capitolo 7

L’esperienza di San Lorenzo

Divenuta capitale d’Italia nel febbraio del 1871, agli inizi del nuovo secolo Roma sta tentando, seppur faticosamente, di affrancarsi dalla condizione di marginalità cui era stata relegata sotto il potere temporale e di colmare il profondo divario che la separa dalle moderne metropoli europee. La città deve far fronte alla vertiginosa crescita edilizia e demografica conseguente al suo nuovo status e gestire una popolazione che in trent’anni si è letteralmente raddoppiata. Una decisa svolta è rappresentata dall’elezione a sindaco di Ernesto Nathan, ebreo repubblicano di origini inglesi che, sostenuto da una larga maggioranza formata da liberali di sinistra, radicali, repubblicani e socialisti, siede al Campidoglio dopo la lunga serie di nobili fedeli al Vaticano. È il sintomo della rapida trasformazione di una società che si avvia a una irreversibile laicizzazione. La nuova amministrazione vara un ambizioso piano d’istruzione primaria nel segno della più rigorosa neutralità confessionale. Nathan è infatti convinto assertore della necessità che le istituzioni pubbliche riprendano il controllo del comparto educativo, tradizionale appannaggio delle strutture cattoliche. Sotto la sua sindacatura vengono aperti ben 150 asili comunali che provvedono – dettaglio non trascurabile per quegli anni – anche alla refezione dei bambini. Nascono piccole biblioteche, laboratori scientifici di base e sale per le proiezioni cinematografiche.

L’abitazione dei Nathan in via Torino 122, una traversa di via Nazionale, è assiduamente frequentata da una nutrita pattuglia di intellettuali che condividono il progetto di promozione umana del primo cittadino e della cui esperienza egli prontamente si avvale127. La maggior parte di loro sono, infatti, attivi nell’“Ente per le Scuole dei contadini”, un’opera di alfabetizzazione delle popolazioni rurali dell’Agro romano nata in seno alla sezione romana dell’Unione Femminile Nazionale. A presiederla è Anna Fraentzel che con il marito Angelo Celli, si adopera assiduamente per il risanamento di quelle zone malsane. Oltre ai coniugi Celli fanno parte di quel circolo l’educatore Alessandro Marcucci, in seguito direttore dell’Ente, l’artista Duilio Cambellotti, il letterato Carlo Segrè e il poeta Giovanni Cena, redattore della prestigiosa rivista “La Nuova Antologia”, con la sua compagna, la scrittrice Sibilla Aleramo. Quest’ultima mette a punto in sinergia con il sindaco una scuola serale femminile.


La Chiesa guarda ai cambiamenti in corso con grande diffidenza, preoccupata di perdere terreno, specie dopo il severo discorso pronunziato dal primo cittadino a Porta Pia in occasione del cinquantesimo anniversario dell’apertura della breccia128. La reazione è durissima e immediata: lo stesso Pio X replica con una lettera inviata al Cardinale vicario dell’Urbe e pubblicata su “L’Osservatore Romano” il 24 settembre, mentre la stampa cattolica non esita a evocare lo spettro della cospirazione giudeo-massonica. Il clima è quello dell’intransigentismo e dell’opposizione frontale: già da qualche anno, dopo la pubblicazione dell’enciclica Pascendi Dominici gregis dell’8 settembre 1907, è in atto una sistematica repressione anti-modernista che continua a mietere le sue più illustri vittime tra i chierici più brillanti e indipendenti, senza risparmiare, però, intellettuali laici di sincero sentimento religioso, come Antonio Fogazzaro, Maurice Blondel e Antonietta Giacomelli129.


Quasi incurante degli epocali cambiamenti in atto, la città vive un caotico fervore. È, come si è detto, un cantiere a cielo aperto in cui, dopo l’approvazione dei nuovi piani regolatori, si lavora alacremente alla trasformazione di interi quartieri. Urgente è il bisogno di manodopera a basso costo. Dalle province vicine famiglie cariche di bambini in cerca di lavoro affluiscono verso la Capitale fermandosi nelle zone periferiche della città in cerca di un alloggio a buon mercato che sia qualcosa di più di un ignobile tugurio.


Contemporaneamente sorgono enti come l’Istituto Autonomo Case Popolari che edifica soprattutto per la piccola borghesia nei quartieri del Flaminio, di San Saba e di Prati di Castello (all’epoca una piana di campi e orti intorno a Castel Sant’Angelo) e l’Istituto Romano dei Beni Stabili che, con il sostegno della Banca d’Italia, costruisce o ristruttura casamenti destinati a famiglie con reddito molto modesto. Senza dubbio questa gigantesca operazione urbanistica comporta enormi vantaggi per coloro che vi investono grossi capitali, ma allo stesso tempo offre una risposta concreta alle pressanti esigenze di grosse fasce di popolazione di recente inurbamento. Un caso emblematico è quello del popoloso quartiere di San Lorenzo, dove tutti i gravi problemi che travagliano la città sembrano essere riprodotti in scala ridotta. Ricorda la Montessori:

Quando sono venuta la prima volta per le vie di questo quartiere dove la gente per bene passa solo dopo morta ho avuto l’impressione di trovarmi in una città dove fosse avvenuto un gran disastro. Tale infatti è l’aspetto di questo lembo di città costruita su una terra vicina all’estrema dimora dei cittadini130.

L’antico cimitero di Roma, detto il Verano, è infatti a due passi, accanto alla basilica romanica di San Lorenzo fuori le Mura. Coloro che abitualmente frequentano quei luoghi non sospettano nemmeno che scenario spettrale si apra poco oltre.

Risanare San Lorenzo

Il rione si componeva allora di strade sconnesse, per lo più intitolate ad antiche popolazioni italiche131. Dopo la Prima Guerra Mondiale si allargherà gradualmente verso sud in direzione di Tivoli – l’antica Tibur – e diverrà il quartiere Tiburtino. La parte più antica della contrada era stretta (e lo è tuttora) tra la ferrovia e il cimitero ed era allora abitata da disoccupati, mendicanti, ex-carcerati, emarginati di ogni sorta, una fiumana avvilita e dolente di cui la stessa Montessori dà nel Metodo una desolante quanto lucida descrizione. È qui che Eduardo Talamo, un ingegnere toscano, fondatore e direttore dell’Istituto Romano dei Beni Stabili, vara a inizio secolo un innovativo progetto di risanamento urbano a favore di circa mille persone. Si tratta di edifici popolari a più piani rimessi a nuovo, suddivisi in tanti piccoli appartamenti assegnati ciascuno a una famiglia per prevenire i danni del sovraffollamento e della vita promiscua. Nel 1907 sono già sessantotto.


I casamenti, a gruppi di quattro o più, recintati e con ingresso unico, si affacciano su ampi cortili interni, ben presto adorni di piante. Gli appartamenti sono concessi in affitto con l’impegno per i locatari di mantenerli in buone condizioni. Sono sicuramente alloggi decorosi per i quali sono stati approntati alcuni servizi in comune: l’ambulatorio medico, la lavanderia e la stireria. Altri, come la cucina collettiva, sono in via di attuazione132. L’idea di complessi popolari autosufficienti – che ispirerà grandi urbanisti europei negli anni Venti e Trenta – aveva già avuto una sua prima realizzazione a metà Ottocento in un quartiere degradato di Londra, per opera di Octavia Hill133, amica di John Ruskin134. Non è chiaro se Talamo ne fosse a conoscenza o se il progetto fosse esclusivamente frutto della sua sensibilità.


Per completare il complesso pensò di aggiungervi una struttura educativa che fosse di supporto all’intera comunità, «una scuola infantile entro la casa», un luogo che riunisse i bambini troppo piccoli per andare a scuola (gli asili non erano ancora diffusi), in modo che non rimanessero abbandonati a se stessi tra scale e cortili con il rischio di sporcare e rovinare gli edifici. Al tempo stesso sarebbero stati protetti grazie a un servizio per cui le famiglie non avrebbero dovuto pagare nulla, ma solo lavorare volontariamente a turno per assicurare la manutenzione dei locali. Talamo è fermamente convinto che «con la Scuola in casa si sarebbe impresso nell’ambiente una forza e un’anima tutta nuova, con una nuova sostanza vasta e fecondatrice di civiltà, che nel bambino e attraverso al bambino raggiunge la famiglia e dalla famiglia si diffonde nella casa»135.


A tale scopo predispose all’interno di un primo gruppo di edifici una stanza a piano terra per intrattenere i bambini e dar loro da mangiare in attesa del rientro dei genitori. Per garantire la riuscita del progetto occorreva però un medico: chi meglio della celebre dottoressa? Si rivolge così a Maria che forse già conosceva, dato che era stato, a suo tempo, tra i sostenitori della Lega Nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti di cui si è detto. Lei, che ama le sfide, accetta subito. Nonostante sia ormai docente universitaria, fermamente intenzionata a proseguire i suoi studi sperimentali, nell’interessante proposta di Talamo intravede la possibilità di dare concreta attuazione alle idee di giustizia sociale per le quali si è finora battuta insieme alle sue compagne emancipazioniste. L’occasione è stimolante. In più le piace l’idea di lavorare di nuovo a San Lorenzo, dove già in passato ha profuso tante energie. Ne Il Metodo racconta che

la genialissima idea del Talamo era di raccogliere i piccoli figli degli inquilini del casamento, compresi tra le età di 3 a 7 anni, e di riunirli in una sala sotto la direzione d’una maestra, che coabitasse nel casamento stesso […]. L’importanza sociale e pedagogica di simile istituzione fu da me subito intuita in tutta la sua grandezza – e sembrai allora esagerata nelle mie visioni di avvenire trionfale; ma oggi cominciano molti a intendere come vedessi il vero136.

La proposta le offrirebbe inoltre la possibilità di studiare il comportamento di bambini piccoli sani (ce ne erano anche di due anni o poco più) evidenziando le differenze rispetto a quelli svantaggiati in età scolare, un’idea cui già Séguin aveva auspicato di dare attuazione.

Gli effetti meravigliosi [ottenuti con i frenastenici] avevano quasi del miracolo- so per coloro che li osservavano. Ma per me i ragazzi del manicomio raggiungevano quelli normali agli esami pubblici, sol perché avevano seguito una via diversa. Erano stati aiutati nello sviluppo psichico e i fanciulli normali erano stati invece soffocati e depressi […].
Mentre tutti ammiravano i progressi dei miei idioti io meditavo sulle ragioni che potevano trattenere gli allievi felici e sani delle scuole comunali a un livello tanto basso da poter essere raggiunti nelle prove dell’intelligenza dai miei infelici allievi137.

Da dove partire?

Maria comincia da una prima esperienza in via dei Marsi 58: una grande aula per il lavoro che si affaccia su un cortile recintato riservato ai bambini. Per loro si preoccupa anzitutto di organizzare l’ambiente: non pancacce, tavoli pesanti o banchi scolastici, da lei considerati strumenti di tortura, studiati per ottenere «l’immobilità del fanciullo»138, ma, come risulta dal progetto allegato alla prima edizione de Il Metodo, un mobilio grazioso – è l’epoca del liberty – costruito a misura dei piccoli ospiti e così leggero che i bambini stessi possono spostarlo a piacere139. Fa parte dell’arredamento un lavabo molto basso accessibile a un bambino di tre o quattro anni con un ripiano su cui sono poggiati saponi, dentifrici e asciugamani: l’acqua e il suo uso entrano in classe. Nella stanza dispone credenze basse e molto lunghe con tanti sportelli, ognuno con una chiave diversa: la serratura è a portata di mano dei bambini ed essi possano aprire e chiudere e disporre oggetti dentro i reparti.


È lì che saranno allineati i materiali già sperimentati anni prima: oggetti sensoriali per imparare a distinguere la qualità e la grandezza delle cose, spolette per graduare i colori, lettere ritagliate in carta a fine smeriglio fissate ciascuna sopra una tavoletta o fatte in cartone (Séguin, invece, le faceva realizzare in metallo140) e riunite in una scatola a scomparti per comporre le parole; forme geometriche per disegnare, incastri solidi da montare e smontare a piacimento141. A giro, nella parte bassa delle pareti, sono disposte lavagne che hanno vicino delle scatole in cui si ripongono i gessetti e i cenci necessari per cancellare. Più in alto, sopra le lavagne, ritratti di famiglie (incluso quello della famiglia reale), scene campestri e figure di animali. Un grande quadro a colori, copia della Madonna della Seggiola di Raffaello, sarà poi scelto come simbolo nelle Case dei Bambini.


Pur senza possedere precedenti esperienze con i bambini più piccoli, Maria riesce a creare un luogo veramente originale, uno spazio che essi possono abitare in pienezza, ideale per osservarne le loro reazioni spontanee142. Eppure l’accurata ricerca di armonia e di buongusto è considerata da alcuni uno spreco, un’attenzione eccessiva per bambini abituati dalla vita all’essenzialità. Ben presto, appena se ne comincerà a constatare l’effetto benefico, verrà imitata da altri. Non sono dettagli leziosi, ma la prova della fiducia che la Montessori ripone nelle forze infantili: l’ambiente, se ben predisposto, consente di ridurre al minimo gli interventi dell’adulto. Ogni scelta è ordinata a un fine: la leggerezza del mobilio e le sue dimensioni proporzionate agli utenti suggeriscono movimenti garbati e discreti; i fragili piatti di ceramica, facili a rompersi, esercizio di attenzione e cautela; perfino l’apposito contenitore per i gessi insegna che riporre con ordine equivale a ritrovare con facilità. Esattamente come si fa – o si dovrebbe fare – in casa propria. L’ordine si rivelerà così potente mezzo di sviluppo intellettuale.


Il secondo passo è rappresentato dalla scelta della maestra: Maria decide di affidare i bambini, circa una trentina – in principio «creaturine timide e goffe, apparentemente stupide e irresponsabili» – a Candida Nuccitelli, la figlia del custode che, requisito ritenuto indispensabile, abita nello stesso caseggiato. La ragazza avrà la consegna di lasciarli liberi e di riferirle con scrupolo tutto ciò che fanno quando lei non può essere presente143.

“Una casa dei bambini!”, esclama l’amica

La scuola, aperta poco prima della fine del 1906, viene inaugurata ufficialmente il 6 gennaio 1907 e già allora vi ferve vivace e intensa attività. A tal segno i suoi piccoli ospiti sono trasformati, che quando Olga Lodi, l’amica giornalista, compagna di tante lotte femministe, la visita, coglie in un lampo il senso dell’intero progetto pedagogico che vi è sotteso ed esclama: «Ma questa è una casa dei bambini!». Il nome rimase e si diffuse poi in tutto il mondo tradotto nelle lingue più diverse. Nella loro Casa i bambini sono attivi in ogni momento della giornata: si presta il massimo rispetto alla loro individualità, anche a quella dei più piccoli, favorendo l’agire in prima persona e il lavoro autonomo. Le maestre – Candida come le altre che verranno in seguito – devono attenersi ad alcune regole essenziali forse non facili da rispettare i primi tempi144: non intervenire a casaccio o sulla spinta di pregiudizi e di norme astratte, ma in base a un’osservazione attenta, metodica, individualizzata; non disturbare un bambino preso da ciò che sta facendo; non ricorrere mai a premi e castighi, ricatti inutili e improduttivi145. Sono questi i primi passi verso quella che la Montessori chiama «la casa del futuro socializzata».


Agli occhi della scienziata questo nuovo impegno si pone in rapporto di esplicita continuità con tutte le lotte precedentemente intraprese in favore del riscatto delle donne. Molti anni dopo una giornalista sottolineerà l’importanza dell’aiuto offerto alle madri:

Si gode nella propria abitazione del vantaggio di poter lasciare i piccoli figli in un luogo non solo sicuro, ma atto a migliorarli e sono tutte le madri a poter godere di tale immenso vantaggio, allontanandosi da casa per i propri lavori. [Ora non solo] le donne ricche [possono] allontanarsi dai figli per le loro occupazioni mondane, lasciandoli nelle mani di un’istitutrice. Oggi le donne del popolo che abitano questo casamento possono dire di godere dello stesso privilegio146.

Perché “libera scelta” e “controllo dell’errore” in mano ai bambini così piccoli?

Le pagine de Il Metodo illustrano il programma generale di lavoro in modo preciso e analitico. Nulla viene lasciato all’improvvisazione: come si accoglie il bambino e come si seguono i progressi del suo sviluppo, annotandoli su una cartella individuale, insieme alle attività che si svolgono. Tra quelle più rilevanti vi sono gli «esercizi della vita pratica» subito dopo il quotidiano ingresso a scuola, tesi a guidare al senso di pulizia e di ordine personale cui i piccoli a casa non sono abituati. La Dottoressa insiste anche sull’opportunità di coinvolgere i bambini in conversazioni accoglienti, specialmente di «lunedì, dopo la vacanza»147. All’alimentazione dedica attenzione speciale con indicazioni sui cibi più sani, sulla loro freschezza, fornendo ricette e consigli dietetici, oggi in parte superati, ma comunque assai dettagliati148, scomparsi nelle edizioni successive dell’opera. Suggerisce anche, ove possibile, di

coltivare nei campicelli esemplari di piante utilizzabili nell’alimentazione […] e fare altrettanto per le frutta e, nella coltura degli animali per le uova e per il latte che i bambini più grandi potrebbero mungere direttamente dalle capre, dopo essersi lavati scrupolosamente le mani.

In questa prima Casa manca il pasto, ma si usa – forse per piccole merende – «apparecchiare la tavola, disporre le stoviglie, impararne la nomenclatura», perché i bambini sappiano poi come comportarsi a tavola. Successivamente questa diverrà un’attività importante, svolta in piccoli gruppi, preparatoria al pranzo collettivo, cui seguirà il lavaggio e il riordino di stoviglie e posate. Lo si può vedere nelle fotografie del 1911 della Casa dei Bambini di via Giusti, scattate probabilmente dal giornalista-editore Samuel McClure in preparazione al primo viaggio di Maria negli StatiUniti149.


Per l’educazione muscolare e la ginnastica vengono impiegati strumenti come «la palestrina, le scalette a corda», costruite in base alle misure anatomiche dei bambini, esattamente come le sedie e i tavoli, o «la scalinata rotonda di legno, a gradini molto bassi e stretti» per salire e scendere senza appoggio, affinché i piccini compiano «movimenti che non possono eseguire bene montando le scale della casa, proporzionate agli individui adulti». Emerge l’intenzione di assecondare il piacere del movimento, incoercibile bisogno infantile. La Montessori rileva infatti che impedendo al bambino

di gettarsi a terra, di strisciare; lo si obbliga a camminare insieme agli adulti per “abituarlo a non avere capricci”150. […] Gli abiti succinti e comodi dei fan- ciulli, le calzature a sandalo, la nudità delle estremità inferiori sono altrettante liberazioni dai vincoli opprimenti della civiltà151.

Alle osservazioni di J.-M. Itard su Victor, il selvaggio dell’Aveyron152, Montessori si riallaccia parlando dell’importanza dei differenti approcci al processo educativo. Sottolinea la spiccata sensibilità che i bambini manifestano per le forme viventi e che va incoraggiata anche come aiuto offerto allo sviluppo di abilità che ritiene assai formative: l’osservazione e la cura di animali e piante (queste ultime da coltivare anche nei vasi, se non è possibile altrimenti); la capacità di prevedere e aspettare – dal seme al frutto i risultati non sono immediati – con quella fiducia paziente che è anche «una forma di fede e di filosofia della vita»153. Una forte influenza, certamente mediata dalla conoscenza dei programmi delle scuole Franchetti alla Montesca, fu esercitata dalle riflessioni dell’inglese Lucy Latter, autrice del volume School Gardenery for little children, pubblicato a Londra nel 1906. Come la stessa Montessori riconosceva, almeno sino al 1921: «L’ideale della casa dei bambini, a questo riguardo, è di imitare ciò che si fa di meglio in quelle scuole che debbono più la loro ispirazione a Mrs. Latter»154. Maria dunque non esita ad accogliere tra le sue attività formative esperienze già realizzate da altri155 che trova coerenti con le proprie idee e soprattutto con il concetto di libertà di scelta che sempre più lucidamente va mettendo a fuoco. «Scopo dell’educazione», dirà, «non è addestrare ma sviluppare energie»156.


Per le attività manuali mette a disposizione dei bambini matite colorate e fogli per disegnare, fare composizioni e piegature. Accantona, invece, talune proposte di Fröbel157 in uso nei giardini d’infanzia, come le tessiture di carta e il punteggiare, che ritiene inadatte all’occhio infantile o che le sembrano sterili «esercizi della mano» e non veri lavori. Per lei è essenziale la ripetizione spontanea, quella che i bambini mettono in atto di loro iniziativa, non quella imposta dall’adulto allo scopo di favorire l’acquisizione di una data abilità. Dà loro anche i mezzi per «l’arte vasaia» ma, anche questa volta, senza vincolarli a un compito preciso:

In base al sistema di libertà che mi sono proposta, non amavo far copiare nulla ai fanciulli: dando loro la creta perché la plasmassero a capriccio, non indirizzavo i bambini a produrre lavori utili.

Rivelatori «per studiare l’individualità psichica del fanciullo nelle sue manifestazioni spontanee»158 sono i «lavori di plastica», purché siano appunto liberi. Si mostra decisamente lontana quindi dai lavoretti su modelli prefissati, eseguiti con l’aiuto delle maestre per far bella figura con i genitori che, in uso negli asili del primo Novecento, vengono tuttora proposti in molte scuole infantili.

Presentare anziché insegnare

L’“educazione dei sensi” è il pilastro della pedagogia scientifica: Maria propone ai bambini sani il materiale già sperimentato con i frenastenici, ma in gran parte lo modifica, lo perfeziona in base a ciò che va osservando o ne crea di nuovo, preoccupandosi che riesca davvero a coinvolgerli. Non lo usa per misurare o verificare alcunché. Il bambino, se vuole, ripete l’attività con crescente interesse, si corregge da sé e quando ha imparato a padroneggiarlo perfettamente, lo abbandona: a quel punto «il materiale diventa inutile»159. In altre esperienze – e qui Maria si rifà ancora a Fröbel – è necessaria «l’opera attiva della maestra» che insegna e spiega. Nelle Case dei Bambini, invece,

è l’esercizio [spontaneo] del bambino, l’autocorrezione, l’autoeducazione che agiscono, perciò la maestra non deve minimamente intervenire. Come nessun maestro può fornire all’allievo l’agilità che si acquista con l’esercizio ginnastico, ma è necessario che l’allievo si perfezioni da se stesso, a spese del suo proprio lavoro, così è, molto analogamente per l’educazione dei sensi e per l’educazione in generale160.

Per certi versi, è il materiale – o per meglio dire l’uso ponderato e creativo che il fanciullo decide di farne – a surrogare parte delle funzioni finora svolte dalla maestra:

Quando il bambino si educa da sé ed è ceduto al materiale didattico il controllo con la correzione dell’errore, alla maestra non resta che osservare. Ella dunque, più che maestra, deve essere psicologa: e qui si dimostra l’importanza della preparazione scientifica dei maestri161.

Un fenomeno nuovo emerge nei piccoli insieme al piacere di agire: l’intensità della concentrazione. E su questo Maria compie svariati esperimenti:

Una volta io, dopo aver contato sedici esercizi162 di una piccina di quattro anni, feci cantare un inno alla scolaresca per distrarre l’attenzione della piccina, ma essa continuò imperturbata a sfilare, a mescolare e a rimettere a posto i cilindretti163.

Sul nuovo modo di fare lezione la Dottoressa ritorna più volte: «La lezione corrisponde a un esperimento», racconta. «Mi seggo in una delle loro piccole seggioline e lascio che i curiosi mi vengano intorno»164. Così le lezioni collettive diventano sempre più sporadiche: i bambini, essendo liberi, «non hanno l’obbligo di rimanere al posto, tranquilli e pronti ad ascoltare la maestra o a guardare quanto essa fa: per questo alla fine le abbiamo pressoché abolite»165. Diventano «presentazioni» individuali (si presenta «come si fa», adagio, con calma), brevi («Le tue parole sien conte» scrive citando Dante), semplici (sfrondate da ogni retorica o parola superflua), obiettive (non centrate sulla maestra, ma sull’oggetto, sul materiale), basate sull’osservazione (facendo sempre in modo di capire se il bambino sia interessato o meno); senza mai insistere ripetendo la lezione o mettendo in rilievo gli eventuali errori, perché con l’esperienza sarà lui a correggersi: «La maestra insegna poco, osserva molto e soprattutto ha la funzione di dirigere le attività psichiche dei bambini e il loro sviluppo fisiologico. Perciò ho cambiato il nome di maestra in quello di direttrice»166.

Il termine è poi caduto in disuso per la sua ambiguità.

Avrebbero gridato allo scandalo per questo modo di far scuola coloro che non accettavano un così drastico ridimensionamento del ruolo dell’insegnante, dell’adulto, disponibile al dialogo solo a parole, ma figura dominante nei fatti. Altri, critici verso questo strano lessico della scuola fatto di termini come “presentazione individuale” avrebbero accusato un tale insegnamento di disconoscere la preminente funzione sociale dell’educazione. Al contrario, nella logica del Metodo, questo tipo di presentazione – momento di relazione privilegiata tra adulto e bambino – con la sua brevità e semplicità, tranquillizza il fanciullo, gli lascia la possibilità di fare a modo suo, non lo espone al peso di confronti asimmetrici e ne accresce l’autostima rendendolo disponibile a sereni rapporti con gli altri. L’idea della socializzazione come risultato o punto di arrivo in un processo di crescita – Maria parlerà in seguito di «società per coesione» – verrà quasi sempre ignorata dai suoi critici, diffidenti o increduli.

I bambini sono stati i miei maestri,

così sosterrà Maria. «Sono stati loro a mostrarmi i poteri dell’infanzia, come pure il piacere di agire». Da loro impara che grandi e piccoli stanno bene insieme senza artificiose divisioni anagrafiche, mostrando il gusto di partecipare a tutte le attività della vita quotidiana, anziché essere serviti e costretti alla noia. Evitare questa sensazione è una delle preoccupazioni costanti della scienziata che, a partire dal tedio e dalla monotonia che caratterizza le lunghe ore di lezione frontale in aula, vaticina con sferzante ironia:

In un avvenire non lontano, progredendo queste scienze ausiliari della scuola e della pedagogia, si potrebbe forse impiantare, accanto alle sale ortopediche, un gabinetto fisio-chimico, ove ogni sera gli scolari, uscendo dalla benefica impiccagione che bilanciò l’offesa allo scheletro, potrebbero entrare con una specie di ricetta ponogenica composta sugli insegnamenti subiti, e ricevere l’iniezione liberatrice dai veleni della noia167.

I piccoli – lo si è detto – hanno assoluto bisogno di azione e di movimento. Osserva che vogliono aiutare quando c’è da pulire o da riordinare e che fanno tutto con cura se nessuno mette loro fretta o li giudica. Il tempo appartiene a loro come il gusto di far bene le cose e nel frattempo acquistano sempre maggiore indipendenza. Si appassionano alle lettere, le toccano di continuo, vogliono conoscerne il suono e presto iniziano anche da soli a combinarle in parole di senso compiuto. Il clima è tranquillo, rari i litigi. Contrariamente alle aspettative, i bambini non sembrano interessati ai premi e ai dolciumi portati dalle numerose visitatrici. Perfino i balocchi restano negletti: li guardano solo per un momento, poi li lasciano in disparte, perché troppo occupati a fare altro.


Questo insieme di fatti constatati a più riprese in quella prima sede, poi subito dopo nella seconda, aperta il 7 aprile sempre a San Lorenzo, e in altre ancora168, mostrano un dato incontrovertibile: i bambini sono diversi da come li si descrive solitamente.


In questo contesto, ecco manifestarsi l’evento inaspettato: senza un intervento diretto, senza esercizi mirati, i più grandicelli cominciano all’improvviso a leggere e a scrivere, per di più con una grafia regolare e armoniosa, effetto, forse, di quel tanto toccare le lettere smerigliate. È come se le attività precedenti con le lettere, le parole, le brevi frasi composte con l’alfabetario mobile, il disegno, ma anche tutto quell’affaccendarsi nelle azioni quotidiane, abbiano d’un tratto trovato convergenza in un singolare fenomeno psichico che la Dottoressa definisce «esplosione della lettura e della scrittura» a cui dedica numerose pagine.


Sarà questo, naturalmente, il risultato che attirerà maggiormente l’attenzione della stampa, degli studiosi, dei maestri: sono anni in cui – in varie nazioni come nell’Italia umbertina – si dibatte il grave ed endemico problema dell’analfabetismo. Deve essere stato emozionante per lei l’improvviso rivelarsi nei bambini di capacità inattese: non è una maestra e non ha interesse a insegnare, né loro sono in età scolare. Per formazione e convincimenti personali ha voluto creare condizioni nuove per poi osservarne le conseguenze, scoprendo così che bambini poverissimi che non conoscevano giocattoli, in quello spazio positivo di libertà, sia pure circoscritto, erano diventati vivi, avidi di agire, mostrandosi al tempo stesso quieti e ordinati. Una grande differenza con i poveri reclusi spenti e dolenti del manicomio, bisognosi di continue sollecitazioni all’attenzione. Questi piccoli hanno dentro una molla vitale che, come la bacchetta del rabdomante, li aiuta a trovare la sorgente. Solo questi o tutti i bambini? Lo stesso fenomeno si rinnoverà ovunque si aprano Case dei Bambini, ovunque si mostri lo stesso delicato rispetto verso “i padroni di casa”, come li chiama: lo stato di tranquillità e di benessere dei piccoli, la loro operosità, la concentrazione individuale e l’indipendenza, il buon grado di socializzazione raggiunto, l’esplosione di scrittura e lettura sono – allora come oggi – gli inevitabili effetti di un clima di fiducia e di libertà giudiziosamente approntato.


Ben presto Maria comincerà a individuare analiticamente i “mattoni” che contribuiscono a lasciar emergere nei bambini questi comportamenti: il libero accesso a tutte le attività, il rispetto del lavoro che ogni piccolo svolge senza interruzioni, la familiarità con lo spazio circostante che gli permette di raggiungere da sé ciò che gli occorre e, prima d’ogni altra scelta, una nuova relazione con i bambini.


Ne ricava una fondamentale acquisizione: i bambini, quando agiscono con forte interesse personale, non sono recalcitranti, né hanno bisogno di essere di continuo guidati, corretti, stimolati o repressi169.

Maria Montessori, una storia attuale
Maria Montessori, una storia attuale
Grazia Honegger Fresco
La vita, il pensiero, le testimonianze.Una biografia giunta alla terza edizione che accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. Maria Montessori fu certo una donna straordinaria, in grado di sucitare gli entusiasmi più accesi e le condanne più ostili.Ancora oggi il suo pensiero e le sue scoperte provocano reazioni contrastanti. La biografia Maria Montessori, una storia attuale esamina tutte le fasi della sua vita: dai primi anni della formazione, contraddistinti dal fatto di essere una delle prime donne medico in Italia, alla vicenda infelice della maternità celata. Dalle battaglie femministe, che radicano in lei una nuova sensibilità di giustizia sociale, alla dedizione verso i bambini meno fortunati, fino alla sua rivoluzionaria idea pedagogica, fondata sulla promozione delle competenze e della libertà del bambino, dall’infanzia all’adolescenza. Questa terza edizione di Grazia Honegger Fresco accoglie numerosi aggiornamenti, correzioni e nuovi capitoli, grazie anche all’importante apporto della pronipote Carolina Montessori. “Maria Montessori, una storia attuale” è la migliore biografia di Maria Montessori che conosco, certo in Italia, ma forse anche nel mondo, assolutamente dello stesso valore di quella storica di Rita Kramer. Grazia Honegger Fresco è una montessoriana nel cuore e nell’anima, dotata di una profonda conoscenza della vita e dell’opera di Maria Montessori, e il suo libro non è una scialba riproposizione di notizie già note, né un’agiografia. L’Autrice ha fatto ricerche molto approfondite in Italia e all’estero, consultando documenti originali e privati di Maria Montessori e della sua famiglia, e ascoltando coloro che hanno conosciuto Maria intimamente. Il risultato è questo capolavoro del tutto originale.Carolina Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.