L’accoglienza che noi riserviamo al bambino, ascoltandolo con rispetto e interesse, senza correggerlo continuamente, senza voler interpretare a tutti i costi i suoi sentimenti proiettando su di lui i nostri vissuti o i nostri desideri, senza sostituirci a lui, favorisce non solo la costruzione del linguaggio, ma anche lo sviluppo dell’individuo. Il bambino, per poter costruire in modo equilibrato, gioioso e sereno la propria capacità verbale, deve sentire il desiderio di condividere con noi i propri pensieri, le proprie emozioni. E questo desiderio è rafforzato dalla percezione del sentirsi ascoltati in modo autentico e rispettoso.
Diversamente, la comunicazione non ha luogo e il bambino, sentendosi non ascoltato e quindi rifiutato nella propria individualità, potrebbe rinunciare alla parola, isolandosi oppure optare lui stesso per una parola violenta, imposta, non rispettosa dell’altro, proprio perché il primo grande insegnamento che possiamo offrire al bambino è l’esempio personale.
Se desideriamo che il bambino attui una comunicazione rispettosa e di ascolto vero nei nostri confronti, occorre promuovere noi stessi per primi questa attitudine. In caso contrario, l’ascolto che otterremo dal bambino sarà semplicemente obbedienza a un nostro comando e lui stesso sarà promotore di questa modalità nella sua vita adulta, all’interno della comunità.
La parola troncata da parte dell’adulto porta il bambino a percepire il mondo, il proprio vissuto, le proprie emozioni e i propri pensieri come inadatti. Equivale a una negazione della sua individualità. Una comunicazione autentica con il bambino presuppone quindi l’esercizio dell’umile e attento ascolto della sua parola.
Il linguaggio più profondo e vero parte allora proprio da una corretta relazione che riconosce al bambino la sua dignità e si pone sul suo stesso piano, senza alcuna forma di prevaricazione. La stessa manipolazione del discorso altrui, lo stesso dichiarare al bambino cosa desideriamo lui dica, ci porta a dirigere la comunicazione a nostro esclusivo vantaggio, spingendo l’altro interlocutore (il bambino) a dire non ciò che lui pensa o sente o desidera, ma piuttosto ciò che gli abbiamo detto ci potrà rendere felici o soddisfatti.
Così può accadere che il bambino a cui parliamo, senza ascoltarlo veramente, senza cogliere ciò che desidera comunicarci, senza tenere in considerazione il suo punto di vista, non impari ad ascoltarsi e a condividere attraverso il linguaggio i contenuti del proprio ascolto personale.
Diverrà così soggetto di un linguaggio che non ha origine in lui, a partire dalle proprie emozioni e dai propri pensieri.
Una parola non ascoltata o manipolata porta a una vera e propria scissione tra pensiero e parola: non dico ciò che penso o sento, ma ciò che rende felice l’altro o ciò che mi è stato comandato. Così il bambino si sente confuso, frustrato, inadeguato, sopraffatto da una parola che non parte da lui, ma da luoghi lontani che non gli appartengono.
Occorre ascoltare il bambino, fargli percepire tutta la nostra presenza in quel momento, il nostro essere-con-lui reale e concreto, affinché egli possa sentirsi accolto in una relazione che lo rispetti e alla quale può partecipare con spontaneità e gioia.
Anche il bambino di pochi mesi, che ancora non riesce a pronunciare le sue prime parole, sta comunicando con noi attraverso lo sguardo, attraverso i primi imperfetti esercizi vocali. Si sta aprendo, con vitalità e slancio, alla relazione, in balia dell’interlocutore adulto che ha il potere e la forza insindacabile di riconoscere e promuovere oppure negare questo suo tentativo. La parola negata al bambino è una piccola porta che si chiude; la parola ascoltata è una porta aperta, che fa entrare luce e fa scorgere oltre.
Diamoci il tempo di ascoltare il bambino, sempre, con l’attenzione, l’interesse e il rispetto che pretendiamo per noi e che riserveremmo a qualsiasi persona adulta. Con umiltà, calma, pazienza, senza temere di perdere autorevolezza e senza il desiderio di dimostrare continuamente la nostra superiorità. Di fronte alle ragioni di un bambino che, alla ricerca della propria identità, si oppone a noi con i suoi primi “no”, diamo spazio a questa sua ricerca con rispetto, sapendo certo guidarlo con lungimiranza e autorevolezza verso il suo bene, adottando i limiti e le misure di cui il bambino ancora immaturo ha bisogno, ma senza limitarci a piegarlo incondizionatamente ai nostri dettami.
Cerchiamo di salvaguardare quella vita che sta compiendo i suoi primi passi nell’affermazione personale di sé, dando esempio di individui equilibrati e di pace attraverso la pratica di una parola capace di orientare e nel contempo di ascoltare e di cercare un punto di incontro.
Questo, come accennato in precedenza, non significa conformarsi incondizionatamente al volere dell’altro ovvero del bambino che, ancora immaturo, potrebbe non agire in vista del proprio benessere; un tale atteggiamento equivarrebbe a non salvaguardare il ruolo di educatori a supporto del bambino. Vuol dire piuttosto interagire con rispetto e capacità di ascolto, tentando di comprenderne le ragioni.
Lo sguardo del bambino è continuamente rivolto verso di noi, alla ricerca di un modello: cerchiamo di esserne all’altezza, offrendogli una relazione ricca, attenta e che sia di guida.