capitolo 6

Il ruolo dell’adulto

In che modo queste considerazioni possono riflettersi sulla condotta di adulti che intendano favorire la crescita del bambino e in particolare la sua abilità linguistica e comunicativa?

Poiché il bambino possiede per eredità genetica la competenza linguistica che tuttavia sviluppa anche per mezzo della sua libera e personale azione nell’ambiente, l’educatore avrà il compito di favorire tale agire del bambino mediante una relazione di ascolto e rispetto e attraverso la preparazione di un ambiente interessante e non ostacolante.

L’azione educativa può quindi essere intesa come un processo che partecipa della vita del bambino e la supporta in modo adeguato, ovvero a partire dall’osservazione e dalla comprensione del bambino stesso1.

L’agire educativo è in tal senso oggetto di responsabilità sociale: esso è un’azione collaborativa con il bambino a cui tutti sono chiamati a partecipare2.
Come modulare questo aiuto al bambino in relazione al suo sviluppo linguistico? Sulla base di quanto scritto precedentemente, possono essere proposte alcune brevi riflessioni.

Promuovere l’esperienza personale del bambino, utilizzare un linguaggio descrittivo della realtà, dare tempo

Libera esperienza
Sappiamo che lo sviluppo linguistico del bambino è strettamente collegato alla possibilità da parte sua di conoscere e sperimentare il mondo in cui vive. Il bambino impara la propria lingua materna grazie a un graduale processo di assorbimento della vita che scorre intorno a lui. Egli struttura le proprie competenze linguistiche in modo spontaneo e informale, attraverso l’esperienza, l’osservazione e l’ascolto dell’ambiente circostante.

Per questo è importante favorire nel bambino la libera e spontanea esplorazione della realtà, assecondando la modalità che gli è più consona ovvero quella che avviene per mezzo delle esperienze sensoriali.

Poiché i sensi sono i canali privilegiati attraverso cui il bambino conosce, è importante che possa toccare, annusare, gustare, ascoltare, osservare la realtà intorno a lui. Solo in tal modo può ricevere informazioni sul mondo, dare forma alla propria visione della realtà e costruire la propria intelligenza e la propria personalità.

È altresì fondamentale che questo avvenga all’interno di un ambiente sicuro e adeguato, garantendo sempre la libera scelta del bambino e la naturale spontaneità con la quale si approccia alle esperienze che incontra sul suo cammino. Poiché il linguaggio nasce anche dalla relazione con l’ambiente, per favorirlo occorrerà promuovere tale relazione e al contempo organizzare l’ambiente sulla base dell’evoluzione del bambino e del variare dei suoi interessi e bisogni.

Per affiancare al meglio il bambino nel suo sviluppo linguistico, occorre promuovere l’esperienza che egli può fare del mondo e che fornisce contenuto significativo alle sue parole. Questa esperienza si modula sulla base dello sviluppo del bambino, che acquisisce competenze più precise ed evolute, divenendo capace di rivolgere all’ambiente uno sguardo sempre più attento e di agire in modo più efficace e autonomo.

L’esperienza del bambino di pochi mesi sarà in prevalenza di esplorazione e di movimento, che diventeranno successivamente sempre più ordinati e organizzati e quindi volti non solo a esplorare, ma ad agire ordinatamente con uno scopo.
Linguaggio
A partire da questa libera esperienza che il bambino può fare nell’ambiente, di esplorazione, manipolazione, movimento, è importante affiancare un linguaggio che racconti in modo chiaro lo spazio conosciuto e sperimentato dal bambino.

Il primo linguaggio che gli offriremo sarà quello che descrive il mondo intorno a lui, da lui esperibile e riscontrabile direttamente. Sarà un linguaggio descrittivo, che parla con chiarezza ed esattezza degli oggetti che il bambino può vedere e toccare, affinché egli possa collegare spontaneamente il suono udito con quanto esperito, cogliendone via via il significato. Parlare di una navicella spaziale o del pianeta Marte a un bimbo di pochi mesi equivale a un produrre parole non significative per il bambino, in quanto corrispondenti a oggetti non sperimentati e a lui sconosciuti.

Ascoltando e ripetendo le parole udite, unitamente all’esperienza compiuta nell’ambiente, il bambino riuscirà a costruire gradualmente un vocabolario significativo, corretto e ricco, attraverso cui sarà in grado di conoscere e descrivere il mondo circostante e di comunicare in modo efficace con gli altri individui. Sarà di aiuto costruire inizialmente frasi corrette ma semplici nella struttura e non troppo lunghe, utilizzando parole chiare, note al bambino o che descrivono qualcosa che il bambino sta sperimentando in quel momento. Il richiamo continuo all’esperienza diretta del bambino o all’interesse del momento è fondamentale.

Occorre allora saper essere presenti, saper cogliere la situazione in cui ci troviamo con il bambino e saper riconoscere il suo interesse, soprattutto attraverso il suo sguardo. Quando facciamo una passeggiata, possiamo descrivere cosa osserviamo, riservando piccoli spazi di silenzio affinché il bambino possa osservare, elaborare e raccogliere le nuove informazioni, ascoltare le proprie emozioni. Ma nello stesso tempo, cerchiamo di cogliere lo sguardo del bambino, dove esso si orienta e si sofferma più a lungo perché forse qualcosa lo ha colpito. Lasciamogli un tempo di osservazione, spendiamo qualche parola per descrivere ciò che abbiamo individuato essere di suo interesse, attendiamo un suo riscontro: guarda nuovamente, indica, vuole raggiungerlo sbilanciandosi con il corpo in avanti.

Per dare al bambino una risposta linguistica adeguata e significativa, dobbiamo saperci mettere in ascolto e cogliere, attraverso i segnali che lui ci invia, il suo interesse, osservando il suo grado di coinvolgimento per un oggetto o un evento, che può esprimere con lo sguardo e con un linguaggio prevalentemente corporeo.

È inoltre importante che le parole vengano scandite in modo chiaro e lentamente, permettendo al bambino, oltre che di ascoltare distintamente i suoni emessi, di osservare anche i movimenti della nostra bocca e di imitarli per riprodurre i suoni uditi. I bambini, infatti, osservano il nostro viso e la nostra bocca quando parliamo: offrire loro una chiara mimica facciale è di aiuto nell’apprendimento degli schemi motori necessari per emettere i suoni.
Tempo
Queste modalità comunicative richiedono certamente tempo, ma il tempo di apprendimento del bambino è diverso dal nostro e passa necessariamente attraverso l’esperienza personale. Non solo quindi è preferibile offrire al bambino la possibilità di sperimentare l’ambiente in cui si trova, non solo è consigliabile offrirgli un linguaggio che descriva esattamente queste esperienze, ma occorre anche concedere il tempo a lui necessario per sviluppare la sua capacità linguistica.

Il tempo del bambino ha una dimensione diversa da quella dell’adulto. Egli possiede una mente concreta, che procede per tentativi ovvero per esperienze; l’apprendimento non è quindi immediato, ma richiede fasi fra loro successive di esperienza compiuta, percezione e assimilazione degli stimoli ricevuti e continui aggiustamenti

Esistono quindi tempi di stimolo, tempi di ricezione, tempi di assimilazione, senza i quali non sarebbe possibile un’autentica interiorizzazione ed espressione personale di quanto appreso. Il bambino può esprimere ciò che ha percepito e ha poi compreso e fatto proprio all’interno di un tempo adeguato.

Occorre allora, riconosciuta questa dimensione temporale dell’apprendimento, offrirgli il tempo di esprimere ciò che ha appreso. Esiste un tempo del bambino! Se il bambino prima percepisce e in un secondo momento esplicita, tra una fase e l’altra si inserisce un’attività riflessiva di autocontrollo da parte del bambino. Egli riceve informazioni, le elabora e le manifesta agendo nell’ambiente: lungo questa successione di fasi, è presente un’azione di scelta e di controllo di se stesso. Controllo del suo movimento, controllo delle sue emozioni, controllo delle sue pulsioni.

Si tratta quindi di un agire che nasce dall’interiorità del bambino e poggia su una sua scelta personale. In questo agire entra in gioco la libertà personale dell’individuo con il suo immenso e inestimabile valore.

Proprio in quanto il bambino è interiormente coinvolto nell’azione, nello specifico quella linguistica, questa non si riduce a pura imitazione di suoni, ma è nel contempo un atto creativo. L’individuo che agisce sulla base della libera scelta, manifestandosi, crea sempre qualcosa di nuovo e unico.

L’imitazione del bambino possiede in sé la novità, l’originalità, la creatività. Una creatività che poggia a sua volta su elementi conosciuti.

E la creatività è tanto più feconda quanto più nasce da conoscenze assimilate e poi personalizzate, così come la creazione artistica e l’invenzione scientifica poggiano su un patrimonio di conoscenze tecniche.

Il gesto, l’agire liberamente scelto è allora autenticamente nuovo, originale e irriducibilmente unico.
Affinché questo accada, occorre un tempo, quello necessario al bambino.

Mentre il tempo dell’adulto è un tempo del fare, del produrre nello spazio, il tempo del bambino è un tempo interiore, attraverso il quale egli si ascolta e si costruisce. Mentre l’adulto è proiettato verso lo spazio che occupa con i prodotti del proprio agire efficiente, il bambino vive con pienezza il tempo del proprio costruirsi come persona. Egli non persegue unicamente il risultato fine a se stesso, ma è spinto ad agire dal piacere e dalla soddisfazione che nascono dall’azione stessa, senza la preoccupazione di impiegare il minor tempo possibile o l’urgenza di dimostrare la propria abilità. Il tempo del bambino è interiore e personale.

Occorre allora, nell’osservare il bambino, volgere lo sguardo a questo tempo di costruzione piuttosto che a misurare lo spazio occupato dai prodotti del suo agire. E dando valore a questo tempo, occorre anche saperlo promuovere e renderlo possibile. A partire da questa consapevolezza, è opportuno quindi cercare occasioni nella vita di tutti i giorni in cui concedere al bambino il suo tempo, diverso da quello dell’adulto e inestimabilmente prezioso.

Promuovere la relazione con il bambino

L’esercizio linguistico possiede come propria condizione di autenticità la relazione con l’altro, una relazione che sia di ascolto e di rispetto. Senza queste dimensioni, il parlare si riduce a monologo, perdendo il valore che invece gli è proprio ovvero quello di scambio reciproco e di incontro con l’altro.

L’adulto, supportando il bambino nel suo sviluppo linguistico, dovrà quindi aver cura che la relazione con lui sia sempre rispettosa della sua individualità, per quanto ancora immatura, e gli riconosca la dignità di interlocutore pari alla propria.

Nella nostra relazione verbale con il bambino è importante che sia sempre presente una dimensione emotiva positiva che è possibile trasmettere con parole affettuose, uno sguardo sorridente, il tono di voce caldo e non troppo forte, la postura del corpo aperta e che accoglie, una gestualità ordinata e non frettolosa, una mimica facciale distesa.

A mano a mano che il bambino cresce e perfeziona la sua competenza linguistica e quindi la sua capacità di comunicare, la relazione dovrà fare spazio alla sua parola. Questo equivale ad ascoltare con rispetto quello che lui cerca di condividere con noi, senza mettergli fretta, senza rivolgergli sguardi ansiosi o gesti di impazienza, senza correggere continuamente le sue parole, anche se imperfette. Il bambino, in questo modo, avrà la percezione del valore delle proprie parole, e quindi della propria capacità di comunicare, rafforzando la sua autostima e il desiderio di raccontarsi con spontaneità e soddisfazione.

Occorre quindi ascoltare il bambino con attenzione e rispetto, gli stessi che riserveremmo a una persona adulta, tenendo presente che le sue parole, per quanto inizialmente limitate, sono la concreta espressione di un ricco e vasto mondo interiore di emozioni e pensieri. Favorire la relazione col bambino significa “esserci” quando lui ci parla, quando si rivela a noi, dimostrandogli tutta la nostra presenza lì con lui, in quel preciso istante.

Questa attitudine si concretizza attraverso accorgimenti che, per quanto possano sembrare piccoli e quindi apparentemente poco importanti, sono alla base di una comunicazione dialogica ovvero di scambio autentico.

Il primo riguarda la modalità con cui ci poniamo fisicamente nei confronti del bambino; se quando lui ci parla gli diamo le spalle, impegnati in qualche attività, o ci spostiamo in un altro ambiente, gli dichiariamo la nostra assenza, il nostro disinteresse. Essere con il bambino significa stargli accanto o di fronte, facendogli percepire la nostra presenza fisica, in un atteggiamento rilassato, attento e di ascolto. Comunicare con il corpo la nostra attenzione e il nostro desiderio di ascoltare il bambino è fondamentale; posizionandoci di fronte a lui, abbassandoci o sedendoci al suo fianco, possiamo trasmettergli attraverso la prossimità fisica il nostro interesse verso quello che ci sta comunicando.

Il secondo si ricollega al primo e concerne lo sguardo: il contatto visivo è segno di riconoscimento dell’altro e da parte dell’altro e quindi di attenzione. Quando vogliamo negarci a qualcuno distogliamo lo sguardo, lo escludiamo dal nostro campo visivo, lo ignoriamo. Entrare in relazione con il bambino vuol dire anche offrirgli il nostro sguardo, sereno e attento, e accogliere il suo. Attraverso questo osservarsi reciproco, mediante questo scambio di sguardi, lo riconosciamo e nel contempo ci facciamo da lui riconoscere. Si tratta di un atto di accoglienza, di apertura e di fiducia che lui percepisce come tale e che diventerà per lui pratica del comunicare.

Il contatto visivo consente inoltre di cogliere le emozioni e spesso le intenzioni dell’interlocutore. Il bambino, soprattutto nei suoi primi anni di vita, comunica non solo con la propria gestualità, ma anche con lo sguardo. Uno sguardo che si rivolge verso un oggetto o un luogo particolare spesso rivela i desideri e i bisogni del bambino.

Lo sguardo appartiene al linguaggio silenzioso dell’uomo e quindi anche del bambino: attraverso i nostri occhi esprimiamo molto spesso emozioni, interesse, intenzioni. Osservare dove lo sguardo del bambino è orientato, quanto a lungo e quanto frequentemente osserva, quale espressione del viso si accompagna allo sguardo (di gioia, stupore, paura, dubbio, concentrazione, disinteresse) ci apre al suo mondo interiore e ci permette di entrare in relazione con lui. Escludere lo sguardo conduce a inibire la relazione con il bambino e ci priva dell’opportunità di conoscerlo e di coglierne i bisogni.

Promuovere il silenzio

Infine, sarà per il bambino una preziosa occasione anche il silenzio.
Stando in silenzio non solo possiamo ascoltare con maggiore attenzione la parola dell’altro, e quindi “incontrarlo”, ma riusciamo a cogliere profondamente la realtà che ci circonda. Osservare in silenzio i vividi colori di un fiore, le forme di una nuvola in cielo o il mare permette di percepirne la ricchezza di sfumature: il rosso speciale della corolla di un papavero, l’oggetto evocato dalla forma della nuvola, l’odore salmastro rilasciato dalla schiuma bianca delle onde.

Quando ci troviamo in un ambiente molto rumoroso dobbiamo compiere un maggiore sforzo per poter riconoscere e distinguere i diversi stimoli che riceviamo contemporaneamente, senza poterci soffermare con attenzione sui dettagli. Il silenzio acuisce la percezione che abbiamo del mondo attraverso i nostri sensi, poiché consente un maggiore e più profondo raccoglimento in noi stessi e favorisce l’osservazione e la percezione del mondo circostante nelle sue molteplici sfumature.

Noi adulti ci siamo ormai disabituati al silenzio, continuamente stimolati su più piani, avvezzi a fare più cose contemporaneamente: mentre osserviamo, gustiamo, annusiamo, ascoltiamo, siamo circondati di continuo dal rumore, distratti da esso, incapaci di immergerci profondamente nel mondo che ci circonda. Il silenzio talvolta spaventa, sembra innaturale e lo rifuggiamo. Spaventa quando siamo soli, e allora accendiamo radio, televisione o ci mettiamo al telefono. Il silenzio viene percepito come un grande vuoto che ci disorienta e che cerchiamo di riempire con vari sotterfugi. Spaventa anche quando siamo in compagnia: quante volte si prova l’imbarazzo del silenzio in presenza di altre persone, come se la parola fosse l’unico canale per entrare in contatto con l’altro. Ci ritraiamo da questo silenzio e ci gettiamo a precipizio nella parola casuale, pur di dire qualcosa, come se uno sguardo silenzioso non fosse capace di creare un contatto.

Il silenzio ci è estraneo, eppure appartiene alla nostra interiorità e dà spazio a dimensioni percettive che vengono sempre più frequentemente superate dal rumore. Il silenzio non solo amplia la nostra capacità di percepire e contemplare il mondo, ma permette anche di porsi in ascolto di se stessi. Instancabilmente e freneticamente travolti dalle ruotine quotidiane, di rado ci soffermiamo su ciò che proviamo, che desideriamo, che pensiamo. Ci abbandoniamo al fare nostro e altrui.

Il silenzio porta invece a un ascolto interiore più profondo e alla capacità di custodire e coltivare questa interiorità. E il riconoscimento del proprio essere profondo, quello che non sempre comunichiamo con le parole, apre anche al riconoscimento e all’ascolto dell’interiorità altrui.

Nello sguardo silenzioso, che accoglie, il riconoscimento dell’altro diventa anche dono di sé. Il bambino si dona continuamente all’adulto, si abbandona con fiducia e slancio al suo sguardo.

Il custodire questo dono, lasciando spazio ai suoi pensieri, alle sue emozioni, ai suoi sentimenti, è nostra responsabilità. Il silenzio, che accoglie con attenzione e cura e non che ignora, eleva la relazione su un piano di rispettoso ascolto e nel contempo di dono personale.

Offrire il silenzio significa anche rinunciare in una certa misura a se stessi: al proprio desiderio di porsi, di manifestarsi, di guidare, di dimostrare.

La capacità di silenzio è allora anche pratica virtuosa ovvero capacità di saper attendere la parola dell’altro, la capacità di reprimere l’istinto di affermarsi, la capacità di ascoltarsi. Il silenzio è quindi altamente fecondo nella relazione con l’altro poiché non solo stimola e amplifica nostre capacità che il rumoroso mondo a cui siamo avvezzi spesso assopisce, ma porta con sé anche un esercizio personale di ascolto, crescita e superamento dei propri limiti e di apertura e ascolto dell’altro.

È importante allora permettere al bambino di vivere anche questa dimensione, senza che il silenzio diventi abbandono o disinteresse da parte dell’adulto, avendo invece cura di preservare sempre nei suoi confronti una relazione di accoglienza e supporto.

Infine, favorire il silenzio non significa imporlo, zittendo il bambino, ma piuttosto creare le condizioni affinché esso si manifesti spontaneamente:
  • offrendo al bambino un ambiente non rumoroso (evitando TV e radio sempre accese!);
  • non interrompendolo con lodi o incoraggiamenti quando svolge con interesse e concentrazione un’attività che riteniamo positiva o secondo noi di successo;
  • non interrompendolo di continuo con critiche e giudizi negativi quando sbaglia o compie un’azione in modo imperfetto;
  • lasciandogli il tempo per contemplare. Il bambino ha questa grande capacità di guardare con intensità, stupore e profondo raccoglimento la realtà. Preserviamola con cura! È importante permettergli di osservare un insetto che cattura la sua attenzione o un sassolino raccolto per terra, senza voler essere sempre interpreti con le nostre parole dei suoi pensieri.
Il silenzio concesso al bambino parte da un atto di umiltà e capacità di attesa da parte dell’adulto che rinuncia al suo potere e al suo sapere per affidarsi alla saggezza del bambino. Occorre consentire al bambino di godere di ciò che il mondo offre: suoni, colori, sapori, forme, odori, affinché possa mettersi in ascolto di se stesso, dando spazio al suo racconto personale. Il silenzio apre al mondo interiore di ognuno di noi e ci aiuta a coltivarlo e a renderlo più ricco e profondo per diventarne più consapevoli.

Il linguaggio del bambino piccolo e il pensiero Montessori
Il linguaggio del bambino piccolo e il pensiero Montessori
Isabella Micheletti
Come favorire l’uso della parola nei primi anni di vita.Un piccolo libro che suggerisce idee pratiche per sviluppare il linguaggio, partendo dal pensiero di Maria Montessori e di altri rinomati studiosi dell’infanzia. L’apprendimento del linguaggio avviene nei primissimi anni di vita del bambino, grazie all’utilizzo di competenze innate che necessitano di essere esercitate quotidianamente. Per favorire questo ricco processo di sviluppo, è importante predisporre un ambiente che consenta esperienze di qualità, ma è altresì essenziale che l’adulto instauri una relazione di comprensione e rispetto con il bambino: imparare a parlare, infatti, non equivale solo ad apprendere parole nuove o a costruire frasi, ma significa porsi in relazione con l’altro, donando una parte di sé. È consigliabile, dunque, offrire al bambino non solo un linguaggio chiaro e corretto, ma anche la propria attenta presenza, sapendo regalargli momenti di ascolto, senza scordarsi che anche il silenzio rappresenta un prezioso tempo di raccoglimento e di costruzione personale. Isabella Micheletti nel suo libro Il linguaggio del bambino piccolo e il pensiero Montessori (ma non solo!) affronta questi temi con chiarezza e semplicità, suggerendo idee pratiche da sperimentare in famiglia. Seguire nel bambino lo sviluppo del linguaggio è studio di un immenso interesse e tutti coloro che vi si sono dedicati concordano nel riconoscere che l’uso di parole e nomi, dei primi elementi del linguaggio, cade in un determinato periodo della vita come se una precisa regola di tempo sovrintendesse a questa manifestazione dell’attività infantile. Il bambino sembra seguire fedelmente un severo programma imposto dalla natura, e con tale puntuale esattezza che nessuna scuola, per quanto sapientemente diretta, reggerebbe al confronto.Maria Montessori Conosci l’autore Isabella Micheletti è educatrice Montessori e formatrice nei corsi dell’Opera Nazionale Montessori. Specializzata nel metodo Montessori, lavora da anni in questo ambito educativo con esperienza sia in Italia che all’estero.È co-fondatrice del progetto educativo e sociale “Spazio Montessori, uno spazio per la famiglia”, rivolto ai bambini della prima infanzia e alle loro famiglie.Scrive articoli di settore ed è appassionata ricercatrice nell’ambito del pensiero pedagogico.