto che non era così. Mi trovai di fronte a dei risultati apparentemente irrazionali, come il fatto che un orso grizzly e un canguro avevano un latte dalla composizione quasi uguale o, per fare un altro esempio, che il latte della renna era simile a quello del leone”2.

Riflettendo su questa apparente anomalia, intuì che c’era una connessione fra la composizione del latte di un animale e il suo comportamento nell’allattamento. Pensò che ci fosse un motivo logico se il latte di un orso e quello di un canguro erano simili dato che, in entrambe le specie, le madri restavano costantemente con il piccolo permettendogli di alimentarsi in qualsiasi momento. Il loro latte risultava molto diluito e povero di grassi rispetto, per esempio, a quello di mamma gatta che in natura lascia i suoi piccoli nascosti per ore per andare alla ricerca di topolini, lucertole e altre leccornie.


Dopo che la Ben Shaul ebbe pubblicato le sue scoperte, molti ricercatori cominciarono a chiedersi cosa potesse rivelarci la composizione del latte umano sulle modalità di allattamento della nostra specie.


Nicholas Blurton-Jones, etologo inglese, ha affrontato questo problema e, semplificando le categorie stabilite dalla Ben Shaul, ha diviso le madri in due tipi fondamentali:

  • nutrici continue, ovvero madri che portano con sé il piccolo o sono seguite da lui, restando quindi in costante contatto con il cucciolo;
  • nutrici distanziate, ovvero madri che nascondono la loro prole o la tengono nel rifugio/culla.

Le nutrici distanziate, in genere carnivori predatori, alimentano i piccoli a intervalli più o meno lunghi, hanno quindi un latte ad alto contenuto di proteine e di grassi e i loro piccoli succhiano il latte velocemente. Le nutrici continue, madri trasportatrici come quelle dei primati, dei marsupiali e di certe specie di pipistrelli, ma anche le madri seguaci quali pecore e capre, sono madri che allattano i loro piccoli più o meno continuamente, il cui latte è a basso contenuto di grassi e di proteine e i cui piccoli succhiano lentamente.

Il latte umano, con un contenuto di grassi del 4,2% e un contenuto di proteine dello 0,9%, colloca chiaramente la nostra specie nella categoria delle nutrici continue. Questo modello di accudimento corrisponde bene a quello praticato nelle poche società di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti, in cui le madri portano sempre con sé i loro piccoli e li nutrono frequentemente ai primi segnali di fame.


“Può darsi che le madri umane, all’inizio, siano state nutrici continue e poi, col tempo e sempre più nelle società occidentali, siano diventate nutrici distanziate sotto tutti gli aspetti, eccetto che per la composizione del latte. Il fatto che le componenti del latte non siano mutate col mutare del comportamento materno non deve sorprenderci, poiché la civilizzazione è fenomeno troppo recente perché abbia potuto incidere in modo apprezzabile sul nostro sistema genetico.


Gli umani hanno trascorso circa il 98% della loro esistenza a condurre la vita nomade dei cacciatori-raccoglitori per cui i loro geni sono ancora in gran parte quelli dei cacciatori-raccoglitori.


Nessuno sa esattamente quando sia avvenuto il passaggio dalla nutrizione continua a quella distanziata, ma è probabile che essa abbia seguito di pari passo la formazione degli insediamenti agricoli stanziali e delle abitazioni permanenti. Né si conoscono tutti gli effetti che tale cambiamento può aver avuto. Ciò che possiamo dedurre è che vi sia stato un influsso importante sul distanziamento nelle nascite e sulla crescita della popolazione, poiché il frequente allattamento al seno sembra condurre a una inibizione dell’ovulazione per la durata dell’allattamento, quindi a un contenimento delle occasioni procreative. (Il distanziamento delle nascite e la crescita della popolazione vennero anche direttamente influenzati dalla costituzione degli insediamenti permanenti, poiché le donne, non dovendo più portarsi dietro i bambini fino ai quattro anni circa d’età mentre andavano alla ricerca di cibo, non avevano più bisogno a questo punto di limitare le gravidanze).


Resta tuttavia materia di discussione se tale passaggio, da uno stretto e costante contatto con la madre a periodi di ore trascorse da solo su un’amaca o in una culla, abbia influito sullo sviluppo e sulla psiche dell’essere umano. Può darsi che abbia comportato soltanto le coliche nel bambino. Ma chissà, potrebbe anche essere all’origine del senso d’angoscia dei tempi moderni. La prossima volta che sentiamo un bambino piangere, pensiamoci un momento.”3

Un piccolo cresce meglio e più forte se usufruisce di quella specifica composizione, mentre, se viene nutrito con il latte di una delle tante altre specie, come troppo frequentemente avviene per i piccoli dell’uomo, a cui, con troppa leggerezza e superficialità, viene proposto il latte di formula ottenuto dal latte di mucca, avrà una crescita inadeguata e conseguenze più o meno gravi sul suo sviluppo.


Il latte non è solo specie-specifico, ma anche individuo-specifico perché ogni madre produce il tipo di latte più adatto al suo cucciolo in quel momento, con quel clima particolare; è un latte ricco di anticorpi che servono a proteggerlo contro i microbi presenti nello specifico ambiente dove vive. Se fa molto caldo, il latte sarà più diluito; se fa freddo sarà più concentrato; se in quel momento c’è un’epidemia di influenza, la mamma produrrà gli anticorpi che servono a proteggerlo contro il virus, anticorpi che rapidamente si concentreranno nel suo latte.


Se da un punto di vista strettamente biologico ci aspetteremmo che tutte le donne allattino al seno per lungo tempo, attaccando frequentemente i loro piccoli con ritmi scanditi dai segnali precoci di fame (leccarsi le labbra, schioccare la lingua, succhiarsi la mano), in realtà anche la pratica dell’allattamento al seno è stata, ed è tuttora, fortemente influenzata da fattori culturali.


La cultura è definita come l’insieme di valori, credenze, regole e pratiche di un particolare gruppo, che vengono appresi e condivisi, e che guidano il pensare e il decidere secondo un modello ricorrente. Tali elementi si evolvono nel tempo e possono essere influenzati da vari fattori che possono essere positivi, come il progresso scientifico e tecnologico, ma anche negativi come quelli derivanti, ad esempio, da potenti interessi economici4.


Queste pressioni hanno fatto sì che le madri umane, da sempre nutrici continue e responsive, siano diventate dalla seconda metà del XX secolo, soprattutto nelle società occidentali, nutrici distanziate sotto tutti gli aspetti, eccetto che nella composizione del latte. Il fatto che le componenti del latte siano rimaste inalterate malgrado il mutare del comportamento materno non deve sorprenderci poiché la civilizzazione, rispetto ai tempi dell’evoluzione, è un fenomeno troppo recente perché abbia potuto incidere in modo apprezzabile sul sistema genetico umano.


Un prodotto, il latte di formula, nato come sostituto del latte materno in quelle condizioni particolari (e assai limitate) in cui una madre non può allattare il proprio figlio, è diventato progressivamente il latte più usato e l’allattamento a orario con il biberon il modello di riferimento.


Alla fine degli anni Settanta era ormai credenza diffusa che i bambini dovessero essere allattati rispettando orari rigidi (ogni tre ore) e con lunghi intervalli notturni (sei ore), e tali credenze erano sostenute anche da molti pediatri. Il latte di formula veniva chiamato “umanizzato” e la propaganda delle compagnie produttrici di latte in polvere si faceva sempre più spregiudicata e prepotente. I singoli pediatri e i reparti di pediatria ricevevano gratuitamente materiali medicali o altre regalie, come le iscrizioni a convegni di studio, comprese le spese di viaggio e di soggiorno.


Non c’era (e non c’è ancora oggi) congresso di pediatria che non abbia tra i suoi finanziatori le case produttrici di latti o di materiali necessari per l’allattamento artificiale (ciucci, biberon, tettarelle, scalda biberon ecc.). Gli ambulatori pediatrici erano traboccanti di campioni gratuiti da distribuire ai neo genitori. Alla prima difficoltà nell’allattamento al seno la proposta era immancabilmente l’utilizzo del latte di formula.

D’altra parte, nel corso della loro specializzazione i futuri pediatri ancora oggi apprendono che il latte materno è la migliore opportunità alimentare per il cucciolo umano, ma non ricevono alcuna informazione sull’anatomia della ghiandola mammaria, sulla sua fisiologia, sul corretto attacco del bambino al seno, sulla durata delle poppate e sulle modalità comunicative per infondere fiducia e dare sostegno alle madri.5


Tale tipo di formazione è invece ormai presente in Italia nei corsi di Laurea per Ostetriche.


Saper allattare non è un comportamento innato: lo si apprende osservando (come hanno fatto per millenni le bambine) oppure con l’aiuto di una persona esperta.


Anni fa nello zoo di Londra una giovane scimpanzé nata in cattività (non aveva mai visto altre femmine della sua specie allattare) non riusciva ad attaccare al seno il suo cucciolo che doveva essere nutrito con il biberon. Durante la successiva gravidanza uno zoologo ebbe l’idea di far venire di fronte la gabbia della scimmia una donna ad allattare. La giovane scimpanzé osservò con attenzione e intensità la donna e, quando partorì il nuovo cucciolo, finalmente riuscì ad allattarlo.


Promuovere, sostenere e proteggere la pratica dell’allattamento al seno è un imperativo di salute pubblica. I vantaggi per un bambino di essere allattato al seno riguardano non solo l’aspetto nutrizionale, ma anche quello affettivo, psicologico, relazionale e immunitario.


Nell’ormai famoso articolo Warm chain for breastfeeding (“una catena del caldo per l’allattamento al seno”, giocando sulle parole e riferendosi alla costosa catena del freddo che serve a conservare i vaccini), J. Dobbing afferma: “Se si rendesse disponibile un nuovo vaccino che prevenisse un milione o più di morti infantili all’anno, che oltretutto fosse poco costoso, sicuro, somministrabile per bocca e non richiedesse la ‘catena del freddo’, diventerebbe immediatamente un imperativo di salute pubblica”6.


La pratica dell’allattamento al seno corrisponde a queste caratteristiche, eppure ancora non riceve da parte del Sistema Sanitario Nazionale le stesse risorse umane ed economiche riservate ai piani vaccinali. Si fa ben poco per promuoverlo nella formazione del personale sanitario addetto e per sostenere le buone pratiche sull’allattamento al seno negli ospedali e nei territori.


Ad esempio, in molte Regioni italiane i Consultori familiari si stanno “estinguendo” perché la questione della sostituzione del personale che va in pensione non sembra riguardare i servizi territoriali di prevenzione.

Aiutami a mangiare da solo!
Aiutami a mangiare da solo!
Centro Nascita Montessori
L’alimentazione dei bambini da 0 a 3 anni.Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori sull’alimentazione dei bambini?Una guida per rendere il momento del pasto un’occasione per aiutare i più piccoli a “fare da soli”. Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori a genitori e operatori della prima infanzia sull’alimentazione dei bambini?Quali suggerimenti per facilitare l’introduzione del cibo complementare e far sì che i più piccoli vivano questo momento come un piacere, piuttosto che un dovere?L’osservazione e il rispetto delle competenze e dei tempi di ciascun bambino dovrebbe essere la norma anche a tavola. Aiutami a mangiare da solo!, curato dal pediatra Franco De Luca, partendo dalle linee guida dell’OMS e dalle raccomandazioni delle più importanti società scientifiche pediatriche, raccoglie i contributi degli operatori del Centro Nascita Montessori e vuole essere una guida per tutti coloro che credono che il momento del pasto sia un’occasione per aiutare il bambino a “fare da solo” e scoprire il piacere dell’esperienza sensoriale che deriva dal gusto e dal piacere di mangiare. La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo.Maria Montessori, Educazione alla libertà Conosci l’autore Il Centro Nascita Montessori di Roma si occupa di ricerca sullo sviluppo e sul mondo relazionale del bambino nei primi anni di vita, organizza corsi di formazione per operatori della prima infanzia e promuove la cultura di una buona nascita, accompagnando le coppie verso il nuovo ruolo genitoriale. L’operato del Centro è guidato dal pensiero montessoriano, in un costante confronto di idee, eventi ed esperienze a livello nazionale e internazionale. Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.